SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N.199 DEL LUGLIO 2012: I SERVIZI PUBBLICI LOCALI (SS.PP.LL.) NON SI POSSONO PRIVATIZZARE – Quarta ed ultima puntata (le prime tre puntate sono state pubblicate il 23, il 30 e il31 luglio scorsi)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 5 Agosto, 2012 @ 4:52 pm

Deto altrimenti: la “motivazione” del personale dell’Ente Pubblico e della SpA

La motivazione del personale. Una delle principali risorse di un ambito di lavoro, sia esso un ufficio pubblico, sia una SpA. Spesso la si trascura. E invece, senza la motivazione del personale non esiste crescita economica, sociale, culturale. Non esiste sviluppo. Non si va da nessuna parte. Chi non capisce questo semplice fatto non dovrebbe essere ammesso a gestire personale, in una SpA come in un ente pubblico.

C’era una volta … il vecchio modo di gestire una SpA, top-down, io raccolgo molte tutte le informazioni, le dispenso a spizzichi, stabilisco le regole, i dipendenti devono obbedire, devono eseguire, rispettare le prescrizioni della “libretta”. Non importa se non capiscono quello che stanno facendo. Anzi, meglio. IT, Information Technology, ecco cosa mi serve. E poi, il cottimo, che bello! Tutti erroneamente credono che sia “pagare il dipendente sulla quantità del lavoro prodotto” e invece, correttamente è “pagare il dipendente se rispetta le regole, perché tanto il risultato è garantito dal sistema, soprattutto se sono in monopolio”.

Io ordino e tu esegui. In silenzio. Non mi importa se non sei motivato. La motivazione? Non serve a nulla. Ma io ho bisogno di collaboratori. Ed allora chi mi scelgo? Quelli più ossequiosi, quelli che mi dicono sempre si, quelli che non discutono le mie decisioni, quelli che non mi sottopongono né problemi veri né soluzioni vere. Da encefalogramma creativo piatto. L’organigramma? Verticale: tutto fa capo a me che delego una sola persona a me fedele, tutto fa capo a lui, sotto di lui la piatta assoluta, tutti uguali, a ricevere input dall’alto, settore per settore, parcellizzati, divisi, in vasi non- comunicanti (comunicazione? Guai a Dio!). E Dio … no, scusate, ed Io, innanzi tutto lavoro a parte chiuse e sono disponibile solo per il mio fedelissimo. Gli altri? E’ inutile che cerchino di contattarmi: tempo perso. La società ha bisogno di me, depositario di tutto. Mi rendo insostituibile. Se io me ne vado, se ne accorgeranno cosa succede … I dipendenti come si sentono? I “fedelissimi” bene: sono deresponsabilizzati, li copro sempre e comunque. Gli altri stanno male, soffrono, si deprimono. Per loro l’andare in ufficio è una sofferenza. Ma se a loro non va, se ne possono sempre andare via. Anzi …

Io stesso, all’inizio della mia carriera lavorativa, ricordo, lavoravo in banca. Lei è laureato il legge? Bene, a “battere” (alla macchina da scrivere, n.d.r.) assegni circolari. Ok, batto. Chiesi cosa voleva dire l’espressione “la fiche (contabile, lo appresi dopo, n.d.,r.) è già a quadro” (quadro di controllo, una sorta di ufficio prima nota contabile, lo appresi dopo, n.d.r.). Mi risposero: lei lavori, non è pagato per capire. Andai alla Direzione Centrale a protestare: fui inserito in un ciclo molto serio di istruzione sul lavoro. Quando fu terminato lasciai la banca e da impiegato di banca divenni dirigente in società e finanziarie private e pubbliche. Ma se fossi rimasto in silenzio a “battere” assegni circolari?

Ma torniamo a noi. In un ambiente simile le persone non crescono professionalmente, la società entro la quale lavorano è a rischio in quanto dipende dalla capacità, incapacità, umori e ricatti dei pochi fedelissimi. Questo tipo di capo non riceve e non stimola l’apporto creativo da parte dei dipendenti e la società non cresce se non nella misura nella quale poche persone vogliono e/o sanno farla crescere: i limiti di queste persone diventano i limiti della società. Le persone migliori sono scartate, emarginate, si deprimono, si disamorano, non producono più idee, non innovano. Questa società è perdente di fronte ad altre società che invece si comportano diversamente, come vedremo qui di seguito.

