PIERANTONIO COSTA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 19 Aprile, 2024 @ 6:13 pm

Nato a Mestre il 7 maggio 1939, si trasferì nella Repubblica Democratica del Congo dov’era emigrato suo padre]. La sua prima esperienza in guerra si svolse nel 1960 a Bukavu, dove trasportò con successo gruppi di rifugiati congolesi attraverso il Lago Kivu. Dopo l’esplosione della rivolta mulelista, si trasferì nel vicino Ruanda, dove visse sino al 1994. Successivamente visse tra Kigali e Bruxelles.
Durante il genocidio del Ruanda, Pierantonio Costa era il console della Repubblica Italiana a Kigali. Dal 6 aprile al 21 luglio 1994, Costa salvò prima alcuni italiani] ed occidentali, poi si spostò in una proprietà del fratello in Burundi e di là lavorò incessantemente nel tentativo di salvare persone in pericolo in tutto il Ruanda, anche entrando nel territorio ruandese per organizzare convogli di salvataggio. A questo scopo usò il proprio ruolo diplomatico, la propria rete di conoscenze ed amicizie e anche il proprio denaro (più di 3 milioni di dollari) per ottenere permessi di espatrio per chi gli chiedeva aiuto, in alcune occasioni anche corrompendo a fin di bene delle persone.
Al termine del genocidio aveva salvato circa 2000 persone, tra cui 375 bambini.
Ottenne una medaglia d’oro al valor civile dal Governo italiano ed una simile decorazione dalle autorità belghe. Nel 2008 gli è stato dedicato un alberello nel Giardino dei Giusti del Mondo di Padova[ e nel 2009 un cippo nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano.
Così ha descritto le proprie azioni: “Tra tanta violenza e tante sofferenze ho solo fatto quello che dovevo fare. È tutto”.
La sua storia è stata raccontata dal giornalista Luciano Scalettari, che ha dichiarato: ”Secondo me è un giusto, nel senso che gli ebrei attribuiscono al termine”. Pierantonio Costa ha risposto: ”Ho solo risposto alla voce della mia coscienza. Quando bisogna fare qualcosa, semplicemente lo si fa”.
Muore il 1º gennaio 2021 a 81 anni in Germania. È sepolto a Montebello Vicentino, paese d’origine del padre Pietro Giuseppe.

Comments Closed

QUO VADIS POLITICA?

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 19 Aprile, 2024 @ 6:08 am

h, Judgment, thou art fled to brutish beasts, and men have lost their reason!Oh, senno, tu sei fuggito tra gli animali feroci e gli uomini hanno perduto la ragione. Ecco la frase (rubata al Giulio Cesare di Shakespeare) che mi viene in mente quando assisto a certe azioni compiute da personaggi della politica e del governo.

Mia mamma insegnava a noi figlioletti: l’importante è la sostanza, cioè l’essere onesti, ma non basta: occorre anche apparire per quello che si è, cioè onesti.

Oggi, alla luce degli stravolgimenti culturali di cui siamo vittime, mi permetto di integrare quell’insegnamento, inserendo fra le due una terza qualità del nostro essere: la forma, per cui la scala del nostro “dovere essere” è la seguente: sostanza, forma, apparenza.

La new entry, la forma, è essa stessa sostanza: un pezzo di acciaio non cambia la propria  sostanza se da lama di un aratro viene fuso e trasformato nella lama di una spada.

Dice … ma che c’azzecca tutto ciò con una certa politica di oggi?
C’azzecca, c’azzecca … perché oggi quella certa politica non si preoccupa né della sostanza né della forma, bensì solo dell’apparenza. Un esempio: l’anti europeismo eletto a dote positiva.

MATTEO RENZI e MARIO DRAGHI vogliono dare una nuova forma sostanziale all’Unione Europea? Ed ecco apparire un enorme drappo con la faccia di un tale con la scritta “Più Italia meno Europa”.

MATTEO RENZI è calunniato da un suo ex beneficiato e saggiamente non reagisce? Si fa apparire ciò che accade come un litigio fra due persone di pari livello.

MARIO DRAGHI fa un discorso “magistralis” in una riunione internazionale europea? Lo si fa apparire come un “filosofo”, con il che si offendono anche i filosofi i quali invece sono veri costruttori del pensiero.

Oh, Judgment, thou art fled to brutish beasts, and men have lost their reason.

