BICICLETTA
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 5 Gennaio, 2020 @ 7:02 amDetto altrimenti: quando è nata, come sta crescendo veloce come il VEN.TO! (post 3734)
La bici oggi, letta attraverso i miei occhi di blogger: una bicic …letta!
La prima? Oltre 4000 anni fa! Non ci credete? Ma se già nell’Iliade d’Omero sia pure indirettamente se ne parla, dai! Infatti come era soprannominato l’eroe “Achille? “Piè-veloce”! E sapete perché lo chiamavano così? Perché possedeva un velo-cipede (a pensarci bene … eroe … bella forza: hai super poteri, sei invulnerabile … e chi non sarebbe eroe a queste condizioni? Che poi ti sei arrabbiato per via di schiave e amichetti sottratti ai tuoi piaceri, ma ti pare? Ma questa è un’altra storia).
Veloci-pede, si diceva, piede-veloce: e questo nome è rimasto alla nostra amata bicicletta anche nell’attuale legge, il codice della strada. Pazienza … Dice: ma perché questa mattina ti è venuto in mente di scrivere di biciclette? Ve lo dico subito. Ieri sera alla TV reclamizzavano una regione della nostra Bella Italia, le Marche, e i filmati erano impostati sul cicloturismo. Apro i quotidiani e vedo che la legge regola la circolazione dei monopattini elettrici equiparandola a quella delle biciclette. E così via: biciclette dappertutto. Bene, mi dico, bene, l’hanno capita finalmente: la bicicletta risolve i problemi del traffico urbano, fa bene alla salute, è uno strumento per lo sviluppo del turismo e di un nuovo settore industriale. Oggi poi che la popolazione sta invecchiando, ecco le e-bike! Che si può volere di più? Nulla, se non l’attribuzione della giusta centralità alla bicicletta e a tutti gli aspetti da essa derivati e ad essa correlati. Un esempio: in Sud Tirolo, una piccola ridiscesa in bici, i 50 km da Dobbiaco a Lienz. In Austria, una grande ridiscesa, 500 km lungo il Danubio; sempre in Austria, il Tirol Bike safari (cfr. in internet).
E qui da noi? Be’, qui da noi con un investimento molto limitato (la metà del costo d’acquisto e manutenzione di un solo cacciabombardiere F35) si può attrezzare la VEN-TO, la pista ciclabile da Torino a Venezia! Con un uguale impegno finanziario, si può completare la direttrice ciclabile nord-sud, e così via. Volete mettere quanto turismo in più cattureremmo!?
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Dice: tutto qui ciò che desideri, blogger? No raga, a dire il vero ci sarebbe un’altra mia richiesta: e cioè che sia riconosciuto il lavoro di tutte le associazioni che da decenni si stanno impegnando a che tutto ciò avvenga, e fra questa la mia, la FIAB-Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta, ed in particolar modo FIAB Trento Amici della Bicicletta, naturalmente. Già, perchè qui da noi ci sono molti “cappellifici” … si, sapete, quelle fabbriche che producono cappelli speciali … quelli che la politica è solita acquistare per metterli sul lavoro altrui. E invece sarebbe cosa buona e giusta dare a Cesare quel che è di Cesare e in questo caso Cesare siamo tutti noi Fiabbini. Non vi pare?
Grazie per avere bicic …letto questo mio post!
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SCI-STORIA
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 4 Gennaio, 2020 @ 8:32 amDetto altrimenti: sci, una volta …. (post 3733)
Genova città natale, città di mare, leva militare di mare e di montagna: metà in marina, metà alpini. Il mare, anni ’50, per noi ragazzi che abitavamo a meno di 2 km dalla costa, era più a portata di mano che non le montagne. La scuola finiva maggio o poco più, e noi quasi quattro mesi all’anno in acqua: infatti anche oggi i vestiti che acquisto mi sono sempre un po’ corti di manica! E i timpani inspessiti per le tante immersioni in apnea a pescare con il fucile subacqueo. Fino a quando – avevo 16 anni – una gita scolastica mi ha portato a Frabosa Soprana (Oberfrabosa, diremmo qui in Sud Tirol!) a vedere delle grotte che poi erano allagate e quindi niente. Fuori la neve, molti sciavano. Ci voglio provare, dissi. Comperai un paio di scarponi usati, adattai un vecchio paio di sci di legno icori, alcuni capi di vestiario prestati da un amico e via, in corriera (definirla pullman sarebbe troppo) di nuovo a Frabosa.
Uno sklift? Cos’è? Mah … pago il biglietto e mi aggancio. Si chiamava “Punta Croce”. In cima un mio amico – ne ricordo il nome – Nico De Cata – mi invita a sciare con lui. Maccomesifà, chiedo. Si stupisce. Ma sei matto? Perchè sei salito allora? Scendo da solo, una caduta ogni cinque metri, tutto il giorno così. A casa hanno dovuto strizzare i vestiti e me stesso tanto ero inzuppato!
Poi arrivò una vacanza di tre giorni all’Alpe di Mera … poi i miei mi regalarono un paio di sci seri, i Devil Rosso della Persenico, di metallo! Vi risparmio la mia ski-story. Mi limito a due poesiole che scrissi pensando a quegli anni.
Sciare da Genova, le prime volte
Accarezzi i tuoi primi / ed amati scarponi. / Ricordi? / Di marca Munari / di cuoio, son neri / da veri campioni / e brillano al pari / dei tuoi desideri. /Affili le lame / dei Diavoli Rossi d’acciaio / che attendon da mesi l’invero / sospesi nell’angolo / della stanzetta sul mare. / Il sacco è già pronto da ore / due sveglie puntate. Non dormi la notte in attesa / d’alzare la testa / ubriaca di sonno / a giornata di festa /gioiosa contesa / di amiche sciate. / Hai poca esperienza di neve / sei nato fra i marinai / ma tanto voler d’imparare./ Inizi imitando i più bravi / che resti a guardare / ascoltandone il moto del corpo./ Ed ecco che scivoli, salti, t’arresti / con sempre minore fatica / sui lieti pendii. / Gli sci non sono più lenti / la neve orma è la tua amica. / Qualcuno ti chiama / ma il vento / fendendo il tuo corpo gioioso / e la neve la lama / impediscon l’ascolto / e poi chiaccherare / è ammesso soltanto / salendo l’impianto / sul seggiolino protetto / della seggiovia/ mangiando un panino / risparmio prezioso / di tempo e denaro / al tuo giornaliero biglietto.
(N.B.: anni ’60, sci Devil Rosso della Persenico, in acciaio, combi, Lit. 65.000, all’epoca superati solo dagli austriaci Kneissl White Star, Lit. 85.000 – Due autentici “sogni” per un ragazzo d’allora!)