Altro tipo (opposto, agli antipodi del primo) di gestione societaria. Il capo promuove riunioni collettive; fornisce una visione di insieme ai propri collaboratori e colleghi (non li chiama dipendenti); concorda con loro i loro obiettivi; delega loro potere e responsabilità; stimola l’adozione di comportamenti creativi e di qualità; chiede loro di trasformare ogni loro singolo intervento correttivo o migliorativo in una serie di interventi per correggere e migliorare non il singolo fatto ma l’intero sistema; chiede ed ottiene che loro operino come se la società fosse una loro proprietà privata; promuove l’operatività per obiettivi e per progetti; per ogni progetto, stabilisce la leaderschip del capo progetto funzionale rispetto alla scala della gerarchia aziendale; stimola le loro proposte, le discute, le accetta anche se sono migliori delle proprie; crea diversi settori, promuove la loro collaborazione e la loro interscambiabilità, assicurando comunque la continuità aziendale anche nel caso di dimissioni di qualche collaboratore. Il capo stimola e premia l’efficacia ( = raggiungimento di risultati) piuttosto che la sola efficienza  ( = rispetto delle regole operative); è disponibile per tutti, nel rispetto della funzionalità del “sistema dei sistemi” che ha creato ed organizzato. Il capo lavora a porte aperte. E’ reperibile sempre, per tutti. La tecnologia e la scienza di cui ha bisogno e di cui si serve non è la IT (Information Technology), ma la ICT, Information Communication Technology. Cioè, ha inserito nel processo gestionale la COMUNICAZIONE, cioè la communis actio, l’azione comune il dialogo la compartecipazione, la condivisione, il rispetto e lo stimolo della persona, della sua intelligenza, scienza e apporto creativo. Il capo ritiene che il personale sia la prima risorsa aziendale e quindi ritiene che demotivarlo equivalga a distruggere la componente più preziosa dell’avviamento e dei beni aziendali.

Il suo obiettivo è quello di creare una società capace di crescere anche oltre il limite del proprio apporto personale, capace di funzionare e crescere anche quando egli ne sarà uscito. I collaboratori che “premia” sono quelli più “onesti”, cioè quelli che accettano la sfida di misurarsi su problemi seri, quelli che si esprimono come egli stesso si esprime, collaborativi con i colleghi, creativi, comprensivi del sistema. Per questi collaboratori, l’andare in ufficio è una gioia. Non un tormento.

Tutto questo è molto più facile da realizzare in SpA di diritto privato. Nel settore pubblico vige l’obbligatorietà del rispetto della “libretta”, cioè si premia soprattutto l’efficienza, il rispetto delle regole. Molto meno l’efficacia, il raggiungimento di risultati. Infatti ogni Comune è monopolista all’interno del suo territorio e quindi manca lo stimolo della concorrenza. Nessun Comune potrà mai venire a sottrarre “clienti” al mio Comune …

Per concludere

  • una legge (Berlusconi) imponeva la privatizzazione delle SpA pubbliche dei servizi pubblici locali;
  • un successivo recente referendum popolare aveva vietato queste privatizzazioni;
  • una successiva legge (Monti) le ha re- imposte;
  • la Corte Costituzionale ha cancellato le due leggi;
  • ora, il “rischio” non è più che i servizi pubblici locali “cadano” in mano privata, ma che le SpA pubbliche “cadano o restino” in una palude gestionale che di SpA ha proprio poco o nulla.

P.S.: gutta cavat lapidem …. “Hai visto mai” (dicono a Roma) che adesso la Corte Costituzionale abroghi anche la seconda legge sul finanziamento pubblico dei partiti, visto che la prima legge era stata cancellata anch’essa da un referendum popolare?

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BANCHE E BANCHIERI: FINANZA DI OGGI E DI IERI – SECONDA PUNTATA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 5 Agosto, 2012 @ 6:33 am

Detto altrimenti: Gialuigi De Marchi scrive nel suo blog www.dituttounblog.it:

“Dal fallimento della Lehman Brothers (la madre di tutti i guai attuali del mondo) sono passati 4 anni. Quel giorno si levarono forti voci a favore di un radicale cambiamento della finanza, che da un decennio era sfuggita di mano alle autorità per colpa del “Deregulation act” americano del 1998: una legge che aveva cancellato in un sol colpo tutte le regole del mercato, lasciando mano libera ai banchieri di fare tutto quello che volevano. Scomparsa ogni distinzione tra banche commerciali (quelle che per natura raccolgono risparmio e lo prestano ad aziende e privati: in parole povere, le uniche banche vere…) e banche globali (quelle che gestiscono risparmi, fanno compravendite in Borsa, speculano sulle materie prime, creano derivati eccetera…).

I banchieri hanno immediatamente approfittato dell’occasione lanciandosi in operazioni spericolate, inizialmente per “conto proprio” ma successivamente – per ampliare il giro d’affari, incrementare gli utili e moltiplicare i loro faraonici bonus – vendendo contratti derivati alla clientela. Nessun interesse per i clienti, nessun interesse per la collettività, solo l’esasperata ricerca del profitto aziendale e personale.

