ITALIA VIVA: UNO VALE UNO? NOOO! UNO PORTA UNO? SIIII!

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 17 Ottobre, 2021 @ 5:55 am

Oggi per me è una grande giornata. Non riuscivo a staccare il gancio di traino dalla macchina, telefono ad una Persona molto amica da decenni, co-ciclopedalatore, esperto auto-elettromeccanico, Persona che si era sempre dimostrata sfiduciata nei confronti della politica in generale. Mi sgancia il gancio, lo ringrazio e mi dice: “Riccardo, sono io che devo ringraziare te, sai … non è per piaggeria, ma … per fortuna c’è MATTEO RENZI che ha mandato a casa …. (etc.)”.

Ha accettato di essere contattato per la sua eventuale partecipazione ai nostri Tavoli Tematici di Lavoro. E allora, vedete bene che grande giornata è questa per me: ho sganciato il gancio e ho “accanciato” un amico!

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NO VAX vs SI VAX

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 16 Ottobre, 2021 @ 9:57 am

Il popolo dei SI VAX è ben più numeroso del popolo dei NO VAX, solo che non scende in piazza …

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HOME E SMART WORKING: LA SENATRICE ITALIA VIVA DONATELLA CONZATTI CHIARISCE MOLTI ASPETTI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 16 Ottobre, 2021 @ 9:03 am
Care amiche e cari amici,
oggi parleremo di una esperienza che quasi tutti abbiamo fatto durante i lunghi mesi di pandemia: il lavoro da casa, l’home working.
Parleremo anche della sua evoluzione in smart working perché le esigenze di distanziamento sociale per il contenimento del Covid-19 hanno avuto un forte impatto sull’organizzazione del lavoro, tanto da far prefigurare una nuova normalità con largo ricorso proprio allo smart working, a prescindere dall’emergenza sanitaria. 
Prima di parlare di futuro dobbiamo però essere certi di non confondere l’home working che abbiamo vissuto durante il lockdown con lo smart working: sono infatti due mondi diversi. Lo smart working è una modalità di lavoro regolato bene dalla Legge 81/2017 conosciuta come legge sul lavoro agile. Il primo, l’home working invece è quella soluzione di emergenza adottata in pandemia ed attuata con la deroga della Legge 81/2017 decisa nel Decreto Rilancio DL 34/2020.
Quindi le caratteristiche dell’home working sperimentate sono l’esatto contrario di ciò che andrà fatto per attuare i capisaldi della normativa sul lavoro agile:
flessibilità del luogo di lavoro, non significa lavoro da casa ma alternanza tra attività svolte nel luogo di lavoro e attività svolte in altri luoghi concordati nell’accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore;
flessibilità di tempo e diritto di disconnessione: non significa essere connessi sempre ma avere delle fasce di tempo elastiche e un momento certo a partire dal quale disconnettersi;
riservatezza e sicurezza dei luoghi di lavoro, non significa lavorare da casa con strumentazioni e documenti in promiscuità con altre situazioni di vita domestica, significa decidere con il datore di lavoro quale luogo sia più adatto, sicuro ed attrezzarlo e verificarlo con il contributo aziendale;
rete e sicurezza informatica, non significa utilizzare il proprio 4G, il proprio PC e non essere certi di avere installato il firewall (!) ma avere dotazioni aziendali, essere formati ad utilizzarle ed essere dotati di un sistema di cybersicurezza aziendale.
Potrei proseguire ma avete sicuramente compreso che il percorso di ripensamento organizzativo e tecnologico per arrivare allo smart working richiede impegno.
Se dobbiamo individuare del positivo anche nell’esperienza di home working, è stato il cambio di giudizio che i 7 milioni di lavoratori e le molte aziende che lo hanno sperimentato ne danno: “si può fare”. Ed è un primo passo!
Ora bisogna strutturare il vero smart working con flessibilità di tempo e luogo di lavoro, con dotazioni informatiche, formazione ed una organizzazione aziendale che valuti per risultati e obiettivi. Non serve una legge nuova, serve attuare la Legge 81/2017. Come? Diffondendo gli accordi individuali e nelle aziende più grandi e strutturate costruendo accordi sindacali di secondo livello con parti sociali e datoriali.
Aggiungo infine alcuni chiarimenti utili.
Lo smart working è una modalità di lavoro non è un contratto di lavoro. Il contratto resta quello preesistente a tempo determinato o indeterminato, part time o full time.
Lo smart working è un modo diverso di lavorare non è uno strumento di welfare e di conciliazione. Men che meno deve trasformarsi in un mero strumento di conciliazione solo per le lavoratrici, che le penalizza in termini di reddito e di carriera.
Lo smart working è un modo nuovo di lavorare per obiettivi che richiede una profonda riorganizzazione aziendale, che riguarda sia uomini e donne ed è adatto a quella flessibilità e personalizzazione dei prodotti e servizi che in alcuni settori è sempre più richiesta.
Basilare per la trasformazione di parte del lavoro in smart working è naturalmente quella trasformazione digitale che il PNRR ci indica, a partire dal rapido completamento delle reti di connessione in fibra in grado di connettere tutte le parti d’Italia.
Di tutto questo ho discusso mercoledì all’interessante convegno “Donne, lavoro e pandemia” promosso dal Coordinamento nazionale donne delle Acli.
Vi lascio i link per ascoltare qualche estratto: https://www.youtube.com/watch?v=3elSh07KsqM https://www.youtube.com/watch?v=vTm7xcG-Ijg https://www.youtube.com/watch?v=5-H_sWxkmi8  Un saluto
Donatella Conzatti
 
PS Sabato prossimo Vi riferirò dell’approvazione del Decreto Crisi d’impresa.

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ITALIA VIVA TRENTINO – UN POST AL SOLO ….

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 16 Ottobre, 2021 @ 6:54 am


… al solo che ha avuto capacità e coraggio!

MATTEO RENZI “tene ‘e palle”, cioè pur essendo in minoranza all’interno di una maggioranza, ha saputo far valere il suo punto di vista ed ha salvato la Democrazia parlamentare prima e l’economia e la rinascita dell’Italia dopo. Certo che ci vuole capacità politica e coraggio e come dice il Manzoni “il coraggio uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare” …

L’alternativa è fare gli yes men oppure, nel migliore dei casi, sondare prudentemente se la maggioranza della maggioranza sia disposta ad accettare la vostra proposta. Anche in caso positivo, tuttavia, correreste un rischio: di subire l’effetto Borsalino, e cioè che qualcuno metta il proprio cappello sulla vostra idea.

Quindi doppiamente bene ha fatto Renzi: ecco perchè dico che isse tene e’ palle”. Dice: ma tu, Riccardo, sei napoletamo? No, raga, è che studio lingue!

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ITALIA VIVA TRENTINO – DOPO TANTA SICCITA’ LA PRIMA GOCCIA DI PIOGGIA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 16 Ottobre, 2021 @ 6:52 am

La savana africana, arida, assetata. Animali e piante attendono da mesi la pioggia, ed ecco che un giorno, proprio un “bel” giorno, arriva la prima goccia. Aminali e piante guardano in su, sì, anche le piante, felici della imminente rinascita della fonte di vita.

Io stesso ho provato una sensazione simile ieri, quando un mio amico da sempre politico-scettico nei confronti di tutta (tutta!) la politica, non sollecitato da me mi ha detto: “Riccardo, per fortuna che c’è Renzi che fa fermato la valanga che avrebbe travolto l’Italia”.

Ecco, la prima goccia di pioggia, preannuncio della stagione della Rinascita: un nuovo Rinascimento! Renzi. l’uomo del (secondo) Rinascimento, e insieme a lui molte Donne!

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TALIA VIVA TRENTINO – LA POLITICA IN … AMICIZIA!

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 16 Ottobre, 2021 @ 6:50 am

Avete molti amici, partecipate a molte associazioni, in quegli ambiti non avete mai parlato di politica. Già, perchè (correttamente) nell’ambito di associazioni sportive, musicali, culturali, sociali, letterarie “non si fa e non si deve fare politica”.

Ora a me accade questo: che tutti i miei amici fanno parte di qualche associazione. E allora uno ca dda fa’? Stare zitto, non parlare mai di politica con nessuno (anche se sempre al di fuori delle riunioni di ogni ambito associativo, s’intente)?

Eh, no raga. Io parlo. Alcuni mi ascoltano con interesse, altri mi ascoltano, altri mi ignorano, uno mi ha contestato e offeso. Io mi scuso con chi io possa avere “infastidito” con i miei discorsi, ma parlo e scrivo perchè in ogni caso la prima necessità è “riportare la gente verso la politica e verso il voto”: alle ultime amministrative la percentuale dei votanti è stata miserrima e ciò è un danno per la nostra Democrazia Parlamentare. “A prescindere”.

Buona Politica a tutte e a tutti, anche a quell’uno …

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ITALIA VIVA TRENTINO – UOMINI CONTRO … (… Matteo Renzi)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 16 Ottobre, 2021 @ 6:44 am

1970 – “Uomini contro”, film sulla guerra sull’altopiano – Anni 2000: triste realtà politica. Il titolo e del post è mio, il testo è dell’amico FP.

“Ci aveva provato il primo potere (esecutivo) con Casalino e Conte ad asfaltare Matteo Renzi.
Poi e’ stata la volta del secondo potere (legislativo) con Fratoianni & Co che volevano impedirgli di fare conferenze e consulenze all’estero.
Da sempre ci sta provando il terzo potere (giudiziario) da quando, guarda caso, ha toccato ferie, burocrazia e produttività. Hanno tentato di massacrargli la famiglia indagando uno ad uno tutti i parenti con un “nulla di fatto” (forse una raccomandazione)!
Sul piede di guerra è il quarto potere (l’informazione) che in combutta con i precedenti non gli risparmia un solo giorno da fake news; poco importa se l’accusato vince tutte le cause civili: il fango è versato.
Ma è il quinto potere (sottobosco statale) quello che più trama nel torbido: non gli perdonano il riformismo; la sua cocciuta volontà di ribaltare come un calzino la burocrazia, le prebende, i lauti stipendi.
Infine il popolo del NO a prescindere (vax – tav – tap) – sesto potere – che si lamenta ma guai a toccargli la “comfort zone”.