Comments Closed

MIA LETTERA ODIERNA AL DIRETTORE DEL QUOTIDIANO iLT- TRENTO

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 18 Aprile, 2024 @ 3:49 pm

Egregio Direttore,

mi riferisco alla Sua intervista a Cino Serrao, coautore insieme a Marco Pugliese del saggio “L’industria italiana del XX° e XXI° secolo. Visionari e giganti” di cui ampiamente a pag. 2 del quotidiano ilT del 18 aprile. Il saggio è dedicato soprattutto al made in Italy, “terzo brand mondiale dopo Coca Cola e Microsoft”. Io mi soffermo su un singolo passaggio, ovvero sull’ipotesi formulata dagli Autori della costituzione di un

Fondo Sovrano di 1000 miliardi, per “rilanciare gli investimenti strategici e gestire il debito pubblico”.

Come è noto, i Fondi Sovrani sono creati da paesi che dispongono di una grande liquidità, mentre il nostro paese ha un debito pubblico crescente di circa 2.800 miliardi: sorge quindi la domanda su come detto Fondo sarebbe alimentato.

Quanto a fare ricorso alla ricchezza finanziaria privata, pari a circa 5.000 miliardi di cui circa 1.700 nei depositi bancari, mi chiedo: si intenderebbe convogliarla a detto fondo in maniera forzosa? In tal caso, ci sarebbe il rischio della fuga all’estero dei capitali o, peggio, verso investimenti in criptovalute. In ogni caso, la ricchezza privata “catturata” dal Fondo Sovrano aumenterebbe il debito pubblico.

In alternativa, anche a prescindere dalla creazione di un Fondo Sovrano, come da me scritto nel 2020 insieme a Gianluigi De Marchi nel libro “Ricostruire la finanza” e più volte ricordato anche sul Suo giornale, il Tesoro potrebbe emettere Titoli Irredimibili Rendita ad un rendimento maggiore di quello dei titoli di debito, in sostituzione volontaria delle tranche di titolo di debito pubblico in scadenza, oltre a nuove emissioni. Ove queste emissioni – sostitutive e nuove – escludessero espressamente il diritto al loro riscatto, i titoli emessi potrebbero essere formalmente classificati non più di debito, bensì di rendita. Conseguentemente, nel primo caso avremmo una diminuzione del debito pubblico senza alcun esborso finanziario da parte del Tesoro; nel secondo caso, un aumento della liquidità del Tesoro senza alcun aumento del debito pubblico. I maggiori esborsi per tassi di rendimento più elevati sarebbero più che bilanciati dai mancati esborsi in linea capitale, per di più con tutti i benefici che deriverebbero dal miglioramento delle valutazioni internazionali sul nostro stato di salute finanziaria.

Quando l’investitore in Titoli Irredimibili volesse rientrare in possesso del capitale investito, potrebbe offrire i propri titoli in vendita alla Borsa Valori, nella quale potrebbe trovarsi come uno dei tanti compratori privati anche lo stesso Tesoro, ove esso potesse e volesse diminuire il gettito dei pagamenti per tali rendimenti. Il tasso di rendimento dei titoli irredimibili potrebbe essere in parte fisso e in parte variabile, così da mantenere il valore del titolo al livello nominale di emissione.

Ricordo che nel 2020 una grande banca italiana emise 1,5 miliardi di propri titoli irredimibili, ricevendo richieste di acquisto per ben 6 miliardi: e – si noti –  i titoli irredimibili bancari, in quanto titoli emessi da un soggetto privato,  sono a tassazione piena, mentre quelli pubblici sono a tassazione rirotta alla metà!

Ancora: emissioni di Irredimibili italiani potrebbero attrarre anche la finanza privata estera ed inoltre essere prodromi all’emissione di Titoli Irredimibili Europei, almeno da parte dei paesi “deboli” dell’UE, che potrebbero attrarre investimenti da parte dei paesi “forti”.

Resta poi da chiarire se questo Fondo Sovrano sarebbe nella autonoma disponibilità diretta del Governo o se invece sarebbe sottoposto alle leggi del Parlamento: in altre parole, se si creerebbe da parte del governo una gestione finanziaria autonoma e separata in favore di alcuni settori, privilegiati rispetto ad altri e non sottoposta al normale iter parlamentare.

Infine, sempre anche a prescindere dalla creazione di un Fondo Sovrano, altra fonte finanziaria per lo Stato sarebbe la vendita delle oltre 550.000 unità immobiliari di proprietà dello Stato per oltre 222 milioni di metri quadrati per un valore che oscillava (anno 2020) intorno ai 250 miliardi di euro: si veda documento conclusivo di una indagine conoscitiva della Commissione Finanze della Camera dedicata agli immobili pubblici. La vendita, per non creare squilibri al mercato immobiliare, sarebbe da realizzare a tranche annuali attraverso un Fondo Immobiliare (così mia op. citata, pag. 81).