Tutto questo ha portato allo sfascio, inizialmente, del sistema bancario (non si contano più le banche salvate dagli stati per evitare guai maggiori: l’ultimo esempio eclatante è quello della Spagna) e, successivamente, dell’intero sistema economico, strozzato per l’improvvisa rarefazione dei crediti. Anche le enormi somme erogate dalla banca centrale europea (all’Italia la bellezza di 100 miliardi di euro!) sono state inghiottite dal sistema: qualche azienda italiana ha forse ricevuto anche solo €10.000 di quei 100 miliardi?

A questo punto non c’è che una soluzione: nazionalizzare le banche (tanto finanziariamente sono già “pubbliche” dato che i soldi li hanno ricevuti dagli stati!), eliminare i “managers” che per decenni si sono intascate somme enormi senza produrre benefici per la collettività, sostituirli con tecnici forse più modesti e meno fantasiosi ma più attenti alle esigenze della collettività e naturalmente reintrodurre le vecchie norme che vietavano alle banche di speculare sui mercati.

La legge bancaria italiana che stabiliva la specializzazione delle banche del 1936 era semplicemente perfetta. E’ stata abolita nel nostro paese generando mostri che hanno perso la loro natura originaria.  Torniamo al passato per poter costruire un futuro migliore!”

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NON TAGLIAMO LE RADICI DELLE NOSTRE CONIFERE

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 4 Agosto, 2012 @ 10:23 pm

Detto altrimenti: lavori pubblici programmati, deliberati, eseguiti … ma andrebbero anche “controllati” sul posto!

... e la conifera sta a guardare

 

Calceranica (Trento), passeggiata a lago, mattina del 3 agosto 2012. Due operai (devo intendere del Comune), dopo avere delimitato l’area, sono al lavoro sul prato a ridosso della strada, normalmente utilizzato dai bagnanti. Mi informo. Scavano una fossa per gettare il basamento in cemento della futura piazzola per la raccolta differenziata dei rifiuti. Benissimo, dico fra me e me..

Peccato però che il tutto avvenga a ridosso di una splendida conifera, la quale ha il torto di avere delle robuste radici. Orbene, una, in particolare, molto grossa, attraversa l’aera interessata dallo scavo. Nessun problema: con qualche colpo di accetta ben assestato si asporta il segmento di radice che “disturba” e si rimedia!

 

 

Il segmento della radice asportato

 

 

Come si sentirà la conifera? Sopravviverà alla mutilazione? Scatto qualche foto. Vengo diffidato da uno dei due operai, in quanto violerei la sua privacy. Mi invita a rivolgermi, nell’ordine, all’Ufficio, al Sindaco, al Presidente della Provincia.

Torno dalla mia nipotina Sara e le faccio fare il bagno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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BANCHE E BANCHIERI, FINANZA DI OGGI E FINANZA DI IERI – Il costo del denaro, le aste dei titoli pubblici, la speculazione e la tracciabilita’ del denaro

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 3 Agosto, 2012 @ 2:35 pm

Detto altrimenti: proviamo a spiegarlo ai non addetti ai lavori

Costo del denaro per la clientela bancaria

Ieri. Il riferimento era al prime rate (p.r.), cioè al tasso applicato dalle banche alla clientela primaria. Se al miliardario, di cui mi fido completamente, io banca faccio pagare il 3% di interesse (p.r.) a te applico il p.r. + una percentuale che rappresenta la copertura del maggior rischio.

Oggi. E’ arrivato il libor, cioè il miglior tasso che le banche si applicano “fra di loro” sulla piazza di Londra. Questo tasso (peraltro “taroccato”: si veda il post del 3 luglio), è stato preso a riferimento dalle banche per individuare il costo della loro provvista, quasi come se il ricorso ad altre banche fosse per loro l’unico modo di raccogliere denaro: trascurando, cioè, il fatto che le banche raccolgono denaro anche dalla loro clientela e che remunerano ad un tasso ben inferiore al libor.

