GOVERNO SPA? MAGARI …
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 22 Dicembre, 2018 @ 2:40 pmDetto altrimenti: magari avesse almeno quelle capacità … (post 3446)
Non tornano i conti, la legge finanziaria traballa. Adesso ci dicono: “Sono i funzionari, i tecnici che ci hanno dato numeri sbagliati!” Ecco, prendo una SpA, una che conosco per averci lavorato per anni, una SpA del Gruppo Siemens-Stet. Io ero uno dei cinque direttori che riferivano ad un Direttore Generale che ci convocava in riunioni di budget, di pianificazione, di verifica. Ognuno di noi cinque era responsabile del lavoro dei propri uomini. Se qualcosa non fosse andata per il verso giusto, mai e poi mai il DG si sarebbe sognato di gridare ai quattro venti che “Le strutture delle direzioni mi hanno ingannato con numeri fasulli!”
E invece, al governo, il P (…) e i due Amministratori Delegati (…) se la prendono con tecnici dei ministeri, ignorando la responsabilità dei singoli Ministri e soprattutto ignorando e scavalcando il ruolo, le responsabilità delle commissioni parlamentari e, last but not least – il momento della discussione parlamentare.
Mesi fa, in una intervista volante, Casaleggio Jr. (oggi impegnato a fare il consulente per la Blockchain, cfr. post apposito http://www.trentoblog.it/riccardolucatti/?p=61175) ebbe a dire in TV: “Presto il parlamento non servirà più”. Probabilmente egli si riferiva alla programmata realizzazione della Democrazia Diretta (“diretta”, participio passato del verbo dirigere, sempre con significato passivo: diretta da chi?), con la quale la Democrazia Vera diventerebbe Vera Oligarchia, attraverso quattro interventi: referendum propositivo senza quorum + obbligo di calendarizzazione da parte del parlamento + vincolo di mandato per i parlamentari + prevalenza del testo referendario sul testo di legge. Con il che le leggi sarebbero fatte dai due capi bastone, ops, scusate … dai capi rete.
E invece i suoi amici hanno anticipato i tempi, attraverso la violazione sostanziale del ruolo di uno dei poteri fondamentali del nostro ordinamento democratico: quello del Parlamento, avendo di fatto incorporato Funzione Legislativa in quella Esecutiva (per la Funzione Giurisdizionale si sta lavorando: “Se quel Procuratore Generale non vuole che io divulghi sui social importanti indagini in corso, si candidi e si faccia eleggere”).
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Per farla breve: suggerisco la lettura di un libretto di 50 paginette, “Il fascismo eterno”, €5,00 Ed. La Nave di Teseo. E’ stato scritto venti anni fa, è attualissimo anche oggi ed è il libro più venduto in assoluto, anche più del Nome della Rosa, fra i tanti scritti da quell’Autore: Umberto Eco. Se poi siete lettori più appassionati, per capire la pericolosità dell’assenteismo dal voto e del disinteresse dalla politica: “Le origini del fascismo in Italia – Lezioni da Harward” di Gaetano Salvemini.
Poi ne riparliamo.
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P.S.: prima pagina odierna di un quotidiano nazionale. Una vignetta. Un tizio, perplesso, chiede al suo interlocutore: “Ma cosa abbiamo votato?”. L’altro con aria seria gli risponde: “Piantala di impicciarti”. In altri tempi (oscuri) sui muri delle fabbriche si leggeva “Qui si lavora, non si fa politica”.
Buon Natale “a prescindere” a tutte e a tutti (sempre che sia possibile …)
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LA MIA TERZA PATRIA
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 22 Dicembre, 2018 @ 9:04 amDetto altrimenti: “io, la mia patria, or è dove si vive …” (post 3445)
Fra tre giorni è Natale. “Natale”, un sostantivo o un aggettivo sostantivato; il luogo, il giorno della propria nascita o di una fondazione (ad esempio di un città, da cui il “natale” di Roma). Io sono nato a Genova (la mia prima patria), per lavoro ho vissuto a Genova, Torino, Milano, Roma (tralascio le puntate estere). Da trent’anni (ne avevo 45) abito a Trento, la mia seconda patria, il luogo nel quale, per la raggiunta maturità ed esperienza di vita, sono riuscito ad apprezzare innanzi tutto i migliori rapporti umani come pure l’ambiente, fatto di dimensioni a misura d’uomo, aria pulita, dolomiti, boschi, laghi. Laghi. Già, perché l’unica cosa che manca al Trentino è il mare: ma non vi preoccupate raga, scialla, calma, che ce la caviamo benissimo con i nostri tanti laghi, primo fra tutti el nos Garda:
“Anne lacus tantòs? Te, Lario, maxime teque / fluctibus et fremitù adsurgens Benace marino?” E che dovrei dire dei laghi così belli? Di te, Lario, ma soprattutto di te, Benaco, che quando entri in tempesta hai fremiti ed onde tipiche del mare?) – Così Virgilio nel secondo libro delle sue Georgiche (versi 159-160).
E che dire di come Catullo canta Sirmione e il Garda? “Paene insularum, Sirmio, Insularumque ocelle, quascumque in liquentibus stagnis marique vasto fert uterque neptunus, quam te libenter quamque laetus inviso, vix mi ipse credens Thyniam atque Bithynos liquisse campos et videre te in tuto. O quid solutis est beatius curis, cum mens onus reponit, ac peregrino labore fessi venimus larem ad nostrum, desideratoque acquiescimus lecto? Hoc est quod unum est pro laboribus tantis. Salve, o venusta Sirmio, atque ero gaude gaudente; vosque, o Lydiae lacus undae, ridete quidquid est dome cachinnorum. – Sirmione, perla delle penisole e delle isole, di tutte quante, sulla distesa di un lago trasparente o del mare senza confini, offre il Nettuno delle acque dolci e delle salate, con quale piacere, con quale gioia torno a rivederti; a stento mi persuado d’avere lasciato la Tinia e le contrade di Bitinta, e di poterti guardare in tutta pace. Ma c’è cosa più felice dell’essersi liberato dagli affanni, quando la mente depone il fardello e stanchi di un viaggio in straniere regioni siamo tornati al nostro focolare e ci stendiamo nel letto desiderato? Questa, in cambio di tante fatiche, è l’unica soddisfazione. Salve, amabile Sirmione, festeggia il padrone, e voi, onde del lago di Lidia, festeggiatelo: voglio da voi uno scroscio di risate, di tutte le risate che avete.