Riccardo Lucatti, Finanza ed Economia mista ITALIA VIVA TRENTINO

Comments Closed

FONDO SOVRANO DI 1000 MILIARDI? – 3

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 18 Aprile, 2024 @ 11:10 am

(continuazione dai due post precedenti)

Dai fondi sovrani alle getioni separate e da queste alla separazione del potere dalla responsabilità:
– a me governo il potere di finanziare con le “risorse separate” gli obiettivi (elettorali);
– a te parlamento la responsabilità di non riuscire a finanziare le altre necessità.

No buono. In ogni intrapresa, pubblica o privata, il potere complessivo deve essere sempre unito alla responsabilità complessiva.

F.to Riccardo Lucatti, ITALIAVIVA TRENTINO #ItaliaViva#italiavivatrento#italiavivatrentino

Comments Closed

FONDO SOVRANO DI 1000 MILIARDI? – 2

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 18 Aprile, 2024 @ 10:50 am

(continuazione dal post precedente)

I Fondi Sovrani sono costituiti dai paesi che hanno grande abbondanza di mezzi finanziari e rappresentano una sorta di GESTIONE SEPARATA, ovvero risorse finanziarie destinate a determinati scopi, a prescindere dal livello di finanziamento di altri settori.

In Italia non abbiamo risorse finanziarie pubbliche eccedenti che ci consentano di creare un fondo sovrano, mentre ci concediamo gestioni separate, come le somme garantite alla Difesa, da assegnare a prescindere dall’andamento generale degli altri fabbisogni e coperture finanziarie.

Le gestioni separate rappresentano una necessità imprescindibile ma sono anche un privilegio. Faccio un esempio banale: il bilancio di una famiglia è al limite, ma il capo famiglia decide di garantire un tot al figlio maggiore, a prescindere dal soddisfacimento o meno delle necessità degli altri componenti.

Rispetto a quanto ho scritto nel post precedente, io avverto un possibile grave pericolo, e cioè che il Fondo Sovrano invocato dagli autori possa diventare uno strumento per l’azione politica privilegiata e discrezionale del governo, a prescindere dalle altre necessità di finanziamento avanzate da componenti politiche “non allineate”.

Riccardo Lucatti, ITALIAVIVA TRENTINO.

Comments Closed

UN FONDO SOVRANO DI 1000 MILIARDI? – 1

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 18 Aprile, 2024 @ 9:29 am

Questa sera alle ore 18,30 alle Cantine Ferrari di Trento, Cino Serrao (consulente industriale e giornalista) e Marco Pugliese (docente e giornalista) secolo presentano il loro saggio “L’industria italiana del XX e del XXI. Visionari e giganti”, Gangemi editori, 159 pagine, €20,00).
Sono intervistati oggi sul quotidiano ilT dal direttore Simone Casalini che interroga gli autori su una loro proposta: un “Fondo Sovrano” di 1000 miliardi per abbattere il debito pubblico e rilanciare investimenti a partire da scuola, università e sanità.

Se riesco, andrò alla presentazione del libro e chiederò:
– se il fondo sarà una entità separata gestita direttamente dal Governo o se gli investimenti saranno sottoposti alle decisioni del Parlamento;
– come si intende alimentare questo fondo: infatti non capisco come si possa costituire un fondo essendo così indebitati, né come si potrebbe costituire un fondo con nuovi debiti per ridurre i vecchi debiti;
– come vi si possa far convergere VOLONTARIAMENTE la ricca finanza privata degli italiani (gli autori scrivono: circa 5000 miliardi, di cui – scrivo io – 1700 nei conti bancari, n.d.r.).

Circa quattro anni fa, insieme al mio amico Gianluigi De Marchi, ho pubblicato un libro nel quale sostenevamo – fra l’altro – come far convergere VOLONTARIAMENTE la ricca finanza privata italiana (ed estera!) verso il nostro settore pubblico, attraverso l’emissione di TITOLI IRREDIMIBILI DI RISPARMIO non di debito (riclassificati tali in quanto espressamente escludenti il diritto al riscatto!) i quali, se emessi in sostituzione volontaria delle tranche di debito pubblico in scadenza, riducono il debito pubblico; se di nuova emissione, aumentano la liquidità senza aumentare il debito.

