a�?a�� Io fotografo per emozionare, per trasmettere tutto quello che ho dentro, per comunicare il mio stato d’animo.”
Nell’aprile scorso A? venuto a mancare Fulvio Roiter, un fotografo che puA? essere annoverato nel gohta del panorama dei grandi fotografi italiani.
Questa affermazione A? suffragata da Otto Steinert, autore del celebre saggio del 1954 “Subjektive Photographie” in cui individua i cinque elementi indispensabili per la creazione fotografica e presenti, a suo dire, nelle 110 fotografie da lui scelte e utilizzate da 75 “nuovi fotografi”. Tra questi eletti, oltre a Klein, Penn, White, Schneiders ecc. A? presente anche il giovane fotografo italiano Fulvio Roiter con due immagini “Sicilia” e “Umbria” che lo consacrano subito come giovane talento, sino ad allora quasi sconosciuto.
Dopo questo straordinario traguardo, Roiter intensifica la sua produzione ultimando unici reportage di viaggi fotografici in Toscana, Umbria, Sicilia e Andalusia compiuti con la sua inseparabile bicicletta e il motorino Mosquito. Questo era il modo da lui ritenuto migliore per il fotografo di viaggiare in quanto solo con la lentezza di questi mezzi era a lui permesso di entrare nelle immagini e nella realtA� visiva. Il risultato furono reportage stupendi, non solo per il bianco e nero carico di fascino esteticol, ma anche per il valore che acquista con la sua ricerca di quell’Italia “minore” tipica del neorealismo emergente in quel periodo storico fiorente nella nuova coscienza politica del Paese. Roiter l’interpretA? fotografando uomini sudati e nudi impegnati in uno sfiancante lavoro in una miniera di zolfo, da bambini che guardano senza malizia nel suo obiettivo o donne avvolte in scialli neri che rimandano ad una novella di Pirandello.
Le sue immagini sono perfette anche dal punto di vista tecnico-estetico: lui si A? sempre impegnato ad ottenere il massimo dalla tecnologia che aveva a disposizione, sia in fase di ripresa che di stampa, convinto che solo utilizzando il mezzo tecnico al meglio A? possibile restare nel professionismo senza cedere al dilettantismo.
Nel 1956 con il suo libro “Umbria, terre di San Francesco” vinse, (unico assieme ad altri 2 fotografi italiani) il premio internazionale per l’editoria fotografica “Nadar”. La motivazione della giuria racchiude le caratteristiche del suo modo di fotografare con un raffinato ed elegante bianco e nero: “… l’essenzialitA� e il rigore del bianco-nero, prevale sul trionfo del colore.”
Con il passare degli anni perA? anche il suo percorso fotografico seguA� una nuova strada dando una svolta al suo stile fotografico: si dedicA? prevalentemente al colore e le sue tematiche furono rivolte quasi unicamente alla sua Venezia. La sua fama raggiunse l’apice con il piA? celebre dei suoi libri “Essere Venezia” del 1977, libro che divenne una pietra miliare nel campo dell’editoria grazie al successo di 700.000 copie vendute. Questo prodotto patinato incantA? (e lo dico senza alcuna nota polemica) piA? i turisti stranieri che gli appassionati fotografi. Le sue foto panoramiche di Venezia, che non possono non ricordare le vedute del Canaletto, i particolari delle gondole, i riflessi nell’acqua delle calle e, non per ultime, le maschere del Carnevale, emozionanti dal punto di vista estetico, permisero a Roiter di essere forse l’unico fotografo conosciuto da un vastissimo pubblico che di fotografia perA? non ne sa nulla. Dal punto di vista commerciale la sua fu una scelta sicuramente vincente, ma penso perA? non sia corretto permettere che alcuni classifichino Roiter solo come “un valente costruttore di ottime cartoline”. La sua furbizia commerciale non deve cancellare il suo spessore artistico e quanto lui ha dato in etA� giovanile al mondo della fotografia: il suo passato A? dimostrazione della sua caratura di vero maestro del mondo dell’immagine.
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