E Dante? “Suso in Italia bella giace un laco / a piè de l’Alpe che serra Lamagna / sovra Tiralli c’ha nome Benaco” (Inf. XX, vv. 60-62) . E ancora: “Luogo è nel mezzo là ove il trentino / Pastore e quel di Brescia ‘l veronese / segnar porìa se fesse quel cammino. / Siede Peschiera, bello e forte arnese / a fronteggiar Bresciani e Bergamaschi / ove la ripa in fondo più discese. / Ivi convien che tutto quanto caschi / ciò che in grembo a Benaco star non può / e fassi fiume giù pe’ verdi paschi. / Tosto che l’acqua a corre mette co’ / non più Benaco ma Mencio si chiama / fino a Governol dove cade in Po”. (Inf. XX,vv. 66-78).
E che ne dite della mia poesia italo-tedesca, dedicata alla mia terza patria?
Riva del Garda
Fanciulla che dormi
in un letto di Vento
al mattino
tu adorni
di mille colori
il ricordo
di luce
profumo
di fiori.
E appena ti svegli
trattieni il respiro
e un poco rimani
a fissare
l’azzurro del cielo.
Ma ecco che esplode
il tuo sentimento:
ti vesti di un velo
di lago già adorno
da mille pagliuzze d’argento
di onde e di palme
che voglion danzare
di piccole foglie d’ulivo …
… è l’Ora d’amare!
Maedchen du ruhst
auf luftigem Lager
und schmuckst
am Morgen
mit tausend Farben
die Erinnerung
an Licht
an Wohlgeruch
an Blumen.
Kaum erwacht
haelst du den Atem an
und blickst
gebannt fuer ein Weilchen
zum hellblauen Himmel.
Doch schon treibt zum Sturm
dein Gefuhl:
du unhullst dich mit einem Schleier
mir dem See, der schon geziert
mit tausend silbernen Halmen
im beginnenden Tanz
mit den feinen Blaettern der Olive
die dich umfliegen …
… es ist die Ora zu lieben!
E allora, volete che un Genovese trasferito in Trentino fosse insensibile al fascino del Garda? No di certo, ed infatti ci ha subito messo sopra una barchetta a vela da regata, un Fun di sette metri di nome Whisper, numero velico ITA 526. Ed ecco quindi Riva del Garda, la mia terza patria che oggi intendo celebrare con tre poesiole (una per Whisper, due per il Natale Rivano) e con una favoletta per i bimbi, La Leggenda (di Natale) del Garda
WHISPER (barca planante come una tavola da surf: a quella velocità freme come se avesse un motore, per poi, quando il vento è calato, scivolare silenziosa senza un sospiro, un bisbiglio …)
Ti aspetta
la prendi
la porti nel vento
respira il tuo stesso respiro
sussulti
lei freme
sospira.
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NATALE RIVANO
accende il velo del Lago
di mille faville di stelle.
Raccolta in se stessa
nel freddo
la nobile antica città medievale
monta silente la guardia
dall’alta sua torre Apponale.
“Son tante …
son belle …”
lei pensa,
“Son come in regata
le piccole vele di luce
in questa incantata
Attesa invernale!”
Ma ecco
la flotta argentata
sale improvvisa nel cielo
e resta sospesa
a comporre una Grande Cometa.
La Pietra Merlata
trattiene il respiro
e avverte sul viso il tepore
del nuovo
dolcissimo
Evento Divino.
“E’ l’Ora o è Vento?”
Si chiede la Rocca Imperiale.
Risponde la Notte sorpresa:
“Non vedi la Stella?
E’ questo il momento
del Santo Bambino
che dona al tuo lago
la brezza più bella,
il Suo Soffio d’Amore:
e giunto il Natale!”
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NATALE 2018 A RIVA DEL GARDA
Riva città Natale
Riva di acqua e di vino
Riva adottiva
Nosiola – Schiava – Trentino.
Riva vicina lontana
Riva la dirlindana
Riva dall’alto e dal basso
Riva di sasso.
Riva Torrione si sale
Riva in orizzontale
Segreta amante locale.
Riva la mala voce
Riva delizia e la croce
Riva lo fa e lo tace
Riva se ne compiace.
Riva le sue regate
Riva parroco pio
Riva la benedice
Riva ci sono anch’io.
Riva Riccardo in regata
Riva straorza strambata
Riva guardatelo a vista.
Riva te le riscalda
Riva le Terme Romane
Riva la Busa la Valle
Cantieri – Rotture – Cheppalle.
Riva il luccio la lenza
Riva che pesca ed aspetta
Riva cattura e poi getta
Riva riconoscenza.
Riva lavoro si campa
Riva la buona stampa
Riva comunicazione
Riva illusione.
Riva Centrale Littorio
Riva giornali che leggi
Riva – Capro – Spiatorio.
Riva divisa con Roma
Riva presente ed assente
Riva acconsente
Ribelle? Schiava? Padrona?
Riva Regina dell’Ora
Riva che parla o lavora
Riva faconda di prosa.
Riva di freddo e di caldo
Di neve di palme ed olivi
Musica mille motivi
Riva i baloni del Baldo.
Riva Lago di Fiori
Peler – Stravento – Vinessa
Riva di luci e colori
Riva la Poetessa.
Riva la Contadina
Riva la Pescatrice
Riva la Cittadina
Riva Incantarice.
Riva le mille voci
Todeschi – Taliani – Rivani
Riva gli albergatori
Incassi – Piene – Le mani.
