STATI UNITI D’EUROPA? SI, MA …

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 19 Febbraio, 2018 @ 7:40 am

Detto altrimenti: … ma non come altri Stati Uniti, grazie!   (post 3079)

Questo è un postaltrui, del mio amico Fabio Pipinato, e lo pubblico “a sua insaputa”. Il titolo originario era “Stati Uniti d’Europa? No, grazie”. Mi sono permesso di cambiarlo perché avrebbe potuto essere fuorviante (scusami, Fabio): infatti nel suo contenuto è “Si, grazie, ma non così … non proprio con i difetti di altri Stati Uniti …”

 Inizia

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         Regaliamole le strisce, ma le  “nostre” strisce!

 1 – Novità. Una delle novità di questa campagna elettorale è certamente la lista “+ Europa”. Ottimo slogan che tuttavia nasconde una visione del vecchio continente non ancor altrettanto del tutto condivisibile. Infatti, il continuo riferimento agli “Stati Uniti d’Europa”, da parte di Renzi e Bonino rispolvera, in verità, un’idea datata ai tempi di Mitterand e Kohl ma non rende onore agli ideatori del nostro “stare insieme” (Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Ursula Hirscmann e Eugenio Colorni) né ai suoi realizzatori (De Gasperi, Schuman e Adenauer)”.

 2 – Storia. La Storia (conosciuta) dell’Europa risale a migliaia di anni prima di Cristo. La vecchia Europa ne è intrisa e attraversando i suoi borghi possiamo scrutare le diverse epoche. Anche quella della terra che oggi ospita gli Stati Uniti ha una storia “più antica delle montagne”, storia che è stata, purtroppo, eliminata con l’arrivo dei coloni europei. La storia d’Europa si legge sui muri con la denominazione di personaggi famosi (rue Victor Hugo) e non nella sterile numerazione delle vie (5^ Avenue).

 3 – Geografia. L’Europa è calpestabile, percorribile a piedi. Vi sono un’infinità di percorsi, sentieri europei, cammini, pellegrinaggi. Impensabile nel West delle carovane muoversi senza mezzi: anche la sua conquista fu faticosa. L’Europa ha sempre avuto un ambiente che ha facilitato gli spostamenti e non si può dire altrettanto per chi ha tentato il coast to coast. L’Europa ha diverse lingue, usi e costumi: questo, nel tempo dell’omogeneizzazione, la rende più interessante.

 4 – Comunità. E’ il tratto forse più distintivo. Guardiamo alle città fatte di piazze, cattedrali, fori, parchi, giardini. Il tutto per favorire l’incontro della civitas. Ma anche i caffè ove si filosofeggia, si congiura, si idealizza, si legge e si sogna, per dirla con Steiner. Non solo si consuma o ci si dà appuntamento a mò di happy days. Non è un caso che nell’Inghilterra della Brexit vi siano i pub che sono leggermente diversi dai caffè di Pessoa a Lisbona o di Kafka a Praga.

 5 – Bivalenza. Europa, figlia di Agenore, re di Tiro (un’antica città fenicia) ha origini “libanesi”. Nacque tra Atene e Gerusalemme, tra ragione e fede; con Socrate e Isaia. Da un lato la convivenza sociale, la democrazia, la società laica e dall’altro i mistici, la spiritualità e la santità ma anche il dogma e il fanatismo con le sue crociate “in nomine Dei”. Tutt’altro dai “senza Dio” “scoperti dall’italiano Cristoforo Colombo il quale scrisse: “Mi parve che non abbiano alcuna religione» (11 ottobre 1492). «Questa gente è molto mite e timida, nuda, come ho detto, senza armi né legge» (4 novembre 1492). «Non hanno religione e non sono idolatri». L’Europa conquistò la terra nominata da Amerigo Vespucci con armi, leggi e croce. Portando la propria “democrazia”: cosa pericolosa tanto ieri quanto oggi.

