Per la rassegna Materiale non conforme, venerdA� 15 aprile al teatro Portland va in scena Hey Jax! – partitura scenica per un amore. Il progetto nasce dalla rielaborazione del mito di Aiace e si concentra sulle figure di Aiace e Tecmessa.
Il mito, inteso come archetipo diviene pretesto e motivazione latente per nutrire tematiche e contenuti che appartengono all’uomo contemporaneo quali l’abbandono, la crepuscolaritA� della ragione e l’assoluta mancanza di credo in un destino profondo.
La drammaturgia costruita sul principio dell’azione scenica porta il lavoro a muoversi sull’onda della necessitA� del bisogno spazio/fisico. Scelte estetiche e di contenuti impongono poi un ritmo che si muta e trasforma in incedere costante e inesorabile che per paradosso risulta coerente alla immobilitA� del mito stesso. Il lavoro trova le sue radici nelle tematiche care a Camus, Steinback, e Thomas Dylan pur dichiarando all’apparenza di appartenere alla categoria della semplice rielaborazione classica.
La drammaturgia che trae radici dall’archetipo dell’eroe tradito ed umiliato si basa sul concetto teatrale della pausa. Di quella rottura narrativa che impone all’autore ed al lettore/spettatore di prendere fiato, di rilassare il proprio assimilare.
La pausa assume dunque ruolo primario, autenticamente di protagonista e assoggetta il lavoro stesso, proponendo costantemente un ribaltamento di interpretazione. Non A? piA? importante cosa avviene e quando, ma diviene fondamentale cosa accade dopo ogni evento.
Cosa succede dopo che Aiace cade nell’inganno della dea? Cosa succede dopo che Aiace scopre di essere stato umiliato? Cosa succede dopo che Aiace si uccide?
Questa A? la “frattura” che impedisce il normale scorrere delle vicende ed A? qui che la narrazione originale viene sostituita da quella empatica e metaforica. Protagonista attiva della vicenda quindi non A? Aiace ma Tecmessa. Lo spazio che abita A? fatto di cenere e vuoto. Di silenzi che stentano a giungere. Di suoni che non riempiono pur segmentando un agire soffocato e impedito dal peso della tragedia stessa. Libera da ipocrisia e menzogna, Tecmessa scivola lungo coordinate segnate da un fato invisibile che scava solchi e compone barriere. Gli animali uccisi e mutilati da Aiace divengono suoi osservatori, giudici severi dagli sguardi inflessibili. Tecmessa si muove sotto di loro, sotto la loro condanna in cerca di una assoluzione che non puA? giungere poichA� non c’A? nessuna colpa. Gli stessi animali mutano e cambiano significato assumendo le spoglie degli argivi, mandanti effettivi della morte dell’eroe. Tecmessa A? sola, seduta al catino dove lava i panni insanguinati del massacro che Aiace, folle ed accecato da Atena, sta credendo di compiere nella tenda attigua.
Specchio dell’eroe, Tecmessa abita un mondo di macerie, un non luogo freddo, gelido, inospitale dove fantasmi e oblio tendono continui agguati.
E’ il mondo del “dopo”.
PerchA�, in scena, appare solo ciA? che avviene dopo.
Un gioco di stanze doppie dove il tempo e la sequenzialitA� degli eventi perdono significato, stravolgendo la narrazione.
Due stanze che sono due mondi possibili. Sospese tra presente e passato.
Si apre un immaginario fatto di silenzi e di suoni lontani, di musiche e melodie che nei ritmi nascondono trappole e inganni. La scelta estetica cade sulla radicalitA� del movimento sulla parola, della pesante lentezza della snervante incapacitA� alla reazione.
Tecmessa vive l’abbandono eterno dell’amore e della vita del bene piA? prezioso che possiede. Di fronte a questo alza al cielo un canto, il suo lamento: “Ho sbagliato tante volte ormai…”
Poi si alza lentamente per andare a stendere ciA? che ha lavato.
Ma giunge la notizia del suicidio di Aiace…