Riva all’olio d’oliva
Riva gioiosa f’estiva
Riva la pasta alle sarde
Chi non le assaggia ci perde.
Riva trentina frontiera
Riva di falchi e poiane
Nuvole bianche lontane
Riva – Si dorme – La sera.
Fiaba che vince ogni sonno
Riva fra Trento e Trieste
Riva il suo capodanno
Riva le Buone Feste.
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LA LEGGENDA DI NATALE DEL LAGO DI GARDA
Tanti, tanti anni fa, un pastorello pascolava il suo gregge lungo i fianchi di una ripida montagna del Trentino. Era la vigilia di Natale e faceva molto freddo. Il pastorello si riparò dentro una capanna e accese un fuoco per scaldarsi. Egli era così stanco che si addormentò e dormì sino a notte fonda. Svegliatosi all’improvviso, s’accorse che il gregge si era disperso giù nella valle. Spaventato, si mise a piangere. All’improvviso gli apparve un Bambino come lui che gli chiese: “Perché piangi, pastorello?” “Le mie pecore si sono disperse nel fondovalle, rispose, ed io non riuscirò a ricondurle all’ovile”. “Non ti preoccupare”, gli disse il Bambino, e, volto lo sguardo a valle, con un gesto ne sbarrò lo sbocco verso la pianura. Ed ecco che le lacrime del pastorello riempirono la valle e la trasformarono in un grande, meraviglioso lago, il Lago di Garda. Fu allora che il pastorello vide arrivare a Riva tante barchette a vela, sospinte da una provvidenziale brezza. Man mano che le barchette toccavano terra, riprendevano l’aspetto originario di pecorelle non più smarrite, ed egli potè ricoverarle al sicuro nell’ovile, e, per la felicità, le lacrime del pastorello si trasformarono in lacrime di gioia. Per il pastorello e per tante altre persone oltre a lui da quel momento, ogni giorno, ad una certa Ora, sul Lago si alza la stessa brezza per ricondurre a Riva le barchette a vela e le pecorelle che si fossero eventualmente smarrite.
BUON NATALE TRENTINO E RIVANO A TUTTE E A TUTTI!
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LA CASA DI VETRO
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 20 Dicembre, 2018 @ 12:24 pmDetto altrimenti: Buon Natale! (post 3444)
La casa di vetro
Attraverso lo spazio
svuotato dall’indifferenza
lo sguardo si posa
sull’inverno gelato
mentre all’interno
scoppietta la fiamma
che inonda la casa di vetro
di un rosa tepore
veneziano.
Qualcuno
da fuori
implora calore
e tende la mano
ad occhi infantili
spalancati al di là
dell’invisibile muro.
E il piccolo viso rotondo
dischiude la porta
di casa e del cuore
e scalda
col puro suo gesto d’amore
I colori gelati del mondo.
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IL PESO DELLO SPREAD
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 20 Dicembre, 2018 @ 11:42 amDetto altrimenti: espresso in … kg! (post 3443)
Il peso forma di Tizio è di 75 kg. Il lavoro, gli impegni familiari, gli amici, le feste, gli anni che passano ed ecco che Tizio si ritrova a pesare 85 kg. Tizio improvvisamente decide di rimediare, si mette a dieta e scende a 80 kg e si propone di non superare più questo livello ed è felice e soddisfatto ogni volta che, ai frequenti controlli, si accorge che ci sta riuscendo … dimenticando che il livello giusto sarebbe quello dei 75 kg.
Con lo spread funziona nello stesso modo. Eravamo scesi a 125 punti base, siamo poi saliti a 300, ora siamo scesi a 250, siamo contenti di riscontare che riusciamo a mantenere questo livello e ci auto congratuliamo per questo “successo”, dimentichi come siamo, anche in questo caso, che il livello “giusto” sarebbe quello di 75 kg … ops … scusate, quello di 125 punti base!
Evvabbè ….
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DEMOCRAZIA VERA O DEMOCRAZIA DIRETTA?
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 19 Dicembre, 2018 @ 2:54 pm(Attenzione: questo è un LP-Long Post)
Detto altrimenti: questo è un postaltui, nel senso che un’amica mi ha girato questo pezzo. Non so chi sia stato l’intervistatore: io l’ho trascritto perché arriva alla mia stessa conclusione, e cioè che la Democrazia Diretta (referendum propositivo senza quorum + obbligo di calendarizzazione per il parlamento + vincolo di mandato per i parlamentari + prevalenza comunque del testo referendario sul testo della legge se difforme) trasformerebbe la Democrazia vera in una oligarchia. Non condivido una sola affermazione, e cioè che democrazia sia il governo della legge: mi sembra molto pericolosa: i nazisti che rispettavano la loro legge, vivevano forse in una democrazia? E poi, governo della legge nel senso di rispetto della legge, ma … rispetto sostanziale o solo formale? Già, perché noi “taliani” siamo speciali nel rispettare formalmente la legge ed eluderla sostanzialmente! (post 3342)
Inizia
“Democrazia non è solo governo del popolo”. L’intervista al coautore, con Dario Antiseri e Flavio Felice, del volume “Democrazia avvelenata”, ed. Rubbettino. “La democrazia non è il governo del popolo, ma il governo della legge. E chi prende più voti non diventa automaticamente uno statista. Un concetto semplice che, però, nel nostro Paese si fa fatica a comprendere. Forse perché scarseggia un certo tipo di cultura”.
Ne è convinto Enzo Di Nuoscio, ordinario di Filosofia della scienza e direttore del dipartimento di Scienze umanistiche, sociali e della formazione presso l’Università del Molise, autore con Dario Antiseri, filosofo e Flavio Felice, ordinario di Storia delle dottrine politiche all’Università del Molise, del libro Democrazia avvelenata, edito da Rubbettino, in cui non solo si analizzano le cause della malattia delle democrazie occidentali, ma si cercano possibili vie d’uscita. Una su tutte, il recupero della cultura umanistica.