E veniamo all’impiego del denaro, cioè quando le banche impiegano il denaro raccolto, prestandolo, ad esempio, a vostro cugino. Ragionano così: la raccolta del denaro mi è costata parte di essa al libor (ad esempio 1,5%) e parte di essa molto meno (ma questa parte non la conto, mi conviene!). Ora, se io la investissi in titoli di stato italiani, mi renderebbe, ad esempio, il 6%. Quindi se io voglio recuperare tutti i miei costi (1,5% + i costi gestionali, ad esempio, 1%), a quel cugino dovrei fargli pagare il 2,5%. Ma io devo anche guadagnare, e guadagnare il massimo possibile. Ora, se io acquistassi titoli pubblici, mi renderebbero il 6%. Ed allora, a quel cugino, potrei dare il denaro al 2,5%? Nossignore, perché al cugino, io banca dico: guarda, proprio perché sei tu, il denaro te lo cedo al costo. A me è costato 2,5% + il mancato ricavo che avrei se investissi in titolo pubblici italiani (6%) dedotto (bontà mia!) il rendimento tedesco (1%). Cioè, maggiorandolo “solo” dello spread di 5. Quindi facciamo il 7,5% e non se ne parla più. Però, se sconfini, diventa il 20%. Cosa dici? E’ un tasso da usurai? Contro la legge? Ma se lo ha stabilito la legge stessa! Io che ci posso fare? (Mica gli dico che la mia lobby ha pressato il Governo per arrivare a tanto, mica sono fessa, io banca!).

Le banche dovrebbero raccogliere denaro e prestarlo, cioè “fare banca”. Invece “hanno fatto finanza”. Ora “promettono” che per i prossimi cinque anni torneranno a “fare banca” e faranno finanza solo se necessario a pareggiare i conti o nell’interesse della clientela. Staremo a vedere. Nel frattempo ci domandiamo: e fino ad oggi, cosa hanno fatto?

 E veniamo alle aste dei titoli pubblici, alla speculazione e alla tracciabilita’ del denaro

Lo Stato dice: “La speculazione vuole rendimenti del 7 % altrimenti non acquista i miei titoli”. Ma “chi è” la speculazione? Se io Stato lancio un’asta per la vendita dei miei titolo di debito pubblico, saprò bene chi sono i “vincitori aggiudicatari” delle singole tranche dell’asta. Ecco, diteci chi sono gli “speculatori”. Non vorrei mai scoprire che sono le stesse banche, le quali vogliono spuntare il maggior tasso possibile, per fare il massimo utile possibile, per poi reinvestirlo in altre aste, per fare altri utili, per dare stipendi e premi fa-v- lo-si-ai loro super manager, etc… Tracciabilità del denaro, appunto. Non solo per le somme dell’ordine di grandezza di poche migliaia di euro, ma anche soprattutto per le milionate e le miliardate di euro. Non vi pare? La legge è uguale per tutti, e per tutte le tracciabilità. O no?

La finanza dei mutui sub prime USA in testa), dei tassi taroccati (GB  in testa), delle banche che non fanno banca bensì finanza, della cartolarizzazione, delle aste dei titoli pubblici, delle operazioni di borsa allo scoperto, delle pagelline (spesso sbagliate!) delle società di revisione USA, dei paradisi fiscali e valutari ha rovinato l’economia reale e il cittadino reale. E’ ora di prendere atto di ciò e di ricominciare. A fare le cose in modo serio, onesto e comprensibile da parte di tutti i cittadini.

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DUE PANINI, DUE BANANE, TANTA ACQUA, DUE AMICI ED UNA BICI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 2 Agosto, 2012 @ 6:22 am

Detto altrimenti: biciclette in vacanza (foto Edoardo Pellegrini)

 

I boschi ed i prati della prima parte

La ciclabile delle valli di Fiemme e Fassa. L’avevo già “pedalata” una volta, in solitaria, da Molina di Fiemme a Pozza di Fassa, dove terminava. Poi mi sono detto: ma l’avranno ben prolungata: andiamo a vedere. Molina di Fiemme. Il parcheggio dell’auto è ai piedi della salita per il Passo del Manghen, salitona veramente impegnativa che “scalavo” in bici da giovane, partendo da Trento: Trento, Vigolo Vattaro, Caldonazzo, Valsugana, Telve di Sopra e di Sotto, Passo del Manghen, Molina di Fiemme, Val Floriana, Segonzano, Trento. 140 km. Ricordi di gioventù! Ora, alla tenera età di 68 anni, dopo una interruzione ventennale dai pedali (causa la malattia della barca a vela sul Garda che avevo contratto!), mi accontento di molto meno.