Piemonte
Piemonte ti vedo / nei vecchi edifici mattone / la bruma che bagna le strade / e il sole improvviso che bacia / corone lontane di vette. / Colline rossastre che sanno di vino / pianure solcate da fiumi impetuosi / dimora dei Re di Savoia / che ancora galoppano a caccia / le valli selvagge dell’Argentera. / La prima sciata / il freddo calor della neve / il fumo dai tetti / arroccati alla Pieve / antichi rifugi la sera / di vecchi / scaldati agli ultimi fuochi / dei tuoi contadini. / Tu scivoli a fianco / senza rumore / sul bianco lenzuolo di neve / per non disturbarne la vita. / Ma ormai sono spazi di piste / o bar dove fare una sosta / e allora ti chiedi un po’ triste / se quella cultura / e l’amore / che lega la gente al suo monte / sia proprio finita: / e a questa domanda / preferisci non dare risposta. / Salve Piemonte!
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POST … A DI BABBO NATALE
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 2 Gennaio, 2020 @ 11:43 amDetto altrimenti: post … a “da” Babbo Natale (post 3732)
Eh sì, è andata così: la mia nipotona (Sara, 9 anni; le altre sono la nipote Bianca di due anni; la nipotina Matilde di cinque mesi) tutta raggiante mi ha mostrato i nuovi sci ricevuti in regalo da Babbo Natale con una bella lettera di accompagnamento che mi ha autorizzato di pubblicare. Eccola
Santo Natale 2019
Cara Sara buongiorno! Sono Babbo Natale, quello dei regali, sai … senti un po’ cosa mi è successo. L’altra sera ero a cena da amici alla Trattoria “Luna” … sì, proprio sulla Luna e sai come succede, un bicchiere tira l’altro e alla fine ero un po’ su di giri. Salutando gli amici, mi son ricordato che dovevo ancora completare la raccolta dei regali da consegnare ai bambini ed allora via, veloce come il vento! Le mie renne letteralmente “volavano”! Ed ecco che all’incrocio con la Via Lattea sono stato fermato da un Angelo della Polizia della Strada che mi contesta l’eccesso di velocità. Cerco di spiegargli le ragioni della mia fretta ma non c’è stato niente da fare: ho dovuto pagare tre panettoni di multa. Evvabbè.
Riprendo la guida e arrivo al magazzino regali. Sapendo che vai a sciare in Paganella e poiché io stesso sono uno sciatore ho pensato di regalarti un paio di sci “a crescita”. Cosa vuol dire “a crescita”? Che gli sci crescono man mano che tu aumenti di statura? No, diamine! Vuol dire che alla fine della stagione li puoi restituire e poi all’inizio della nuova stagione te ne daranno un altro paio un po’ più lunghi. Per semplificare la cosa ho fatto un accordo con un negozio di sci, quello che sta alla base della salita che porta in Bondone, così fra l’altro faccio riposare un po’ le mie renne, che hanno già tanta strada da fare! Cosa? Mi dici che dovrai far regolare i tuoi scarponi sugli attacchi degli sci? Eh no cara mia, mica per niente io sono un Babbo Natale esperto! Quattro notti fa sono venuto a Lavis, sono entrato in casa tua, zitto zitto, senza fare rumore, ho preso la misura dei tuoi scarponi e sono volato via! Vedrai che calzeranno gli sci alla perfezione!
Infine, quanto alla tua richiesta della Pace nel Mondo che mi hai fatto nella tua letterina, ne ho parlato a lungo con Gesù Bambino: vedrà Lui quello che si può fare. Un abbraccio dal tuo Babbo Natale in tedesco, che sa che hai fatto un bel 20/20 alla prova di quella lingua!
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EMOZIONI MONTANE
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 1 Gennaio, 2020 @ 8:11 pmDetto altrimenti: di ieri e di oggi (post 3731)
Emozioni montane e lontane, che rivivono. Da ragazzo e poco più, salivo sulle montagne. Poi ho iniziato a scalarle: roccia e ghiaccio. Anche la neve, soprattutto lo scialpinismo, in primavera: base Cesana Torinese (abitavo e lavoravo a Torino) si partiva con il buio per certe stradicciole di avvicinamento nelle valli del Piemonte al confine con la Francia. Il fondo ghiacciato, ogni volta rischiavamo di rovinare a valle, l’auto e noi. Ci è sempre andata bene. E poi su, con le pelli. Arrivava il sole e alla fine anche la vetta. Una volta con un amico a causa di una di quelle partenze al buio, con tutto quel bianco … siamo saliti sulla montagna “sbagliata” per cui arrivati in vetta ci sembrò che … avessero spostato il Monviso, uno dei nostri punti di riferimento usuali! E invece era il Gran Pic de Rochebrune!
Passano gli anni, il lavoro, la famiglia, cambiano le abitudini. E poi anche una bronchitina cronica che quando uno lavora e gli viene una bronchite normale e lui mona non la cura poi se la ritrova cronica così impara, ma questa è un’altra storia. Comunque basta salite, solo discese. Un paio di settimane fa. In Paganella ci sono i campionati europei femminili di sci alpino: gli impianti di risalita entrano in funzione oltre mezz’ora prima dell’orario solito. Siamo nelle giornate più corte dell’anno. Io salgo sulla cabinovia alle 07,40. Arrivati alla stazione a monte, tutti vanno a sinistra, verso la zona degli allenamenti e delle gare. Io mi dirigo a destra, verso la zona S. Antonio-Prati di Gaggia. Sono solo. Anche nelle due seggiovie che devo prendere in successione per raggiungere la sommità della zona sciistica. La raggiungo.
E qui l’emozione. Sono solo. Il manto nevoso è intatto, un tappeto bianco perfettamente zigrinato dal gatto delle nevi che lo ha “battuto” alla perfezione. Alzo lo sguardo e vedo rosa: le Dolomiti di Brenta assolutamente rosa! Non mi raggiunge alcun altro sciatore. Ed ecco che mi pare di essere su una di quelle cime che salivo con le pelli di foca, tanti anni fa, in zone non “servite” da alcun impianto di risalita. Ecco l’emozione montana del titolo di queste righe, una magìa difficile da rendere con le parole sia parlate che scritte.
Chissà perché non le ho fotografate. Forse perché non riuscivo a prendere alcuna decisone, a muovermi, quasi che potessi spaventare quell’immagine e che essa si dileguasse come un cervo sorpreso da un turista o da un cacciatore.
Una sensazione “antica”, pari a quella che provai una mattina d’estate quando, uscendo dal rifugio Pedrotti alla Tosa, mi trovai di fronte le Dolomiti imbiancate da una spruzzata di neve che si sarebbe sciolta ai primi raggi di un sole che nasceva, lontano, colorato di arancione!
