a�? Non sono io che cerco la foto, ma A? lei che cerca me: una volta ogni tanto ci incontriamo”.
Il viso di un uomo, cliente di un bistrA? parigino con in mano una rivista che perA? lui sembra non leggere perchA� i suoi occhi sono rivolti altrove (ad una signora riflessa nello specchio che sta anche lei leggendo, oppure al braccio mosso della cameriera che sta portando un piatto, o rivolti chissA� a cos’altro?); uno scorcio di un incrocio di una strada di Liverpool con una persona, piccola piccola, che sta svoltando l’angolo correndo per andare chissA� dove; oppure una piccola figura di persona con cappello e cravatta che appare come un dettaglio tra le imponenti geometrie del paesaggio urbano dei grattacieli di New York ma che, anche lei come nella precedente foto, non A? un dettaglio ma bensA� l’anima dell’immagine: il “punctum” , per dirla con Roland Barthes.
Queste fotografie, che ho citato come esempio, pare non mostrino nulla di eccezionale e potrebbero sembrare addirittura banali, scattate, diremmo oggi, con quel dispositivo surrogato della macchina fotografica chiamato Iphone. Eppure queste immagini sono state scattate da un certo Charles Harbutt, presidente per due mandati della mitica Agenzia Magnum, docente della Persons School of Design di New York e universalmente riconosciuto come uno dei piA? grandi fotografi della storia della fotografia. Ecco che allora una riflessione A? d’obbligo e queste immagini, come gran parte di quelle del vasto repertorio di Harbutt, non vanno archiviate nella nostra mente come ordinari frammenti di realtA� in cui tutto sembra chiaro. L’esame piA? attento ci induce a considerare che queste realtA� ci raccontano delle storie parallele che trasformano il quotidiano catturando immagini effimere e fugaci che perA? aprono la mente ad altre realtA�: al fruitore dell’immagine il compito di creare la propria realtA�. E’ banale e fugace quella rappresentata, ma apre nuove strade: l’elaborazione non solo del presente, ma anche del passato e del futuro. PerchA? quest’uomo con occhiali e rivista in mano A? entrato nel bistrA?? Solo per mangiare o per cercare o controllare qualcuno? Il suo sguardo A? tutto. Ma cosa starA� guardando? Cosa farA� quando la cameriera sarA� andata via? Da dove viene l’uomo di Liverpool che stA� svoltando l’angolo della via? PerchA? corre? Cosa farA� dopo? Siamo a Liverpool nel 1971, l’era dei Beatles. Ma quell’uomo non assomiglia a George Harrison? E se fosse lui? E l’uomo newyorkese, con cappello e cravatta, sarA� un agente di borsa di Wall Street o solo una persona di passaggio? SarA� contento di vivere a New York o, come l’immagine sembra far credere, si sente oppresso dai grattacieli e dal caos della metropoli?
La realtA� rappresentata da Charles Harbutt potrebbe sembrare di marca bressoniana, ma accostare la sua fotografia a quella di Cartier Bresson sarebbe un errore di superficialitA�. Il maestro Bresson, come ho giA� avuto modo di spiegare in uno dei nostri primi incontri, coglieva sempre “l’attimo fuggente”, mentre la banale realtA� di Harbutt A? una continua evoluzione che lascia piena libertA� di interpretazione. Lui fu uno di quei fotografi che nel panorama della fotografia americana del dopo guerra, e in particolare sul finire degli anni cinquanta, contribuA� a spostare le tematiche della fotografia statunitense di alto livello dal reportage sociale ad una visione “dell’attimo banale”, privato, intimo. Questa tendenza della fotografia americana dal 1960 in poi ad abbandonare la tematica sociale e politica A? stata generata probabilmente anche dal cambiamento generazionale degli anni sessanta e Charles Harbutt ne A? stato uno degli artefici. Agli inizi della sua carriera era convinto che cambiare il mondo fosse il primo obiettivo etico del fotografo. Negli anni cinquanta ha infatti affrontato i temi dei diritti civili, dei problemi razziali, dei contadini e della povertA�, per poi ravvedersi negli anni sessanta abbandonando il reportage a matrice socio-politico per una fotografia piA? concettuale. Nelle interviste rilasciate in quel periodo, a chi chiedeva spiegazioni su questo suo cambio di rotta, Harbutt rispondeva: “Non A? affare del fotografo cambiare il mondo”.
Charles Harbutt si A? spento a ottant’anni nel giugno dello scorso anno.
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