 6 – Sociale. L’Europa è stata forgiata, violentemente, dalla “libertè, egalitè, fraternitè” e mal tollera le differenze sociali, le ineguaglianze. Protegge molto di più i meno fortunati, come gli anziani e i disoccupati grazie anche ad una cultura prima socialista e poi socialdemocratica che ha avuto cittadinanza in Europa. Negli USA il limitato tentativo dell’Obama-care sta per essere smantellato più dalle holding della farmaceutica che dalla Casa Bianca.

 7 – Ambiente. In Europa abbiamo una sensibilità maggiore per i problemi ambientali. Siamo tra i primi firmatari degli accordi promossi dalle Nazioni Unite (peraltro sconfessati dalla White House). Cerchiamo di mangiare più sano, siamo cauti sugli OGM e stiamo attenti al consumo d’energia e al sistema di trasporto.

 8 – Disarmo. Gli Usa sono nati nel segno della colt soppiantata dal winchester. Le armi sono ovunque e, diciamola tutta, anche attraverso esse è stata possibile la liberazione dell’Europa dal nazifascismo. Ma l’eccesso va dalle migliaia di atomiche disseminate in metà pianeta sino alla diffusione capillare delle “small arms” che diffondono insicurezza e morte nelle scuole. Insomma, meglio un’Europa disarmata o, meglio, un’Europa che cerchi, finalmente, di darsi una Difesa Comune al fine di non dover ancora e vergognosamente dover ricorrere all’alleato d’oltreoceano per risolvere problemi nel cuore dell’Europa come accaduto in più occasioni nei Balcani.

 9 – Diritti. Il solo fatto che in tutta Europa non esista la pena di morte è un tratto distintivo non da poco. Che negli Usa sia presente e se ne abusi rende questo grande e straordinario paese al pari degli “stati canaglia” da essi stessi elencati.

 10 – La Francia. Sia Renzi che Bonino guardano incantati a Macron che insiste anch’egli su “+ Europa”. E noi siamo con lui. Ancor più con lui se rinunciasse alla sede di Strasburgo e relativi transfer per il Parlamento Europeo. Ancor più con lui se ritirasse le truppe francesi da Ventimiglia. Ancor più con lui se le lobby dei contadini francesi la smettessero a contrastare le politiche PAC. Ancor più con lui se rinunciasse alla “grandeur” appoggiando dittatori africani e conseguenti migrazioni.

11 – Insomma, come Europa siamo altra cosa rispetto agli Usa ma, a ben vedere, non siamo ancora “la cosa”.

Finisce

Grazie, Fabio, per la mail che ai inviato a me e ad alcuni amici, grazie. Sai, mi sono permesso di numerare i tuoi singoli punti così posso fare un riferimento preciso ai singoli concetti espressi: ad esempio alla frase finale del punto 5), quando citi l’esportazione della democrazia. Infatti io non “faccio politica” ma cerco di “fare democrazia” e se dai un’occhiata a molti miei post, anche recenti, ne troverai conferma. Al riguardo io cerco di essere molto chiaro, di non essere frainteso (e non certo da te ma da lettori magari un po’ distratti): quando affermo che la democrazia è il migliore dei sistemi peggiori, voglio solo dire che al suo interno agiscono due gruppi di persone: quelle che ci marciano, facendo slalom fra i suoi difetti e quelle che cercano di migliorarla (io mi colloco fra questi ultimi).

Mi è piaciuta molto anche la frase finale del n. 10: l’appoggio di taluno ai dittatori africani e le conseguenti migrazioni, salvo poi schierare le proprie truppe a Ventimiglia! E’ un po’ come lanciare il sasso nello stagno e ritirare il braccio!

A questo punto, Fabio, lascia che io aggiunga qualcosa di mio: quando a suggerirci + Europa sono gli altri (Macron), mi viene in mente un proverbio popolare che il mi’ babbo, toscanaccio maledetto alla Curzio Malaparte, soleva dire: “Un mi date consigli che so sbagliare dammè”; e poi quell’altro, ben più antico, omerico “Timeo danaos et dona ferentes”.