Ma lui resiste. E noi con lui.”Grazie che ci sei stato, che ci sei e che ci sarai, Matteo!

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AMARCORD, MI RICORDO (a vela)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 25 Agosto, 2021 @ 6:13 am

UNA FAVOLA A VELA: LA MIA GIRAGLIA

Detto altrimenti. E se non avessi motore, radio e GPS?

Premessa dell’autore

Una favola che va un po’ spiegata. La Giraglia è un importantissimo campionato di regate veliche nel Mar Ligure centro-occidentale: alcune costiere e l’ultima da Saint Tropez, allo scoglio della Giraglia (Capo Corso), sino a Genova. La regata, in caso di mal tempo, è assai pericolosa. Infatti la zona di Capo Corso, insieme al più famoso Capo Horn e al Golfo di Marsiglia, è una delle tre zone più pericolose in assoluto al mondo in caso di tempeste da nord. Ciò in quanto il fondale del Golfo di Marsiglia è molto irregolare, a gradoni e le masse d’acqua vi si scontrano innalzandosi in onde enormi e assolutamente imprevedibili, pericolose anche per le grosse navi! A Capo Corso il motivo della pericolosità è un altro. In quella zona infatti si scontra la tramontana che proviene da 0° cioè da nord con il Mistral che proviene da 280-290°, cioè da Nord ovest. Da questo scontro nasce un mare “impazzito” con onde che “non corrispondono” direzione del vento. il che crea non pochi problemi ai velisti regatanti.

Capirete quindi che l’eroe della favoletta che vi sto per raccontare, deciso a traversare da Genova a Capo Corso, in solitaria, senza strumenti elettronici, senza motore ausiliario, a bordo di un  FUN, una barchetta a vela da regata di sette metri che discloca (pesa) solo 1.000 Kg, ha corso un bel rischio. Ma questa è una favola e lasciamo che a raccontarla sia proprio il natante, la barchetta, per intenderci, in prima … persona, si fa per dire.

Fine della premessa. Ora parla il Fun.

Ha deciso. Questa volta non userà motore, telefonino, radio e sistema satellitare di posizionamento se non in caso di assoluta necessità. Vuole veleggiare provando la sensazione della navigazione esclusivamente a vela, stimata ed in solitario. Userà quindi solo l’orologio, il log, la bussola e le carte nautiche. Quale barca userà? Ma me stesso, io medesimo, che sono un FUN che poi sono di origine francese e voglio dire Formule Un, Formula Uno e non “divertimento” all’inglese, ci mancherebbe altro! Anche se con me il divertimento è garantito! Meta stabilita: Capo Corso, il mio piccolo Horn personale: circa 80 miglia da Genova in linea d’acqua.

Primo giorno

E’ una fresca mattina di luglio. Prima di lasciare l’ormeggio, lui si concede l’ultimo lusso: la lettura del bollettino meteo. Espone quindi randa piena e fiocco autovirante e procede al lasco verso Punta Chiappa, a cinque nodi costanti, mure a sinistra, sotto una brezza da nord che fa il pelo all’acqua senza alzare onda, una meraviglia. Io scivolo felice, ed io con lui. Saluto alcuni gozzi intenti a pescare e mi godo il panorama della mia costa d’origine.

Alle sette si abbatte, cioè “si vira verso destra” rotta verso sud ovest al lasco, allargando l’andatura, mure a dritta. La velocità scende a quattro nodi.

Alle 11 la terra è sparita all’orizzonte ed il vento cala. Il log gli dice che ho percorso 15 miglia verso sud. Lui ne approfitta per mangiare e riposarsi un po’. Dopo il caffè (dell’unico termos), si alza la brezza di mare, da sud.

Lui fisso il timone sopravvento con un elastico e sottovento con una scottina. Dopo qualche tentativo funziona! Ho il timone automatico, evviva! Lui può quindi riordinare le idee e mettermi in ordine, diamine! Inoltre lui aggiorna la rotta ed il libro di bordo.

Terminate queste incombenze, va a prua e si siede davanti al fiocco, sul pulpito, con le gambe di fuori. Mi sento un cavallo da corsa con in groppa il fantino tanto siamo entrambi sensibili agli spostamenti impostici dalle onde!

Improvvisamente due delfini emergono dall’acqua ed iniziano a giocare con la mia prua: Ho il cuore in gola dall’emozione, fortissima, che sto provando. Dopo un po’ mi salutano e se ne vanno. Lui rientra nel pozzetto. Devo intendere anch’egli con l’animo colmo di gioia e di serenità. Grazie delfini!

Nel frattempo procedo verso sud di bolina tirando bordi di due ore ognuno, scadenzati dal timer del suo orologio  da polso.

In totale percorro altre 32 miglia, ma considerando il bordeggio penso di essere sceso solo di 20. Dovrei quindi trovarmi a 35 miglia un po’ a sud ovest di Portofino.

Ormai è sera, il vento è calato, lui è stanco ed ha fame. Ammaina il fiocco, prende due mani di terzaroli e comunque ammaina tutta la randa. Quindi cena e va subito a nanna! Io non ho bisogno di dormire, non ho bisogno di ormeggi, cime, parabordi, sonniferi o tappi antirumore per le orecchie (che non ho!) anche perché qui dove mi trovo non ci sono discoteche dalle quali difendersi. La serata è tranquilla. Qualche pesciolino salta intorno allo scafo e mi augura la buonanotte. Ricambio di cuore.

Secondo giorno

Lui si sveglia presto, riposatissimo ed affamato. Placa la fame, indi prende un bel bagno divertendosi a rimorchiarmi un po’ da prua, nuotando sul dorso, con le pinne, per una mezz’oretta (gli avevano assicurato che i pescecani non attaccano i funnisti).

Verso le 9 si alza il ponentino da 270°. Benissimo, e noi facciamo rotta 180° al traverso per circa 7 ore. E sono altre 28 miglia che sommate a quelle di ieri fanno 63.

Dovrei essere al traverso della Gorgona, ma è troppo piccola (o lontana?) per essere visibile. Mi restano altre 20 miglia, che dovrei coprire in un sol giorno, se tutto va bene.

Seconda notte. Calma assoluta. Lui è meno stanco della prima e va a letto tardi, alle 22, in tempo per preoccuparsi un po’ al passaggio di due navi: ho le luci accese ed il riflettore radar. Tuttavia lui non sono del tutto tranquillo. Ci avranno visto? Ci avranno cercato sul canale 16? Non lo sapremo mai. Alla fine va a dormire, facendo affidamento sulla legge della probabilità, quella dei grandi numeri, dei grandi spazi ma soprattutto sulla legge del gran culo.

Terzo giorno

Scirocco teso. L’anemometro registra 15 nodi a livello del mare. Lui lascio filare una cima di trenta metri a poppa. Non si sa mai, se lui cadesse in acqua…

Prende una mano di terzaroli e alla via così, bolinazza bagnata con onda, ora dopo ora, bordo dopo bordo, virando quando squilla l’orologio. Per fortuna che la cacca lui la fa  regolarmente alla mattina presto e per il resto, meno impegnativo, si arrangia anche mentre timona!

Ad un certo punto mi accorgo che ha perso il conto dei bordi. Li ricostruisce calcolando il tempo trascorso. In totale sono nove ore, sei con mure a dritta, verso Est e tre con mure a sinistra verso ovest. ll log dice che ho percorso a 35 miglia, che dovrebbero corrispondere circa altre 10 miglia questa volta verso sud est, che sommate alle precedenti fanno circa 73. Dovrei quindi essere quasi arrivato e trovarmi a circa 10 miglia da Capo Corso, ma è sera, la visibilità è scarsa e lui è stravolto dalla stanchezza. Ammaina le vele, prua al vento, cala in acqua l’ancora galleggiante che aveva costruito a terra con i paioli dei gavoni di prua (è brevettata, attenzione!). L’ancora pare funzionare, io scarroccio poco, almeno così mi sembra.

Basta, si arrangerà, che mi si spinga dove si vuole. L’onda è fastidiosa ma non pericolosa, lui cena e va a dormire, ma passa la notte nel dormiveglia. Parla da solo: dice che si balla troppo per dormire del tutto. Pazienza…si rifarò all’arrivo.

Quarto giorno

Lui si alza alle prime luci dell’alba, aggiorna la nostra posizione “retrocedendoci” delle dieci miglia guadagnate il giorno prima. Continuo quindi ad essere a circa 20 miglia dal Capo, ma l’onda è meno forte di ieri ed io rispondo meglio ai comandi. Venti miglia di bolina, poco più che da Punta San Vigilio a Riva del Garda, dico a me stesso per consolarmi, coraggio! Devi farcela prima di sera, a tutti i costi.

Lui fa una ricca colazione ipercalorica (marmellata, banane, biscotti e pompelmo), recupera l’ancora galleggiante e mi fa ripartire terzarolato a 3,5 nodi.

Lui passa un braccio dietro la draglia. Ogni tanto è vinto da un colpo di sonno ma non ci sono auto o guard rail nelle vicinanze, per fortuna. E’ molto più sicuro che guidare in autostrada, checchè se ne dica…

Dalle sei di mattina sino a quando? Semplice, sino a quando lui avvista la terra, alle 12. Quando l’ha vista ha provato un’emozione fortissima, un vero tuffo al cuore. Sarà Capo Corso o cos’altro? Fatto sta che lui si è messo a saltellare dalla gioia!