Dopo pochi minuti gli sci si sono mossi da soli, quasi a dirmi “Dai, scendiamo su questo manto intatto finchè è tale: poi arriverà la gente e non sarà la stessa cosa”. Avete ragione, dico anzi penso, ma prima fatemi salutare le mie montagne rosa, il gruppo centrale del Brenta luogo magico di tante mia scalate giovanili: la Cima Tosa, la Cima Margherita, il Campanile Alto, il “Basso”, la Torre, gli Sfulmini per citarne alcune. Poi via! Si vola su un velluto di neve – o neve di velluto, se preferite – sempre soli noi tre: io e i miei due sci blu cobalto Salomon Race.
La mia seconda rialita, arrivano altri sciatori, ancora sono pochi ma non è più come prima. In famiglia mi dicono perché vado a sciare così presto la mattina, perchè sono così bonorivo. No, raga, non vado a sciare, vado a fare il pieno di emozioni “super” il cui distributore chiude molto presto. Se arrivi dopo puoi sempre sciare ma farai il pieno di altre emozioni, emozioni “normali”, assai meno intense. Ma non potevo finire queste poche righe senza riportare qui una mia vecchia poesiola che narra della prima volta che vidi le Dolomiti, da ragazzo, avrò avuto 15 anni, un genovese in visita con la mamma alla zia di Bolzano. Era il gruppo del Sella, in autuno avanzato.
Dolomiti la prima volta
Si sale pian piano /con una seicento che sbuffa / fra nuvole stanche / sedute nei prati rossi di umori / e di foglie. / E sotto il maglione d’autunno / compare / dapprima ogni tanto / e quindi ogni poco / il bianco sparato di neve. / D’un tratto si apre / nel sole / una torre dorata / adagiata su coltri / di freddo vapore d’argento. / Il ricordo di Lei / profuma nei sogni nascosti /di un solitario turista / un po’ fuori stagione / che ha spalancato per caso / la porta di un camerino / e s’innamora alla vista / della Prima Donna / intenta a rifarsi il trucco / per lo spettacolo d’inverno.
Cinque anni dopo stessa emozione forte, in estate: Gruppo del Brenta, salivo a piedi da Vallesinella verso il Brentei e improvvisamente dalla nebbia sbuca verso l’alto la cima del Crozzon di Brenta galleggiante sulle nuvole e indorata dal sole. Ditemi voi se poi rientrando a casa (in allora a Genova) uno non deve correre a iscriversi ai corsi di alpinismo sino a diventarne istruttore sezionale, ditemi voi!
Alpinismo, il mio primo alpinismo nacque nella Alpi Marittime. Ed eccone il ricordo:
Val Maira
Ripide / chiuse / selvagge le valli / aspre al percorso / della mente / e del passo / attendono fredde / gli scalatori. / Erba fra rocce / sferzata da un vento / che impregna / radente / lo spazio prezioso / del chiodo / taglia le mani. / Muschi discreti / coloran l’appiglio in granito / del loro frusciare alla corda / collana di vita / a cinger di sè la montagna / ed il tuo corpo. / Si ergono ardite sul muro / la Torre e la Rocca Castello / a far sentinella al confine / fra ieri e futuro / affinchè il ricordo non muoia. / E’ terra Savoia!
Buone emozioni montane, lontane e vicine a tutte e a tutti!
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LETTERE AL DIRETTORE
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 1 Gennaio, 2020 @ 9:51 amDetto altrimenti: anzi, a due direttori, di un quotidianio locale e di un blog! (post 3730)
Michele Andreaus, professore universitario, da me intervistato al post
http://www.trentoblog.it/riccardolucatti/?p=46223 . Una persona che stimo molto e che in tal senso credo di poter dire amica, (e poi, il mio secondo nome è Michele!), prendendo lo spunto dal dibattito Facoltà di Medicina sì/no a Trento e se sì come, ha scritto un articolo molto illuminante sull’università italiana ampliando l’indagine sul “sistema cultura” in Italia: nel senso che se non si predispongono i porti per accogliere le migliori giovani menti, queste navigheranno verso porti esteri, lasciando spazio alle carrette del mare alle quali peraltro non potrà essere concesso l’ormeggio nazionale rimasto deserto ed al quale tuttavia aspirano. I porti, cita Andreaus, quale quelli dell’Australia, del Regno Unito, del Canada, della Nuova Zelanda, della Spagna, del Portogallo, della Norvegia, tanto per fare qualche nome: tutti con sistemi universitari meritocratici, carriere aperte, borse di studio e stipendi adeguati, serietà nelle selezioni, garanzia di stabilità, nessun nepotismo o fidelizzazione politica richiesta. E purtroppo qui da noi i migliori se ne vanno, i mediocri ci provano e riescono solo quelli “inseriti” in un sistema tutto nostro, nel quale talvolta i valutatori per l’accesso al dottorato di ricerca sono veri e propri “salgariani”, cioè sono come Emilio Salgari che scriveva dei mari della Malesia senza essere mai uscito dall’Italia (questa è bellissima e purtroppo non è mia, bensì sua!). Quindi il problema è ben più ampio del sì/no/come la Facoltà di Medicina a Trento. Al che ecco la mia lettera ai giornali: al quotidiano locale e al mio stesso blog:
Inizia
Egregio Direttore, mi riferisco all’ottimo intervento del Professor Michele Andreaus su l’Adige del 31 dicembre “Mancano medici ma anche docenti” che mi permetto di condividere in pieno. Andreaus, che ogni giorno nuota nel mare delle percezioni sensoriali del suo lavoro, è salito sulla cima della scogliera e del mare dei problemi ha mostrato di avere anche un’ottima una visione d’insieme. Altri sono rimasti immersi fra le loro onde e “del” problema hanno solo percezioni sensoriali. Quello che Andreaus afferma per l’università vale anche per le aziende, per il management, per le associazioni, per la scuola (che insiste a dare ai giovani la capacità di eseguire i lavori dell’oggi e non la conoscenza necessaria per affrontare quelli del domani: questa è mia! N.d.r.). E se avessi dovuto intitolare io il suo articolo avrei scritto: “Mancano medici, ma anche politici”. Già, perchè il suo è un discorso di Alta Politica intesa alla greca ove il termine “politica” era un aggettivo del sostantivo teknè, tecnica, cioè “tecnica di governare la polis” che per loro era la città stato, per noi la provincia e lo Stato. Oggi noi abbiamo sostantivato quell’aggettivo e abbiamo perso per strada il sostantivo, la teknè, la tecnica, l’abilità, la capacità di governare non solo in funzione dell’oggi ma soprattutto in prospettiva: d’altra parte Alcide De Gasperi diceva che “il politico pensa alle prossime elezioni, lo statista alle prossime generazioni”. L’Istat ci dice che siamo una popolazione “vecchia” e noi cosa facciamo? Ci preoccupiamo dell’entrata degli immigrati e non diamo centralità al dramma della fuga all’estero dei nostri migliori giovani: il nostro paese sta diventando un grande sud, pari a quello che creammo nel meridione con la conquista piemontese del Regno delle due Sicilie: 1) le ricchezze vennero depredate (le banche del nord prelevarono l’oro di quelle del sud contro cartamoneta; le fabbriche di treni vennero trasferite; le acciaierie chiuse, etc.); 2) le persone migliori migrarono; 3) i poveri rimasero; 4) i peggiori governarono.
