LA CONQUISTA DELLA LONGITUDINE
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 22 Aprile, 2020 @ 1:04 pmDetto altrimenti: la maggiore conquista dell’ “illuminismo nautico” (post 3864)
A 2000 anni di distanza dalla rilevabilità della latitudine, restava irrisolto il problema della longitudine, sino allora semplicemente stimata con un enorme grado di approssimazione ed errore. Infatti:
- Anche i più famosi navigatori (Cristoforo Colombo, James Cook con il veliero Endeavour; Sir Francis Drake, etc.), navigavano soprattutto grazie a complessi calcoli astronomici ed alla stima di rotte calcolate (cosiddetta navigazione stimata) sulla base della velocità della nave, dei venti e delle correnti, con risultati molto approssimativi sui quali contava moltissimo la componente “buona sorte”.

- L’incertezza sulla rotta comportava ritardi nella navigazione dal che derivavano moltissime morti per scorbuto da esaurimento delle scorte. Nel settembre 1740: la Centurion del Commodoro George Anson, vagò dal 7 marzo al 9 giugno 1741 ad est ed ovest di Capo Horn, subendo una tempesta di 55 giorni, prima di riuscire ad individuare e ad attraccare all’isola Juan Fernandez: nel frattempo lo scorbuto aveva ucciso 250 di 500 uomini di equipaggio! Solo nel 1772 James Cook scoprì che i crauti marinati si mantenevano anche un anno e quindi fornivano le vitamine necessarie a prevenire l’insorgere della malattia (e forse fu proprio per questo motivo che quei crauti furono chiamati “marinati”!). La dieta era arricchita da malto e marmellata di carote.
- In mancanza della determinazione della longitudine, tutte le rotte erano tracciate e seguite per uguali latitudini con il risultato di far incontrare anche navi che non si volevano o non si dovevano incontrare, provocando inutili scontri militari o agevolando atti di pirateria.
- I naufragi per errori di rotta erano moltissimi. Uno per tutti: quello di quattro delle cinque navi da guerra inglesi al comando dell’ Ammiraglio Sir Clowdisley, alle isole Scilly, nelle acque territoriali inglesi, il 22 ottobre 1707, nel quale persero la vita circa 2.000 marinai. Il naufragio avvenne subito dopo che l’Ammiraglio aveva fatto impiccare per ammutinamento un marinaio che si era permesso di avvisarlo del suo errore di rotta!
8 luglio 1714: a questo punto la regina Anna fece emanare dal Parlamento inglese il Longitudine Act che offrì a chi avesse scoperto un metodo semplice ed efficace per determinare la longitudine di una nave in mezzo all’oceano i seguenti premi:
- Lgs20.000, per approssimazioni di mezzo grado (34 miglia all’equatore, 17 miglia a 45° di latitudine; 0 miglia ai poli);
- Lgs15.000 per approssimazione di 2/3 di grado (45 miglia all’equatore; 22,5 miglia a 45° di latitudine; 0 miglia ai poli;
- Lgs10.000 per approssimazioni di un grado (68 miglia all’equatore, 34 miglia a 45° di latitudine; 0 miglia ai poli).

La soluzione non era stata trovata da Isacco Newton, da Galileo Galilei, da Gian Domenico Cassini, da Edmond Halley, etc., bensì da un artigiano autodidatta orologiaio inglese, John Harrison (1693-1776), il quale, superati i preconcetti contro una soluzione troppo “uovo di Colombo”, capì che il percorso longitudinale compiuto da una nave in un certo lasso di tempo, poteva essere individuato per mezzo delle differenze dei fusi orari. Quindi, oltre che a rilevare correttamente la propria latitudine basandosi sull’altezza del sole sull’orizzonte, sarebbe bastato che ogni nave avesse un orologio (presto chiamato cronometro) che continuasse a segnare l’ora esatta del e dal porto di partenza per confrontare il mezzogiorno dell’orologio con il mezzogiorno solare del luogo ove si trovava la nave per sapere di quanti gradi e miglia ci si era spostati in longitudine, sulla base di queste equivalenze:
- 1 giro della terra in 24 ore corrisponde a 360° di longitudine;
- 1 h equivale a 15° di longitudine;
- ad 1 minuto corrispondono 22,5 primi di grado di longitudine in tutto il mondo;
- ad 1 minuto all’equatore corrispondono 17 miglia;
- ad 1 minuto a 45° di latitudine corrispondono 8,5 miglia;
- ad 1 grado di longitudine corrispondono 4 minuti in tutto il mondo;
- ad 1grado di longitudine all’equatore corrispondono 68 miglia;
- ad 1grado di longitudine a 45° di latitudine corrispondono 34 miglia.