I tre ... moschettieri (Pio, Riccardo, Edoardo)

Con gli amici Pio e Edoardo, reduci da quattro giorni sulle ciclabili del danubio, (Nonesi, ma che con un Genovese come me si trovano benissimo, vista la comune fama di parsimoniosi risparmatori che ci accompagna!) si parte alle 08,30. Pista ombrosa, salita assolutamente pedalabile, bella sino a Predazzo. Dopo, diventa bellissima e dopo Moena, addirittura splendida per lo spettacolo delle Dolomiti. Al km 37 siamo a Pozza di Fassa. Si prosegue fino a Pera. Poi diventa sterrata, sempre pedalabile … poi … quasi pedalabile … poi … ripida, mannaggia! Siamo nel bosco. Si fatica non poco. In qualche tratto io scendo a spingere. I miei amici no. D’altra parte me lo posso permettere: sono il più vecchio! Arriviamo a Campitello. Abbiamo percorso 45 km. in tre ore e mazza, soste per foto ed “esigenze idrauliche” comprese. In salita il mio cambio mi ha dato qualche problema: la catena tende a slittare e a “saltare”. Sarà il cambio o gli ingranaggi consumati? Vedremo al rientro, anche perché fra due giorni, con gli amici di Bici UISP Trento abbiamo la Dobbiaco – Cortina – Calalzo di Cadore.

 

Al ritorno, non è tutta discesa!

Ci fermiamo su una panchina in un bel parco pubblico a consumare il meritato pasto. Sullo sfondo la funivia che sale al Sass Pordoi, il Belvedere di Canazei, le Dolomiti! Il primo tratto della discesa lo facciamo sulla statale, lungo la quale incrociamo ciclisti “da corsa” che salgono ai vari Passi (Sella, Pordoi, Fedaia). A Moena, all’altezza della Scuola Militare Alpina della Polizia di Stato, Io e Pio rifacciamo il percorso che attraversa il paese. Edoardo si tiene in alto a destra e taglia per i campi. Dopo qualche telefonata, ci ricongiungiamo a Predazzo.

Alle 16,00 siamo alle auto. In totale 90 km.. Quindi  in un’oretta io a Trento e loro due a Cavareno. Grazie, amici, grazie bici!

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VENI, VIDI, BICI!

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 31 Luglio, 2012 @ 10:50 am

Detto altrimenti: ma insomma, co’ ‘sti post economici, politici, aziendali! Sei in pensione e per di più in vacanza … ma ti pare il caso? Eh si, amici, avete ragione. Questa mattina presto ho scritto la terza puntata delle SpA miste. Ma poi mi sono detto: va’ … va’ …, prendi la bici e fatti un giro, che ti fa solo bene!

Passo del Ballino, verso Nord: l'imbocco della strada romana

Ed allora, via! Ho preso la mountain bike, vedrete fra poco il perché. Parto da Riva del Garda alle 07,15, con il fresco. In salita, verso Deva e Pranzo, quindi raggiungo il Lago di Tenno e poi dopo 15 km in totale, il Passo del Ballino (m.750). E qui comincia il bello. Me lo avevano detto che c’era … l’avevo intravisto … un sentiero che si diparte immediatamente dopo il passo, sulla sinistra per chi proviene da Riva del Garda, percorribile con la mountain bike … E’ la vecchia strada romana, mi aveva spiegato l’amico Don Marcello Farina un giorno che ero andato a trovarlo a Balbido, suo paese natale ove celebra la S. Messa tutte le domeniche mattina alle 10,00 nella chiesetta di S. Giustina, là, appena fuori il Paese Dipinto (dipinto, per via dei suoi “murales”).

Breve sosta all'edicola: chi un pensiero, chi una preghiera

 

Ed ecco che mi addentro in questa selva oscura … Il sentiero è molto agevole, anche carrozzabile. Infatti lungo il percorso vi sono quattro casette, alcune riattate, altre semi rimodernate, altre allo stato brado. E’ un leggero saliscendi, fondamentalmente in discesa per chi lo percorre da sud verso nord. Ombreggiato, dopo circa 4 km vi conduce ad un bivio da cui, salendo a sinistra per 2,7 km e 180 m. di dislivello, raggiungereste Balbido, appunto.

 

Ma io avevo ottenuto lo “scopo di scoprire” questo arricchimento delle mie solite vie. E quindi l’ho ripercorso in senso inverso e poi dal Ballino sono sceso a Riva del Garda per l’altra strada, quella che passa da Ville del Monte e Tenno paese. Curve e controcurve entusiasmanti, con il Garda sullo sfondo! In totale, 40 km.

 

 

L’ “arricchimento” di cui vi ho parlato è importante: infatti rende ancora più interessante il percorso Riva del Garda – Ballino – Altopiano di Fiavè – Ponte Arche – Sarche – Pietramurata – Dro – Arco – Riva (circa 75 km, se ricordo bene). Una gita splendida, soprattutto ora che nel tratto Ponte Arche – Sarche è in costruzione la pista ciclabile la quale, correndo all’esterno, eliminerà il passaggio nelle attuali gallerie, per di più regalando ai ciclisti la splendida visione del canjon ove scorre il Sarca, spettacolo oggi non godibile.