Comunque, Buoni SUE-Stati Uniti d’Europa a tutte e a tutti, ma di quelli veri, quelli fondati sui nostri migliori principi di civiltà, solidarietà, eguaglianza sociale, laicità (=pluralismo, molteplicità): principi che farebbero degli SUE la locomotiva per un nuovo Rinascimento Planetario. Senza colt e senza winchester … e anche senza le Beretta e le mine anti-uomo!.

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LA POLITICA E IL DESIDERIO

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 18 Febbraio, 2018 @ 6:45 pm

Detto altrimenti: il desiderio e la politica         (post 3078)

Il desiderio. Ne ho parlato due post fa in relazione alla sua funzione sostitutiva rispetto all’istanza penitenziale autopunitiva della Quaresima della birra (cfr. ivi). Oggi riprendo il discorso secondo l’ottica del grande filosofo francese Gilles Deleuze (1025-1995).

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           Gilles Deleuze

Guardo la foto che ho scattato l’estate scorsa al mare, perché voglio rivivere le sensazioni vissute allora guardando quel mare. Ma qualcosa non funziona, non attingo più alle stesse sensazioni. Come mai? Nei termini posti da Deleuze, il problema è l’oggetto del desiderio o, per meglio dire, la possibilità che il desiderio possa avere un oggetto. Non rivivo le stesse sensazioni, cioè, perché ciò che le aveva generate non era un oggetto (che la foto potrebbe effettivamente rappresentarmi) ma un insieme (che le foto non può più rendere). Di che insieme parla Deleuze? Dipende: l’insieme del mare, del vento, delle conversazioni appena avute sulla spiaggia, dell’effetto della sabbia fra le dita dei piedi, del pensiero della cena che mi attende, della doccia di cui ho bisogno, ecc.. Proprio per questo non si desidera che un insieme.

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Il discorso è mutuabile a prescindere dal contesto. Una stessa partita di calcio vista da solo o in compagnia cambia perché cambia l’insieme, non perché cambia la partita. Questa sera ci sarà Milan-Sampdoria, e io – sampdoriano come mio figlio – la vedrò con lui, in un insieme diverso da quello che si costituirebbe se la vedessi da solo (finirà 1:0 per il Milan, acc…).

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Passando alla politica, la questione si ripropone e si arricchisce. Non soltanto si desidera sempre un insieme. Ciò che conta è che si desidera sempre insieme. Perché un insieme, come le cose su cui verte un programma politico, deve essere sempre desiderato insieme. A questo punto una domanda: perché il desiderio è stato espulso dalle categorie politiche in favore di una pura razionalità? Non esiste forse anche un desiderio immediatamente collettivo in cui riconoscersi assieme? E qui viene il simbolo, fattore di unione per tutti coloro che vi si riconoscono. Ma se taluno, fosse anche il suo ideatore, vuole fare del simbolo una proprietà privata, esso, da elemento di unione diventa fattore di guerra e di divisione e soffoca l’ “insieme desiderante”.

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LO STATO DI ECCEZIONE

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 18 Febbraio, 2018 @ 12:17 pm

Detto altrimenti: si dice che “l’eccezione fa la regola”, ma quando è troppo è troppo! (post 3077)

Care lettrici e cari lettori, salve! Rieccomi a voi dopo un’assenza di … un paio d’ore! E come? Con una ripresa, riveduta e corretta di argomenti già esposti in passato, sapete … repetita iuvant! Ed allora riprendo “lo stato di eccezione”. Dai, leggetelo, non è palloso né complesso … no: anzi, è molto attuale. Grazie poi se lo voleste commentare: vi aspetto!