Quindi, conoscendo l’ora esatta secondo il fuso orario del e dal luogo di partenza (questo era il problema!) e confrontandola con il mezzogiorno solare locale della nave, si calcola – per ogni latitudine – la distanza longitudinale angolare e la distanza in miglia est-ovest compiuta dalla nave rispetto al porto di partenza, a sua volta già relazionato al meridiano fondamentale. In molti anni di lavoro, costruì cinque successivi modelli di un cronometro molto preciso e resistente ai fattori esterni (temperatura, oscillazioni, etc.) denominati Harrison1, e cioè H1, H2, H3, H4, H5.
Un esempio
Supponiamo che una nave rilevi col sestante di trovarsi a 45° di latitudine e riscontri una differenza di 12 minuti fra il mezzogiorno di partenza e il proprio mezzogiorno solare; poiché ad ogni 4 minuti di differenza corrisponde 1 grado di longitudine, lo scostamento è 3 gradi; la nave si trova quindi a 102 miglia est/ovest dal meridiano che passa dal porto di partenza (68 miglia per ogni grado all’equatore; diviso 2 in quanto si è a metà strada fra l’equatore ed il polo; moltiplicato per i 3 gradi riscontrati).

Ma quale grado di precisione deve avere l’orologio marino? I migliori orologi terrestri dell’epoca erravano di 1 minuto al giorno! Orbene, un orologio marino che fosse riuscito a mantenere anche in navigazione questa “precisione” (cosa assolutamente impossibile), in 40 giorni di navigazione (Inghilterra – Caraibi) avrebbe errato di 40 minuti e condotto ad un errore di 340 miglia!
- Gli H1 erravano di 3 secondi al giorno per cui nell’esempio l’errore sarebbe stato di sole 16,8 miglia.
- Gli H4 (1753 – 1759, peso kg.1,3) erravano di 4 secondi in 81 giorni! Quindi in 40 giorni di navigazione a 45° di latitudine l’errore all’arrivo fu di 360 metri e si aggiudicò il premio, la cui prima rata di Lgs10.000 fu pagata solo nel 1765, un anno prima della morte del suo inventore.
La commissione incaricata dell’assegnazione del premio fu sciolta solo dopo oltre un secolo, nel 1828. A quella data, per assegnare Lgs20.000, ne aveva spese oltre 100.000! Tutto il mondo è paese.
Gli orologi di Harrison sono esposti al National Maritime Museum di Londra.
(Etratto da “Makan anghiem” (in polinesiano “masticare aria”, l’equivalente del nostro andare a zonzo senza una meta, in questo caso per mare. Risposta data dal navigatore solitario giramondo dei mari, Bernard Moitessier, alla polizia che lo credeva un contrabbandiere di droga o altro – Conferenza del vostro blogger Riccardo dal titolo “Breve storia della navigazione a vela”)
Buon vento a tutti i velisti!
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DEBITO PUBBLICO IRREDIMIBILE 1
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 22 Aprile, 2020 @ 7:20 amDetto altrimenti: tanto tuonò che piovve …. (post 3863)
Per chi si fosse messo in ascolto in questo momento: bond irredimibile è quello sul quale l’Ente emittente paga solo l’interesse (ad un livello più elevato dei colelghi redimibili); non è tenuto a rimborsare il capitale (che l’investitore può recuperare vendendo il titolo in borsa); che ha incorporata l’opzione di riacquisto da parte dell’Ente emittente (quando avesse avanzi finanziari da utilizzare). Vantaggi per l’Ente emittente: miglioramento della tesoreria; diminuzione del livello dell’indebitamento; migliore rating; migliore spread; migliore disponibilità finanziaria. Vantaggi per l’investitore: maggiore reddito. Nel 1935 l’Italia emise un prestito irredimibile di 42 miliardi di lire (oggi circa 45 miliardi di euro) al 5%, cedola semestrale, che andò letteralmente a ruba!)

