Francesco Frangi dell’Università di Pavia è uno dei curatori della mostra dedicata a Girolamo Romanino insieme a Lia Camerlengo, Ezio Chini e Francesca de Gramatica.
Lo abbiamo incontrato nelle sale dell’esposizione mentre fervevano gli ultimi preparativi prima dell’inaugurazione.
D: Che cosa c’è in Romanino di "trasgressivo e ribelle" – come è stato detto – e anche di "sperimentale ed eccentrico", e quanto vedremo di tutto ciò in questa mostra?
R: L’aspetto trasgressivo e ribelle di Romanino lo si coglie soprattutto se si confrontano le sue opere con quelle che erano le prerogative dominanti dell’arte del suo tempo: l’arte del ‘500, soprattutto quella del primo ‘500, è un’arte dominata dalla ricerca di una bellezza ideale, di armonia, di purezza nelle forme, di equilibrio nella composizione. Tutte queste prerogative nell’arte di Romanino vengono clamorosamente a mancare in nome invece di una carica espressiva, di una esigenza di immediatezza e di verità nella rappresentazione delle storie che sono il fatto saliente del suo linguaggio. Queste componenti le notiamo un po’ in tutto il percorso di Romanino, ma il momento forse più "rivoltoso" e in qualche modo più eccentrico è quello che si gioca proprio a partire dagli affreschi di Trento, lungo gli anni ’30 del ‘500 che tra l’altro videro l’artista lavorare anche in centri molto periferici come le chiese prealpine della Val Camonica, luoghi nei quali si trovò "costretto", quasi "confinato" a lavorare proprio perchè il suo linguaggio era difficilmente accolto nei centri della grande pittura italiana del tempo.
D: Quando Romanino passò di qua, Trento per lui – e per quei tempi – era "periferia"?
R: No, Trento non era periferia però certo era per lui il modo di uscire da una situazione di impasse: negli anni ’20 Romanino lavorò quasi esclusivamente a Brescia, dove accanto a lui era emerso un pittore di grande qualità come Moretto che però era molto più allineato agli ideali del classicismo, e la cui affermazione rappresentò per lui una difficoltà in più, trovandosi in casa un "concorrente" più in linea con i gusti del tempo. Andare a Trento per Romanino fu quindi soprattutto un momento di "liberazione", la possibilità di trovare un contesto non condizionato, aperto sulla frontiera del Nord, su quella componente della cultura tedesca che per lui è sempre stata un punto di riferimento decisivo.
D: La critica lo definisce anche pre-caravaggiesco: si può dire che tra gli "artisti classici" sia stato uno dei personaggi più importanti transitati dalla nostra città?
R: sicuramente Romanino è uno dei protagonisti dell’arte a Trento nel ‘500. Quanto alla definizione di questo artista come pre-caravaggiesco credo che vada sottolineata, in quanto la storiografia degli ultimi anni ha un po’ sottovalutato questo aspetto. Ma anche vedendo molte delle opere esposte oggi al Castello del Buonconsiglio ci rendiamo conto che molti degli aspetti della pittura di Romanino anticipano il realismo di Caravaggio: soprattutto direi che Romanino tende a rendere protagonisti delle sue storie – delle storie sacre così come di quelle profane – dei personaggi atteggiati e vestiti con abiti popolareschi, di ceto non nobile; tende a far scendere questi protagonisti dal palcoscenico aulico per presentarli come personaggi semplici, schietti, sinceri, facendo di fatto una scelta di campo che Caravaggio effettuerà all’inizio del ‘600, quindi circa settant’anni dopo…
D: Un tuffo nella realtà, quindi…
R: Un tuffo nella realtà che è direi proprio una prerogativa generale dell’arte lombarda, perchè non bisogna dimenticare che sia Romanino che Caravaggio sono pittori lombardi, quindi questa radice realista appartiene proprio alla loro terra d’origine, e questi due artisti – pur con le differenze di stile dovute ai decenni che li separano – la declinano con un temperamento molto simile.
D: C’è sempre un’opera "star" all’interno dell’evento: la possiamo trovare anche in questa proposta del Castello?
R: Direi che l’opera "star" è sicuramente la decorazione fatta da Romanino qui al Castello del Buonconsiglio per Bernardo Cles: gli affreschi che sono visibili qui a Trento sono sicuramente il cuore pulsante della mostra, anche perchè il restauro che si è da poco concluso li rende oggi apprezzabili in tutto il loro splendore; poi tra le opere di questa esposizione ci sono parecchi lavori da osservare, e forse l’opera più singolare e rivelatrice del temperamento di Romanino è la Resurrezione che viene dalla piccola chiesa di Capriolo – un piccolo centro del bresciano – perchè è un’opera che lui esegue avendo negli occhi un grande modello della pittura aulica del suo tempo, cioè la Resurrezione dipinta da Tiziano proprio per Brescia: in quel dipinto di Capriolo Romanino interpreta in modo assolutamente personale – quasi trasgressivo – il modello di Tiziano, e fa sì che questo Cristo – che in Tiziano è un personaggio elegantissimo che si libra nell’aria con la sua corporatura armonica e perfetta – diventi un uomo qualunque, con i suoi difetti, i suoi impacci, ma con una verità che in fondo ancora oggi ci commuove e ci entusiasma.
Intervista di Andrea Bianchi.
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