Anch’io del resto, mi sento come il cavallo che verso sera avverte l’odore della stalla e sente moltiplicarsi le forze pur di raggiungerla al più presto.

Ormai è fatta, mi dico, qualunque terra sia quella che lui vede all’orizzonte sulla mia prua, ad una distanza che non sa calcolare.

Man mano che mi avvicino la terra, la costa gli appare per quello che è: un promontorio slanciato verso nord! E’ lui, il nostro Horn domestico, che raggiungo dopo altre tre ore di bolina.

Sfioriamo lo scoglio della Giraglia e dirigiamo, ormai ridossati, verso Saint-Florent.

Lui è sono stanco, felice e…cosa dite? Soprattutto molto fortunato!?…D’accordo…ho capito…ho capito…prometto glie lo dirò di non farlo più ….va bene così?

Buon vento a tutti

                                                                                 Il FUN “Whisper

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“Makan anghiem”

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 25 Agosto, 2021 @ 5:54 am

ovvero

Breve storia della navigazione a vela

Vela è sogno

“Makan anghiem”, in indocinese “mangiare la brezza”, ovvero “veleggiare tranquilli con lo sguardo al cielo, respirando la brezza di terra e di mare, nel vasto giardino del pianeta!” In greco, in edizione terrestre, agorazein. In Italiano, quasi il corrispondente per ideogrammi di “M’illumino d’immenso” …

Vela è ricerca

 – 1947: l’antropologo e biologo marino Thor Heyerdahl veleggiò dal Perù alla Polinesia con la zattera a vela Kon Tiki (fig. 1) e dimostrò la possibilità di contatti fra le due antiche culture: infatti, KON in lingua inca significa “Dio della pioggia e del vento” e TIKI, nelle due lingue significa “Dio”.

Vela è mare

M’affaccio alla finestra, e vedo il mare: / vanno le stelle, tremolano l’onde. / Vedo stelle passare, onde passare: / un guizzo chiama, un palpito risponde. / Ecco sospira l’acqua, alita il vento; / sul mare è apparso un bel ponte d’argento. / Ponte gettato sui laghi sereni, / per chi dunque sei fatto e dove meni? – Giovanni Pascoli

Dove, ma anche come ci porti, o mare? A vela, naturalmente!

Vela è … vela (quadra, sua espressione primitiva)

 – 3000 a. C.: i Cretesi usavano una vela quadra che si ammainava in coperta intralciando l’agibilità del ponte (fig. 2). Andature possibili: poppa piena o quasi (cioè col vento “da dietro”).

 – 1300 a. C.: gli Egiziani, le navi non erano il loro mestiere, anche perché disponevano di poco legname. Tuttavia impararono ad imbrogliare la vela verso l’alto agevolando l’agibilità del ponte (imitati poi da Fenici, Greci, Romani, etc.). Alle figg. 3, 4: nave da guerra egiziana del faraone Ramses III° usata contro i pirati.

 – 600 a. C.: i Fenici compiono la prima circumnavigazione dell’Africa.

 – 480 a. C.: i Greci con le triere (fig. 5) vincono la battaglia navale di Salamina (fig. 6). Triere: lft (lunghezza fuori tutto) m. 37; baglio (larghezza) massimo m. 5,2; pescaggio m.1,5; tre ordini di remi con 170 rematori; due alberi con vele quadre; dislocamento 70 tonnellate di stazza (1 Ton stazza = unità di volume e non di peso, equivalente a circa 2,8 m3!).

Le 366 navi greche attirarono le 650 navi persiane in un’area ristretta dove non potevano manovrare e le sconfissero grazie anche alla conoscenza del campo di battaglia e dei venti.

 – 350 a. C.: inizia in Grecia lo studio di geografia, astronomia, cartografia e nasce il concetto della rosa dei venti e della latitudine.

La latitudine: usando in successione storica l’astrolabio (dal greco astron-lambàno, che “prende” gli astri, in uso fino al XVII° secolo d. C.) e il “quadrante di Giacobbe” (in uso sino al XVI° secolo) (ma con tali strumenti molti capitani, dopo alcuni anni, diventavano ciechi o quasi!) ed infine il sestante, già i nostri antenati misuravano in gradi, in ogni giorno dell’anno e in ogni località da loro riscontrata, la massima altezza raggiunta dal sole sull’orizzonte, ovviamente quindi a mezzogiorno. Pertanto, conoscendo la data, calcolavano la distanza dall’equatore.

Questo risultato veniva avvalorato anche dal riscontro della lunghezza della giornata, (sempre più lunga verso nord in estate nell’emisfero boreale, e viceversa in inverno e/o nell’emisfero australe) e dall’altezza di alcune stelle sull’orizzonte.

Assai più difficile e tardivo (2000 anni dopo!) sarà il calcolo della longitudine, come vedremo fra poco. Infatti, a differenza dell’equatore, di meridiani – tutti uguali – ve ne è una molteplicità: Tolomeo aveva scelto come riferimento il meridiano delle Isole Fortunate (Canarie). Successivamente furono adottati quelli passanti per le Azzorre, Capo Verde, Roma, Copenaghen, Gerusalemme, San Pietroburgo, Pisa, Parigi, Londra!

 – 250 a. C.: le triremi romane (nella fig. 7 la trireme ha attivato un solo ordine di remi) risentono dell’origine mercantile della cultura nautica romana, per cui anche le navi da guerra erano soprattutto navi da trasporto truppe.

 – I° sec. A. C.: la migliore prova nautica i Romani la danno nella guerra contro i pirati illirici i quali, con base intorno all’isola di Hvar, imperversarono dal VII° secolo a.C. sino al 1444, quando furono definitivamente annientati da Venezia.

La nave dei pirati illirici era la “liburna”, assai leggera, dotata di carena e vele tonde e di uno o due ordini di rematori, spiaggiabile, molto veloce e maneggevole (sino a 10 nodi!), paragonabile ai moderni incrociatori, laddove la trireme sarebbe stata una corazzata. Praticamente inafferrabile nel dedalo delle isole dalmate e croate. Dopo averne catturata una, Ottaviano ne copiò lo schema e sconfisse l’avversario. Dopo di che nella flotta romana la liburna soppiantò la trireme.

Antichi Romani: primo esempio di Project Finance per la costruzione di porti, entro i quali davano concessioni pluriennali su alcuni moli, agli armatori che ne avevano cofinanziato la costruzione.

Vele di taglio: trapezoidali (auriche)

 – 450 d. C.: vela di taglio = vela che può prendere il vento sulle due facce (mure) e consente di risalire meglio il vento. La prima vela di taglio tipo fu la vela trapezoidale (oggi aurica) dei sambuchi arabi nel Mar Rosso (fig. 8).

A questo punto vanno menzionate le giunche cinesi e indocinesi (fig.9) e i “praos” (“velieri”) malesi (fig. 10) di Emilio Salgari.

Le giunche adottavano vele di foglie di latània (palma a foglie allungate) intrecciate fra di loro e cucite con fili di cocco. Ciò le avvantaggiava nelle andature portanti, cioè di poppa o quasi. Infatti, il vento, in queste andature, colpendo la vela genera una turbolenza che ne diminuisce la forza propulsiva come fa la risacca con l’onda che si è appena abbattuta sulla spiaggia. Al contrario, con vele che lascino passare filetti di aria (attraverso le foglie della latània, appunto), questi flussi sono aspirati sottovento attraverso la vela, laddove aumentano la loro velocità generando a loro volta una depressione che aspira la vela e quindi la nave.

Questa scelta tecnica dava l’ulteriore vantaggio di potersi rifornire di vele nuove ad ogni isoletta!

I Cinesi e gli Indocinesi, a differenza degli Europei, addugliavano le cime in senso antiorario, per ragioni scaramantiche. Proviamo anche noi, nella prossima Coppa America … non si sa mai!

Vele di taglio: triangolari (latine)

 – 700 d. C.: la vela araba diventa “alla trina” cioè triangolare, detta poi impropriamente “latina”, assai più boliniera delle precedenti. Molto usata dalle genti rivierasche, in quanto le navi potevano manovrare in ogni direzione e quindi rientrare in porto anche quando soffiava la brezza di terra. Molto utili quindi anche sul Garda. Il Garda … ben conosciuto da Dante Alighieri (figg. 11, 12), ottimo velista, il quale aveva annotato il formarsi della famosa Ora, che si preannuncia con una riga più scura sull’acqua, verso sud. Ed ecco qui la testimonianza del suo veleggiare fuori dalle tempeste del Garda, verso il Purgatorio e quindi verso PAT, Paradiso Autonomo di Trento (ma questa è un’altra storia):

E quale lo Benaco ampio e lucente

da lungi prima tigne suo orizzonte

d’onda più scura e attira umana mente

a discovrir del suo ‘ncrespar la fonte;

quinci scintilla d’argentina trama

le chiare squame che nessun ha conte;

e infin impregna di ventosa lama

fertile vela sin che non sia tesa

per ricovrarla ove nocchiero brama

lieve sì come cosa che non pesa,

così noi fora da le triste rotte

fummo sospinti dopo lunga attesa,

lo Duca mio al timon ed io alle scotte.

E l’Ora fea planar carena alata

verso polar da dove oscure grotte

d’onda atesina avrebbero inondata

de Torbolan la manca, se la piova

perigliosa rendesse lor vallata.

Riccardante Lucattieri, La Fraglina Commedia, Paradiso, XXXIV, 1-18

Torniamo alla prosa.