Professore, come può funzionare un antidoto così, se chi ci governa non perde l’occasione per elogiare l’incompetenza?
Ci vuole buon senso: se la conoscenza e la preparazione non garantiscono la migliore soluzione ai nostri problemi, l’ignoranza e la sprovvedutezza garantiscono invece, come direbbe Herbert Spencer, mali collaterali superiori a quelli che si vogliono curare. Le scienze umane e sociali servono anche a farci capire come, a causa della tecnologia, della globalizzazione e di tanti altri fattori, le nostre società sono diventate sistemi estremamente complessi e di conseguenza chi, come i politici, si misura con i problemi sociali, deve avere la saggezza di affidarsi a bravi tecnici, ma anche una competenza necessaria per entrare nel merito dei problemi e delle soluzioni. Ed è disarmante, oltreché pericolosa, la litania, ripetuta ogni giorno, che la legittimazione popolare debba imporre qualunque tipo di scelta, quasi che la democrazia possa annullare la conoscenza. E’ bene ricordare che la conoscenza, faticosa e, a volte scomoda, che può crescere solo in un ambiente di libertà, è l’unico mezzo per comprendere meglio la realtà e produrre più soluzioni a problemi, quindi perincrementare il benessere di un popolo. E’ proprio questo che ha storicamente conferito un vantaggio evolutivo all’Occidente. Ed è bene inoltre non dimenticare che solo la conoscenza può ridurre gli effetti perversi delle decisioni politiche. Quando sento alcune proposte di autorevoli esponenti del Movimento Cinque Stelle, penso che non si rendano conto che le buone intenzioni non siano sufficienti e mi convinco che manchi loro la prima, essenziale, lezione per chi fa politica: fiat justitia ne pereat mundus. Non si capisce un dato fondamentale.
Quale?
La democrazia è una poliarchia nella quale il Parlamento e il Governo, espressioni della volontà popolare, sono solo una parte dello Stato, il quale è composto anche di istituzioni non elettive. E lo Stato stesso, a sua volta, è parte di un ordine più grande, fatto di corpi intermedi (istituzioni locali, associazioni di tutti i tipi, partiti, sindacati, ecc.). La democrazia è il risultato dell’interazione e anche della competizione di tutti questi soggetti, regolate dallo Stato di diritto. Luigi Sturzo la definiva una plurarchia. Non è difficile capirlo. Ma se gli intellettuali sono visti come inutili speculatori di idee, le università servono solo a fare cassa, i partiti come luogo di formazione e discussione devono essere sepolti con il secolo breve, le scuole di partito sono considerate roba dello scorso millennio, la discussione politica teme quasi di essere infettata dal dibattito culturale, non ci si deve meravigliare se qualcuno si convinca di essere uno statista solo perché ha preso tanti voti.
Pensa che la democrazia in Italia sia più avvelenata rispetto ad altri Paesi?
Non credo. Siamo l’unico Paese dell’Occidente europeo che non ha un consistente partito di estrema destra. E questo non è poco, vista la gravità della lunga crisi economica che abbiamo alle spalle. E tuttavia un veleno preoccupante sta infettando anche la nostra democrazia: il populismo. Per mera ignoranza di cosa sia la democrazia e per convenienza propagandistica, il consenso e il legame, direi empatico, con il popolo vengono considerati – soprattutto dal M5S – gli unici criteri performativi della democrazia. Si pretende che essi prevalgano su qualsiasi altro vincolo. Per cui, autorità indipendenti, ma anche organismi e istituzioni internazionali, in quanto non eletti, si dovrebbero sottomettere alla volontà popolare incarnata da chi ha vinto le elezioni. Eppure, la prima cosa che deve fare un sincero democratico è non mitizzare il popolo che, in una famosa Pasqua ebraica di 2018 anni fa, pare, si sbagliò. E a pensarci bene, non andò meglio neanche nel 1933 in Germania. Anche qui siamo alla prima lezione di politica: la democrazia non è il governo del popolo, ma il governo della legge. Ma questo succede perché si è abbassato il livello culturale, soprattutto riguardo alla formazione umanistica, di buona parte della classe politica.
Quella che, come scrive nel libro, aiuta a capire che la felicità non può venire né dallo Stato, né da un algoritmo.
Certo. Dietro la promessa di dare al popolo la felicità vi sono proprio una scarsa preparazione culturale e una inadeguata comprensione di alcuni aspetti fondamentali dell’esistenza umana. Diceva Leopardi che la felicità si misura dall’interno, è la più privata delle avventure. Parafrasando Thoreau, direi che se qualcuno avesse intenzione di venire a casa mia per rendermi felice, scapperei a gambe levate. Sconsiglierei vivamente ai politici di pronunciare questa parola. Per perseguire la felicità dei singoli i regimi totalitari hanno costruito i gulag e i lager. Non è un caso che i saggi padri fondatori della più grande democrazia del mondo, nella Dichiarazione di Indipendenza del 1776, non attribuirono allo Stato questo obiettivo, e scrissero: “A tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità”. Tuttavia, per i nostri politici, che si avventurano a promettere la felicità, non scomoderei, almeno per ora, la nozione di Stato etico. Direi molto più semplicemente che si tratta di sprovveduta ingenuità. Sono tanto sprovveduti perché alzano irresponsabilmente le aspettative e non pensano alle conseguenze.
In concreto perché c’è scarsa cultura umanistica nel nostro Paese?