downloadLo stato di eccezione. Ne parlava Carl Schmitt nel suo libro “Dialogo sul potere” (Adelphi). Chiarisco subito: lungi da me approvare le tesi di un filonazista che ha rischiato di essere processato a Norimberga. Morto nel 1985, resta tuttavia un “terribile giurista” un filosofo del diritto, un giurista internazionalista. Egli – fra l’altro – teorizzò che il sovrano, il tiranno, il capo di tutti e di tutti è colui che, valutate le circostanze, può decretare e applicare lo stato di eccezione ovvero la sospensione del diritto e delle regole generali. Richiamo questa sua teoria in relazione ad un mio scritto, là dove parlavo della laicità (= pluralismo): a proposito delle “eccezioni di legge” rispetto alla “legge uguale per tutti”, mi chiedevo chi avesse il potere di stabilire la linea di confine fra le eccezioni di legge (peraltro già loro da maneggiarsi con cautela!) da un lato e le violazioni della legge, dall’altro. Mi spiego con alcuni esempi.

  • Chi ha il potere di decidere che una “gestione separata INPS” che garantisce pensioni super d’oro ad una classe di privilegiati, sia una eccezione di legge e non una violazione della regola generale che stabilisce un tetto massimo ed un livello minimo per tutti?
  • Chi ha il potere di decidere che il “diritto acquisito” di un Ministero di gestire al proprio interno una fetta (troppo, n.d.r.) ragguardevole di fondi pubblici (assicurati per più anni indipendentemente dall’evoluzione del quadro delle priorità nazionali) sia una eccezione alla legge di una equa e aggiornata distribuzione delle risorse e non sia invece una violazione di tale norma?
  • Ancora: una legge stabilisce che nessun lavoratore RAI possa essere pagato più di 240.000 euro l’anno (e già mi sembra molto!), con eccezione degli artisti. Ma allora, se si vuole vsuperare questa norma, cosa si fa? A due notissimi presentatori TV si fa un contratto da “artista”. Eccezione o violazione?
  • Chi stabilisce – in deroga alla legge generale – che si può andare in pensione a 55 anni perché quel lavoro è più usurante deli altri lavori usuranti?
  • Last but not least: lo statuto di un partito politico stabilisce che i componenti della commissione elettorale non possono essere candidati? Ed allora un gruppo di dirigenti di partito si riunisce e decreta il contrario come una accettabile ed accettata eccezione alla regola statutaria. A questo punto chiedo: chi ha il “potere”? L’iscritto che ha votato quello statuto o quei tali che lo violano?

Ecco, la sospensione della validità generale di un principio, di una legge; lo stabilire eccezioni e ancor peggio definire eccezioni quelle che invece sono vere violazioni; cambiare leggi superiori con decisioni di organi di livello inferiore: ecco i punti sui quali soffermarsi a ragionare un po’ di più a vantaggio di una democrazia “vera”, quella che attribuisce il potere al popolo secondo regole e leggi generali e non a chi vive di eccezioni e violazioni della legge.

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QUARESIMA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 18 Febbraio, 2018 @ 11:22 am

Detto altrimenti: che fare?                                 (post 3076)

Un amico, qualche giorno fa: “Ho fatto un cenone con gli amici e giù birra a gogò che poi, per quaranta giorni nisba”. Ecco, la Quaresima della … birra! Da secoli infatti siamo stati abituati ad una Quaresima di penitenza, di sacrificio … Dice: ma se poi arriva la Pasqua, cioè – per chi ci crede – una Gran Festa? (Per i non credenti il problema non si pone), non sarebbe molto meglio “desiderarla” questa festa, anzichè autoflagellarsi con privazioni e penitenze?

Ieri un filosofo, uno storico che poi è anche sacerdote: “Quaresima di sacrificio e penitenza o di Desiderio? Desiderio di avvicinarsi alla vittoria di Cristo, di avvicinarsi alla Croce come simbolo della vittoria del bene sulle tenebre; di avvicinarsi alla Resurrezione, la quale, dopo la Creazione, è il secondo dei due pilastri della nostra religione”.

