Mancano poche ore all’inaugurazione della mostra dedicata a Girolamo Romanino, ed incontriamo Franco Marzatico, il direttore del Museo Castello del Buonconsiglio, nelle sale dell’esposizione.
D: Allora ci siamo: finalmente la mostra evento dell’anno ha inizio! Quanto tempo ha richiesto la preparazione di questa mostra?
R: Come per tutte le mostre che organizziamo al Castello del Buonconsiglio sono stati due anni e mezzo circa di lavoro; si partiva peraltro da un vantaggio, cioè dagli studi che erano stati già condotti sul Romanino qui al Castello. Ogni mostra ha proprie prerogative e particolarità: nel caso di questa esposizione abbiamo un centinaio di opere, nel caso dell’esposizione degli orologi erano oltre 700, nel caso dei Guerrieri oltre 2000, quindi ogni volta il Museo e la sua struttura si piegano alle esigenze delle mostre temporanee. In questo caso c’è un dialogo strettissimo fra l’edificio, il monumento, e i dipinti, e l’obiettivo è proprio che Trento, la città, e il Castello in particolare, vengano riconosciuti come un luogo d’arte, e che il Castello sia paragonato – anche nell’"immaginario collettivo" – ai vari palazzi ducali che costellano l’Italia del nord.
D: Le opere provengono da numerosi musei, anche internazionali: questo ha rappresentato un’ulteriore complessità nell’organizzazione dell’evento?
R: Senz’altro questo è stato un aspetto molto impegnativo: si spazia da Budapest al British Museum, al Louvre, a New Orleans, con cui eravamo in contatto proprio nel periodo del’alluvione e dove abbiamo dovuto attendere parecchi mesi, poi naturalmente il Metropolitan, Firenze, Roma; ogni volta si instaura una trattativa che però si avvantaggia del fatto che il Museo è già conosciuto, ha già una sua credibilità internazionale, le opere che arrivano sono accolte in modo adeguato per quanto riguarda le condizioni climatico-ambientali; tutto questo ci aiuta, così come ci aiuta la qualità dei cataloghi.
D: Prima di questa c’è stata soltanto un’altra mostra, sul Romanino, e ben quarant’anni fa: come mai tutto questo tempo prima di tornare a considerare un artista di questo rilievo?
R: La mostra di quarant’anni fa era ed è un ingombro notevole: nel senso che allora era possibile anche immaginare di smontare gli altari e portare le opere e i dipinti su tavola, che sono delicatissimi e che ormai i musei molto raramente danno in prestito, e quindi era difficile mettersi a confronto con una così grande mostra, una mostra che aveva visto riunite più opere rispetto alla nostra; a Brescia ad esempio – la città natale di Romanino dove si era tenuta questa prima mostra – si trova ancora una pala proveniente da Cremona che non poteva entrare nel nostro Castello (dove, non dimentichiamo, solo trasportare casse ed imballaggi lungo le scale rappresenta numerosi problemi dal punto di vista logistico ed organizzativo). La nostra mostra in compenso vede riunite le opere del Romanino dopo restauri, dopo anni di studio, quindi con delle conoscenze senz’altro maggiori.
D: La mostra rimarrà aperta fino al 29 ottobre 2006; che cosa vi aspettate in termini di "posizionamento" della città nel panorama nazionale ed internazionale, non solo del turismo d’arte?
R: E’ un investimento legato non solo a questo periodo – che è breve, più di quello che di solito è la durata delle nostre mostre, che finiscono a metà novembre e cominciano a giugno: questa brevità è dovuta al fatto che alcune opere sono estremamente delicate, mi riferisco ai disegni, e vanno restituite entro un termine molto breve perchè poi devono essere rinchiuse all’oscuro per poter essere protette e riposare, quasi fossero delle persone!
Quanto all’obiettivo di questo evento, è quello di far risaltare il castello rinascimentale, dopo che ne abbiamo messo in luce gli aspetti medievali con la mostra "Il Gotico nelle Alpi". E’ una sorta di filone che stiamo seguendo: l’anno prossimo faremo "Gli ori dei cavalieri delle steppe": è una specie di estensione verso Est, un’esplorazione di terreni già indagati con i "Guerrieri, Principi ed Eroi". Andremo a vedere quale è stato "il vento dell’Est" che ha interessato alcune zone, focalizzando però questo lavoro all’interno del catalogo, mentre in mostra punteremo a far vedere i popoli nomadi delle steppe dell’Ucraina; questo perchè vogliamo aprirci anche a nuove prospettive di collaborazione per far sì che il Castello sia sempre più riconosciuto come da un lato il monumento e il luogo d’arte per eccellenza, dall’altro anche come un museo che si rinnova, che propone, che indaga ed esplora spazi anche più distanti rispetto a quelli del nostro territorio.
D: Poco fa scherzando ha detto che Romanino è troppo "moderno" per lei, che di formazione è archeologo: com’è allora l’esperienza di un archeologo in questa avventura artistica che però – nei temi che ci sta illustrando – è molto attuale?
R: Direi che Romanino è effettivamente molto moderno: l’ho detto come battuta, ma credo che questa modernità – pur non volendo attualizzare l’artista in modo forzoso – nel togliere la figura umana da un alone di idealizzazione, o con la presenza di aspetti grotteschi e crudeli – dalla castrazione del gatto al "Giuditta con la testa di Oloferne" con il sangue ancora vivo sulla testa mozzata – sia un modo per farci riflettere proprio sull’uomo e sulla sua interpretazione rinascimentale che lo vedeva al centro. Al di là di quelli che possono essere gli aspetti di godimento estetico, la cultura secondo me ci aiuta ad approfondire questi temi, a riflettere sulla nostra esistenza, al di là anche degli stessi contenuti di tipo tecnico-scientifico; di fatto Romanino lo sento molto vicino: campeggia sulla mia testa quando vengo a lavorare!
Intervista di Andrea Bianchi.
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