Adelante Epana! Dopo mesi che anche qui sul blog scrivo di bond irredimibili, ieri sulla stampa leggo del “debito perpetuo” invocato dalla Spagna. Innanzi tutto diciamo che dire “debito perpetuo” è un ossimoro, sarebbe un po’ come dire “tacito tumulto” o “assordante silenzio”, in quanto se è un debito ha comunque una scadenza; se non ha scadenza, non è un debito.
Procedendo con ordine, occorrerebbe procedere come segue:
- ogni Stato indebitato inizia ad emettere propri bond irredimibili nazionali (con un rendimento interessante per l’investitore) in sostituzione volontaria dei bond redimibili in scadenza, quindi senza drenare risparmio bancario;
- ogni Stato inizia ad emettere anche nuove emissioni di irredimibili, drenando risparmio bancario;
- un primo gruppo di Stati emette Eurobond irredimibili con un rendimento interessante (drenando anche il risparmio degli Stati non aderenti!) e ne trasferisce il ricavato agli Stati membri emittenti, anche in proporzione alla quota di irredimibili statali emessi e vincolando il trasferimento a specifici progetti concretamente verificabili.
Dice … ma quante risorse andrebbero trasferite agli Stati membri? Di più o di meno di adesso? Rispondo: di meno, in quanto nel frattempo ogni Stato membro avha già attivato i propri bond nazionali irredimibili. In tal caso infatti diminuirebbe il complessivo esborso del servizio finanziario di ogni Paese, non dovendosi rimborsare i capitali sottoscritti, per cui le maggiori risorse interne farebbero diminuire la necessità di trasferimenti dall’UE.
Dice ... ma allora questi irredimibili … sono come una tassa perpetua patrimonial a carico dell’Ente emitente? Rispondo: no, perchè l’Ente emittente paga interessi ed ha pur sempre l’opzione di riacquisto.
Dice … ma l’UE, dove troverebbe la finanza necessaria a far fronte al pur limitato servizio degli interessi? Rispondo: poiché il ricavato dalle emissioni dei Eurobond UE irredimibili andrebbe trasferito ai singoli Stati, diminuirebbero i fondi oggi trasferiti dall’UE a ciascuno Stato secondo le regole attuali.
Dice ... ma son tutte rose e fiori? Rispondo: no, ci sono anche le spine. Una prima difficoltà è quella nella quale si potrebbero trovare le banche nazionali di fronte ad un calo dei loro depositi. L’altra difficoltà, che non avvenga come avvenne quando l’8 luglio del 1714, dopo il naufragio della propria flotta alle Isole Scilly, nel quale l’Ammiraglio Sir Clowdisley Shovell, per un errore nel calcolo della longitudine, perse quattro navi su cinque e 2.000 uomini, il Parlamento inglese bandì una gara (“Longitudo act”)con un premio di 20.000 sterline per chi avesse inventato il metodo di calcolare con esattezza la longitudine. La gara fu vinta dall’orologiaio John Harrison nel 1765, anno in cui gli fu pagata una prima rata di 10.000 sterline. La commissione valutatrice si sciolse nel 1828 dopo avere consuntivato proprie spese per 100.000 sterline. (Allo specifico riguardo si veda apposito post “Longitudine”)
Dice ... ma nel caso di bond italiani, quale sarebbe la novità più rilevante? Rispondo: al di là del rendimento e del possìbile riacquisto del titolo da parte dello stesso Ente emittente, la grande novità sarebbe che si drena il denaro che giace nello stagno dei conti correnti bancari a far da base alle operazioni speculative delle banche che – quale altro piatto della bilancia -vedrebbero (finalmente, n.d.r.) ridotta la loro possibilità di fare credito “facile”, con i vantaggi che ne seguirebbero.