La valle di lacrime … il dolore … purtroppo esistono, ma almeno cerchiamo di evitarli, di non di anelare ad essi, di non di esaltarli, di non ricercarli, bensì di evitarli per noi e per gli Altri. Infatti ciò che ci purifica, ciò che ci prepara a celebrare la Santa Pasqua è

  • l’attenzione all’Altro;
  • l’accoglienza dell’immigrato;
  • il rispetto per la natura;
  • l‘abolizione delle guerre;
  • una più equa distribuzione delle risorse del mondo;
  • la laicità (=pluralismo = accettazione del diverso da noi);
  • la speranza, il desiderio di …,

non certo il “non bere birra (o vino, n.d.r.) per quaranta giorni”.

(Concordo, n.d.r.)

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LA STORIA DI UNA PAROLA: “DEMOCRAZIA”

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 17 Febbraio, 2018 @ 3:42 pm

Detto altrimenti: la democrazia e la storia del suo significato nei millenni, ovvero successivamente potere sul popolo; strapotere del popolo; potere del popolo.     (post 3075)

Innanzi tutto: se oggi non fossimo in democrazia, probabilmente verrei condannato all’ergastolo come i sei giornalisti turchi. Fatta questa premessa, la democrazia è sicuramente il migliore fra i peggiori sistemi di governo: infatti è un ottimo sistema imperfetto entro il quale operano due categorie di persone: quelle che “ci marciano” e quelle che si sforzano di migliorarla (io sono in questo gruppo).

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Esiste un libretto, poche paginette, lo trovate in libreria, autore anonimo: chiedete l’Anonimo Ateniese e se ve ne chiedono l’autore (è successo!) dite pure che è anonimo. L’autore era probabilmente un esule ateniese contrario alla cosiddetta democrazia ateniese (1), il quale si “permise” di criticarla proprio perché era esule! Egli sottolinea i difetti del sistema, e fino a qui niente di nuovo. Poi prosegue spiegando come mai, nonostante tutti quei suoi difetti, quel sistema durasse così a lungo.

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La parola democrazia , nei millenni, ha assunto in successione i tre significati del sottotitolo. Oggi siamo al terzo significato e … per favore, cerchiamo di fermarci a questo! Ma oggi, a quali rischi è esposta la nostra democrazia? Alla eccessiva “lunghezza della democrazia”, cioè alla eccessiva distanza fra la democrazia espressa con il voto del cittadino e la democrazia realizzata dagli eletti/nominati a legiferare e governare. In un post di poco precedente ho paragonato la democrazia ad un ruscello di acqua limpidissima, ma dal corso troppo lungo, durante il quale taluno deriva illegalmente acqua purissima ed altri ugualmente illegalmente vi immettono acqua torbida. Stando così le cose, può capitare che al cittadino “a valle” resti – purtroppo – poca acqua da bere e spesso nemmeno del tutto pura.

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(1) Ma qua’ democrazia ateniese … ma mi facci il piacere! Era un impero coloniale guidato da un princesp, Pericle, per trent’anni filati (evitando in tal modo il previsto rendiconto finanziario annuale!) durante i quali egli fece i soldi con le OO.PP. (sue e dell’arch. Fidia) e fece politica e poichè la politica era solo di guerra, fece molte guerre, tutte perse (Siracusa, Egitto, Sparta). Nel frattempo però andava vincendo di volta in volta quelle contro le isolette che “spintaneamente” costringeva a diventare sue alleate. La formula era: “Diventate nostri alleati: ci pagate tributi, ci fornite soldati e donne. In caso contrario sbarchiamo e vi rendiamo schiavi. A voi la libera scelta, perché noi siamo democratici e la scelta spetta al popolo, in questo caso al vostro popolo”.

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Quesito per le lettrici ed ai lettori: secondo voi, anche oggi, esistono novelli principi ateniesi che ci dicono: “Alleati con me o ti distruggo”?