Finisce
In ogni caso, Buon Anno a tutte e a tutti!
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SOCIOLOGIA: UNA BUONA NOVELLA PER IL 2020
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 1 Gennaio, 2020 @ 12:00 amDetto altrimenti: una Buona Novella per la gestione della vita per il 2020 (POST 3729)
BUON ANNO!
Nei prossimi giorni oltre a nuovi post vedrete arricchirsi via via questo dal quale può nascere un esperimento: ciascun lettore potrà prendere lo spunto da uno dei temi trattati e far nascere un approfondimento sulla materia scrivendomi a riccardo.lucatti@hotmail.it facendo riferimento al n. di pagina ivi citato
Buona Novella per la gestione laica, amministrativa, aziendale, etc. ? Si, anche, ma soprattutto per la gestione della nostra vita!
Novella-Gestione laica? Sì, nel senso di diversa, cioè componente di un pluralismo. Ma laica anche in senso di non-religiosa, anche se i principi che professa sono in linea con il Codice di Hammurabi che fra l’altro prescriveva: “Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te; fai agli altri ciò che vuoi sia fatto a te” e anche se qualche millennio dopo ci fu un Tale che l’ha copiato, questo Hammurabi …
Novella-Gestione amministrativa? No di certo, bensì General Management!
Novella-Gestione aziendale? Sì. In alcuni post precedenti ho scritto che la migliore gestione aziendale non è quella che pone al primo posto il profitto, ma la motivazione dei lavoratori.
Un giorno dissi ad un mio conoscente ex commesso ed ex magazziniere che il primo fattore della produzione non è né il denaro né il lavoro, bensì la motivazione dei lavoratori. Lui controbattè: “No, quello che conta è l’aumento del fatturato.” Eh, caro mio … qui casca l’asino: infatti un fatturato crescente può anche significare una perdita crescente e poi in ogni caso se proprio ti sta a cuore il suo incremento, sappi che il miglior mezzo per ottenere ciò è motivare chi ci lavora al tuo fatturato! Ma già … a Milano dicono “Ofelè fa ‘l to’ mestè”, cioè pasticciere fa’ il tuo mestiere: ognuno faccia il mestiere suo! E io il commesso magazziniere non lo so proprio fare!
Novella-Gestione della vita? Sì. In altro post scrissi che i buoni principi della buona gestione aziendale possono ben essere trasferiti nella gestione delle associazioni, della politica e in quella di governo. Oggi mi permetto di dire che dobbiamo trasferirli anche nella gestione della nostra vita.
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Dice: ma … caro blogger, di quali principi stai parlando? Rispondo: li sto estraendo dall’ottimo libro di Pier Luigi Celli ”Il potere, la carriera e la vita – Memorie di un mestiere vissuto controvento”, Ed. Chiarelettere ottobre 2019, 194 pagine per €17,00 molto, molto ben spesi! Un libro che mi ha appassionato perché io – da vecchio manager – mi ci sono ritrovato in pieno! Quindi, raga, vi attende una scopiazzatura che però è anche una confessione-dichiarazione del mio sentire e di quella che è stata la mia vita di manager al lavoro. Il mio è un invito a leggere integralmente quel libro. Intanto iniziate da questi estratti sui quali potreste ad aprire la discussione.
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Pagg. 8, 9 : … occorre avere a mente quattro fondamentali: 1) la precarietà di ogni modello di carriera manageriale; non prendere mai sul serio i propri successi; non contare sulla tenuta delle relazioni ad esso collegate; 2) per dar vita alle storie che sarà bello ricordare occorre avere rispetto per coloro che le hanno condivise; 3) immaginiamo come vorremmo essere ricordati da chi ha lavorato con noi; 4) per sopravvivere nel ricordo dobbiamo costruirci i nostri eredi.
Pag. 14: … non basta essere nel giusto per pretendere di superare le gerarchie. Se il tuo capo diretto vale poco ciò non ti autorizza scavalcarlo.
Pag. 19: … una malattia del potere è l’auto isolarsi anche distanziando logisticamente la direzione dalle sedi operative.
Pag. 21: … il manager non deve improntare la sua carriera al relazionarsi con gli altri semplicemente in ragione della posizione raggiunta.
Pag. 22: … l’organigramma, la rincorsa ad accreditare processi e procedure sotto forma di regole di condotta stabili ed asettiche aride come una traversata nel deserto … l’organizzazione gerarchica è la tomba dei desideri personali … e inaridisce le storie che sono il contenitore principe dell’identificazione dei dipendenti nell’azienda … inaridendo in ognuno la prospettiva di evocare un futuro e di potersi collocare come attore per quanto piccolo in una trama che dovrebbe diventare anche la sua storia personale.
Pag. 23: … occorre che il manager accentui la valorizzazione delle persone come asse fondante della strategia di governo manageriale … la pretesa di chiarezza procedurale rischia di fare più male alle imprese di quanto non gioverebbe loro la revisione del modello.
Pag. 24: … sulla base della sola efficienza tecnica non si potrà mai dire se gli investimenti in innovazione porteranno i risultati attesi … occorre potere disporre di persone capaci di adattamento e anticipazione, indipendentemente dalla loro collocazione nella scala gerarchica, persone in grado di muoversi, di connettersi, di pensare, di produrre in modo creativo …
Pag.25: … purtroppo spesso sopravvivere è la vera aspirazione di chi raggiunge la vetta … il potere non vuole eredi e quindi si guarda bene dall’allevare sostituti … invece la strategia vincente è quella delle competenze convergenti dove la collaborazione, la cooperazione, la diversità e lo scambio alimentano una visione più adatta ad affrontare cambiamenti e sfide.
Pagg. 25-26: … il potere che avanza è quello delle idee, della leadership come coordinamento e governo delle pluralità, con la capacità di stare in mezzo ai propri collaboratori, ascoltando, confrontandosi, motivando.
Pag. 26: … il capo che trascura chi non ha pedigree non fa gli interessi dell’azienda … è la causa del malfunzionamento degli apparati e soprattutto è la causa della sofferenza delle persone.