Nel 2020 una grande banca italiana emise 1,5 miliardi di propri Irredimibili ricevendo richieste di acquisto per 6 miliardi! E gli Irredimibili pubblici sarebbero tassati la metà di quelli privati (bancari).

(continua al post successivo)

F.to Riccardo Lucatti – ITALIA VIVA TRENTINO #ItaliaViva #italiavivatrento #italiavivatrentino

Comments Closed

Discorso integrale pronunciato ieri da Mario Draghi alla High-Level Conference of the European Pillar of Social Rights.

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 17 Aprile, 2024 @ 9:55 am

Buongiorno a tutti. Questa è, in sostanza, la prima volta in cui ho l’occasione di iniziare a condividere con voi, se non proprio la filosofia – non ci siamo ancora arrivati –, almeno il modo in cui si vanno delineando il disegno d’insieme e la filosofia complessiva del report. La competitività è una questione controversa per l’Europa. Nel 1994, l’economista e futuro premio Nobel Paul Krugman etichettò come “pericolosa ossessione” la tendenza a concentrarsi sulla competitività. A suo dire, una crescita a lungo termine si ottiene aumentando la produttività – che va a beneficio di tutti – e non tentando di migliorare la propria posizione relativa rispetto ad altri e di catturare la loro quota di crescita.

L’approccio alla competitività che abbiamo adottato in Europa dopo la crisi del debito sovrano sembrerebbe avergli dato ragione. Abbiamo deliberatamente perseguito una strategia basata sul tentativo di ridurre i costi salariali l’uno rispetto all’altro, in aggiunta a una politica fiscale prociclica, con l’unico risultato di indebolire la nostra stessa domanda interna e minare il nostro modello sociale. Non è la competitività a essere viziata come concetto. È l’Europa che si è concentrata sulle cose sbagliate.


Ci siamo rivolti verso l’interno, vedendo noi stessi come concorrenti, anche in settori come la difesa e l’energia in cui abbiamo profondi interessi comuni. Allo stesso tempo, non abbiamo guardato abbastanza verso l’esterno: con una bilancia commerciale in fin dei conti positiva, non abbiamo considerato la nostra competitività esterna come una questione di policy seria. In un ambiente internazionale favorevole, abbiamo fatto affidamento sulla parità di condizioni a livello globale e su un ordine internazionale basato sulle regole, aspettandoci che gli altri facessero lo stesso.

Ma ora il mondo sta cambiando velocemente, e siamo stati colti di sorpresa.Altre regioni, in particolare, hanno smesso di rispettare le regole e sono attivamente impegnate a elaborare politiche volte a migliorare la loro posizione competitiva. Nel migliore dei casi, queste politiche hanno l’obiettivo di riorientare gli investimenti verso le proprie economie a scapito della nostra; nel peggiore, sono progettate per rendere permanente la nostra dipendenza da loro.


La Cina, ad esempio, punta a catturare e internalizzare tutte le parti delle catene di approvvigionamento legate alle tecnologie verdi e avanzate, e sta facendo in modo di assicurarsi l’accesso alle risorse necessarie. Questa rapida espansione dell’offerta sta portando a un eccesso di capacità in numerosi settori e minaccia di indebolire le nostre industrie. Gli Stati Uniti, da parte loro, utilizzano la politica industriale su larga scala per attrarre entro i propri confini la capacità produttiva interna di maggior valore, compresa quella delle imprese europee, ricorrendo al protezionismo per tagliare fuori la concorrenza e impiegando il loro potere geopolitico per riorientare e proteggere le catene di approvvigionamento.

Come Unione europea non abbiamo mai avuto un analogo “Industrial Deal”, anche se la Commissione continua a fare tutto quanto è in suo potere per colmare questa lacuna. Sta di fatto che, nonostante una serie di iniziative positive in corso, ci manca ancora una strategia complessiva sulle risposte da dare nei diversi settori.

Ci manca una strategia su come tenere il passo nella corsa, sempre più spietata, per la leadership nelle nuove tecnologie. Oggi i nostri investimenti in tecnologie digitali e avanzate, anche per la difesa, sono inferiori rispetto a quelle di Stati Uniti e Cina, e solo quattro dei primi 50 player tecnologici al mondo sono europei. Ci manca una strategia su come proteggere le nostre industrie tradizionali da condizioni di disparità globali dovute ad asimmetrie nella regolamentazione, nei sussidi e nelle politiche commerciali. Un caso esemplare è quello delle industrie ad alta intensità energetica. In altre regioni, queste industrie non solo devono sostenere costi energetici più bassi, ma sono anche soggette a minori oneri normativi e, in alcuni casi, ricevono pesanti sovvenzioni che rappresentano una minaccia diretta alla possibilità per le imprese europee di competere. In assenza di politiche pianificate e coordinate strategicamente, la logica conseguenza è che alcune delle nostre industrie finiscano per ridurre la capacità produttiva o si trasferiscano al di fuori dell’UE.