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CHI TACE … NON DICE NULLA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 17 Febbraio, 2018 @ 2:47 pm

Detto altrimenti: così nel Diritto Romano. Oggi no, chi tace acconsente!   (post 3074)

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Lo confesso: ho una seconda casa! Ovviamente pago la fornitura della corrente elettrica al prezzo (maggiorato) riservato alle seconde case. Chi me la fornisce lo sa bene. Ora, il fornitore mi scrive una lettera raccomandata all’indirizzo della seconda casa preannunciando il rinnovo del contratto a meno che io non manifesti espressamente la volontà di non rinnovarlo. Ovvero: se io taccio, acconsento.

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La raccomandata è stata spedita all’indirizzo di una seconda casa. E se l’utente in quella seconda casa non ci va per mesi? Oppure: si parte da casa sua e percorre 100 km per andare a ritirare la raccomandata. Già, perché l’avviso lo ha ritirato sua moglie di passaggio per caso in quella seconda casa, ma non aveva la delega del marito che era il destinatario della lettera, quindi: 100 km. Ma se la seconda casa fosse distante, chessò … 200 km! Peggio mi dice!

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Finalmente ho quella lettera davanti a me: in allegato un foglio formato A4 stampato fronte retro, riportante su tre colonne per facciata le condizioni contrattuali generali scritte in formato arial 2, praticamente leggibile solo con l’aiuto di una lente di ingrandimento e tanta, tanta pazienza.

Ma si può?

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LE GRANDI MIGRAZIONI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 17 Febbraio, 2018 @ 6:49 am

Detto altrimenti: ma se le abbiamo fatte noi per primi, di che ci lamentiamo?      (post 3073)

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downloadNoi europei. Si, raga, e chi altro sennò? Sentite anzi leggete un po’: in Canada si parla francese ed inglese; negli USA inglese e spagnolo; in centro America, spagnolo; in Sud America spagnolo e portoghese; in Australia, inglese. E mi fermo qui. Vorrà pur dire qualche cosa, o no? Leggete un libro assai interessante, quello qui a fianco, quello che racconta come di pari passo con lo sviluppo della tecnologia (ad esempio, quella dei battelli fluviali a vapore) abbiamo esteso la nostra “conquista” di un posto al sole (ad esempio, in Africa centrale). Abbiamo esportato le nostre lingue, la nostra cultura distruggendo la cultura locale, la nostra politica coloniale di sfruttamento, la negazione della democrazia e della libertà altrui ed ora … ora protestiamo contro gli effetti della nostra azione di un passato lontano e recente. Ma dai … siamo seri!

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Aiutiamoli a casa loro, si sente dire. Si, bene, bravi … chiediamo aiuto alle multinazionali che si stanno comperando la terra e l’acqua del mondo, dai … quelle sì che potrebbero aiutarli a casa loro! Cosa? Non sono abbastanza chiaro? Ed allora mi permetto di suggerirvi un secondo libro, anche quello qui a fianco, perché chi semina vento …

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LE SCUOLE “ESCLUSIVE”

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 17 Febbraio, 2018 @ 6:27 am

Detto altrimenti: le scuole “che escludono”       (post 3072)

Giorni fa un quotidiano ha riportato la “pubblicità” che alcune scuole (di Roma e di Genova) si sono fatte per attrarre alunni di razza bianca e di classi sociali elevate. Un quotidiano locale ha riportato in prima pagina l’intervento scandalizzato di un lettore. Qui di seguito trovate la lettera che ieri sera ho inviato al direttore di quel giornale:

Inizia

(a seguito della lettera di Mario Cossali, su Trentino del 14 febbraio, pagg. 1 e 8)

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A sinistra la Questura, al centro la scalinata al Milite Ignoto, le aiuole con le tre caravelle di Colombo (!?), e “a destra” il liceo. A destra, appunto, anche troppo!