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Dice … analogamente, nel caso di Eurobond, quale sarebbe il vantaggio concettuale significativo? Rispondo: si introdurrebbe una finanza democratica, cioè ad “azionariato” diffuso, sottraendo ai grandi investitori finanziari quella sorta di “potere ricattatorio” che hanno in occasione delle Forche Cudine delle scadenze e dei rinnovi delle grandi tranche di titoli redimibili.
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Tutto ciò comporta un serio impegno di studio dell’intero progetto che non può essere affossato sul nascere sulla base di affermazioni generiche. In ogni caso, anche a prescindere dalla realizzazione dell’intero sistema sopra adombrato, sarebbe interesse di ogni singolo Stato emettere i suoi bond irredimibili nazionali, regionali, provinciali e comunali. E poi, anche l’iniziare a studiare seriamente questo progetto, indurrebbe gli Stati “ricchi” a qualche riflessione circa la possibile fuga verso gli Stati “poveri” delle proprie risorse finanziarie private, attratte dal maggior rendimento.
Per ulteriori info, si leggano i tanti post pubblicati da metà marzo in poi.
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DESTRA, SINISTRA, CENTRO
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 21 Aprile, 2020 @ 6:00 amDetto altrimenti: ex libris (post 3862)
(oggi, 21 aprile 2773 ab Urbe condita)
Dal libro di Gustavo Zagrebelsky “Il diritto mite” (Ed. Einaudi, 1992)
Molti sono i concetti elaborati ed esposti neI libri che sto “studiando”. Ve ne riassumo innanzi tutto alcuni, quelli che riguardano un’evoluzione a tre stadi del rapporto legge-diritti.

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- L’état, c’est moi, lo stato sono io è l’espressione comunemente attribuita al re di Francia Luigi XIV, instauratore di una monarchia assoluta per diritto divino. Da lui derivava anzi “discendeva” tutto: leggi, doveri, diritti.
- Ma anche nelle monarchie costituzionali (Statuto Albertino) le leggi e soprattutto i diritti erano “creati” dallo Stato, appena temperati dall’esistenza dello Statuto.
- Con la nostra Costituzione sono stati riconosciuti diritti fondamentali (alla libertà di espressione, alla vita, al lavoro, alla salute, alla famiglia etc.) che non sono creati da leggi ma che sono preesistenti.
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Dal libro “Laicità grazie a Dio” di Stefano Levi Della Torre – G. Einaudi Ed., 2012

Questi diritti possono essere divisi, per certi aspetti, in due categorie: diritti civili (ad esempio, il diritto di voto, alla libertà personale e di espressione, etc.) e diritti sociali (diritto al lavoro, alla salute). Orbene, a fianco dei diritti vi sono i doveri: ad esempio il dovere di lavorare per contribuire alla vita della società, il dovere di assistere anziani e malati e così via, il dovere di votare. Si tratta di diritti e doveri che riconosciamo come innati, parte di una morale sopravvissuta ai tentativi anche recenti di ucciderla (fascismo, nazismo) ed in parte purtroppo anche attuali (non soccorrere in mare gli immigrati!) e che per i credenti si rifanno ai contenuti morali di una religione che nel nostro caso non “è” morale, ma “ha” una morale: una morale che non è quella di non commettere i peccati contenuti nell’ “elenco dei peccati veniali e mortali” di una improbabile libretta, ma che si rifà alla strada segnata dal Vangelo delle Beatitudini (cfr. ivi). Ma restiamo sul piano non-religioso (non utilizzo il termine laico perché per me, credente, “laicità” non è l’opposto di religiosità, bensì significa pluralismo e tolleranza reciproca, nel che consiste la morale dell’ateo).