 – 1492: il mio trisavolo Cristoforo Colombo, accortosi che i venti (Alisei) spiravano dalla poppa, trasformò l’armo velico della sua ammiraglia, la  caracca (in portoghese “nao”) Santa Maria, (figg. 13, 28) e delle due caravelle Pinta e Nina (figg. 14, 15), piccole navi a bordo alto adatte alla navigazione oceanica, da vele latine a vele quadre (fig. 16). Ed ecco la poetica scoperta dell’America.

12 ottobre 1492

C’è calma dal cielo.

Squassati velieri conducono uomini stanchi

fra ‘l pigro respiro del vento e dell’onda.

Non s’ode parola.

C’è attesa sul mare.

Qualcuno ha la fede. Un altro paura.

Ma il vento riaccende la sfida e sposa le vele.

Un grido: la terra!

C’è gioia nel cuore.

                                                                                        

Alla fig. 17 vedete una importante caravella portoghese, l’ammiraglia che non data fu di Cristoforo Colombo che si dovette accontentare della caracca (“nao”) Santa Maria.

Torniamo alla prosa.

 – Dal X° al XVI° secolo, troviamo le galee saracene e delle Repubbliche Marinare (fig. 18), gli sciabecchi saraceni e nostrani, in assoluto i velieri di gran lunga più veloci del tempo. (figg. 19, 20), fino al 1800. In questo periodo si iniziò a rivestire la carena di sottili lastre di rame, in funzione antivegetativa, per aumentare la scorrevolezza delle carene.

Vele veneziane

Le galee veneziane erano molto boliniere. Di poppa, essendo lunghe e strette, rollavano molto (rollìo …? Beccheggio …?).

Esse erano “monotipo” cioè tutte uguali fra loro. Ciò consentiva una maggior facilità e rapidità nella costruzione o riparazione nel famoso Arsenale di Venezia e in tutti i cantieri veneziani sparsi nel mediterraneo.

Se le galee attaccavano il nemico di notte e da sottovento (cioè di bolina), evitavano di essere scoperte a causa del forte lezzo che normalmente emanava dalla stiva dei rematori che era un vero e proprio inferno! Nei primi secoli i vogatori erano tutti volontari stipendiati (cd bonavoglia). Quindi vennero impiegati anche prigionieri di guerra (schiavi) e dal 1549 anche gli  “zontini” (condannati a pene varie e/o arruolati a forza, ma pagati).

A remi raggiungevano i 9 nodi di velocità (1 nodo = 1 miglio marino, arco di circonferenza terrestre corrispondente ad un angolo di un primo al centro della terra, all’ora = circa 1.850 metri/h,) e potevano mantenere tale ritmo per 12 ore, il che significa compiere – a remi – circa 100 miglia (185 km) in 12 ore! Durante la navigazione a remi venivano smontati gli alberi per offrire minore resistenza all’avanzamento.

Dopo le reminiscenze delle galee, l’immagine che vi resta della voga non è molto accattivante ed io voglio addolcirne la percezione. Ed allora …

… torniamo alla poesia.

“Remi al tramonto”, pensando al respiro del mare in “Amarcord”

Non sai

dove l’onda di sale sia nata

se vegli

oppur se riposa

l’ala incantata

che avanza e ritrae il suo velo

liquida seta

di sposa ad un cielo

che colma lo spazio d’amore.

E senza rumore

la mente s’immerge nell’acqua

nuotando pian piano

per non farle male

e con la sua rete

cattura al ricordo nuove emozioni.

Poi

tu alzi i remi

e come in un rito

depositi in mano al tramonto dei suoni

l’essenza feconda

di piccole gocce di smalto

prezioso vagito

che hai ripescato

dal fondo

abissale, profondo, infinito.

E vento di luce

d’azzurro cobalto

sospinge la barca alla sponda

sorgente da un mare

ch’ ormai

al cielo si è unito.

                                                                                         Whisper

Torniamo alla prosa.

Sciabecchi? Leggete il libro Bacicio do Tin che segnalo alla fine dell’ esposizione e Vi appassionerete alle vicende dello sciabecco Lanpo (voce dialettale ligure, con la “n”) di Portovenere (ancora oggi alcuni traghetti da La Spezia a Portovenere si chiamano Lanpo!).

 – 29 maggio del 1800: tratto dal libro citato, ecco un autentico documento storico (fig. 21) a sua volta estratto dal libro di bordo (logbook) del cutter inglese Rattlesnake (serpente a sonagli), che affondò “Maria”, la prima barca di Bacicio do Tin, un gozzo ligure di 11 metri che trasportava ardesia. Siamo nelle acque dell’Isola Gallinara, in Liguria. Gli inglesi avevano attuato il blocco navale della Repubblica di Genova in quanto alleata di Napoleone e scambiarono il gozzo di Bacicio per una nave che volesse forzarlo: in 2 h e 45’ di caccia l’affondarono a cannonate, uccidendogli padre e zio Da qui l’odio di Bacicio per la perfida Albione.

Alla fig.22 trovate un raffronto fra goletta e gozzo ligure e il cutter. Il cutter: lft 22 metri; 770 mq di vela; piccolo, veloce e agile veliero originario d’Inghilterra, impiegato in pattugliamenti dalla fine del XIII secolo; scafo lungo; basso di bordo; carena affilata e grande; prora diritta; ponte di coperta totale; un solo albero, posto a proravia del centro barca e leggermente appoppato; asta di fiocco; due fiocchi (rectius, fiocco e trinchetta); grande randa; controranda; trinchettina; una vela quadra per le andature di poppa. Armamento: due piccoli cannoni e due o quattro carronate. Equipaggio: da 30 a 40 uomini. Impariamo a riconoscerlo a prima vista!

Da Portovenere a Genova, il passo è breve. Ed allora …

Primo intermezzo musicale: “Ma se ghe penso …”

parole e musica di Cappello e Margutti, 1925, canta Mina! (fig. 23, 24)

Genova e il Trentino? Certo, venivamo in Val di Genova a procurarci gli alberi delle nostre navi!

Genova ed i jeans, prodotti con tela tessuta in Triveneto ed esportata con navi a vela da Genova (ecco la connessione) a New Orleans, dove la tela di Genova era chiamata tela “jeans”, appunto.

 – 6 agosto 1284: Genova – Pisa, uno a zero sul campo della Meloria.

Le 63 galee genovesi erano comandate dall’Ammiraglio Oberto Doria ma la vittoria fu dovuta all’intervento dell’Ammiraglio Benedetto Zaccaria che, dal ridosso dello scoglio della Meloria, attaccò il fianco dei Pisani con 30 galee (per premiarlo, qualche anno dopo nominarono un suo pronipote alla presidenza della RAI). Si salvarono solo le 20 galee al comando del Conte Ugolino, la cui fuga non gli impedì di trionfare politicamente, sino alla sua deposizione nel 1288 ed alla sua famosa morte per fame.

 – 8 settembre 1299: Genova – Venezia, uno a zero sul campo dell’isola di Curzola, (mi dispiace per i Trentini che si chiamano Curzel …).

I Genovesi erano a favore di vento e a “voga arrancata” (ovvero la massima velocità raggiungibile da una galea) e piombarono sullo schieramento di Venezia, rompendone i ranghi. I Veneziani ebbero affondate 65 galee, catturate 18; i loro morti furono settemila, altrettanti i prigionieri, tra cui Marco Polo, che tornato dal Catai era stato insignito del comando di una galea. A Genova dividerà la cella con Rustichello da Pisa, prigioniero della Meloria, al quale detterà il “Milione”.

Genova … le cui navi commerciavano anche con i paesi con cui la Superba era in guerra e presso i quali tuttavia la Superba aveva magazzini franchi … business is business!

Genova della Doria, frazione che vide i miei natali; Genova della Sampdoria; Genova dell’ “Andrea D’Oria”, terribile Liceo Classico; Genova di Andrea D’Oria, grandissimo ammiraglio molto attento alle sue galee, al punto da arrivare sempre sul finire della battaglia per non correre il rischio di rovinare le carene con qualche graffio! Mai affondato sino a quando andò a vela. Quando passò al motore il 26 luglio 1956 si fece affondare dallo Stockholm, il quale, all’incrocio, nella nebbia aveva correttamente virato a tribordo (dx) e speronò l’altra nave che, inspiegabilmente, aveva virato a babordo (sin). Ma questa è un’altra storia.

I comandanti genovesi, famosi per la loro bravura, venivano ingaggiati anche dagli Inglesi e quando erano al comando di una loro nave, issavano la bandiera genovese, croce rossa in campo bianco e i pirati fuggivano, temendo il confronto. Anche da qui nacque la bandiera inglese! Ma tanto tuonò che piovve: la Repubblica Marinara fu costretta a prevedere una condanna di 5 anni ai remi ai comandanti genovesi che si fossero prestati a condurre navi di altri stati, soprattutto poi se esponendo il vessillo della Superba.

Camogli? Ca’ (casa) delle mogli, visto che i mariti erano armatori di ben 1000 velieri! Proprietario, armatore, comandante, timoniere: conoscete la differenza? No? Vi suggerisco di gustarvi la commedia dialettale ligure con Gilberto Govi “Colpi di timone”. Tuttavia la sua commedia di gran lunga migliore è “I maneggi per maità na figgia”, anche se non c’entra nulla con la vela: potremo proiettarla una sera, che ne dite?

Foto di Camogli? Eccole (fig. 25), durante la mareggiata del 30 ottobre 2008.

Mareggiata? Ecco un ormeggio difficile! (fig. 25 b)

 – 1926: Genova, il fiocco (gib) diventa il genoa (genoa gib) (fig. 26). Il nome genoa deriva dal fatto che questo tipo di vela fu stato usato per la prima volta in regata a Genova e poi a Copenaghen dallo skipper internazionale Raimondo Panario.