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Io, genovese “ma” trentino da trent’anni, in una di quelle scuole ci sono stato e cresciuto, a Genova: le medie, il ginnasio, il liceo. Tanti anni fa (oggi ne ho 74, fate voi il calcolo). Un mio compagno fu mandato fuori dalla porta da un professore al grido: “Vai fuori dalla porta, teddy boy!” perché … indossava un paio di blue jeans! Un altro professore, quando si arrabbiava, ci chiamava “garzoni di pizzicagnoli, andate a fare gli scaricatori in porto”. Ora come insulto … se non altro quello dello scaricatore di porto proprio non c’azzeccava, visto che uno di quei lavoratori all’epoca guadagnava quattro volte lo stipendio di un bancario, ma tant’è … E noi? Noi (e con noi la società) eravamo “troppo molto prima del ‘68”: sentivamo che la cosa era ingiusta ma non esisteva la categoria della contestazione.

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A carnevale si usciva in gruppo, a far festa per le strade, ogni alunno con il cappello papalina con i colori del proprio istituto. Un giorno incrociammo “quelli del Nautico”: “Ecco i signorini, ecco gli snob” ci gridarono. Ed io stupito perché  … perché ero io a considerali privilegiati; ero io che li invidiavo; ero io che costruivo modellini di barchette a vela con i legnetti delle cassette della frutta che allora erano di legno e non di plastica; ero io che avrei scambiato il mio latino e greco con il loro manuale di rotta. Ma tant’è… quel manuale me lo sarei comprato quarant’anni dopo, quando consegui la patente nautica vela e motore senza limiti dalla costa, navi escluse ovviamente.

Il mio liceo (“naturalmente” classico ma continuo a non fare nomi, per via della privacy, ci mancherebbe altro!) aveva tuttavia anche dei pregi: gli insegnanti erano particolarmente selezionati e severi: qualcuno selezionato, severo e giusto, altri solo selezionati e severi ma anche quella fu una scuola di vita, non è che poi nella vita poi tu incontri solo dei “giusti”.

Il cortile: nella ricreazione aperto solo ai maschi. Le femmine solo nei corridoi. Evvabbè …

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Fra quelle dita pensose spesso noi ragazzi inserivamo una sigaretta …

Tutto bene (o quasi), tranne l’esplicitazione dei giorni nostri: “Iscrivetevi da noi che nella nostra scuola non ci sono poveri, zingari, extracomunitari”. No, questo è veramente troppo. Ed allora io mi dissocio oggi come mi dissociai allora, quando un giorno contestai pacatamente ma con fermezza certi atteggiamenti, salvo poi, prudentemente, cambiare liceo, per andare a diplomarmi in quello dove qualche professore dava del lei agli alunni; in quello con il cortile utilizzato per l’originale televisivo su Fabrizio de Andrè che lo aveva frequentato quattro anni prima di me; in quello con il cortile con la statua di Cristoforo Colombo al centro, cortile aperto anche alle ragazze. Sempre senza fare nomi … del liceo e delle ragazze.

Finisce

Ma si può?

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UN GIORNO … “UN AMICO MI SCRISSE”

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 16 Febbraio, 2018 @ 9:48 pm

Detto altrimenti: no, non è un romanzo di Tiziano Terzani …. (post 3071)

… mi scrisse così:

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Ciao, navigando stamattina nel tuo blog, mi sono imbattuto, tra gli altri, in un post del 6 dic. 2011, indirizzato al “Governo” di allora. Mi sembra che dopo sette anni, la maggioranza dei tuoi suggerimenti non sia stata accolta molto favorevolmente!  (Dici che il mio potrebbe essere un eufemismo?). Non sei stato molto convincente o i destinatari erano e sono rimasti sordi e con il cervello atrofizzato? O sono altre le priorità (soldi, poltrone, potere, sciacallaggio nei confronti dei più ” bisognosi” e altre nefandezze del genere) che primeggiano nelle illuminate menti dei nostri governanti? Che non sia il caso di riproporli di nuovo (i Suggerimenti eh!)  in vista del prossimo evento “elettivo”? Mi unisco volentieri alla folta schiera di chi vorrà condividerli! Un caro saluto. fil.