Pag. 27: … sta per finire il destino di un potere unificante fondato sulle strategie di pressione dall’alto sul basso, senza necessità di ascolto rispetto a quanti dovevano solo ubbidire. Un potere affidato alla pressione non ha più significato.
Pag. 28: … un capo non è legittimato se gli manca la stima e la fiducia dei dipendenti.
Pag. 31: … conta non solo il curriculum, ma la storia di ogni lavoratore: nella Olivetti di Adriano Olivetti, nei colloqui di selezione ci si informava sugli ultimi libri letti dal candidato, sulle sue radici familiari … per coglierne inclinazioni, preferenze, aspirazioni prima e più che non le competenze professionali.
Pag. 33: … i fatti decisivi per la vita di ognuno avvengono prevalentemente nella biografia e non nel curriculum di ogni persona.
Pag. 35: … i manager mediocri si adeguano subito ai modelli di relazione dominanti e capiscono che comandare “a prescindere” li mette al riparo dall’essere discussi.
Pag. 37: … le vere carriere nascono in contesti in cui gruppi affiatati esprimono, attraverso uno dei propri membri, il meglio che l’insieme è stato in grado di produrre lavorando con intelligenza collettiva in forme collaborative.
Pagg. 37-38: … chi raggiunge posti di potere senza suo merito o sulla base di forzature, avrà un destinio mediocre ma quello dei suoi dipendenti sarà tragico.
Pag. 43: … il “capo intermedio” è il vero custode dell’ortodossia organizzativa, quello che spegne le velleità, custodisce l’ordine “in nome e per conto”. Nelle organizzazioni “per bene”, quelle che “funzionano”, non è previsto che la parola sia un diritto di tutti. sarebbe il caos.
Pag. 45: … per fortuna questi riti e rituali hanno perso gran parte del loro peso … resta la percezione, amara, di essere per lo più ingranaggi acefali di meccanismi costruiti più sui processi e sulle procedure che sulle qualità dei dipendenti.
Pag. 46: … continuare a difendere il distacco mortificante tra chi ha ruoli di comando e chi deve eseguire i comandi, non rappresenta solo un affronto verso i dipendenti, ma configura un vero e proprio danno per l’azienda … la colpa più grande del potere è il coefficiente di ansia e di passività che induce nei governati.
Pagg. 47-55: Capitolo autobiografico, molto utile a comprendere tutto il libro e chi lo ha scritto.
Pag. 56: … purtroppo l’organigramma non considera i processi che guidano il modo di pensare e di sentire delle persone, la loro propensione naturale a tessere relazioni che non siano solo funzionali, la voglia di autonomia e di iniziativa rispetto a obiettivi anche comuni.
Pag. 57: … la variabilità tecnica e dei mercati richiedono competenze molto diverse dalla mera obbedienza alle regole … si tratta di potenzialità presenti dei dipendenti, spendibili senza costi aggiuntivi.
Pag. 58: … così, l’azienda-solo-organigramma, nell’ansia di raggiungere un obiettivo inchiodato a scadenze vincolate, causa un’oggettiva perdita di ricchezza di cui disporrebbe nella persona di ogni dipendente.
Pag. 59: … l’azienda-solo-organigramma farà sì che ognuno finirà per capire sempre meno il perchè di quello che fa o se quello che sta facendo è proprio ciò che serve. E nessuno può sentirsi appagato se non capisce il perchè del proprio agire …. usare gli uomini solo come macinatori di risultati non è una scelta intelligente … le storie di ciascun dipendente sono l’unica salvezza delle imprese che vogliono durare … è necessario creare un’organizzazione che venga vissuta come un mondo ospitale.
Pag.61: … lo spreco delle risorse umane interne non ha mai prodotto cultura di governo e spesso ha portato all’uso e all’abuso di grandi società di consulenza con un forte impegno finanziario e scarsi risultati effettivi.
Pag.62: … l’irrompere della teconologia delle reti sta per dare una salutare spallata al sistema azienda-solo-organigramma, decostruendo le architetture gerarchiche che ingabbiano tante potenzialità oggi sprecate e rendendo superflui molti (falsi, n.d.r.) manager posizionati sulla difensiva e con l’ossessione del controllo.
Pagg. 63-65: … il governare è (purtroppo spesso, n.d.r.) diventato un esercizio titanico di (eccessiva, n.d.r.) semplificazione: il trionfo del pensiero tecnico, impersonale, standardizzato; la ricerca della condivisone su formulari precompilati conduce alla ricerca del consenso più che al confronto. Chi cerca di andare (giustamente, n.d.r.) controcorrente, diventa un testimone ingombrante inutile per questo tipo di (pessima, n.d.r.) organizzazione.
Pag. 66: … la gestione di cui sopra da strumento operativo in grado di risolvere problemi è diventata un’ideologia aziendale.
Pag. 68: … nonostante il percorso minato di cui sopra … l’impresa come organismo vivente dipende più dall’esperienza dei suoi uomini che non dal condizionamento dei suoi processi di funzionamento … anche perchè …
Pag. 70: … il rischio sarebbe di irrigidire le relazioni e i processi proprio quando le condizioni dei business e la turbolenza dei mercati richiederebbero più attenzione alle risorse disponibili ed una diversa distribuzione delle responsabilità interne.
Pag. 71: … occorre invece allargare i rigidi confini degli organigrammi perchè è sui confini che l’esistenza riprende vita, è sui confini che si apprende.
Pag. 72: … le storie più belle nascono dal coraggio di forzare il limite, i confini.
Pag. 73: … le molte storie delle persone sono la vitalità del sistema: il tema di fondo è la capacità dell’organizzazione di farsi carico della pluralità delle sue risorse.
Pag. 74: … segmentare, compartimentare, selezionare le informazioni per livelli di privilegio, intricare i percorsi senza chiarezza, alimentare distanze e contrapposizioni sono attentati alla vitalità dell’impresa.
Pag. 75: … non va bene essere semplicemente parte di un tutto. Occorre la partecipazione attiva ai processi comuni. L’azienda deve potere disporre di processi abituali di dislocazione dei saperi e delle capacità dialoganti.
Pagg. 76-77: … il buon capo sa che le risorse umane vanno riconosciute non solo per quello che danno, ma anche per ciò che non si chiede loro di dare ma che sarebbero capaci di dare. In caso contrario, trionfano le procedure e si perde l’anima: ciò avviene quando il capo considera i dipendenti una risorsa fungibile che il mercato oggi offre in abbondanza e a sconto.
Una mia considerazione : nel mestiere e nella cultura del manager oggi più che mai occorre inserire più sociologia e più filosofia, per il bene delle Persone e quindi dell’azienda. Nel frattempo le nostre università continuano a proporre agli studenti “percorsi separati”: le scienze dure e pure da una parte, le arti e le lettere dall’altra: io invece propongo che – ad esempio – nei corsi di ingegneria o di economia siano inseriti esami di filosofia e di sociologia.