Genova? Secondo intermezzo musicale: Fabrizio De Andrè presenta

“Creuxa de ma’” (fig. 26 b)

E nel Nord Europa?

 – 800 d. C.: nel Nord Europa i Vichinghi (Vik, fiordo. Vichinghi, gli uomini che vengono dai fiordi) hanno cominciato dopo ma sono stati veloci nel progredire! Infatti le loro navi (“drakar”) a vele quadre erano dotate di scotte dette “boline” che collegando il ponte alle estremità laterali dell’unico pennone orizzontale, consentivano – attraverso la loro migliore regolazione – di “bolinare” meglio, cioè di risalire il vento con angoli migliori (fig. 27).

I Vichinghi, con 25 navi con a bordo 20 persone ciascuna, dalla Danimarca hanno raggiunto la Norvegia, l’Islanda, la Groenlandia, il Labrador e la Terra Nova! Di 25 navi, 10 affondarono, ma a quei tempi ci poteva stare …

Ma quanto erano grandi, queste barche? Quelle vichinghe erano lunghe 20 – 40 metri. Basta intendersi: d’altra parte, anche oggi … se un Genovese dice di avere una barca, si riferisce ad un gozzo di 5 metri. Se a parlare è un Milanese, si tratta di uno yacht di oltre 15 metri al minimo! Basta intendersi dicevo …

  • 1400 – 1500: La caracca (fig. 28) abbinava vele quadre e vele latine. Il galeone (figg. 29, 30,31) nasce dall’incrocio delle caracche con le galee (esistono anche galeoni dotati di remi) e si riconosce soprattutto per l’alto cassero di poppa, le forme molto tondeggianti e per la doppia accentuata rastrematura laterale dello scafo. Con i galeoni compaiono anche le “vele di strallo”, cioè dei fiocchi tesi fra gli alberi di trinchetto (a prua), di maestra (al centro) e di mezzana (a poppa). Queste vele miglioravano la capacità della nave di risalire il vento, ma solo oltre un angolo di 80 gradi (cd buon braccio).

 – 1600:  nascono i vascelli (fig. 32), velieri da guerra, anche oltre 5000 tonnellate di stazza, caratterizzati dall’introduzione di rande all’albero di mezzana e dal ridimensionamento del cassero poppiero. La forma è meno tondeggiante e già preannuncia le linee del ‘700 ed ancor più le linee filanti dei velieri dell’800. Assai più grandi dei galeoni, solo un po’ più bolinieri.

I vascelli si dotano, a prua, di vele quadre ma soprattutto di fiocchi sul bompresso e sull’asta di fiocco, i quali sono anch’essi un albero e non un prolungamento del membro virile come invece affermava tale D’Annunzio.

Ora, se ammainiamo le vele quadre, armiamo qualche fiocco, qualche vela di strallo (vele boliniere e di spinta) e la randa nell’albero di mezzana (vela che di bolina stabilizza), ecco che la nave, di bolina larga, può resistere assai meglio alle tempeste. Altro modo per resistere è la fuga a secco di vele con il mare in poppa, ma è un’andatura pericolosa per il possibile ingavonamento, della prua (e della nave) dentro l’onda successiva. Per evitare ciò, si usa filare a poppa lunghe cime e ancore galleggianti, per rallentare la discesa della nave dalla cresta dell’onda.

Come erano armati i vascelli? Con colubrine, cannoni e carronate (fig. 33).

 – 21 ottobre 1805: fra i vascelli, ricordiamo la Victory (fig. 34) di Orazio Nelson, vincitrice a Trafalgar: 70 metri di lunghezza; 16 di larghezza; 60 di altezza; spessore della carena al galleggiamento m. 0,6; 104 cannoni; velocità massima 8-9 nodi. Per la sua costruzione furono abbattute 6.000 querce e furono impiegati 10.000 metri cubi di legname. Per illuminazione, riscaldamento e cucina, imbarcava ad ogni viaggio 50 tonnellate di olio combustibile e legna.

Adesso facciamo una gara: chi si avvicina maggiormente alla risposta esatta riceverà un premio per ciascuna risposta.

  1. Quanti uomini componevano l’equipaggio della Victory? (850)
  2. Per ciascuna missione, quante tonnellate imbarcava il vascello di
    1. acqua potabile? (300)
    1. carne salata? (30)
    1. gallette? (45)
    1. piselli secchi? (15)
    1. burro? (2)
    1. birra? (50)

I vascelli saranno poi soppiantati dalle fregate (Bounty, figg. 35, 36) e dai brigantini (fig. 37, 38), velieri assai più piccoli, agili, veloci ed economici, in genere fra le 50 e le 300 tonnellate di stazza.

Ma riprendiamo il filo del discorso

1700: epoca d’oro della navigazione a vela

Nel secolo dell’illuminismo qualsiasi arte diventa scienza e ciò avviene anche sul mare. Ai maestri d’ascia subentrano ingegneri ed architetti che studiano stabilità delle carene e flussi dei fluidi. La scienza della navigazione non è più solo tramandata di padre in figlio ma viene anche raccolta in manuali di matematica, fisica, astronomia, cartografia.

Il primato della scoperta scientifica nel campo della dinamica dei fluidi applicata alla vela va al fisico svizzero Daniel Bernoulli (1700-1782). Adesso comprenderete meglio perché oggi sono gli Svizzeri con Alinghi a vincere la Coppa America!

La maggiore conquista dell’illuminismo “nautico”

A 2000 anni di distanza dalla rilevabilità della latitudine, restava irrisolto il problema della longitudine, sino allora semplicemente stimata con un enorme grado di approssimazione ed errore. Infatti:

  • Anche i più famosi navigatori (Cristoforo Colombo, James Cook con il veliero Endeavour alla fig. 39, Sir Francis Drake, etc.), navigavano soprattutto grazie a complessi calcoli astronomici ed alla stima di rotte calcolate (cd navigazione stimata) sulla base della velocità della nave, dei venti e delle correnti, con risultati molto approssimativi sui quali contava moltissimo la componente “buona sorte”.
  • Moltissime erano poi le morti per scorbuto da esaurimento delle scorte per ritardi nella navigazione. Nel settembre 1740: la Centurion del Commodoro George Anson, vagò dal 7 marzo al 9 giugno 1741 ad est ed ovest di Capo Horn, subendo una tempesta di 55 giorni, prima di riuscire ad individuare e ad attraccare all’isola Juan Fernandez: nel frattempo lo scorbuto aveva ucciso 250 di 500 uomini di equipaggio! Solo nel 1772 James Cook scoprì che i crauti marinati si mantenevano anche un anno e quindi fornivano le vitamine necessarie a prevenire l’insorgere della malattia (e forse fu proprio per questo motivo che quei crauti furono chiamati “marinati”!). La dieta era arricchita da malto e marmellata di carote.
  • In mancanza della determinazione della longitudine, tutte le rotte erano tracciate e seguite per uguali latitudini con il risultato di far incontrare anche navi che non si volevano o non si dovevano incontrare, provocando inutili scontri militari o agevolando atti di pirateria.
  • I naufragi per errori di rotta erano moltissimi. Uno per tutti: quello di quattro delle cinque navi da guerra inglesi al comando dell’Ammiraglio Sir Clowdisley, alle isole Scilly, nelle acque territoriali inglesi, il 22 ottobre 1707, nel quale persero la vita circa 2.000 marinai. Il naufragio avvenne subito dopo che l’Ammiraglio aveva fatto impiccare per ammutinamento un marinaio che si era permesso di avvisarlo del suo errore di rotta!

8 luglio 1714: a questo punto la regina Anna fece emanare dal Parlamento inglese il Longitudine Act che offrì a chi avesse scoperto un metodo semplice ed efficace per determinare la longitudine di una nave in mezzo all’oceano i seguenti premi:

  • Lgs20.000, per approssimazioni di mezzo grado (34 miglia all’equatore, 17 miglia a 45° di latitudine; 0 miglia ai poli);
  • Lgs15.000 per approssimazione di 2/3 di grado (45 miglia all’equatore; 22,5 miglia a 45° di latitudine; 0 miglia ai poli;
  • Lgs10.000 per approssimazioni di un grado (68 miglia all’equatore, 34 miglia a 45° di latitudine; 0 miglia ai poli).

La soluzione non era stata trovata da Isacco Newton, da Galileo Galilei, da Gian Domenico Cassini, da Edmond Halley, etc., bensì da un artigiano autodidatta orologiaio inglese, John Harrison (1693-1776), il quale, superati i preconcetti contro una soluzione troppo “uovo di Colombo”,

  1. capì che il percorso longitudinale compiuto da una nave in un certo lasso di tempo, poteva essere individuato per mezzo delle differenze dei fusi orari.
  • Quindi, oltre che a rilevare correttamente la propria latitudine, sarebbe bastato che ogni nave avesse un orologio (presto chiamato cronometro) che continuasse a segnare l’ora esatta del e dal porto di partenza per confrontarne il mezzogiorno con il mezzogiorno solare del luogo ove si trovava la nave per sapere di quanti gradi e miglia ci si era spostati in longitudine, sulla base di queste equivalenze:
  • 1 giro della terra in 24 ore corrisponde a 360° di longitudine;
  • 1 h equivale a 15° di longitudine;
  • ad 1 minuto corrispondono 22,5 primi di grado di longitudine in tutto il mondo;
  • ad 1 minuto all’equatore corrispondono 17 miglia;
  • ad 1 minuto a 45° di latitudine corrispondono 8,5 miglia;
  • ad 1 grado di longitudine corrispondono 4 minuti in tutto il mondo;
  • ad 1grado di longitudine all’equatore corrispondono 68 miglia;
  • ad 1grado di longitudine a 45° di latitudine corrispondono 34 miglia.

