a�? PerchA� non fotografare in modo bello una storia umana positiva? Che cosa spinge tutti i redattori del mondo a cercare immagini orride, drammatiche, prive di forti sentimenti personali? a�?
La fotografia del bambino che cammina suonando il flauto su un altopiano delle Ande, vera e propria icona che ha conquistato un posto sicuro nella��antologia della fotografia del Novecento, racchiude in sA� bellezza, perfezione formale, geometria e umanitA�. Sono queste le caratteristiche che identificano e sono sempre presenti nelle immagini di Werner Bischof, universalmente riconosciuto come uno dei piA? grandi fotoreporter del XX secolo. Ma lui, come andava ripetendo, ha sempre rifiutato questa definizione, preferendo quella di “artista che osserva la storia e le vicende umane con un approccio umanistico”.
Nato a Zurigo nel 1916, da giovane voleva diventare pittore. Iscrittosi perA? alla Scuola da��Arte, dove frequentA? il corso speciale di fotografia, capA� che solo la fotografia gli avrebbe dato quelle illimitate possibilitA� espressive che andava cercando. Questa sua vocazione per la pittura influenzA? il suo modo di lavorare: si affermA? infatti fin da subito come fotografo-designer pubblicitario quando pubblicA? nel 1942, per la rivista Du, i suoi esperimenti sulla luce. La sua, inizialmente, fu una fotografia realistica e di moda che dimostrA? la sua grande capacitA� tecnica e accurata ricerca della perfezione formale.
Ma la svolta nella sua intensa e fulminea carriera di fotografo professionista avvenne alla fine della seconda guerra mondiale, nella��autunno del 1945, quando intraprese un viaggio nella��Europa devastata dal conflitto. Ne rimase totalmente e profondamente segnato che decise di abbandonare la fotografia solo estetica per dedicarsi al reportage e alla��osservazione documentaristica della realtA�. Ma la realtA� con la quale Bischof si scontrA? fu una realtA� di devastazione e di carestia: il vero volto del mondo nella miseria che sei anni di guerra avevano inflitto alla��Europa.
I reportage nati in questo periodo di storia furono davvero tanti, ma se Bischof con i suoi lavori A? riuscito ad entrare nel mondo della Grande Fotografia A? anche per la��approccio e il modo con cui ha affrontato questa triste tematica: non ha realizzato solo uno straordinario ritratto della devastazione prodotta dalla guerra, ma anche del processo di ricostruzione, materiale e morale, lento e faticoso. Le sue non sono solo immagini di macerie, di povertA� e di dolore, ma anche di dignitA� e di coraggio delle persone che con la loro forza hanno intrapreso la via della rinascita.
Il rispetto per le persone e la loro serenitA� sono presenti in ogni sua immagine. Bischof ha sempre voluto dimostrare la bellezza della quotidianitA� anche nelle situazioni difficili rifiutando sempre il sensazionalismo gratuito. Con le sue immagini si A? sforzato di raccontare storie positive, quasi sempre ignorate dalla stampa, troppo occupata per problemi di impatto visivo a documentare solo situazioni di crisi e catastrofi.
Anche nei suoi viaggi successivi (Giappone, Corea, Indocina e PerA?), Werner Bischof nei suoi reportage ha voluto sempre mostrare con rispetto la��individuo come tale, riuscendo a cogliere in lui i diversi valori culturali. Tutto questo, come purtroppo A? facile constatare anche ai giorni nostri, al contrario di quello che i media cercano per i propri lettori e ascoltatori, offrendo loro una visione occidentale e pilotata dei Paesi lontani.
Per Bischof, fotoreporter scomodo, la ricerca della bellezza A? sempre stato il suo obiettivo, una bellezza non da intendersi solo in termini estetici, ma soprattutto in termini umanistici. Ea�� vero che le sue immagini colpiscono per la��accuratezza quasi maniacale della composizione formale della��insieme, ma il suo grande merito penso sia la��aver saputo usare un particolare linguaggio fotografico che ha coniugato la��aspetto documentaristico con la poesia, sempre presente in ogni sua immagine.
Come dovuta considerazione, penso sia da��obbligo sottolineare come la sua straordinaria produzione acquisti ancora maggior valore in quanto prodotta in soli diciotto anni di attivitA� di fotografo.
Werner Bischof aveva infatti solo 38 anni quando nel maggio del 1956 perse la vita in un incidente sulle Ande: la macchina che lo stava conducendo verso una miniera in alta quota per un reportage, precipitA? in un burrone.
CrudeltA� del destino: nove giorni dopo sua moglie darA� alla luce il loro secondo figlio.
Ironia della sorte: nove giorni dopo fu lo stesso giorno in cui un altro grande della fotografia, Robert Capa, morA� in Indonesia calpestando una mina.
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