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SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N.199 DEL LUGLIO 2012: I SERVIZI PUBBLICI LOCALI (SS.PP.LL.) NON SI POSSONO PRIVATIZZARE – TERZA PUNTATA (la prime due puntate sono state pubblicate il 23 e il 30 luglio scorsi)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 31 Luglio, 2012 @ 5:33 am

Detto altrimenti: società di investimento, di gestione o di entrambe le “cose”?

Nell’esempio di cui alle puntate precedenti, si parlava di una SpA mista pubblico privata chiamata a progettare e realizzare un investimento (strumentale all’esercizio del Servizio Pubblico locale) e quindi a gestirlo. E’ questo il caso più complesso, non tanto per la presenza della fase di progettazione, quanto per la coesistenza delle due fasi della realizzazione e della gestione.

Infatti, per realizzare un’opera pubblica, occorre investire notevoli masse di denaro, le quali, come spesso accade, vanno ben oltre la disponibilità della società. Si ricorre quindi al credito bancario a breve termine, in attesa di poterlo poi trasformare in un mutuo pluriennale (non appena l’Ente Pubblico avrà fornito alla SpA le indispensabili indicazioni di massima per la redazione di un piano pluriennale scorrevole). Orbene, fino a quando l’opera pubblica non è terminata ed aperta all’uso pubblico, la movimentazione del denaro è solo un aspetto finanziario. In altre parole, per il parteggio di bilancio della società è sufficiente che essa sia in grado di far fronte al servizio degli interessi.

Ma la società, spesso, è chiamata, nel frattempo, anche a gestire il servizio pubblico preesistente, e quindi – spesso – a corrispondere all’Ente Pubblico concedente anche un sostanzioso canone. Vi sono, invero, Enti pubblici “intelligenti” i quali riducono il canone preteso, di una somma pari al totale degli investimenti effettuati, fedeli al principio “o la botte piena, o la moglie ubriaca”. Tertium non datur. Ma sono eccezioni. Più spesso si esige dalla SpA mista sia l’investimento che il canone.

La situazione poi si aggrava quando l’opera pubblica è terminata ed aperta al pubblico. Infatti da quel momento i costi sono aumentati dagli ammortamenti del bene realizzato, mentre i ricavi, stante il normale periodo di avviamento, non possono essere a regime.

Cosa fare, dunque? Occorre innanzi tutto prendere coscienza di questa serie di problematiche ed affrontarle con serenità e professionalità, soprattutto da parte dell’Ente Pubblico Autorità Concedente, al fine di stabilire le precondizioni per il conseguimento di due obiettivi successivi: il pareggio economico, prima e lo sviluppo della società, ben oltre quel primo traguardo.

E la crescita spesso può avvenire attraverso il raggiungimento di una dimensione di scala maggiore dell’ambito pubblico originario. Orbene, ove fosse possibile “privatizzare” la SpA, essa potrebbe liberamente operare sul mercato ed ampliare il proprio raggio d’azione ed il pr0prio fatturato. Ove ciò non sia possibile, trattandosi di un servizio pubblico locale e quindi “non privatizzabile” per legge, la soluzione è quella di aprire la spa alla partecipazione degli enti pubblici confinanti per realizzare importanti miglioramenti funzionali e rilevanti economie di scala.

A questa ultima soluzione spesso si oppone una interpretazione campanilistica del prorio ruolo di amministratore pubblico, al cui interno ogni singolo ente pubblico interessato vuole mantenere la propria autonomia e indipendenza gestionale, anche a costo di sopportare pesanti diseconomicità funzionali ed economiche. Ben vengano quindi in Trentino Enti Pubblici più comprensivi (ad esempio, le Comunità di Valle) i quali possano catalizzare le iniziative a livello di bacini omogenei di utenza.

Fine della terza puntata. Nella prossima ed ultima vi parlerò della “motivazione” del personale dell’Ente Pubblico e della SpA.

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SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N.199 DEL LUGLIO 2012: I SERVIZI PUBBLICI LOCALI (SS.PP.LL.) NON SI POSSONO PRIVATIZZARE – SECONDA PUNTATA (la prima puntata è stata pubblicata il 23 luglio scorso)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 30 Luglio, 2012 @ 6:56 am

Detto altrimenti: la presenza degli azionisti privati in una SpA ad azionariato misto pubblico privato. Ma … azionisti privati  apportatori di competenze e prestazioni e/o di una quota sostanziale del capitale sociale?