Quindi, conoscendo l’ora esatta secondo il fuso orario del e dal luogo di partenza (questo era il problema!) e confrontandola con il mezzogiorno solare locale della nave, si calcola – per ogni latitudine – la distanza longitudinale angolare e la distanza in miglia est-ovest compiuta dalla nave rispetto al porto di partenza, a sua volta già relazionato al meridiano fondamentale.

In molti anni di lavoro, costruì cinque successivi modelli di un cronometro molto preciso e resistente ai fattori esterni (temperatura, oscillazioni, etc.) denominati Harrison1, e cioè H1, H2, H3, H4, H5.

Un esempio

  • Supponiamo che una nave rilevi col sestante di trovarsi a 45° di latitudine e riscontri una differenza di 12 minuti fra il mezzogiorno di partenza e il proprio mezzogiorno solare;
  • poiché ad ogni 4 minuti di differenza corrisponde 1 grado di longitudine, lo scostamento è 3 gradi;
  • la nave si trova quindi a 102 miglia est/ovest dal meridiano che passa dal porto di partenza (68 miglia per ogni grado all’equatore; diviso: 2 in quanto si è a metà strada fra l’equatore ed il polo; moltiplicato per i 3 gradi riscontrati).

Ma quale grado di precisione deve avere l’orologio marino? I migliori orologi terrestri dell’epoca erravano di 1 minuto al giorno! Orbene, un orologio marino che fosse riuscito a mantenere anche in navigazione questa “precisione” (cosa assolutamente impossibile), in 40 giorni di navigazione (Inghilterra – Caraibi) avrebbe errato di 40 minuti e condotto ad un errore di 340 miglia!

  • Gli H1 erravano di 3 secondi al giorno per cui nell’esempio l’errore sarebbe stato di sole 16,8 miglia.
  • Gli H4 (1753 – 1759, peso kg.1,3) erravano di 4 secondi in 81 giorni! Quindi in 40 giorni di navigazione a 45° di latitudine l’errore all’arrivo fu di 360 metri e si aggiudicò il premio, la cui prima rata di Lgs10.000 fu pagata solo nel 1765, un anno prima della morte del suo inventore.

La commissione incaricata dell’assegnazione del premio fu sciolta solo dopo oltre un secolo, nel 1828. A quella data, per assegnare Lgs20.000, ne aveva spese oltre 100.000! Tutto il mondo è paese.

Gli orologi di Harrison sono esposti al National Maritime Museum di Londra.

Terzo intermezzo musicale: “Un bel dì vedremo … la bianca nave appar…”

… infatti, avvicinandosi alla meta, al punto nave ricavato con il cronometro si aggiunge il punto nave a vista. Ed allora, a che distanza la Butterfly avrebbe scorto la bianca nave? Orbene, la formula per calcolare la visibilità dell’orizzonte marino in miglia nautiche è 2 volte la radice quadrata dell’altezza del punto di osservazione. Ora, se ipotizziamo che la casa della geisha fosse collocata su di una collinetta alta 100 metri sul livello del mare, Butterfly avrebbe potuto scorgere lo scafo della bianca nave alla distanza di 20 miglia (37 Km) e supponendo che la velocità della nave fosse di 12 nodi, l’avvistamento sarebbe stato effettuato con un anticipo di circa 1h36’ rispetto all’attracco.

Ma oggi, come si naviga?

Oggi disponiamo di radar ma soprattutto dei satellitari GPS, Global Position System, piccoli strumenti incorporanti la cartografia e incorporati nei telefonini, per cui è come avere la “navigazione a vista” nella tasca del giubbotto.

Tuttavia resta valido – anche in pieno oceano – il sistema di navigazione classico, purché si disponga di carte nautiche,  squadrette e compasso, gomma e matita, una bussola, un cronometro, un sestante e delle effemeridi nautiche, cioè della raccolta dei dati circa i movimenti del sole, della luna e delle principali stelle. Ma questa è un’altra storia …

E veniamo al 1800

 – 1812-1815: i futuri Stati Uniti d’America sono in guerra contro la madre patria Inghilterra la quale è dotata di una flotta assai potente di grandi velieri con moltissime vele frazionate per agevolarne la manovrabilità, la cui velocità massima, peraltro raggiunta solo in andature prossime al traverso (bolina larga, traverso, gran lasco), tuttavia non superava i 10 nodi.

E gli Yankyes si inventano le golette o schooner (figg. 40, 41, 42), sul modello di navi bermudiane. I “privateers”, privati che operavano con lettere di marca come veri corsari, ne costruirono ben 150. Si tratta di navi lunghe 35 – 45 metri di cui 10-15 di bompresso e asta di fiocco. Due alberi molto inclinati, tre fiocchi a prua e due rande enormi, controrande. La chiglia continua, da prua a poppa, sempre più profonda. Pochi uomini di equipaggio (solo 12 marinai, in quanto per manovrare le vele non era quasi mai necessario far salire uomini “a riva”). Tuttavia le manovre di vele erano assai pericolose a causa della grande superficie velica di ciascuna randa e quindi a causa della grande forza che bisognava governare e talvolta contrastare (a mano! Vedi il modello di bozzello di legno che vi ho portato).

Le golette erano molto boliniere, dotate di pochi cannoni fra cui a prua due pezzi da caccia da 6 libbre, i quali avevano una portata di m. 250 a tiro radente e di m. 1.750 a tiro parabolico (persino le navi mercantili erano armate meglio!). Tuttavia, esse giungevano da sottovento, di bolina, colpivano efficacemente e fuggivano verso il sopravvento, sempre di bolina, incolumi in quanto avevano di fatto reso inutilizzabili i cannoni dell’avversario che si venivano a trovare puntati verso il basso, cioè verso l’acqua, a causa dello sbandamento della nave. La loro velocità massima era quella massima raggiungibile teoricamente e cioè 2,5 volte la radice quadrata della lunghezza al galleggiamento, cioè circa 15 nodi, cioè 27 Kmh, anche di bolina larga! Inoltre, con onda, entravano in planata raggiungevano i 20 nodi (37 kmh!) pari alla velocità dei moderni traghetti veloci. In allora imprendibili! Oggi, quasi imprendibili.

Un cenno merita una particolare goletta a gabbiole (cioè goletta che ha anche una o due vele quadre sull’albero di trinchetto): la Pride of Baltimore (fig. 21) ricostruita ben due volte e tutt’ora going strong! Qualche dato? 2 alberi + il bompresso; lft m. 47; lunghezza al galleggiamento m. 29; baglio massimo m. 7,81; pescaggio m. 3,72; dislocamento 185 tons; superficie velica mq. 920; equipaggio 12 uomini. Essa fu costruita per saccheggiare le coste britanniche: prima di partire, il suo capitano Thomas Boyle, inviò per posta al caffè dei Lloyds di Londra un proclama in cui dichiarava che l’Inghilterra era “stretta da un rigoroso blocco navale”!

Sul Garda potete ammirare una pseudo goletta, la Siora Veronica (fig. 43) (Berlusconi non c’entra!). Il proprietario è un mio amico, Hans (tel. 3355483030) e ha ricavato la sua barca da un vecchio bragozzo rivano da carico (fig. 44), di cui ha mantenuto il nome. Questa barca è goletta solo sopra, nell’opera morta, negli alberi e nelle vele. Non lo è sotto, cioè nell’opera viva, cioè nella parte di scafo immersa (carena), che è rimasta quella di un barcone da lavoro, con poca chiglia, costruito per veleggiare con vento in poppa. Risultato: la barca non bolina e per risalire il vento usa il motore.

Tuttavia la Siora Veronica è bellissima da vedersi e può essere noleggiata (accoglie anche 30 ospiti): ed allora …Vi propongo una gita giornaliera, con partenza ed arrivo da Riva del Garda o da Malcesine, gita durante la quale potrete verificare sul campo molte nozioni … dai, … andiamo! Costo a persona? €50 – 100, spuntino compreso.

Ed ora un po’ di terminologia

Nave: tre alberi a vele quadre. Nave a palo: tre alberi a vele quadre, più uno poppiero a vele auriche. Nave goletta: trinchetto a vele quadre; maestra e mezzana armate a goletta. Le “navi a vela” odierne sono le eredi dei vascelli. Corvetta: piccola e agile nave militare per pattugliamento, dotata di armamento leggero. In origine le corvette erano degli sloop (un albero, unico strallo di prua per il fiocco; randa. Armo nato prima del 1920 alle Isole Bermude, detto anche, per questo, armo bermudiano. Fu chiamato anche armo Marconi poiché l’albero, con le sue sartie, il suo strallo e il paterazzo ricordarono, a secco di vele, le attrezzature radio di Guglielmo Marconi). Fu la marina francese ad usare per la prima volta il termine Corvetta per indicare delle piccole Fregate armate di 20 cannoni (il Bounty era una fregata). Brigantino: veliero più agile della fregata,  più spesso a due alberi (più raramente a tre), facente parte di una “brigata – piccola flotta”, impiegato soprattutto come cargo o nave di scorta. Brigantino goletta.

L’evoluzione della specie civile e militare

Caravella …, caracca …, galea …, galeone …, vascello …, brigantino …, fregata …, corvetta …, cutter …, sciabecco …, goletta …, clipper.

Ovvero: sempre più grandi, dalle caravelle ai vascelli; sempre più piccole dai vascelli ai cutter; sempre più veloci dai cutter ai clipper.

Clipper (to clip, tagliare e in gergo nautico “andar di bolina”, to sail close to the wind) o clipper schooner (fig. 45): grande veliero superinvelato e velocissimo anche di poppa, creato soprattutto per il commercio di carichi preziosi e poco ingombranti (ad esempio, spezie).