E ancora, ci manca una strategia su come assicurarci le risorse e gli input di cui abbiamo bisogno per realizzare le nostre ambizioni, senza accrescere la nostra dipendenza da altri.
In Europa abbiamo giustamente un’agenda climatica ambiziosa e obiettivi impegnativi per i veicoli elettrici. Ma in un mondo in cui i nostri concorrenti controllano molte delle risorse di cui abbiamo bisogno, una simile agenda non può che essere accompagnata da un piano per mettere in sicurezza le nostre catene di approvvigionamento — dai minerali critici alle batterie, passando per le infrastrutture di ricarica. Finora la nostra risposta è stata limitata perché il modo in cui siamo organizzati, i nostri processi decisionali e i nostri meccanismi di finanziamento sono progettati per il mondo di ieri: pre-Covid, pre-Ucraina, pre-conflagrazione in Medio Oriente, pre-ritorno delle ostilità tra grandi potenze. Ma a noi serve un’Unione europea che sia adeguata al mondo di oggi e di domani. Ecco perché quel che proporrò nella relazione che la Presidente della Commissione mi ha chiesto di preparare è un cambiamento radicale: perché è di questo che c’è bisogno.

In ultima analisi, sarà necessario completare una trasformazione che attraversi tutta l’economia europea. Dobbiamo poter contare su sistemi energetici decarbonizzati e indipendenti; un sistema di difesa integrato e adeguato a livello di UE; produzione nazionale nei settori più innovativi e in più rapida espansione; e una posizione di leadership nell’innovazione deep-tech e digitale, che sia vicina alla nostra base produttiva. Tuttavia, vista la velocità alla quale si muovono i nostri concorrenti, è altrettanto importante stabilire delle priorità. È necessario agire immediatamente nei settori maggiormente esposti alle sfide verdi, digitali e di sicurezza. Il mio report si concentrerà su dieci di questi macro-settori dell’economia europea. Ogni settore richiede riforme e strumenti specifici, ma dalla nostra analisi emergono tre fili conduttori, comuni ai diversi interventi di policy. Il primo è favorire le economie di scala. I nostri principali concorrenti stanno approfittando della propria dimensione continentale per generare economie di scala, aumentare gli investimenti e catturare quote di mercato nei settori in cui questo conta di più. In Europa avremmo naturalmente lo stesso vantaggio, ma la frammentazione ci frena.

Nell’industria della difesa, ad esempio, la mancanza di economie di scala ostacola lo sviluppo di una capacità industriale europea: un problema riconosciuto anche dalla recente Strategia industriale europea per la difesa. Negli USA, ai cinque soggetti principali fa capo l’80% del mercato statunitense nel suo complesso, mentre in Europa si arriva solo al 45%. Questa differenza si spiega in gran parte con la frammentazione della spesa per la difesa nell’UE.


I governi non ricorrono molto spesso agli acquisti congiunti — gli appalti collaborativi rappresentano meno del 20% della spesa — e non si concentrano abbastanza sul mercato interno: negli ultimi due anni quasi l’80% degli acquisti è stato effettuato da paesi terzi. Per soddisfare le nuove esigenze in materia di difesa e sicurezza, dobbiamo intensificare gli approvvigionamenti congiunti, rafforzare il coordinamento della spesa e l’interoperabilità delle attrezzature, ridurre notevolmente la dipendenza da fornitori internazionali.

Un altro ambito in cui non stiamo perseguendo economie di scala sono le telecomunicazioni. Nell’UE abbiamo un mercato di 445 milioni di consumatori, ma gli investimenti pro capite sono solo la metà di quelli negli Stati Uniti e siamo in ritardo nella diffusione del 5G e della fibra. Uno dei motivi di questa lacuna è che abbiamo 34 gruppi di reti mobili in Europa — e 34 è una stima prudente, in realtà ne abbiamo molti di più — che spesso operano solo su scala nazionale, contro i tre degli Stati Uniti e i quattro della Cina. Per produrre maggiori investimenti, dobbiamo razionalizzare e armonizzare ulteriormente la normativa in materia di telecomunicazioni in tutti gli Stati membri e sostenere — non ostacolare — il consolidamento. E le economie di scala sono fondamentali anche in un altro senso, per le imprese giovani che generano le idee più innovative. Il loro modello di business dipende dalla capacità di crescere rapidamente e commercializzare le proprie idee, il che a sua volta presuppone l’esistenza di un grande mercato interno. E la scala è essenziale anche per lo sviluppo di nuovi medicinali innovativi, attraverso la standardizzazione dei dati dei pazienti dell’Unione europea e l’uso dell’intelligenza artificiale, che ha bisogno di tutta la ricchezza di dati di cui disponiamo— se solo riuscissimo a standardizzarli. In Europa siamo tradizionalmente molto forti nella ricerca di base, ma non riusciamo a portare l’innovazione sul mercato e a potenziarla.