Il settore pubblico in genere ha funzioni regolamentari e di controllo. Non imprenditoriali. Ed allora innanzi tutto abbiamo rispolverato il PF Project Finance. Dico rispolverato perché i primi ad usare questa tecnica erano stati gli antichi Romani. “Tu, ricco privato, costruisci a tue spese altri due moli nel porto di Ostia e noi, SPQR, te ne concediamo l’uso gratuito per 30 anni”.

Poi in Italia ci siamo inventati il PF “temperato”, all’italiana: “Tu, privato, costruisci la tale autostrada e noi te ne lasciamo i proventi per tot anni e siamo comunque impegnati a coprire eventuali perdite economiche. Cioè, l’eventuale utile a te e le eventuali perdite a noi”.

Sono poi nate le SpA ”in house”, cioè a capitale pubblico al 100%, le quali hanno fatto diventare imprenditore l’Ente Pubblico. Quelle che i Governi volevano chiudere e la Corte Costituzionale no. Ma qui i privati non ci sono, restiamo in tema, perbacco! Infatti, ecco le SpA miste!

Procediamo con un esempio. Un Comune deve realizzare un parcheggio interrato. E’ proprietario dell’area, e ne gestisce ovviamente la destinazione d’uso. Se non dispone di sufficienti risorse finanziarie, la costituzione di una SpA a capitale misto è giustificata dall’apporto di una sostanziale quota di capitale privato. Ma se il comune ha tutte le risorse finanziarie disponibili, perché costituire una SpA separata, per di più con la partecipazione dei privati? Il Comune, infatti, potrebbe lanciare tre gare per la progettazione, realizzazione e successiva gestione del parcheggio. I propri tecnici avrebbero la responsabilità del controllo dell’intera operazione. All’opposto sta la creazione di una SpA mista per pre-privatizzare in una qualche misura la gestione – nell’esempio – del servizio pubblico locale della sosta, al fine di precostituire lo strumento per far fronte al servizio finanziario normalmente insito in poperazioni del genere. Anche perchè è prassi dell’Ente Pubblico non computare fra i propri debiti i debiti delle proprie SpA (con il che il livello del debito pubblico nazionale salirebbe di molto!). Al riguardo v’è però da dire che se un debito è produttivo, cioè se genera utili maggiori del suo costo in termini di interessi corrisposti, esso è un “investimento”, cioè un bene non un male e quindi non andrebbe computato fra i “debiti negativi” (quelli che fanno aumentare lo spread) dello Stato.

Responsabilità, appunto, unita al “potere” della statuizione delle condizioni di gara. Potere unito alla responsabilità. Come dovrebbe essere sempre. Invece talvolta si tende a separare il potere dalla responsabilità. Il potere di stabilire le linee guida delle operazioni, il potere di giudicare i risultati, che rimane in capo all’Ente Pubblico, separato dalla responsabilità di conseguirli, che viene traferita in capo alla SpA. Ed allora ecco la SpA. Meglio se mista.

E’ pur vero che la presenza degli azionisti privati comporta anche vantaggi. Infatti spesso il personale pubblico non ha esperienza imprenditoriale, confonde gli aspetti finanziari con quelli economici e patrimoniali, opera sulla base di previsioni annuali e non pluriennali. Solo che occorrerebbe che l’Ente Pubblico considerasse la sua SpA come una “cosa” separata, non come un proprio ufficio cui “dare ordini” (sic). Perché, in tal caso, si sminuirebbe di molto il valore dell’apporto della componente privata.

Se poi i privati sono fatti entrare a fronte di un conferimento solo formale di capitale, in quanto portatori del know how, in tal caso l’Ente Pubblico dovrebbe stabilire in anticipo la data ed il prezzo della loro uscita dal capitale sociale, una volta terminata l’opera pubblica. Altrimenti essi riceverebbero un ingiustificato regalo di denaro pubblico.

Un chiarimento della situazione potrebbe venire da un aggiornamento e completamento delle norme del codice civile che oggi regolano – in modo incompleto -  la materia.

Vi è poi, almeno per certi aspetti, il problema del giudice competente a giudicare la materia. Il giudice ordinario o la magistratura contabile (Corte dei Conti)? Infatti può succedere che atti gestionali della SpA, regolarmente approvati in bilancio e non impugnati dagli Azionisti entro il termine quinquennale stabilito dalla legge per l’esercizio della “azione di responsabilità”, siano poi contestati dalla Corte dei Conti entro il maggior termine decennale che le è concesso prima che essi diventino non più censurabili.

La materia è complessa e molto tecnica e questo mio è sicuramente un post molto tecnico. Ho inteso accennarne solamente, cercare di impostare almeno per sommi capi la problematica, non certo di arrivare alla “soluzionatica”.

Fine della seconda puntata.