I clipper sono riconoscibili perché i pennoni orizzontali delle vele e le vele stesse sporgono di molto lateralmente, ben oltre il bordo dello scafo.

Equipaggio (ridotto a 30 marinai!”) e nave sempre a rischio, soprattutto nelle andature a fil di ruota (poppa piena), che richiedevano un impegno assoluto del timoniere, paragonabile a quello che oggi si richiede ai piloti di formula uno (non sto esagerando, credetemi!) a causa di tre grandi rischi: straorza, strapuggia e ingavonamento.

Velocità: 16-18 nodi con punte di 20. Record giornaliero 436 miglia! (806 Km!) del clipper americano Lightining. Nella copertura di tali distanze le navi erano aiutate dalle correnti – se favorevoli – che contribuivano con circa 50 miglia al giorno. Nel 1888 il clipper Cutty Sark superò il piroscafo Britannia nella rotta par l’Australia!

Golette e clipper vennero poi adottati per fronteggiare la pirateria che infestava le rotte commerciali europee in oriente, per il contrabbando di schiavi e coolie. Infine furono utilizzati anche nelle due guerre dell’oppio (1839 – 1860) contro la Cina, “colpevole” di avere vietato l’uso dell’oppio indiano che gli europei (perfida Albione in testa) le vendevano per pareggiare la bilancia dei pagamenti (vedi bibliografia citata).

L’estinzione della specie commerciale e bellica

 – 1900: dopo aver raggiunto la massima padronanza su scafi, vele, mappa dei venti e delle correnti, meteorologia, latitudine, longitudine, dinamica delle maree, mappa del fondo del mare per la navigazione nella nebbia, navigazione astronomica, dinamica dei fluidi, etc., proprio all’apice della sua carriera, la navigazione a vela subisce un improvviso declino. Le cause?

  • Innanzi tutto un equipaggio “a motore” era composto da 25-30 persone ed uno “a vela” anche da 150 marinai ( a parte golette e clipper).
  • Inoltre, la maggiore facilità di manovrare controvento e contro le maree e la possibilità di navigare anche senza il vento.
  • Non poco hanno poi influito esigenze belliche.
  • Infine, con il 1870, si apre il canale di Suez che i velieri non potevano percorrere! E quindi per i velieri la circumnavigazione dell’Africa diventò troppo onerosa.

L’arte marinara cambia. Gilberto Govi (“Colpi di timone” citata), riferendosi all’avvento dei “vapori”, affermava: “Oggi non è più come una volta, quando i bastimenti andavan a vela! Oggi sciaccan un pomello e la nave a vira. Sciaccan un altro pomello e la nave a se ferma. Più che un comandante ci vorrebbe un sarto!”

 – 1920: i grandi velieri scompaiono del tutto. Sopravvivono oggi solo le grandi e bellissime navi a vela delle marine militari: noi abbiamo tre yacht classici e tre navi d’epoca: l’Amerigo Vespucci, la Palinuro e la Caroly (fig. 25 A, B, C, D).

1 – Amerigo Vespucci, fig. 46, nave in ferro, cd tall ship, nave alta, costruita nei cantieri di Castellamare di Stabia nel 1930; varata nel 1931 a Genova; lft m. 100; 470 uomini imbarcati, di cui 170 allievi; velocità massima 10 nodi. Adibita a nave scuola della Marina Militare (MM). La Vespucci doveva affiancare la gemella Cristoforo Colombo (varata nel 1928) la quale però – dopo la seconda guerra mondiale – fu ceduta all’URSS in conto risarcimento danni di guerra.

2 – Palinuro, nave goletta in acciaio, fig. 47,  costruita a Nantes nel 1933; acquistata dalla MM nel 1950; utilizzata dal 1955; lft m. 70; 160 uomini imbarcati di cui 90 allievi. Al pari delle altre navi della stessa classe, per l’ottimo comportamento anche in oceano fu chiamata “best bark” cioè la barca migliore, con un appellativo tradotto poi maccheronicamente dai Liguri in “barco bestia”.

3 – Caroly, fig. 48, (dal mio Whisper incrociata a Porto Vecchio in Corsica, il 28 agosto 1997, sotto 45 nodi di Mistral), yawl (due alberi, con quello di mezzana a poppavia dell’asse del timone: la randa di mezzana è un timone supplementare più che vela di spinta) dei cantieri Baglietto di Varazze; lft m. 23; varato nel 1948; stazzante 60 tonnellate; già di proprietà del ligure Riccardo Preve, morto nel 1982 e donata dalla famiglia alla MM a condizione che le si facesse regolare manutenzione e soprattutto che non le si cambiasse il nome, visto che era quello della moglie del proprietario. Una particolarità: Caroly ha la deriva mobile (per navigare nei fiumi argentini). Ha un equipaggio di 14-16 persone, è di base a La Maddalena, gestito da Marivela, il Centro Velico Sportivo della MM, adibito all’addestramento degli allievi sottufficiali.

Riccardo Preve … Ligure … Liguria … Genova … Quarto intermezzo musicale: “Genova per noi” … parole e musica di Paolo Conte

canta Bruno Lauzi

Lo yawl si contrappone al ketch, due alberi entrambi a proravia dell’asse del timone (la randa di mezzana è vela di spinta).

La specie oggi

Sopravvivono ed alla grande molti velieri d’epoca: digitate in internet la parola “navievelieri” di un certo Giampiero: vi troverete una serie di bellissime foto con dati storici e tecnici di ciascun veliero.

Prosperano poi – anch’essi alla grande –  i velieri da diporto.

Dagli scafi a dislocazione agli scafi plananti; gli spinnaker; i gennaker; l’evoluzione dei materiali; la capacità di stringere il vento (fino a 30 gradi bussola!). Oggi abbiamo:

  • derive: barchette soprattutto da regata che si rovesciano (scuffiano o quasi).
  • Cabinati da regata (monotipi, come il mio Fun Whisper e le galee veneziane!).
  • Cabinati da crociera veloce.
  • Cabinati da crociera.
  • Catamarani d’ogni tipo.
  • Motorsailer (imbarcazioni con motore molto potenti e velatura ridotta)

Oggi si ricerca insieme comodità, sicurezza e velocità. Velocità? Parliamone un po’ …

Nel passato, velocità significava salvezza, voleva dire raggiungere il nemico; sfuggire al nemico; guadagnare tempo (e denaro); inoltre sopravvivere ad eventuali successive bonacce e non cadere preda dello scorbuto. Solo in un caso era anche uno sfizio: infatti a Londra, nei salotti bene, era “in” bere il tè arrivato con il primo clipper! Oggi la velocità a vela è sempre uno “sfizio”.

La velocità di un veliero dipende anche dal vento. Dal vento reale, quello che ci manda il buon Dio; dal vento relativo, quello che creiamo noi stessi, muovendoci; ma soprattutto dal vento apparente, somma dei due, quello che conta per la vela. Orbene, le moderne barche a vela possono raggiungere velocità sino a 3 volte la velocità del vento reale!

I velieri più veloci? Il catamarano “Hydroptere” con un albero di 60 metri sviluppa 47,2 nodi di velocità (87,5 Kmh), superato solo da una piccola barchetta a vela con pattini da ghiaccio che sul lago di Resia raggiunge i 60 nodi (110 Kmh). Resta aperto il problema di frenare a fine corsa, ma questa è un’altra storia.

Ma come fa una barca a risalire il vento ed un aeroplano a volare?

Ovvero, tutta la teoria della vela in poche righe (figg. 49, 50)

1 – Se appoggiate la parte convessa di un cucchiaio al flusso verticale dell’acqua del rubinetto, tenendolo delicatamente con due dita per l’impugnatura in posizione verticale e parallelo al flusso d’acqua in modo che possa dondolare, esso verrà attratto all’interno del flusso.

Se osservate un’auto spider con la capote di tessuto chiusa, mentre viaggia a 100 kmh, vedrete che la capote si gonfia verso l’esterno.

Ciò in quanto ad una curvatura dei flussi di ciascun fluido (acqua, aria) corrisponde una loro maggiore velocità, una loro minore pressione e quindi si crea un effetto aspirazione.

Orbene, i flussi d’aria sottovento alle vele – a causa della loro curvatura – sono più veloci dei flussi sopravvento e quindi anch’essi aspirano in avanti la vela e con lei la barca.

2 – Ma non basta: infatti, se immergete la mano nell’acqua, essa ne esce bagnata. Ciò perché esiste la forza di adesione (in fisica si chiama portanza).

Anche a barca ferma, l’aria che “incontra” la vela, la tocca, vi aderisce, ne viene deviata: viene cioè compiuto un lavoro, un’azione, alla quale corrisponde una reazione che consiste nella spinta che l’aria dà alla vela, e cioè nella formazione della forza aerodinamica che si scompone in scarroccio laterale ma soprattutto in avanzamento.

Lo stesso avviene, ma solo una volta che la barca sia in moto, sotto la carena, dove i flussi di acqua investono la chiglia-deriva: infatti ne vengono deviati … etc. e come reazione si forma la forza idrodinamica del si scompone in resistenza all’avanzamento (la quale si oppone all’avanzamento, ma “perde” quindi la barca avanza) ma soprattutto in portanza, termine qui con un significato diverso dalla “adesione”, e cioè col significato di forza che semplicemente si oppone allo scarroccio ma “vince” quindi la barca scarroccia lateralmente solo di 10°.

3 – In sintesi: la barca a vela è un aeroplano con due ali: una più grande, la vela, immersa in un fluido meno denso, l’aria, che lavora anche se la barca è ferma, in quanto è l’aria che si muove. L’altra, più piccola, la chiglia-deriva, immersa in un fluido più denso, l’acqua, che lavora solo se la barca è già in movimento.

