a�? Sono sempre piA? interessato a una fotografia che possa essere allusiva e che scateni conversazioni e dialoghi. a�?
Credo che la fotografia sia una voce complessa che puA? toccare simultaneamente corde diverse: il semplice atto meccanico di schiacciare la��otturatore contiene la��essenza di chi A? il fotografo in quel momento e quindi la somma delle sue esperienze, dei suoi pensieri, delle sue opinioni e anche eventualmente la sua indignazione. Queste parole non sono mie, ma di Paolo Pellegrin, un grande e contemporaneo fotografo italiano che appartiene alla folta schiera di quei fotografi che per commissione di qualche agenzia (la famosa Magnum, nella fattispecie) si trovano a documentare i fatti tragici di carattere politico e sociale che accadono nel mondo. Vengono generalmente classificati con il termine di a�?reportera�?. Ma perchA� alcuni di loro hanno raggiunto una fama a livello mondiale ed altri no? Indubbiamente la componente a�?trovarsi nel posto giusto al momento giustoa�? gioca un ruolo importante, ma essa non A? sufficiente per creare la fama di un reporter. PuA? valere per uno scatto singolo o per una serie di scatti, ma un reportage sociale o di denuncia non deve solo rappresentare documentando una realtA�, quasi sempre cruda, ma deve essere una testimonianza che crea sentimenti che siano perA? anche spunti di riflessione. Non condividere questa mia opinione sarebbe come relegare la fama di un certo Robert Capa al solo, famosissimo ed altrettanto discusso scatto del miliziano colpito a morte durante la guerra civile spagnola del a��36, ignorando tutti i suoi reportage svolti negli anni che sono considerati rivoluzionari per la��informazione, proprio in quanto non solo documenti visivi.
Paolo Pellegrin, classe 1964, con le sue fotografie non ha mai creato arte con il dolore, la sofferenza e il disagio altrui. Lui ha sempre ammesso che il fotografo, e in particolar modo il reporter, ha una responsabilitA�: A? facile attirare la��attenzione sul proprio lavoro fotografico creando emozioni che trovano nel dolore altrui il proprio fondamento. Agire in questo modo per Pellegrin A? un a�?tiro facilea�?. Lui ammette che il fotografo chiamato a documentare eventi a volte tragici, abbia una responsabilitA� diretta nei riguardi del soggetto e che debba rispettare la situazione che ha di fronte creando la fotografia migliore con impatto emotivo, ma dando dignitA� senza ridurla a dramma e basta. La fotografia per lui rappresenta da subito un mezzo per investigare alcuni aspetti della��uomo che lo interessano: aspetti sociali e di natura politica, dando perA? una sensazione di bello in una situazione che di bello non ha nulla. Le sue immagini, facenti parte di un originale fotogiornalismo sociale ed eseguite rispettando le regole estetiche che devono sempre essere presenti in ogni buona fotografia, non lasciano indifferenti, ma pongono nella��osservatore delle riflessioni, che definirei con il termine di a�?autoanalisia�?.
Paolo Pellegrin ha raccontato storie perlopiA? tragiche, ma lo ha fatto con un linguaggio del tutto originale e con una espressivitA� unica. Gran parte dei suoi scatti sono raccolti in volumi dedicati al Kosovo, alla Cambogia e alla Palestina, il paese che piA? lo ha coinvolto. Considerando la sua etA� tutto sommato giovane e i tempi politicamente oscuri che stiamo e che probabilmente vivremo, non A? purtroppo utopia aspettarsi da lui altri nuovi e coinvolgenti lavori.
Numerosi e di gran prestigio sono i premi che ha ottenuto e parecchie le mostre allestite anche in altri continenti. Segnalo che non A? da perdere la sua prossima esposizione a�?Frontiera�?, visitabile dalla��ormai prossimo 30 aprile fino al 26 novembre, negli spazi del nuovo Museo il Ferdinando del Forte di Bard nei pressi di Aosta che documentano A�A�in anteprima mondiale il dramma dei viaggi della speranza delle migliaia di migranti che fuggono in cerca di un futuro migliore. Sicuramente la��interesse della mostra compenserA� gli appassionati dal disagio del viaggio.
A�A�A�A�A�A�A�A�A�A�A�A�Enrico Fuochi
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