 E dai, mi sono detto! Se questo amico fosse qui gli darei il cinque! Il post cui si riferisce è il secondo della mia vita (“Novità del governo Monti”), il secondo dei primi tre, di quei “primi tre”  pubblicati il 6 dicembre 2011 quando “all’inizio c’era il blog” … E allora riesumiamolo, questo post: siamo sotto elezioni, può essere (di nuovo) attuale. E poi, chissà che un volta o l’altra l’indovino sia io …

Buona rilettura, dunque e … grazie, .fil che sta per Filippo, vero?

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ASSOCIAZIONISMO

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 16 Febbraio, 2018 @ 7:18 pm

 Detto altrimenti: dal piccolo al grande     (post 3070)

Kleine Kinder kleine Probleme, figli piccoli problemi piccoli, dicono i Tedeschi, nel senso che i problemi maggiori sorgono quando i figli crescono. E così per le associazioni. Piccolo è bello: regole semplici, spirito originario vivissimo, spontaneità. Unico problema l’avvio delle attività e la crescita. Infatti piccole associazioni crescono e con la crescita si rischia la burocratizzazione, la perdita dello spirito originario, la corsa al potere interno ed esterno,  l’appetito della politica. Questi rischi sono quasi sempre inevitabili.

C’è però un rischio sempre evitabile: da un punto di vista gestionale interno, si può evitare di mantenere la gestione delle origini, ovvero quella accentrata sul Presidente o sulla Direzione di turno. Infatti se si vuole crescere occorre decentrare e solo se si decentra si può crescere.  Il decentramento è attuato in stadi successivi:

  1. Inizialmente con l’affidamento ad un certo numero di persone di compiti e mansioni operative, in esecuzione di decisioni altrui.
  2.  Poi con l’attribuzione di vere e proprie deleghe a consiglieri delegati facenti parte del direttivo. Infatti, il Presidente e lo Statuto devono far comprendere a chi si candida a far parte del direttivo, che l’Associazione (il più delle volte) non ha un organismo esecutivo-direzione operativa e che quindi ciascun candidato – ove eletto – dovrà farsi carico di deleghe operative (potere+responsabilità), garantendo il risultato delle proprie decisioni ed azioni.
  3. In un terzo tempo, o “a saldo”  possono essere deliberate deleghe anche in capo a soci non facenti parte del direttivo (procuratori = titolari di  potere + responsabilità).
  4. Un quarto passaggio parallelo è quello da una gestione operativa per organigrammi (comando io perché sono il capo) ad una gestione operativa per funzionigrammi, ovvero ad una gestione per progetti delegati a singoli Capi Progetto (dirigo io perché ne sono capace, responsabile e delegato).

Lo stesso decentramento deve avvenire – nelle associazioni di maggiori dimensioni – anche al di sotto della Direzione, ovvero la Direzione stessa deve comprendere che “dirigere” non significa “fare tutto”, ma “far fare” tutto, attraverso deleghe di potere+responsabilità. E se questo passo non lo fa la Direzione, lo deve far fare alla Direzione chi sta sopra alla stessa, al limite cerando alcune direzioni operative (di linea) e direzioni “trasversali (di staff) quali ad esempio, il controllo di gestione e l’internal auditing o quanto meno promuovendo la gestione per progetti e Capi Progetto.

L’esigenza delle funzioni di controllo di gestione e internal auditing è purtroppo testimoniato dai recenti fatti di abusi verificatesi in alcune associazioni internazionali di grandi dimensioni.

Quanto sopra meglio si attua se il Presidente è eletto direttamente dall’assemblea dei soci e non in seconda battuta dal direttivo in quanto per “dirigere” un direttivo, il Presidente non deve essere eletto e delegato dal direttivo stesso: sarebbe infatti un po’ come ripetere l’errore dei guardiacaccia, che sono gestiti da chi devono controllare: i cacciatori stessi!

Dall’adozione di queste tecniche organizzative deriva la motivazione di chi opera, è la motivazione è il primo fattore della produzione. Seguono lavoro e capitale.

Buon associazionismo a tutte e a tutti!

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