Pag. 79: … la testa non ha più la flessibilità di un tempo mentre spesso ciò che cambia non è solo il contesto organozzativo, bensì il tipo di business che si deve affrontare …
Pag.81: … nella comunicazione girano le informazioni e trova espressione la gerarchia dei ruoli: c’è chi è abilitato a “emettere” e chi a “ricevere”. La conversazione invece riduce le distanze, accetta il confronto, scambia informazioni e emozioni …
Pag. 89: … farsi seguire, da parte del nuovo capo, da un codazzo di collaboratori più o meno collaudati, è solo un modo, persino poco elegante, per tentare di ovviare alle proprie insicurezze … ciò è testimoniato dalla tendenza ad assumere personale che non ha niente di manageriale ma che proviene da carriere militari di ogni grado.
Paggg. 90-91: … il nuovo capo non deve commettere l’errore di condannare all’oblio il lavoro di chi lo ha preceduto: sarebbeuna forma di damnatio memoriae, un oblio verticale volto a ripulire ogni riferimento al prima: uomini, progetti,decisioni, stili di governo, assetti organizzativi … e invece i nuovi mondi non nascono dal nulla … soprattutto se questo “nuovo” è solo uno scimmiottamento in difetto di cultura da parte di chi ostenta muscoli che non ha e racconta il passato (storytelling) in assenza di contraddittorio.
Pag. 92: … la disaffezione dei vertici per quello che passa per la testa e nelle sensazioni dei dipendenti … aumenta la voglia di controllo che viene venduto come tutela aziendale ma che in realtà è solo “controllo dei dipendenti”, non dell’azienda.
Pag. 94: … il funzionamento di un modello dovrebbe dipendere più dagli uomini che lo vivono che dalle regole che lo inquadrano.
Pagg. 96-97: … il capo “analfabeta emozionale” fa sì che il lavoratore non trovi condizioni gratificanti e non si senta parte di un insieme più ampio … e il lavoratore perde motivazione, lavora peggio, si carica di stress, irrigidisce le risposte e finisce anche con l’ammalarsi.
Pag. 99: … occorre “rifare società” all’interno dei sistemi, con l’allargamento della partecipazione … in tal modo creatività e responsabilità assumono un peso prima impensabile …
Pag. 100: … il comandare in solitario danneggia l’impresa.
Il libro che state “leggendo” con me è di 196 pagine, quindi abbiamo doppiato la boa della metà percorso. Mi permetto di evidenziare questo primo traguardo con una riflessione personale: occorre passare dal primato delle cose (ad esempio, delle cose vendute cioè del fatturato) al primato delle relazioni e dei processi, soprattutto di quelli umani.
Pagg. 102-103: … l’apertura a rete di molte strutture determinata dalla necessità di fronteggiare interlocutori diversi … cambia l’antropologia dell’uomo sui confini … rovescia il modello … la gerarchia assorbe i saperi maturati localmente … torna in primo piano il valore strategico delle persone.
Pag. 104 – 107: … la rete non ha rispetto per la verticalità tradizionale … ad andare in crisi è la sacralità dei territori separati … la rete diffonde l’abilitazione di ognuno ad esprimersi, ad entrare in relazione con altri, spinge alla condivisione, costruisce canali relazionali che non obbediscono alle procedure e ai percorsi dei processi … consente di discutere anche le regole … conduce ad una composizione-scomposiziione di gruppi … rende coscienti le persone del prorio valore.
Pag. 108: …gli ordini di servizio emanatio per consevare lo status quo sono solo masse di parole tese a compensare il vuoto di comprensione di qquello che accade nella realtà: il passaggio da “decideer” a “governare coordinando”.
Pag. 109: … i dipendenti “sopravvissuti” all’antico regime verticalistico sviluppano ora competenze e saperi superiori al proprio ruolo e posizione, per compensare i danni fatti nel passatoe superare il prosciugamento di ridondanze occupazionali dovute alle nuove tecnologie.
Pag. 111: … il nuovo potere in azienda deve essere meno paradigmatiuco è più liberale.
Pag.112-113: … tuttavia le nuove tecnologie accelerano troppo il nostro agire e conducono a “dimostrare più che a capire”: occorre invece “rallentare per capire” … e non farsi espropriare la possibilità di conferire un significato personale a ciò che si sta facendo.
Pag. 115: … per evitare l’anarchia servono regole, ma che siano ragionevoli e basate sul rispetto reciproco fra il capo e i dipendenti.
Pag. 117: … il clima aziendale migliora molto per la presenza di personale femminile, maggiormente orientato alle relazioni.
Pag. 119: … le parole “vere”, quelle che dicono senza bisogno di orpelli, sono quelle che un capo puà spendere perchè la sua storia personale le legittima … sprecare le parole è un modo di danneggiare l’impresa.
Pag. 132-136: … in azienda occorre la generosità … occorre considerare l’altro di sè come importante per sè … occorre mettere in atto una disponibilità che nessuna procedura prevede … i comportamenti di apertura trasformano il lavoro in un progetto condiviso … pensare e fare bene, generando fiducia, è un investimento anche personale sul futuro … la tutela degli interessi generali passa attraverso la valorizzazione dei singoli … ogni spirito “generoso” rasserena i climi, crea consenso su obiettivi che divengono credibili come “riferimenti comuni” … una persona “generosa” ha una concezione lunga del tempo … sottrarre tempo ai riti del ruolo per ampliare la disponibilkità verso i dipendenti fa la vera differenza … la decadenza nella formazione dei ricambi dei vertici aziendali è dovuta all’egoismo del “vecchio” vertice … “generoso” è chi ha maturato gratitudine per le persone inccontrate nel suo percordo, per quello che ha ricevuto, per cui si sente in grado di sdebitarsi …
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31 DICEMBRE, UN ANNO E’ TRASCORSO
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 31 Dicembre, 2019 @ 8:18 amDetto altrimenti: grazie, mie lettrici e miei lettori! (post 3728)
Preferisco dirvi grazie ora, la mattina del 31, perché poi saremo tutti occupati ai preparativi della serata e domattina … domattina vorrò scrivere un post mirato al futuro e non al passato. Quindi … grazie! Dice … ma quanti siamo stati in un anno? Ci dai qualche numero, caro blogger? Rispondo: certo, eccomi a voi con i dati 2019:
N. lettrici/lettori 14.000
Post pubblicati (nn. 3729-3459) 270
Pagine pubblicate (media 1,3/post) 351
Pagine lette 23.200
Durata media di ogni accesso (secondi) 30
Ore complessive di lettura 193
Lettori 55%
Lettrici 45%
Vs/ età media, in scala decrescente 30-20-40-50-60
Accessi x ricerca organica 87%
Accessi diretti 10%
Accessi altri e social 3%
Che altro dire? Che siete giovani; che preferite viaggi e sport; che mi avete letto dalla maggior parte dei paesi del mondo con esclusione di molti paesi dell’Africa, della Cina e dei paesi mediorientali in guerra.
