VenerdA� 8 marzo 2013 alle ore 20.45 presso la Sala SocietA� Filarmonica di Trento si esibirA� il Quartetto di Tokio, composto da Martin Beaver e Kikuei Ikeda al violino, Kazuhide Isomura alla viola e Clive Greensmith al violoncello.
J. Haydn
(1732-1809)
Quartetto op. 77/1 in Sol magg.
Allegro moderato – Adagio – Menuet. Presto – Finale. Presto.
A. Webern
(1883-1945)
Quartetto in Mi magg. (1905)
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F. Schubert
(1797-1828)
Quartetto in Sol magg. D 887
Allegro molto moderato – Andante un poco mosso – Scherzo. Allegro vivace. Trio – Allegro assai
Fondato ufficialmente nel 1969 alla Juilliard School of Music, il Quartetto di Tokyo si forma in realtA� nella Scuola di Musica a�?Tohoa�� di Tokyo, dove i membri fondatori vennero profondamente influenzati dal Professor Hideo Saito. Concentrati sin dalla��inizio sulla musica da camera, i componenti originali di quello che sarebbe divenuto il Quartetto di Tokyo si trasferirono in seguito in America.
La fama arrivava con le affermazioni nei concorsi a�?Colemana��, a�?Monacoa�� e alle Young Concert Artists International Auditions. Un contratto discografico in esclusiva con Deutsche Grammophon consacrava definitivamente il gruppo come uno dei principali quartetti da��archi attivi sulla scena mondiale. Con oltre cento concerti ogni anni, il Quartetto si A? esibito nelle principali sale concertistiche di tutto il mondo, partecipando a numerosi programmi radiofonici e televisivi, incidendo oltre quaranta
Da anni il complesso A? impegnato in una generosa azione didattica nei confronti dei quartetti da��archi emergenti, insegnando da��estate al Festival Musicale da Camera di Norfolk. Il Quartetto di Tokyo si esibisce sul a�?Quartetto Paganinia�?, un gruppo di preziosi strumenti Stradivari che prendono il nome dal leggendario NiccolA? Paganini che li suonA? nel diciannovesimo secolo. Gli strumenti sono stati affidati alla��ensemble nel 1995 dalla Nippon Music Foundation, che li ha acquistati dalla Corcoran Gallery of Art di Washington D.C.
Questa serata in Filarmonica sarA� la��occasione per salutare la formazione cameristica piA? illustre al mondo, impegnata in Italia in quella che si preannuncia come la��ultima tournA�e del complesso prima di un piA? che meritato ritiro.
Due quartetti comprende la��op. 77 di Franz Joseph Haydn, ultimi esempi (se si esclude la��incompiuta op. 103) di un percorso ormai a�?ottuagenarioa�?, fondativo della stessa forma quartettistica nella struttura topica dello stile classico. E dopo aver stabilito le regole, lo stesso Haydn non esita a intravvederne ed affrontarne gli sviluppi, potenzialmente destabilizzanti.
Alla rivoluzione penserA� fattivamente Beethoven, ma intanto la��illuminista Konzertmeister degli Esterhazy, assurto al rango del compositore cosmopolita dopo il bagno nel Tamigi, non poteva non avvertire a�� sa��era nel 1799 a�� i burrascosi venti che spazzavano la��Europa della��epoca. E sia pure sotto lo sguardo attento di un self-control che mai rinuncia alla gradevolezza (cioA? alla fiducia nella composizione pacifica da��ogni conflittualitA�), ecco un primo movimento ricco di piccole sorprese che ne movimentano la��andamento, vanificando la��orizzonte da��attesa: false riprese del tema principale, improvvisi scarti ritmici, giochi imitativi tra violino e violoncello, spunti polifonici ed omofonici. Complesse trasposizioni tonali interessano poi il severo tempo lento, sciolto in un Minuetto che la��indicazione Presto giA� conduce verso il piA? a�?rivoltosoa�? Scherzo, mentre il Finale a sua volta incrementa il gusto per la��esperimento con temi incalzanti, armonie impreviste e agilitA� strumentali pur alla��interno del contenitore di un RondA? monotematico.
Dalla��alfa (Haydn) alla��omega (Webern) si misura il viaggio di una tradizione spiccatamente tedesca cui, in inizio XX secolo, si guarda con infinita nostalgia prima di compiere il salto nel futuro. Nel novero di un piA? vasto numero di pezzi sparsi, un paio di composizioni a�� il Langsamersatz in Mi bem. magg. e un altro tempo di Quartetto in Mi maggiore datato 1905 a�� spiccano quale apporto weberniano al genere quartettistico, il primo con la toccante intensitA� di un mahleriano decadentismo, il secondo con la leggerezza delle sue trame pizzicate immerse in una lingua decisamente atonale.
Per ridurre in poche righe la problematicitA� di un capolavoro come il Quartetto D 887, scritto da Schubert nel giugno del 1826 quale quindicesimo ed ultimo lascito nel genere, potrebbe forse essere utile farsi prestare da Schumann il bifrontismo del passionale Florestano e del timido Eusebio. PoichA� un doppio filo sembra intrecciare tra loro i vasti movimenti di una partitura dalla durata a�?colossalea�? di oltre quaranta minuti: le celestiali lunghezze schubertiane, il vagabondare melodico e armonico, il differimento continuo di qualsiasi conclusione logica sono riconducibili alle figure opposte presentate nella��esordio del quartetto, il tremolo ed un frammento melodico di movenze danzanti.
Non veri temi, piuttosto suggestioni, simbolici la��uno della��angoscia esistenziale, la��altro di una sospirata pace: Haydn era morto solo nel 1809, ma il conflitto ora diventava insanabile, la��equilibrio irrecuperabile. Dalla bellezza diffusa di queste pagine basti estrapolare il sintetico Scherzo in cui la struttura ternaria si presta alla materializzazione di Florestano nel piglio ritmico della��Allegro vivace e di Eusebio nella dolce melodia del Trio centrale.
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