Per affrontare questo ostacolo potremmo, tra le altre cose, rivedere l’attuale normativa prudenziale sul credito bancario e istituire un nuovo regime normativo comune per le start-up nel settore tecnologico. Il secondo filo conduttore è la fornitura di beni pubblici. Ci sono investimenti di cui tutti beneficiamo, ma che nessun paese può sostenere da solo: in questi casi avremmo tutte le ragioni per agire insieme, pena il rischio di non essere all’altezza delle nostre esigenze— ad esempio sul fronte del clima, nel campo della difesa e anche in altri.
Nell’economia europea ci sono varie strozzature, punti in cui la mancanza di coordinamento si traduce in inefficienze dovute proprio al basso livello di investimenti. Un esempio è rappresentato dalle reti energetiche, e in particolare dalle interconnessioni. Che si tratti di un bene pubblico è chiaro: un mercato integrato dell’energia ridurrebbe i costi energetici per le nostre imprese e ci renderebbe più resilienti di fronte alle crisi future— un obiettivo che la Commissione persegue nel contesto di REPowerEU. Ma l’interconnessione richiede decisioni in materia di pianificazione, finanziamento, approvvigionamento di materiali e governance, e queste decisioni sono difficili da coordinare. Di conseguenza, non saremo in grado di costruire una vera Unione dell’energia fintanto che non ci accorderemo su un approccio comune.

Un altro esempio è la nostra infrastruttura di super computing. L’UE dispone di una rete pubblica di computer ad alte prestazioni (_high-performance computers _ o HPC) di livello mondiale, ma le ricadute sul settore privato sono al momento molto, molto limitate. Questa rete potrebbe essere utilizzata dal settore privato — ad esempio dalle start-up di intelligenza artificiale e dalle PMI — e in cambio, i vantaggi finanziari conseguiti potrebbero essere reinvestiti per aggiornare gli stessi HPC e sostenere l’espansione del cloud nell’UE. Una volta identificati questi beni pubblici, dobbiamo anche dotarci dei mezzi per finanziarli. Il settore pubblico ha un ruolo importante da svolgere, e in passato ho già parlato di come potremmo fare un uso migliore della capacità di prestito comune dell’UE, in particolare in settori, come la difesa, in cui la frammentazione della spesa riduce la nostra efficacia complessiva. La maggior parte del fabbisogno di investimenti, tuttavia, dovrà essere coperta da investimenti privati. L’UE dispone di risparmi privati molto elevati, che sono però per lo più incanalati nei depositi bancari e finiscono per non finanziare la crescita quanto potrebbero in un mercato dei capitali più ampio. Per questo motivo il progresso dell’Unione dei mercati dei capitali è una parte indispensabile della strategia complessiva per la competitività.

Il terzo filo conduttore è garantire l’approvvigionamento di risorse e input essenziali. Se vogliamo raggiungere i nostri obiettivi in materia di clima senza aumentare la nostra dipendenza da paesi sui quali non possiamo più contare, avremo bisogno di una strategia globale che copra tutte le fasi della catena di approvvigionamento dei minerali critici. Al momento, in quest’ambito stiamo per lo più lasciando campo libero agli attori privati, mentre altri governi hanno scelto di guidare in prima persona, o comunque di coordinare fortemente, l’intera catena. Abbiamo bisogno di una politica economica estera che produca, per la nostra economia, questo stesso risultato. La Commissione ha già avviato questo processo con il Regolamento europeo sulle materie prime critiche, ma occorrono misure complementari per rendere più concreto il suo obiettivo. Ad esempio, potremmo prevedere una apposita piattaforma mineraria critica dell’UE, principalmente a fini di approvvigionamento congiunto, diversificazione e sicurezza dell’offerta, messa in comune delle fonti di finanziamento e costituzione di scorte.