Ogni mattina presto, alla stessa ora, immancabilmente, vedo in tempo reale che a leggermi è un lettore di Milano: che sia una qual certa piattaforma preoccupata per ciò che un pericoloso intellettuale qual sono io (intellettuale oggi = uno che sa leggere e scrivere!) va spiegando circa i pericoli che la nostra democrazia sta correndo? (v. post 3726, “Dalla democrazia all’oligarchia). E se non è la piattaforma, chi altro è? Grazie se me lo scrivi (riccardo.lucatti@hotmail.it), sconosciuto lettore milanese!
I commenti non sono molti a causa della complicata procedura Disqus di invio: ho chiesto all’editore di ripristinare la semplice, vecchia procedura. E poi noterete che io non sono collegato a nessun social networ e questo per mia scelta: immagino quanto crescerebbe la frequentazione del blog se mi collegassi, ma non lo faccio per la paura (sic!) che ho del tanto, troppo tempo che mi richiederebbe leggere e rispondere a tutti. Infatti io, vero VIP-Vecchietto In Pensione, sono molto impegnato anche in altre iniziative, associazioni, circoli vari, i miei libri, etc. e poi ho tre splendide nipotine, una moglie adorata, i miei sci e le mie biciclette. Ah … dimenticavo Whisper, la mia barca a vela, che a dire il vero sto un po’ trascurando data l’età (mia, più che la sua che è solo una trentenne!).
Ecco, la chiudo qui rinnovando il mio grazie, con il migliore augurio di una splendida serata e di un buon 2020! Stavo per scrivere “felice” ma sarebbe stato pretendere troppo. Non ho scritto “migliore” perché sarebbe stato riduttivo: infatti ci vorrebbe poco ad essere migliore di un anno pieno di tante guerre! Quindi vada per “buono”.
Vi lascio ad una riflessione su una mia poesiola:
“La casa di vetro”
con l’invito a tutti noi di essere come quel bimbo
Attraverso lo spazio / svuotato dall’indifferenza / lo sguardo si posa / sull’inverno gelato / mentre all’interno /scoppietta la fiamma / che inonda la casa di vetro / di un rosa tepore / veneziano. / Qualcuno / da fuori / implora calore / e tende la mano / ad occhi infantili / spalancati al di là / dell’invisibile muro. / E il piccolo viso rotondo / dischiude la porta / di casa e del cuore / e scalda / col puro suo gesto d’amore / i colori gelati del mondo.
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LA MIA BARCA A VELA IN POESIA
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 28 Dicembre, 2019 @ 12:19 pmDetto altrimenti: due poesie, una mia (“Whisper”), il canto di un amante all’innamorata; una sua (“Funfralenuvole”), il canto della mia barca a vela “Whisper” alle nuvole dell’Altogarda Trentino (post 3727)
WHISPER
S’illumina al sole / ti aspetta / la prendi / la porti nel vento / respira il tuo stesso respiro / sussulti / lei freme / sospira.
Il mio Fun è un natante francese da regata. Stazza 2,8 tons; dislocamento (peso) 1000 kg; lft m. 7,50; deriva a baionetta 33% m. 1,60; fiocco autovirante 8 mq; genoa 16 mq; randa 16 mq; spinnaker 40 mq; carena planante; numero velico ITA 526 – ormeggiato nel porto della Fraglia Vela Riva. Il suo nome è Whisper, bisbiglio, sussurro, perché tale è la melodia che genera quando scivola sull’acqua. Io genovese, esperienza di vela non tanta, quella su un gozzo da pesca ma si sa che di bolinare non se ne parlava nemmeno. Eppure fin da ragazzo le barche a vela io me le costruivo in casa, con i legni delle cassette della frutta: salgariani prahos malesi, trimarani … fino a quando mi spostai nei locali dell’oratorio ed allora dalle mie mani ragazzine venne fuori una Star, lft m. 0,7 (lunga 70 centimetri): ordinate, centine e coperta in compensato; carena in listelli di tiglio; prua sagomata in un blocco di balsa; impermeabilizzazione con stucco francese con colla; deriva di compensato con colata di piombo, fiocco autovirante. Oltre trent’anni fa, improvvisa una malattia, una droga: la “velite” o “funnite” se si preferisce. Andò così. Giunto a Trento scelsi di eleggere come dimora estiva Riva del Garda. Acquistai pacchi di riviste del settore e dopo lunga riflessione andai al Salone Nautico di Genova per comperarmi un Fist Class 8, che invece non era esposto ma c’era lui o lei, il “mio” FUN: un colpo di fulmine e fu mio/a.
Portato a Riva, qualche breve uscita con amici già esperti e via, anche da solo in ogni stagione, neve compresa! Sono passati molti anni ed io sono cresciuto (il 3 febbraio prossimo compirò 76 anni) e piano piano ho rallentato: e ti pareva, a questa tenera età, con la tua bronchitina cronica, uscire al vento freddo dell’inverno, macchè scherziamo? Ed allora ecco che Whisper si è accorto di questo mio parziale distacco ed ha dedicato una poesia alle sue, alle nostre nuvole del Garda.
FUNFRALENUVOLE
Nuvole amiche del ciel vagabonde / che non restate mai ferme un momento / onde d’un lago ch’è privo di sponde / madrine dell’Ora e figlie del Vento;
nuvole dolci se il sole v’irrora / voi sempre riuscite ad essere nuove / calde la tramonto più fredde all’aurora / liete col bello e un po’ tristi se piove;
nuvole diafane ai raggi solari / che v’arricchite di porpora e d’oro / e nel chiaror di regate lunari / fate del cielo un cangiante traforo;
nuvole buone che ‘l Garda ombreggiate / e che lenite l’arsura de’ campi / del Nastro Azzurro oppur corrucciate / dell’Intervela fra fulmini e lampi;
nuvole alte dai bianchi contorni / diademi regali a cime rivane / nuvole sparse in cui volano storni / nido incantato di cigni e poiane;
di tutte voi dal meriggio allorquando / io nacqui sul lago mi innamorai / da molti anni ormai sto veleggiando / senza potere raggiungervi mai!
E la mia randa io sempre l’ho indosso / la tuga consumo al sole ed al gelo, / ma in Fraglia Vela star fermo non posso: / non voglio aver altro ormeggio che il cielo!
Rotte fra i monti io vo’ percorrendo / e in questo un poco ci assomigliamo: / nulla vi chiedo io nulla pretendo / se non poter dire quanto vi amo.