Negli ultimi decenni si è radicata la convinzione che una società dominata dalla ricerca del profitto e dall’innovazione tecnologica abbia meno bisogno della cultura umanistica, da molti vista come una erudizione ormai démodée. E questo ha portato a scelte scellerate. Nelle scuole superiori abbiamo assistito ad una deleteria semplificazione dei programmi delle materie umanistiche. Per non parlare di quello che è accaduto nelle università: intere discipline vanno scomparendo, molti corsi di studio stanno chiudendo. Inoltre, i criteri di finanziamento e valutazione della ricerca hanno fortemente penalizzato gli studi umanistici, perché ispirati dall’errata convinzione che la crisi economica richiedesse uno spostamento di risorse dalla ricerca di base a quella applicata, dalle scienze umane e sociali a quelle naturali. Niente di più sbagliato e pericoloso, perché la formazione umanistica contribuisce in modo determinante a formare una mente critica, sviluppare autonomia di giudizio, collocarsi nel più ampio mondo, e quindi a generare anticorpi per difendere la democrazia. Quando un professore insegna agli studenti a fare la versione di greco o latino, oppure a fare l’analisi critica della Divina Commedia o dei Promessi Sposi, non sempre se ne rende conto ma sta difendendo la democrazia, perché insegna a ricostruire il senso di un testo, a controllare le ipotesi di interpretazione. Questo aiuta il cittadino democratico a cogliere il significato di un discorso politico o un programma elettorale, a scegliere in modo più consapevole e quindi a difendersi da imbonitori, sempre in agguato nei momenti di crisi. E quando un professore di storia spiega agli studenti la tragica vicenda del secolo breve, difende la democrazia perché fa capire come, con tutti i loro difetti, le democrazie – come diceva Salvemini- sono il purgatorio, ma l’alternativa è l’inferno della dittatura, e come sia uno dei più gravi errori scambiare i difetti, i limiti e le ingiustizie dei regimi democratici con la prova del loro fallimento.
Salvemini, Popper e Aron: è a loro che nel libro affida il compito di salvare la nostra democrazia.
Salvemini, Popper, Aron, e prima ancora John Stuart Mill, vedono la democrazia come discussione continua che può funzionare solo se ci sono cittadini dotati di capacità critica e autonomia di giudizio. La condizione essenziale affinché una democrazia sopravviva, scrive Aron, “è che si riesca a mantenere un numero sufficiente di uomini indipendenti, capaci di essere in disaccordo sia con i giornali in cui scrivono, sia con i partiti a cui appartengono, sia con lo Stato che li stipendia”. Difficile dirlo meglio.
Quando invoca una maggiore cultura umanistica si riferisce a programmi ministeriali particolari?
Occorre innanzitutto migliorare la didattica degli insegnanti di filosofia e storia. Far capire agli studenti che le teorie filosofiche sono risposte ad autentici problemi filosofici, i quali traggono origine nell’esperienza umana. Il loro contenuto riguarda tutti, anche se la loro forma è per pochi. Le risposte della filosofia sono sempre provvisorie, plurali, contraddittorie e complementari, perché tale è la nostra esistenza. Dunque, il suo studio è una potente profilassi per immunizzare contro la pericolosa assolutizzazione (per ragioni ideologiche, teologiche, politiche, economiche, ecc.) di una delle tante prospettive, come accade con le dittature. La filosofia aiuta a uscire dai pregiudizi del proprio villaggio, collocarsi in uno spazio pubblico, mettere in discussione pregiudizi. Come scriveva Bertrand Russell, scuote il dogmatismo arrogante di coloro che non sono mai entrati nel dubbio liberatore. In altre parole, aiuta a convivere con l’incertezza e la pluralità senza rinunciare alla verità, ad una verità rivedibile, di cui nessuno può rivendicare un sicuro possesso, perseguibile attraverso la continua e libera discussione. E questa è anche la logica della democrazia. Per questo lo studio della filosofia aiuta la pratica democratica, e non è un caso che l’insegnamento della filosofia sia vietato in molti Paesi non democratici. Anche l’insegnamento della storia può essere utilizzato per rafforzare gli anticorpi dell’ homo democraticus. I nativi democratici, che non hanno conosciuto la guerra e le dittature, non sempre si rendono conto che tutto è possibile, che non c’è alcuna legge ineluttabile in grado di garantire alle democrazie di continuare ad esistere. La falsa certezza dell’irreversibilità della conquista democratica abbassa le difese immunitarie contro le dittature. Ecco, la conoscenza storica ha anche questa funzione: far capire quanto deboli, reversibili e delicate siano le democrazie, e quanto lungo e sanguinoso sia stato il percorso che ha portato ad esse. E che con tutti i loro difetti, sono l’unico regime che permette ai propri cittadini di criticarlo. La conoscenza storica aiuta inoltre a capire un altro fatto importante: quello democratico è un ordine politico e sociale che ha storicamente prodotto più ricchezza per tutti. Non è un caso, come osserva Amartya Sen, che nessuna carestia si registri in un Paese democratico. E potremmo aggiungere, nessuna guerra si registra tra le moderne democrazie. Quando poi, però, vediamo che nei licei vi è quell’ircocervo chiamato geostoria e che i criteri di finanziamento e valutazione della ricerca penalizzano pesantemente queste discipline e, più in generale, le scienze umane, viene da pensare che il ministro dell’Università farebbe bene a fare il contrario di quello che hanno fatto i suoi predecessori, anche se ha iniziato con il piede sbagliato, eliminando la traccia di storia dalla prova scritta del nuovo esame di maturità.
Se la cultura umanistica è sempre stata debole, ammetterà che anche quella scientifica non se la passa meglio, altrimenti non si diffonderebbero bufale, non si metterebbe in discussione lo sbarco sulla luna, non si penserebbe di curare un cancro con limone e bicarbonato.