Un altro contributo fondamentale che dobbiamo garantire — e che riveste un’importanza particolare per voi, le parti sociali — è la disponibilità di forza lavoro qualificata. Nell’UE, tre quarti delle imprese segnalano difficoltà nell’assumere dipendenti con le giuste competenze, e per 28 profili professionali – che rappresentano il 14% della nostra forza lavoro – sono attualmente identificati come carenti di manodopera. Con l’invecchiamento della società e un atteggiamento meno favorevole nei confronti dell’immigrazione, dovremo trovare queste competenze al nostro interno. Sarà necessario lavorare da più parti per assicurare la disponibilità delle skill necessarie e definire percorsi flessibili di miglioramento delle competenze. Uno degli attori più importanti al riguardo sarete voi, le parti sociali. Siete sempre stati fondamentali nelle fasi di cambiamento e l’Europa farà affidamento su di voi per contribuire ad adattare il nostro mercato del lavoro all’era digitale e rafforzare i nostri lavoratori. Questi tre filoni ci impongono una riflessione profonda sulla nostra organizzazione, su cosa vogliamo fare insieme e cosa mantenere a livello nazionale. Considerata l’urgenza della sfida che abbiamo davanti, tuttavia, non possiamo concederci il lusso di rimandare a una futura revisione del Trattato le risposte a tutte queste importanti questioni. Per garantire la coerenza tra i diversi strumenti di policy dovremmo essere in grado di sviluppare ora un nuovo strumento strategico per il coordinamento delle politiche economiche. E se dovessimo constatare che ciò non è fattibile, in casi specifici, dovremmo essere pronti a prendere in considerazione la possibilità di procedere con un sottoinsieme di Stati membri. Una cooperazione rafforzata sotto forma di 28° regime, ad esempio, potrebbe essere una strada percorribile per l’Unione dei mercati dei capitali, con l’obiettivo di mobilitare gli investimenti.

Come regola generale, tuttavia, credo che la coesione politica della nostra Unione ci imponga di agire insieme, possibilmente sempre. Dobbiamo essere consapevoli che oggi la nostra stessa coesione politica è minacciata dai cambiamenti in atto nel resto del mondo. Ripristinare la nostra competitività non è un obiettivo che possiamo raggiungere da soli, o battendoci l’un l’altro. Ci impone di agire come Unione europea, come mai prima d’ora. I nostri concorrenti sono in vantaggio perché possono agire ciascuno come un paese unico con un’unica strategia, allineando dietro quest’ultima tutti gli strumenti e le politiche necessarie. Se vogliamo raggiungerli, avremo bisogno di un nuovo partenariato tra gli Stati membri, una ridefinizione della nostra Unione non meno ambiziosa di quella operata dai Padri Fondatori 70 anni fa con la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio.

F.to Mario Draghi.

Comments Closed

PRIVATIZZARE COME “PRIVARE”

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 17 Aprile, 2024 @ 6:54 am
  • Privatizzare una Spa in inglese di dice to go public, cioè quotare in borsa una SpA in modo che i suoi azionisti siano i componenti del pubblico dei cittadini, cioè “andare verso i cittadini”.
  • Da noi privatizzare significa il contrario, cioè “sottrarre al controllo pubblico, degli enti pubblici”. Dopo di che la quotazione in borsa può riguardare sia una società “pubblica” che una privata.
  • Solo che da noi si stanno “privatizzando” intere funzioni pubbliche: la SANITA’ e l’INFORMAZIONE, in tal modo “privando” i cittadini di importanti diritti e garanzie.

Lo sfacelo della sanità pubblica è ormai iniziato da tempo. Più recente ma altrettanto preoccupante è la fuga dei “cervelli” dal servizio pubblico RAI, alla quale si accompagna la DIRETTIVA POLITICA stile Minculpop che vuole connotarla come organo di partito. Minculpop, acronimo che nel ventennio significava Ministero della cultura popolare e che oggi potrebbe significare “Mi … prendo gioco del popolo”.

DIRETTIVE POLITICHE che hanno condizionato l’uscita un mare della Guardia Costiera (Cutro) e che ora vogliono fare il bis con l’informazione.

Quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini … ciò che non sono riusciti a fare quelli che volevano la democrazia diretta (diretta da poche persone, cioè oligarchia), ora lo avranno fatto i nuovi “Barberini” romani …

Come ne usciamo? Con la creazione di un organismo politico europeo di garanzia: gli STATI UNITI D’EUROPA!

Comments Closed

IL “MONDO” SI MUOVE VELOCEMENTE … E NOI?NOI VOGLIAMO GLI STATI UNITI D’EUROPA. E LORO?