POLITICA OGGI. Vi è chi afferma che il binomio destra-sinistra non esiste più; chi ne afferma l’esistenza; chi crede nell’esistenza di una terza forza, il centro. Sta di fatto che da destra si insiste molto sui doveri: ad esempio sul dovere di “difendere i sacri confini della patria” da una sorta di secondo sbarco in Normandia ad opera di una “pericolosa flotta di gommoni semi sgonfi”! Da sinistra si insiste sulla difesa dei diritti civili e sull’antifascismo; un po’ meno – purtroppo – su quella dei diritti sociali (almeno così mi pare che sia accaduto negli ultimi decenni). Dice … e il CENTRO? Be’ se non altro non corre il rischio di essere accusato di estremismo (una sorta di etichettatura reciproca delle due ali) e si può dedicare alla difesa paritetica dei diritti (innanzi tutto recuperando terreno nel campo dei diritti sociali) e dei doveri.
Dal libro “Destra e sinistra – Ragioni e significati di una distinzione politica” di Norberto Bobbio. Ed Saggine/10, 1994.

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Norberto Bobbio fa una puntuale analisi delle tesi dei sostenitori e dei negazionisti della permanenza di questa distinzione dualistica, pur non nascondendo “da che parte sta”
Ed io, pur non nascondendo da che parte sto, mi sono permesso di accostare i libri dei 3 Autori (3+ 1, un semplice, umile blogger!) per invitare chi legge ad una riflessione: l’alternativa è destra-sinistra oppure destra-sinistra-centro? E se mi sbaglio nel porre la questione … mi corigerete!
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INCONTRI: PROF. MICHELE ANDREAUS – 2
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 20 Aprile, 2020 @ 11:12 amDetto altrimenti: post (dopo) la Tempesta Covid19 (post 3861)

L’isolamento fisico non ci impedisce di far muovere la nostra mente, la nostra attenzione, il nostro desiderio di cercare di capire ciò che potrà accadere dopo l’attuale tempesta. Quale Presidente dell’ Associazione Restart Trentino (voluta quattro anni fa dalla Dr.ssa Donatella Conzatti, oggi Sen. Conzatti) ho pensato di utilizzare lo strumento di Trentoblog per promuovere un
EVENTO RESTART CON DISTANZIAMENTO SOCIALE

… ovvero un’intervista via e-mail al Prof. Michele Andreaus, Professore di Economia Aziendale presso l’Università di Trento, in merito ai possibili contraccolpi che l’attuale pandemia avrà sul pensiero, sui comportamenti sociali ed economici del domani. A tal fine la presente iniziativa in una qualche misura può essere considerata lo sviluppo ideale della precedente intervista che il professore volle gentilmente concedermi tempo fa (http://www.trentoblog.it/riccardolucatti/?p=46223).
1 – Professore, stagnazione, inflazione, deflazione, stagflazione, recessione … Oggi di cosa soffriamo? E domani?
Oggi soffriamo una crisi non nuova in assoluto, ma nuova nel senso che la nostra generazione non l’aveva mai vista. Si tratta di una crisi che colpisce il mondo intero, bloccando la gente in casa e bloccando i consumi. Senza entrare nel merito della crisi sanitaria, dal punto di vista economico la crisi parte sul lato dell’offerta, bloccando le catene di fornitura a livello mondiale e bloccando la produzione. L’emergenza sanitaria in molti paesi costringe la gente a restare in casa e quindi ora vi è un crollo dei consumi. Quando si uscirà dall’emergenza sanitaria, probabilmente la crisi sarà ancora sui consumi: meno viaggi, più timori, meno disponibilità e quindi un mondo che consuma meno e quindi un esubero di capacità produttiva e crisi aziendali. Più che crisi o recessione, io parlerei proprio di depressione, potrebbe essere la peggiore depressione della storia moderna, aggravata dal fatto che viviamo in un mondo globalizzato ed è quindi difficile da isolare e circoscrivere. Un incendio che sta bruciando il mondo intero.
2 – Una prima differenza che mi pare si possa cogliere rispetto alle crisi del passato è che per quelle si sono innanzi tutto studiate e individuate le cause scatenanti. Per quella odierna la causa è nota: occorre concentrarsi sulle conseguenze.