Al di là del caso particolare delle fake news dolosamente pianificate, la diffusione di notizie false è un fenomeno che si è dilatato con i nuovi media. L’accesso alla rete dà possibilità – che spesso si rivela ingannatrice – di formarsi una opinione in proprio anche sulle questioni più tecniche, saltando la mediazione delle autorità epistemiche (figure e istituzioni detentrici di determinate conoscenze). Diciamo che nella web society l’intuizione espressa da Tocqueville ne La democrazia in America, secondo la quale l’idea di uguaglianza – insita nella democrazia – porta a svalutare le gerarchie conoscitive, ha subito una rapida accelerazione. Cresce soprattutto l’errata convinzione che non ci sia criterio più democratico di quello secondo cui la verità di una teoria debba dipendere dal consenso che riceve. A ciò dobbiamo aggiungere che ogni cattiva notizia seppellisce le tante buone, perché colpisce le aspettative delle persone. Si propaga molto di più, ad esempio, la falsa informazione, messa in rete in buona fede da un genitore, secondo cui l’autismo del proprio figlio sia stato prodotto da un vaccino, della notizia vera che in Occidente è stato il vaccino ad eliminare del tutto terribili malattie, come il vaiolo o la poliomelite. Ecco, il combinato disposto di questi fattori rischia di produrre la Democrazia dei creduloni, per usare il titolo del bel libro di Gérald Bronner. Per contrastare questi effetti perversi occorre rafforzare le capacità critiche delle persone, dotarle, anche attraverso gli studi umanistici, di criteri per orientarsi nel mare magnum di informazioni di cui in ogni momento ci inonda la rete. Serve, ad esempio, ricordare che, se abbiamo aspettative di vita tanto elevate, lo dobbiamo soprattutto alla scienza e alle innovazioni tecnologiche che essa ha prodotto. E che, come testimonia il caso di Galileo – solo contro tutti nel difendere la tesi che i corpi celesti non fossero perfettamente sferici – nella scienza consensus non facit veritatem. Dunque, è sbagliato usare il numero di like per stabilire se i vaccini provocano l’autismo, se è stato il governo degli Stati Uniti a organizzare l’attentato alle twin towers o se l’uscita dall’euro ci renderà tutti più ricchi. Infine, per arginare il dilagare di convinzioni infondate occorre che anche le istituzioni scientifiche e culturali siano maggiormente presenti nella rete. In questo siamo solo all’inizio. Non spariamo addosso alle nuove tecnologie che, invece, pongono una sfida interessante anche alla democrazia.
A cosa allude?
Ai mutamenti che le nuove tecnologie impongono alla politica e alle istituzioni, messi in luce già nel 1997 da Stefano Rodotà, quando pubblicò quel libro eccezionale che è Tecnopolitica. Le democrazie occidentali sapranno mostrare anche in questa fase storica quella forza che nel secondo dopoguerra ha permesso loro di consolidarsi grazie alla capacità di affrontare le grandi rivendicazioni sociali (lavoro, casa, sanità, previdenza) che rischiavano di spazzarle via? Le nuove tecnologie, ricordiamolo, danno la possibilità di un rapporto non intermediato con i governanti, e quindi illudono che si possa fare a meno di corpi intermedi come i partiti, e più in generale delle forme di associazionismo che aiutano la democrazia a raccogliere e a selezionare la domanda sociale. Questa è una illusione pericolosa, coltivata soprattutto dai grillini, perché attraverso i social si crea un rapporto di fatto unilaterale dei leader con l’opinione pubblica, senza la possibilità di un minimo confronto critico. Il rischio è che si passi dalla democrazia dei cittadini alla democrazie del pubblico, dal consenso – frutto del dibattito pubblico – agli applausi degli studi televisivi o ai like distrattamente espressi con il proprio smartphone, fortemente condizionati da sofisticate strategie comunicative.
E quindi?
Se non sappiamo come finirà questa sfida, ma possiamo essere certi che la democrazia sarà più forte se combatteremo la pericolosa illusione della democrazia diretta, che ci fa credere di contare di più e che in realtà svilisce il nostro potere di scelta. I partiti, senza dei quali una democrazia non è pensabile, devono, però, rinnovarsi anche utilizzando le nuove tecnologie. Ma, prima di ogni cosa dobbiamo far crescere la capacità di comprensione e scelta dei cittadini democratici.
Finisce
Io sono assolutamente convinto sulla importanza degli studi classici, della filosofia e della storia, materie che danno “conoscenza” e non mera “capacità”. Dobbiamo combattere il “panem et circenses”, cioè il, dare al popolo quel tanti da sfamarsi e i giochi del circo (oggi si direbbe pensioni anticipate, stipendietto a tutti, TV e calcio a piene mani. Facciamo in modo che dopo avere letto i Promessi Sposi gli alunni non abbiano solo la “capacità” di farne un riassunto, bensì che abbiano acquisito anche la “conoscenza” per trarne insegnamenti, di fare paralleli, confronti, analisi critiche.
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ANTONIO MEGALIZZI
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 19 Dicembre, 2018 @ 8:42 amDetto altrimenti: un Eroe, una Vittima, un Simbolo (post 3441)
Oggi è tornato a Trento. Antonio già Eroe e Vittima, oggi è diventato un Simbolo. Come meglio chiarisce Gustavo Zagrebelsky nel suo bel libro “Simboli al potere” il Simbolo è qualcosa che unisce. E l’uccisione di Antonio unisce ancora di più coloro che quel gesto criminale voleva dividere, annientare.
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Megalizzi, megale lizos, grande pietra: Antonio è di origine calabrese e il suo cognome di sicura origine greca ovvero della Magna Grecia (lizos: “pietra”, “oggetto che incide”, che incide come la sua azione!)
Certo che sorge una constatazione amara: occorre morire per far valere le proprie idee? In questo caso l’idea europeista oggi così osteggiata dalla superficiale ignoranza dei sovranisti di turno! E Antonio? Antonio, Eroe già da vivo. Eroe quando difendeva l’Idea Europa contro una corrente devastante di una fiumana torbida e cieca di ottuso sovranismo (per inciso: se non altro, come contrastare l’innalzamento della temperatura del pianeta se non attraverso accordi ed azioni internazionali e intercontinentali? Altro che sovranismi!)
Antonio, trucidato, Vittima. Già, perché Antonio non era andato volontariamente in un luogo nel quale avrebbe potuto rischiare la vita pur di difendere e propagandare la sua Idea Europa. E’ stato ucciso “per caso” da un criminale che sparava “per caso”, ucciso per avere cercato di evitare una strage, ucciso da un criminale che nel far questo, inconsapevolmente ha prodotto per i suoi ispiratori-mandanti-criminali l’effetto contrario a quello desiderato: ha rafforzato la nostra Idea Europa e di Civiltà.