Eterna meta di tutta la vita / è il vostro porto che mai ho raggiunto, questa dura bolina infinita / che mi sospinge pur sempre a quel punto.
Quando dall’alto del monte Brione / la vela mia bordeggiar non vedrete / ed intonar questa alata canzone / voce planante di Fun non udrete,
amiche nuvole non lacrimate / poiché veliero del ciel diverrò / fra Dolomiti di neve imbiancate / prora di nuvole e cielo sarò.
Whisper
Whisper mi scuserà se di mia iniziativa aggiungo qualche nota per i non velisti
Ora: brezza termica da Sud – Vento: tramontana – I campi sono quelli di regata – Nastro Azzurro ed Intervela: due regate – Randa: vela principale, main sail – Tuga: coperta della barca – Bolina: andatura per risalire il vento – Bordeggio: andatura a zig zag per risalire il vento – Planare: scivolare sull’acqua come un surf, come un sasso piatto che rimbalza – Prora: rotta, direzione della barca (spesso erroneamente intesa come pruna, parte anteriore della barca)
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DALLA DEMOCRAZIA ALL’OLIGARCHIA
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 28 Dicembre, 2019 @ 8:40 amDetto altrimenti: il rischio della democrazia dei likers (post 3726)
Per gli aspetti economici e finanziari il governo del Paese è molto simile al governo di una grande impresa (ad esempio, industriale) la quale opera secondo un piano pluriennale (almeno triennale) scorrevole (cioè aggiornato di anno in anno) e singoli budget annuali. Orbene, l’instabilità politica impedisce a qualsiasi governo di redigere una simile pianificazione, per cui ogni governo è costretto ad operare soprattutto con interventi di breve “visuale”. Ora, nel mercato di una grande impresa può accadere che si verifichino stravolgimenti tali da indurre a reimpostare totalmente la pianificazione. In tal caso di adotta la tecnica dello Zero Base Budget: cioè si riparte da zero, e si riprogramma “come se” non ci fosse la pianificazione precedente.
Orbene, ove simili stravolgimenti si verificassero anche nei riguardi della gestione del Paese, il governo di turno non potrebbe fare altrettanto anche per un secondo motivo: per l’esistenza delle varie poste finanziarie bloccate, impegnate per tot anni “a prescindere”, come – ad esempio – le spese militari. Infatti riprogrammare queste aree di attività è estremamente difficile, sia politicamente che tecnicamente, stante la resistenza dell’apparato a difendere certezze acquisite anche se nel frattempo sia cambiato l’ordine delle priorità da soddisfare. Quindi chi governa si deve accontentare di disporre della (esigua) finanza residua. Questa finanza viene quindi tendenzialmente utilizzata per una serie di interventi quasi da campagna elettorale permanente, per tappare qualche buco, e anche per fare qualcosa di veramente buono, sia pure nelle limitate dimensioni disponibili.
Per superare questa impasse, occorrrebbe una proposta di governo scioccante, di alto livello qualitativo e quantitativamente significativo, cioè incisivo.
Una simile situazione “minimalista” è terreno fertile per il dilagare della retorica, della demagogia e del populismo: in altre parole, vi sono forze politiche che utilizzano abilmente e maliziosamente le parole (retorica); promettono o fanno ciò che il popolo chiede anche se ciò che si chiede alla lunga non sarà un bene per il richiedente (demagogia); affermano di dare semplice esecuzione alla volontà del popolo stesso (populismo). Un esempio di ciò? La politica anti immigrati anziché anti nostri emigrati, cioè la politica contro un nemico inesistente anziché mirata a frenare la fuga all’estero dei nostri migliori giovani. Fuga questa che tende a trasformare il paese in un grande meridione, quello che si creò dopo la conquista piemontese del Regno delle Due Sicilie: le ricchezze vennero depredate; i migliori se ne andarono; i poveri rimasero; i peggiori governarono.
Retorica, demagogia e populismo si alimentano ancor di più “grazie” – si fa per dire – ai canali web, creando una nuova forma di (finta) democrazia: la democrazia dei like, cioè una forma di raccolta di consenso solo formale senza una sufficiente riflessione, un continuo confronto, una dialettica reale ma soprattutto personale di base. A riprova di ciò, formulo una domanda ai “likers”: cosa succederebbe alla nostra attuale democrazia se venissero approvati i tre provvedimenti: democrazia diretta; introduzione del vincolo di mandato parlamentare; l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Provo a rispondere io stesso: la nostra attuale democrazia si sarebbe auto trasformata in modo democratico in una oligarchia. Infatti, a redigere il testo delle leggi da sottoporre al referendum propositivo senza quorum o con quorum limitato potrebbero essere solo persone “del mestiere”, quindi poche (i nuovi oligarchi); i like-quorum sarebbero scontati; il passaggio in parlamento sarebbe solo formale; i parlamentari-eletti via-consenso-web sarebbero scontati ed inoltre sarebbero prigionieri del vincolo di mandato. E infine, se proprio qualcuno ravvisasse un illecito penale, basterebbe rimandare sine die la celebrazione del processo: e in tal modo gli oligarchi sarebbero legibus soluti!
Esagero? Forse, ma in Spagna dicono: “Piensa mal y acertaras!”, pensa male e indovinerai.
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RIFORME PENSIONISTICHE
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 27 Dicembre, 2019 @ 8:09 amDetto altrimenti: Francia-Italia (post 3725)
Qui da noi l’attenzione è soprattutto rivolta sulla “quantità” di anni di età e di contribuzione. In Francia si sta scioperando contro l’abolizione delle 40 categorie “speciali” di sistemi pensionistici: eclatante è la protesta delle ballerine dell’Opera che vogliono continuare a poter andare in pensione a circa 40 anni d’età, considerato che il loro lavoro-formazione inizia in età giovanissima e che – ovviamente – non si può pretendere che una ballerina classica “lavori” fino a 65 anni d’età. Ma non voglio entrare nel merito delle questioni, bensì nel metodo.
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Quanto alla Francia concordo con le ballerine, in quanto il metodo dell’intervento lineare appare palesemente iniquo nei loro confronti. Qui da noi mi chiedo: ci siamo posti il problema del censimento di tutti i regimi pensionistici “speciali”, quanto alla diversa età del pensionamento e al diverso livello delle pensioni nelle singole “gestioni separate”? L’altro giorno ero in seggiovia con un neopensionato di 60 anni, ex lavoratore in un sindacato. Un mio amico velista proveniente da un corpo militarizzato è in pensione dall’età di 55 anni; dieci anni fa, con il regime pre-Fornero, io andai in pensione a 65 anni d’età ed oltre 35 di contributi. Come Socrate (qui a fianco) io so di non sapere: quindi domando.
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