La causa principale è l’impreparazione del mondo. Abbiamo speso migliaia di miliardi in armamenti e non abbiamo investito pochi miliardi per metterci prima in sicurezza. Le avvisaglie ci sono state, dalla Sars del 2001, all’aviaria, tutte risolte per il rotto della cuffia. Tutti i rapporti dell’OMS, l’ultimo di settembre 2009, sono rimasti inascoltati. La politica lavora sul consenso di brevissimo termine e stanziare risorse per un qualcosa che forse non avrà un ritorno elettoralmente, non si fa, dato che il politico non sa se quando scoppierà il problema lui ci sarà ancora. Poi … chiaro: il virus … un’economia globalizzata … un mondo che procede in ordine sparso … ormai siamo alle ordinanze rionali. Tutto il contrario di quello che avrebbe dovuto essere fatto. Le conseguenze potranno essere drammatiche se prevarrà la visione piccola e “di ombelico”, con default di banche e paesi interi e una desertificazione dell’economia che potrebbe durare molto a lungo. Se invece prevarrà una visione alta, che arrivi anche a prendere in considerazione una parziale ristrutturazione dei debiti futuri, si potrebbero anche contenere i danni. E’ evidente che bisognerà trovare un equilibrio tra l’azzeramento dei rischi sanitari e l’azzeramento dell’economia. A volte non si considera che la depressione economica ha effetti mortali che potrebbero essere più consistenti di quelli del virus.
3 – Il problema odierno può essere affrontato da diversi punti di vista: gli interventi da attuare con urgenza; come finanziarli con disponibilità e/o in deficit; gli interventi dell’UE all’interno dell’attuale sistema UE; come ricostruire il sistema. Molto meno si parla di come dovrebbe/potrebbe essere organizzata una nuova UE.
L’Italia è entrata nella crisi in braghe di tela: non ha disponibilità, crescita economica, margini di manovra. In compenso ha un debito elevatissimo e la decrescita demografica. Il problema non sono i debiti futuri, ma la sostenibilità del debito passato, stante il crollo del PIL. L’Europa si è mossa molto, ed è stato necessario un periodo, breve, di presa di coscienza da parte della politica. Ora abbiamo a disposizione vari strumenti e altri ne verranno. Io sono dell’idea che tutto ciò che può essere attinto dall’Europa, vada preso. E di fatto stiamo anche già parlando di debito europeo, perché sarà questo che di fatto finanzierà il SURE per gli ammortizzatori sociali, o il recovery fund, per la ripartenza. Ma la condivisione di un debito europeo dovrà essere basata sulla condivisione di una fiducia reciproca, altrimenti siamo morti.
4 – Potrei porre la domanda in altro modo: prima del problema della copertura finanziaria, viene l’individuazione del fabbisogno; prima ancora la definizione della strategia; prima ancora il tipo di strumento (il soggetto) che dovrò operare. Non Le pare che si stia procedendo a ritroso?
Sì, perché manca la visione di insieme. Abbiamo una politica, soprattutto in Italia, che è caratterizzata da un’assenza di visione strategica e in parte da pulsioni antisistema. Riprendendo il discorso fatto nella domanda precedente, il debito europeo ci obbligherà di fatto a rivedere il concetto stesso di Europa, superando la finzione che sia l’Euro il collante. No, l’Euro è strumento, il collante siamo noi. E considero l’Euro una finzione perché fu un compromesso, il massimo del minimo per l’Europa del futuro. I padri dell’Euro (per l’Italia Ciampi e Prodi), ritennero che l’Euro fosse l’unico punto di partenza possibile, per arrivare poi a condividere altre funzioni: la politica economica e fiscale, del lavoro, previdenziale. Pensate quanto avremmo gestito meglio questa situazione con una politica sanitaria europea. Ma come pensiamo poter di gestire una pandemia mondiale con le ordinanze regionali o addirittura comunali, siamo semplicemente ridicoli, in un delirio di onnipotenza del sindaco di turno.
5 – Il soggetto: non sarebbe utile che un soggetto internazionale, ad esempio uno Stato, provasse a fare una analisi articolata dell’ ist (l’essere) ed una del soll (il dover essere) della nostra UE? E ciò per superare la fase delle semplici affermazioni di principio. Infatti non vorrei che non si progettasse una nuova UE nel timore che poi non sarebbe realizzata; e che non la realizzi perché appena abbozzata).