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Antonio, da oggi Simbolo. Simbolo che unisce che esige il rispetto che si deve ad una Bandiera Simbolo, in questo caso alla Bandiera dell’UE, “dentro” la quale c’è anche la nostra Bandiera Nazionale. Ben vengano ora i riconoscimenti postumi alla sua idea, le numerose iniziative di ispirazione UE, ben vengano! E nel frattempo non dimentichiamo le altre vittime, in particolare due: il suo amico Bartosz e il padre di tre figli ucciso davanti a tutta la sua famiglia.
Grazie Antonio per il grande (great) lavoro che stavi facendo per tutti noi! E grazie per i sentimenti pro UE che il tuo sacrificio sta rafforzando. Siamo tutti molto vicini a te, alla tua idea, ai tuoi cari. Meriti che al tuo nome siano dedicate vie, piazze ma soprattutto scuole.
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P.S.: come si evince da numerosi miei post, io sono a favore dell’accoglienza degli immigrati ma se uno ha decine di condanne (anche se “solo” per reati comuni) ed è fondatamente sospettato di radicalizzazione, va arrestato ed espulso, per essere arrestato nel paese d’origine. Qui a fianco il ventinovenne Cherif Chekatt: killer? Terrorista? No, criminale assassino vigliacco, traditore della terra e della cultura che lo aveva accolto.
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Scrive LUCIA BRUNI (europeista molto attiva, premiata dalla Commissione UE. Su di lei trovate molti post, qui sul blog)
“Antonio e Bartosz – La terra promessa è un mito millenario. La distanza tra l’ideale della terra promessa e la terra reale è sempre dolorosa. Molte volte, tanti popoli diversi, hanno visto infrangersi il cammino verso la costruzione della Polis che li avrebbe riscattati, resi liberi, resi se stessi. Ma anche senza una rottura violenta, è esperienza comune di ogni essere umano una certa opacità della storia, l’esperienza umiliante del compromesso tra l’ideale di un mondo migliore e la concretezza storica segnata da limiti ed errori. Questa esperienza porta qualcuno al cinismo, a non credere che possa mai esserci un avvicinamento della Polis terrena alla Polis ideale. Non tutti però cedono a questa tentazione. Non Antonio Megalizzi, che credeva nella Polis europea, che lottava per migliorarla, che lavorava per aiutare i cittadini europei a conoscerla meglio. Era un ragazzo giovane ma non era ingenuo, sapeva quali e quanti ostacoli ci sono sul cammino verso la Polis europea. Eppure, come nella migliore tradizione della terra promessa, essa già esisteva per lui, che ci abitava, ne era cittadino. I suoi concittadini, i suoi amici, i suoi orizzonti, i suoi riferimenti, erano quelli della casa comune europea, a dispetto di cinici e demolitori di ogni latitudine. È morto con il suo fratello polacco Bartosz, per impedire al terrorista di Strasburgo di entrare in un locale e fare una strage peggiore. A noi che siamo vivi resta il compito di scegliere di chi essere concittadini: se dei delatori, dei distruttori, degli odiatori seriali; o di Antonio, di Bartosz, dei loro amici e colleghi, di tutti e tutte coloro che non smettono di cercare attivamente la Polis europea”.
Lucia, europeista convinta e attiva, ciclista iscritta a Fiab Trento, bolognese per nascita e residenza, due anni fa ha deciso l’impresa. 2000 km, direte, per una ciclista allenata, in due settimane non sono poi gran che. E invece no, sono una vera impresa per molti motivi. Innanzi tutto perché la tabella di marcia era rigida (Lucia aveva preso ferie e non avrebbe potuto derogare né avrebbe potuto disdire i vari alberghi precedentemente fissati è prepagati per le notti.) il che, ad esempio, le ha fatto passare il Brennero sotto una tempesta di neve. Poi perché era una donna sola e con il pesante bagaglio appresso. Ma soprattutto perché, nonostante la rigida e dura tabella di marcia, Lucia si è fermata per commemorare ogni luogo che attraversava, che fosse significativo rispetto al Progetto Europeo; si è fermata per incontrare istituzioni e persone significative, testimoni attivi del processo di integrazione europeo. Noi di Fiab Trento l’abbiamo accompagnata lungo la tratta della nostra regione.
Antonio, Lucia … Giovani cariche di energia che trasmettono la loro Idea, il loro entusiasmo, il loro esempio, la loro determinazione a tanti altri Giovani: al nostro ma soprattutto al loro stesso futuro.
P.S.: sono due giorni che riprendo in mano questo post: oggi mi chiedo: ma è mai possibile che i nostri “sovranisti” non comprendano che l’UE siamo noi, che l’UE non è una matrigna, che l’UE può e deve essere migliorata e soprattutto accresciuta? E’ così difficile vivere e operare positivamente anziché fare la “politica contro”? L’UE non è una entità diversa da noi, come l’Italia non si contrappone a ciascun cittadino italiano. Ogni cittadino “regionale” italiano è italiano. Ogni cittadino “statale” europeo è europeo. Governanti (pro tempore) della nostra Italia, coraggio, maturate un po’, elevate lo sguardo, raggiungete una visione d’insieme e non fermatevi alle percezioni sensoriali …
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NATALE SENZA NEVE
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 19 Dicembre, 2018 @ 7:47 amDetto altrimenti: almeno per adesso, poi chissà … (post 3440)
Vi assicuro, dietro il petalo del fiore c’è una piccola ape che non ama farsi fotografare …
La neve non c’è …
Dicembre.
la Rosa Natale ti nutre.
Un Nokia vicino ferma il tuo sguardo
che legge nel mio
e mi parli:
“La neve non c’è?