In una terza puntata vi parlerò di SpA di investimento, di SpA di gestione e di SpA di “tutte e due le cose”. Nella quarta ed ultima puntata, parlerò della “motivazione” del personale, in ambito pubblico e nelle SpA.

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ITALIA – GERMANIA : nel calcio, due a uno. Ma nel resto?

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 27 Luglio, 2012 @ 7:30 am

Detto altrimenti: alla fine della seconda guerra mondiale la Germania era ridotta a terra. Oggi sopravanza di molte lunghezze tutti gli stati europei. Perché? Come ha fatto?

 

Un mio amico (Edoardo P.) è reduce da un tour in bicicletta di quattro giorni lungo le sponde del Danubio. Nei suoi commenti ai post di questo blog scrive: “Se avessi 20 anni, mi trasferirei in Germania”. Perché, gli ho chiesto. Risponde così.

1. Gli automobilisti tedeschi rispettano i limiti di velocità, anche quando sono per noi assurdi, come per esempio quelli di 30 o 40 Km all’ora che abbiamo visto dalle parti di Friedrichshafen, lungo il lago di Costanza.
2. Gli automobilisti tedeschi si fermano spontaneamente agli attraversamenti pedonali e non danno segni d’impazienza mentre passano i pedoni o i ciclisti.
3. Il rispetto per l’ambiente in Germania è spaventosamente avanti rispetto a noi, tutto sempre pulito, ordinato, niente rifiuti ed edifici abbandonati, nessun insediamento abusivo, edifici e centri storici tenuti alla perfezione, boschi e campagne da cartolina, manutenzione ovunque.
4. I prezzi delle case e del vestiario sono mediamente più bassi dei nostri.
5. Gli stipendi medi della “fascia bassa” sono al livello di circa €3.000 al mese.
6. Niente schiamazzi, notti bianche e movide, alla sera c’è una tranquillità ed un silenzio quasi inquietante.
7. Alla stazione di Ulm i treni sono moderni e viaggiano in perfetto orario.

Direte: sono aspetti superficiali … Mica tanto, dico io, e comunque proviamo a cominciare da qui, perbacco!

Comportamenti civili … provate voi a guidare l’auto alla velocità di 40Kmh prescritta nelle rampe di accesso e di uscita dalle nostre autostrade, e sentirete che concerto di strombazzate che vi fanno da retro!

Prezzi di vendita … dipendono dai costi di produzione e dall’avidità di chi li vuole ricaricare di margini esosi. La nostra ENI-Agip nei week end ha ridotto i prezzi dei carburanti. Le altre compagnie gridano alla “concorrenza sleale”! La VolksWagen incrementa le vendite, premia la sua dirigenza ed i suoi operari. La Fiat di fatto sta chiudendo in Italia (sempre meno modelli in produzione!?) e Marchionne grida al dumping, perché i prezzi delle auto tedesche sarebbero troppo bassi. Ma si può?

Problema ambientale … improvvisamente (??), dopo decenni, ci si “accorge” che lo stabilimento ILVA di Taranto è inquinante, è fuori norma. Si interviene. Ok, ma sino ad oggi chi ha omesso di intervenire?

Sperpero delle risorse pubbliche … improvvisamente (??) ci si accorge che un paesello della Sicilia ha più impiegati forestali dell’intero Piemonte. Si interviene. Ok, ma sino ad oggi chi ha omesso di intervenire?

Riforme … abbiamo bisogno di una riforma elettorale seria ed invece qualcuno cerca di far passare il presidenzialismo, magari proponendo di eleggere Capo dello Stato con i poteri di un primo ministro chi abbia ricevuto, personalmente, la maggioranza relativa dei voti!

 

E noi accettiamo tutto questo? Ma già, è estate, tutti al mare, tutti al mare, a mostrar le chiappe chiare … E invece no. C’è qualcuno che al mare non ci è andato e vi scrive: sino a qui la pars destruens. Eccovi ora la pars construens: chiediamo al nostro governo di mandare una commissione in Germania per “vedere come si fa” e in tale attesa, sveglia, raga, sveglia!

 

 

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EDIZIONE … CHE DIRE? STRAORDINARIA? …. OPPURE NO, PURTROPPO, ORMAI “ORDINARIAMENTE ORDINARIA”? (in ogni caso siamo in vacanza … post breve, dunque!)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 25 Luglio, 2012 @ 5:59 pm

 Detto altrimenti: un haiku (poesia giapponese di tre soli versi) italiano:

Dall’alto: il Capo dello Stato (con i poteri di primo ministro) eletto direttamente dal popolo.

Dal basso: i parlamentari “eletti direttamente” dalle segreterie dei partiti.

In mezzo: gli Italiani.

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