Quante volte ci chiediamo che cosa��A? la��anima?
Era giA� in noi sin dai tempi del non- linguaggio? O A? a�?apparsaa�? quando abbiamo preso coscienza e consapevolezza di noi? La scienza puA? dare spiegazioni alla��ipotesi di Dio?
Giovanni Straffelini, professore di metallurgia presso la facoltA� di ingegneria della��UniversitA� di Trento, editorialista della��edizione trentina del a�?Corriere della seraa�? ed autore di un blog (giovannistraffelini.wordpress.com) ci ha presentato il suo libro durante la��ultimo incontro alla��Angolo-Papiro.
Riflessioni tra scienza, fede e bioetica. Interessantissime.
E’ soltanto con l’affacciarsi delle istanze proprie del pensiero contemporaneo, che le indagini speculative attorno al soggetto umano spostano per lo più la loro attenzione sul tema dell’esistenza, tema che include le grandi domande sul senso della venuta al mondo, della vita e della morte del singolo, nonché gli interrogativi riguardanti le dinamiche dei rapporti interpersonali, i fini connessi all’agire umano, il significato del dolore. Tuttavia, poiché l’esistenza dell’uomo risulta strettamente dipendente dalla sua struttura, sembra che una seria indagine filosofica, la quale verta – in sintonia con la sensibilità contemporanea – sulla dimensione esistenziale del soggetto, ma che voglia coglierne in profondità i fondamenti ultimi, non possa fare a meno di rivolgere l’attenzione anche all’aspetto strutturale del soggetto stesso. Ben venga chi studia l’anima!
La vocazione più profonda dell’anima, a ben vedere, è la vocazione contemplativa. Infatti, sussiste una piena identità tra il pensare ed il contemplare. Pensare = contemplare. Come ricorda il “Vocabolario della lingua italiana†di Nicola Zingarelli, contemplare deriva dal «latino contemplÄri ‘trarre qualche cosa nel proprio orizzonte’, da tÄ•mplum ‘spazio’ o circolo di osservazione che l’augure [figura sacerdotale pagana] descriveva col suo lituo [bastone sacerdotale ricurvo] per osservare nell’interno di esso il volo degli uccelli». Il contemplare è un atto che sorge con una precisa identità religiosa, che non viene mai dismessa. Contemplare il mondo che si ha di fronte, contemplare un paesaggio, contemplare con gli occhi della mente quella che è stata la propria esistenza, costituiscono degli atti, attraverso i quali il soggetto mira a rinvenire un significato che sia fondatamente attribuibile all’oggetto della contemplazione, cioè mira ad inscrivere tale oggetto in un orizzonte di senso, che, dal punto di vista del soggetto pensante, si pone come autenticamente soddisfacente soltanto se si presenta con i tratti dell’assolutezza.
Nel film “Angel Heart – Ascensore per l’Infernoâ€, di Alan Parker (1987), uno splendido Robert De Niro interpreta Satana: un Satana che mangia un uovo, simbolo archetipico dell’anima (l’uovo possiede una valenza simbolica straordinaria; tutti gli uomini nascono da un ovulo, cioè da un uovo). Dai rischi della tecnologia non ci si salva tornando indietro, cioè rinunciando a pezzi di tecnologia, ci si salva recuperando l’anima.
I grandi tragediografi greci – preceduti in buona misura da Omero – hanno posto in atto, in Occidente, le prime riflessioni codificate, ancorché trasfigurate dalla finzione artistica, circa i vari aspetti del male, circa – cioè – quelle che potremmo indicare – echeggiando il linguaggio di Heidegger – come le “emergenze del negativoâ€. In seguito, i principali pensatori della tradizione classico-cristiana, dell’antichità e del medioevo, hanno offerto, da parte loro, soluzioni che, quand’anche non si configurino nella forma di nobili asyla ignorantiae, appaiono in ogni caso radicalmente insufficienti a rendere conto di una dimensione per molti versi terribile, che intacca la naturale e spontanea fiducia nella razionalità del reale, e che richiama sempre di nuovo la realtà della morte, additandola non in termini di speranza, bensì come un gorgo oscuro, al quale l’esperienza umana è inesorabilmente protesa. Credere nell’anima, allora, significa essenzialmente tenere accesa la speranza.
Tre esponenti della cultura contemporanea hanno esaltato la speranza: Ignazio Silone tra gli scrittori, Carlo Mazzantini tra i filosofi, e Juergen Moltmann tra i teologi; essa è diventata una sorta di sostituto povero della fede, ma è meglio che niente… Dobbiamo acquisire la capacità di ridarla ai giovani, facile preda del suo opposto: la disperazione.