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 15 Aprile, 2024 @ 6:16 am

Loro, i sovranisti, continuano a dire “sovrani a casa nostra, liberi di fare qualche accordo interessante con gli altri europei”.

Ma, ragazzi, questo sovranismo è morto da tempo e se ancora non glielo ha detto nessuno, glielo diciamo ora noi! E’ morto travolto da una sfrenata globalizzazione delle produzioni, dei commerci; è morto, ucciso dalla ricolonizzazione, dal diffondersi delle criptovalute, delle nuove armi volanti, del terrorismo dialagante.

Dum Romae consulitur, Africa expugnatur, mentre a Roma si discute (ad esempio: del nuovo Piano Mattei; del mercatino delle pulci dei voti, per fare due esempi), l’Africa è conquistata dall’accaparramento cinese delle materie prime e dalle bande dei mercenari russi e il mondo è minacciato dalle stragi dei terroristi.

E noi? Noi di Italia Viva abbiamo contribuito a far nascere la lista di scopo STATI UNITI D’EUROPA per creare un soggetto politico internazionale che sappia a possa fare politica internazionale.
Noi costruttori di questa Nuova Europa abbiamo un leader, MATTEO RENZI che da tempo è molto ascoltato anche dalla componente araba moderata, primo baluardo contro la dilagante pretesa di un panterrorismo pseudoreligioso.

Nemo propheta in patria, diceva quell’Uno, e infatti in casa nostra alcuni hanno (inutilmente, n.d.r.) cercato di annullare questa Persona, visto che nella competizione aperta, leale, pubblica sarebbe stati perdenti: infatti l’hanno sempre sfuggita, rifiutata con frasi qualunquiste: “Ah, io con quello, mai!”, farsi che potrebbero essere pronunciate contro chiunque da persone qualunque: infatti sono pronunciate da pretesi politici qualunque, ma questa è un’altra storia.
Impariamo una buona volta ad essere profeti in casa nostra, a mandare avanti Persone capaci, dotate di esperienza e credibilità internazionale, veri è propri P- CEO-DG, Presidenti-Amministratori Delegati e Direttori Generali della Politica Internazionale!

Non ci facciamo distrarre dai tanti piccoli capi-ufficio della politica (con il massimo rispetto dei capi-ufficio delle SpA, s’intende) che l’unica strategia che sanno attuare è quella dei bigliettini delle maldicenze e delle roboanti promesse da Paese dei Balocchi.

Alle prossime elezioni europee, votiamo e facciamo votare la lista STATI UNITI D’EUROPA. #ItaliaViva #italiavivatrento #italiavivatrentino

Comments Closed

PROBLEMI DI TRAFFICO FRA TRENTO E PERGINE VALSUGANA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 14 Aprile, 2024 @ 5:55 am

Anzi, fra Trento e Colle Pergine. Infatti con il termine “Colle” si indica il punto nel quale di scollina, ovvero si passa da una valle all’altra: Colle del Sestriere, Colle del Moncenisio, del Galibier, du Granon, de l’Izoard e via così. Noi ciclisti lo sappiamo bene.

Orbene, poiché è in fase di completamento la pista ciclabile che da Trento (194 m) sale a Pergine Valsugana (482 m) dove arriva la ciclabile che sale da Bassano del Grappa (129 m), potrebbe essere il caso di cambiare nome a Pergine Valsugana e ribattezzarla Colle Pergine.

A Colle Pergine poi scollinano anche i treni della ferrovia Trento-Valsugana-Venezia e ci avvertono che i lavori di elettrificazione dei suoi 157 km comporteranno per anni gravissimi inconvenienti ad ogni tipo di circolazione soprattutto nei 15 km fra Trento e questo Colle.

Avanzo un’ipotesi: rinunciare alla elettrificazione di questa breve tratta e dotare i locomotori di doppio motore, aggiungendo un motore elettrico a quello attuale a ciclo Diesel: in entrata e uscita da Trento non si intralcerebbe la circolazione su gomma e si manterrebbe quella su rotaia anche se in tutta la restante parte del percorso i treni non potessero circolare a causa dei lavori: abbiamo le auto ibride, potremmo ben avere anche locomotori ibridi.
Dice … ma hanno già un doppio motore! Ah si? allora il problema non si pone: basta non elettrificare la tratta Trento-Colle Pergine

Riccardo Lucatti, Tavolo di Lavoro Finanza ed Economia mista ITALIAVIVA TRENTINO #italiavivatrento #italiavivatrentino

Comments Closed