Di che ti lamenti”
par che mi dica la piccola ape
“Non vedi? Lavoro
– io fabbrico il miele
– trasporto i semi del fiore
– inietto la vita nel mondo
per ore
in silenzio
e tu ti lamenti?
La neve?
Verrà …
Ma intanto
sii bravo
tu fatti più in là
lo sai che devo rientrare
e un poco riposi
ben prima che ‘l sole tramonti
su Trento indifesa
dagli alti suoi monti
ancora sì bruni
ed ombrosi”.
Buona neve a tutte e a tutti!
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NOTTE
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 18 Dicembre, 2018 @ 3:53 pm
Detto altrimenti: si avvicina la Notte di Natale … ma … per tutti? (post 3439)
Notte
Si alza da terra una foglia
un lampione che danza sospeso
un bavero alzato
persiana che sbatte
e l’aria corrente sui tetti.
Vive la Notte
e respira di un vento leggero
che tien desti i rami
protesi a far compagnia
ai freddi letti alberati
della solitudine.
attraversi lo spazio
dei tuoi pensieri
che liberi
ti camminano a fianco
insieme ad un gatto.
Il silenzio ti regala il Tempo
che gli altri
dormendo inutili sonni
han chiuso al di là della porta.
La luce del buio
dipinge a pastello la strada
che suona
al passare dei tuoi sentimenti
usciti nella notte
a cercare
sperando di trovare aperta
L’Umanità di turno.
Lo so, raga, scialla, lo so … è un po’ triste, macchevvoletemai?! Questi Natali-Supermercato, tutti regali e consumismo mi hanno stancato, oserei dire nauseato: abbiamo bisogno di una pausa, di un momento di riflessione per cercare di capire cosa stiamo facendo, cosa siamo diventati, cosa abbiamo dimenticato. Ad esempio per capire che abbiamo dimenticato il Vero Significato del Natale, cioè la Rinascita di un Bambinello per chi crede nella nostra religione e comunque la Rinascita di una Speranza per chi non ne aveva più. Magari con il nostro aiuto. Buon Natale a tutte e a tutti!
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NOTTE
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 18 Dicembre, 2018 @ 8:03 amDetto altrimenti: se ti svegli di notte per … una sistematina al sistema idraulico (post 3438)
Be’ raga si sa, compiuti 74 anni (ultimo anno dell’età adulta: a 75 si è anziani) può capitare di fare quattro passi per casa alle due di notte, vero? Evvabbè, se tutti i mali fossero questi! Ecco, passeggiavo. “Fuori la finestra” della sala (espressione dialettale che “a me mi” piace tanto!), in fondo, le luci di un cantiere le quali, attraversando le foglie dei rami semi spogliati del viale, entrano in casa e, sulla parete opposta, danzano riflessi chiaroscuri sul dorso dei libri addormentati sugli scaffali.
Ombre
La luce del cantiere
penetra la stanza
e disegna sulla parete
la danza delle foglie
incontrate
nel suo breve cammino.
accarezzano i libri
a svegliare pagine assonnate
che s’aprono liete
all’invito.
E mentre le osservi
raccontare
le mille piccole fiabe
alla notte
ti sembra di rubare
ciò che avevi abbandonato
per la fretta di vivere
e che da tempo
non era più tuo.
Ecco, riprendere in mano libri “abbandonati” da anni, in bell’ordine, negli scaffali: è un po’ come ringiovanire, ritrovare se stessi, riprendersi il tempo trascorso, inventare una sorta di macchina del tempo. E dopo, tornati a letto, si dorme meglio.
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TEATRO
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 17 Dicembre, 2018 @ 7:38 amDetto altrimenti: forse anche un pochino maschilista, tuttavia … (post 3437)
GRANDE PROSA, stagione teatrale al Sociale di Trento, è di scena “A testa in giù”: testo Florian Zeller; regia Gioele Dix; scena Andrea Taddei; costumi Barbara Bessi; luci Carlo Signorini; musiche Savino Cesario e Silvano Belfiore; assistente regia Sara Damonte; produzione ErreTiTeatro30.
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In scena due coppie: Emilio Solfrizzi (Daniel) e Paola Minaccioni (Isabelle) ; Bruno Armando (Patrick) e Viviana Altieri (Emma). Daniele Patrick, vecchi amici. Isabelle molto amica di Laurence, la moglie di Patrick che è stata lasciata dal marito che si è messo con la (più) giovane (fotomodella, spogliarellista) Emma.
Commedia originale: i protagonisti “pensano” a voce alta, spesso contraddicendo quanto esprimono a voce, sia nel rapporto marito-moglie sia in quello fra amici; molto divertente. Ottima la recitazione soprattutto della prima coppia, spesso così mimica da non necessitare di un testo!
Una nota seriosa. Commedia un po’ maschilista per due motivi: viene demonizzato il mestiere della fotomodella e spogliarellista, senza considerare che esso esiste perché vi sono clienti maschi. Ma ciò che mi ha maggiormente colpito è che (sembra ma non è così) Isabelle condanni il comportamento di Patrick soprattutto perchè “si è messo con una come quella”. In altre parole: lo spettatore è portato (per colpa propria, non certo dell’autore e degli interpreti) ad attribuire molta più evidenza alla scelta del tipo di compagna che non all’abbandono della moglie e dei figli che pure viene fortemente stigmatizzato da Isabelle. Comunque è bene ciò che finisce bene e la coppia “base” (Isabelle e Daniel) quando cala il sipario sono teneramente abbracciati.
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Tuttavia … cosa? Tuttavia quel po’ di maschilismo è ottimamente bilanciato dall’evidenziazione della superiorità di una moglie “donna-domina”, forte, perspicace e intelligente di fronte ad un marito un po’ impacciato, incerto, in-determinato, un po’ debole il quale spesso si incarta da solo.
La commedia è sicuramente da vedere sia perchè è indubbiamente molto divertente, sia perché, con un piccolo sforzo di riflessione, può indurre nello spettatore ragionamenti come quelli che ho cercato di fare io.
Buon Teatro e tutte e a tutti!
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