Ecco quindi che l’ “aeroplano barca a vela”, per risalire il vento, ha bisogno che lavorino tutte e due le ali: infatti, una barca, da ferma, non può partire di bolina, perché un’ala non lavora! Al contrario, occorre infatti partire con andature larghe, cioè inizialmente farsi semplicemente spingere dal vento, quindi far generare i flussi d’acqua sotto lo scafo e solo infine, progressivamente, “stringere il vento” e “bolinare”.

Amici, all’inizio della mia esposizione abbiamo celebrato Pascoli, poi abbiamo “disturbato” Dante Alighieri (o quasi), Cristoforo Colombo (o quasi), Federico Fellini (o quasi), Fabrizio De Andrè, Cappello e Margotti, Mina, John Luther Long, Puccini, Polo Conte, Bruno Lauzi. Ora celebriamo le vele ed il Vento (cioè da Nord, l’altro, da Sud, si chiama Ora) di Riva del Garda:

VELE RIVANE

Il cielo è pulito, fa freddo.

Il Vento del nord respinge la nebbia.

Le palme e gli ulivi son scossi e muovon le foglie

qual ali che voglian migrare.

C’è Vento, sul Lago, da giorni.

Le cime nevose dei monti

dipingono l’aria di candidi sbuffi.

Nel porto un’orchestra.

Ascolta:

tintinna di magico timpano

sartia d’acciaio

e insieme a folate impetuose

dà fiato ad un oboe solenne.

E l’onda, smorzata dal molo, applaude il concerto

lambendo gli scafi seduti in poltrona

nel proprio teatro di luci e di suoni.

In alto, un gabbiano galleggia nel fiume sospeso.

Sull’acqua, reali, due cigni attendono il tempo.

Dal seno materno del porto si stacca una prora.

S’avanza invelata e scruta l’invito del Vento.

Dapprima procede più lenta,

poi prende vigore sull’onda che s’apre e l’accoglie

nell’umido abbraccio d’ amante in attesa.

Carena sussulta, si slancia,

respira lo stesso respiro del cielo

e all’acqua regala la forma.

Le creste dell’onde s’uniscono nell’aere in spume rapite.

Lo scafo ormai vola: e mentre ti portan sue ali

lo senti vibrare e chiederti “Ancòra!”

Ma devi tornare e volti la rotta

in faccia alla furia che avverti più vera.

Non lotta con l’onda la prora che s’alza:

l’affronta, ricerca un’intesa. La trova, procede.

La senti che parla di te con l’acqua e col Vento.

Whisper

Letture consigliate

Del 2000 sul 1700

“L’eroe dell’Endeavour”, fig. 39, di Martin Dugard, edizioni PIEMME. La cronaca della vita e dei viaggi di James Cook. Molto importante per comprendere come la navigazione a vela fosse una componente essenziale della crescita culturale dell’epoca.

“Longitudine”, di Dava Sobel, BUR, Serie “Saggi”, 6° edizione, dicembre 2004. Storia avventurosa dei quarant’anni di sforzi necessari all’orologiaio inglese John Harrison per costruire e far adottare il cronometro necessario al calcolo richiesto. Ovvero, come la scienza possa anche essere un appassionante romanzo.

“Bacicio do Tin” di Alberto Cavanna, Edizioni Mursia, 2003. Con alcuni brani anche in dialetto spezzino e in inglese, ma con traduzione, narra di Giovan Battista Caviciòli, nato a Portovenere nel 1785, conosciuto come Bacicio ‘o Corsao. Con il veloce sciabecco “Lanpo”, grandissimo marinaio, valente capitano, spericolato corsaro di Napoleone ammirato Conte dell’isola del Tino e, da ultimo, pirata in proprio. Da non perdere!

Del e sul 1800

“Solo, intorno al mondo”, di Joshua Slocum (nato nel febbraio 1844, 100 anni prima di me, anche lui un acquario, non per niente …), Mursia Editore. Narrazione molto spontanea, poco erudita ma tecnica. Con il suo Spray (fig. 51) primo circumnavigatore a vela del globo dopo una traversata di circa 46.000 miglia da est a ovest dal 24 aprile 1895 al 27 giugno 1898, passando per lo stretto di Magellano e la Terra del Fuoco (capo Horn) la cui descrizione rappresenta una delle parti più coinvolgenti della narrazione: vi indurrà a prenotare un viaggio nella Terra del Fuoco!

Del 1900 sul 1800

“Mare di papaveri”, di Amitav Ghosh (uno dei principali scrittori indiani contemporanei) editore Neri Pozza. Gli Inglesi in India al tempo delle guerre dell’oppio contro la Cina, con ampi riferimenti storici, ambientali, di vita e anche marinareschi. Da non perdere!

Del e sul 1900

“Tamata e l’alleanza” di Bernard Moitessier, Editrice Incontri Nautici, di recentissima ristampa. È l’ultimo libro di uno dei più grandi navigatori di tutti i tempi. Moitessier (1925-1994), nato ad Hanoi da genitori francesi, ripercorre la sua esistenza dall’infanzia trascorsa nell’Indocina Francese (Vietnam), all’invasione giapponese – intermezzo fra la dominazione coloniale francese e lo scontro con i Vietcong – fino alle sue galoppate su tutti gli oceani del pianeta. Il messaggio che l’autore ci trasmette è naturalistico, storico, introspettivo un po’ onirico, di scelte di vita, di viaggi incredibili con una barca essenziale e di un’enorme volontà di vivere manifestata in mezzo alle più terribili tempeste e anche quando scoprì di avere un tumore. I suoi libri? Uno tira l’altro … A proposito, dimenticavo: “tamata” in polinesiano significa appunto “tentare, provare” e anche “perché no?” E voi, provate a leggere questo libro: perché no? E’ il libro che Vi consiglio di leggere per primo.

Del e sul 2000, molto, ma MOLTO più modestamente!

“Tre crociere con il FUN” di Riccardo Lucatti, Editrice Lucatti, Serie “Se no i xe matti no li volemo”. Brevi resoconti di tre traversate dalla Toscana in Sardegna (Palau) e viceversa, normali per barche da crociera, ma uniche se compiute con un FUN, piccola barca da regata ufficialmente non abilitata a tali imprese soprattutto poi se in navigazione in solitaria o in notturna, al chiarore della luna, quando “la prua rotola perle”.

Conclusione

Vela, mon amour …, e se anche voi volete provare sul campo queste emozioni, telefonatemi (335 5487516). Vi aspetto a Riva del Garda con il mio Fun Whisper ITA 526, barca a vela da regata di 7 metri, sloop con armo bermudiano o Marconi, che dir si voglia. Eccola:

Whisper

S’illumina al sole

T’aspetta

La prendi

La porti nel vento

Respira il tuo stesso respiro

Sussulti

Lei freme

Sospira

Whisper

Volete vedere Whisper? Andate alla figg. 52-59, e vedrete che “tutti i salmi finiscono in gloria!”…

Ho finito. Ovviamente non Vi ho detto tutto della vela. Resto comunque a Vostra disposizione per domande o per successivi separati approfondimenti. In ogni caso, se porterete a casa qualche stimolo in più, mi riterrò ampiamente appagato.

GRAZIE PER LA VOSTRA ATTENZIONE E Buon Vento A TUTTI!

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LA FESTA DI MEZZ’ESTATE …

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 27 Luglio, 2021 @ 5:09 am

Detto altrimenti: … dell’Accademia delle Muse”    (post 4278)

Il nostro è un circolo culturale privato (fondatrice e presidente Cristina Endrizzi) che vive (da 12 anni: 100 serate circa, due eventi a serata!) del passa parola e dell’apporto di ognuno, nel senso che ognuno offre agli amici l’  “arte” sua: musica, poesia, teatro, letteratura, viaggi, fotografia, pittura, canto, culinaria, storia, etc.. Eravamo fermi da un anno per ‘sto Covid!  Finalmente è stato possibile ritrovarsi. A dire il vero avremmo voluto farlo nel bel giardino della nostra Presidente Cristina, ma …”al tempo, alle donne e ai signori non si comanda” – si dice qui in Trentino – e la pioggia ci ha costretti in casa (‘l temp, le done e i siori i fa qual che i vol lori).

Ieri sera tre amici (Patrick, chitarra e voce; Luciano, fisarmonica e voce; Giovanna, voce) hanno scaldato i nostri motori con una serie di canzoni anni ’60 – ’70 (Celentano, Battisti & C.), quelle che hanno subito fatto nascere il nostro accompagnamento.

Un intermezzo: un nostro regalo per il compleanno della Presidente Cristina e un saluto per l’onomastico della sua mamma Anna.

Indi Cristina al pianoforte: Haendel, “Lascia ch’io pianga” trascrizione di Moszkowski – Gasparini, “Augellin vago e canoro”, Giovanna mezzo soprano – Donizetti, ”Vieni, la mia vendetta” dalla Lucrezia Borgia, Luciano voce baritono basso –  Fantasia di operette, piano solo.

E’ seguito il consueto momento eno-gastro-astronomico con le prelibatezze preparate dalle nostre Signore Accademiche e un saluto da parte dei grandi assenti: Maria Grazia Polito, Rosetta e Franco Peterlini, Mirna Moretti.

Ecco, l’Accademia è ripartita: speriamo che  – grazie ai vaccini – possano ripartire tutte le altre attività e non solo quelle nostre.

Una nota: igienizzazione all’ingresso, porta e finestre aperte, tutti con la mascherina, cibo pre porzionato servito da Cristina e Giovanna con i guanti, bicchieri individuali contrassegnati.

Alla prossima!

“E venne l’alba intrecciando per noi una ghirlanda di note rinate!” (verso telefonatomi da Cristina in corso di stampa!)

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