In parte ho già risposto prima. Se chiediamo, o pretendiamo, di condividere un debito senza pensare di condividere la fiducia, non andiamo da nessuna parte. Forse è la grande occasione, o forse l’ultima occasione che abbiamo per contare ancora qualcosa. Io sono ormai tra i pochi che si considera europeo prima che Italiano, perché è la nostra dimensione, fatta di culture e tradizioni diverse, ma è la nostra dimensione. Al di là del dibattito ignorante che talvolta leggiamo, Italia e Germania hanno molto più in comune di quel che pensiamo; stesso discorso per la Francia. Però dobbiamo fidarci, smetterla di vedere complotti e giocare la nostra partita. Poi è chiaro, se i nostri rappresentanti non vanno alle riunioni, se talvolta mandiamo a giocare in Europa la nostra serie C e perdiamo, non sono gli altri ad essere cattivi, ma siamo noi che ci diamo la zappa sui piedi (si potrebbe usare un’altra espressione, ma teniamo buona questa per decenza).
6 – Dopo il fallimento dei due sistemi economici opposti, comunismo e capitalismo globalizzato, ci sarà spazio per una riconversione verso un terzo sistema non estremizzato e più equilibrato?
Io credo nel capitalismo, ma in questi anni non abbiamo vissuto il capitalismo, ma il “finanziarismo”. La finanza di breve termine anteposta alla produzione di beni e servizi ed alla dignità dell’uomo. Ecco, un capitalismo attento all’umanesimo, se vogliamo che si rifà anche alla dottrina sociale della Chiesa, che mette al centro l’Uomo e non la performance finanziaria. Forse potremmo provarci, altrimenti avremo un mondo ancora più diviso, con una clessidra sempre più sottile al centro, con molte fasce della popolazione ai limiti della sussistenza e pochi super ricchi, e al centro la scomparsa della famosa middle-class, che probabilmente scivolerà verso il basso, non salirà certo in alto.
7 – Sul piano concreto: quali saranno gli effetti della pandemia sulla struttura sociale, sulla organizzazione e produzione aziendale, sul consumo?
E’ presto per dirlo, ci sono troppe variabili in gioco. Per un paio d’anni vivremo in un mondo che consuma meno e nel quale sarà molto più costoso vivere, perché sarà più costoso produrre. Se per il distanziamento un ristorante deve dimezzare i coperti, i suoi costi fissi rimangono gli stessi, anzi, probabilmente aumentano. Stesso discorso per i viaggi di lavoro e per quei pochi di turismo. Quindi si consumerà meno e la depressione morderà e parecchio.
8 – Dopo la seconda guerra mondiale furono creati IRI e IMI. Oggi forse occorrerebbe un IRI-Istituto per la Riconversione Industriale, magari anche -UE?
Certamente bisognerà fare delle scelte strategiche ed alcuni settori potrebbero essere nazionalizzati. Si tratta di fare delle scelte. Io non ho mai creduto nello stato imprenditore, ma talvolta e per periodi limitati è necessario. Bisogna stare attenti però a non considerare l’aiuto alle imprese come strumento di politica sociale. Tenere in vita un’impresa (penso ad esempio ad Alitalia) solo per tutelare i lavoratori, non risolve il problema, lo sposta un po’ in avanti, generalmente ingrandendolo.
9 – Occorre una riconversione che parta dalle persone e non dalle aziende. Infatti se un’azienda si riconverte tout court (Unicredito), licenzia 5.000 persone che non potranno riconvertirsi.
Il discorso che ho fatto poco sopra: un capitalismo che mette al centro l’uomo, con il profitto come mezzo e non come fine. Facile a dirsi, ma molto difficile nei fatti. Unicredit, tanto per fare l’esempio, non licenzia perché i vertici sono cattivi, ma perché se non fanno così, il mercato licenzia la banca. Loro non rispondono ad un azionista con nome e cognome, ma al mercato finanziario. Se i nostri piccoli investimenti rendono meno perché è stato messo al centro l’uomo, siamo contenti o ci lamentiamo? Prima o poi dovremo anche arrivare ad elaborare le nostre ipocrisie, piccole e grandi che siano.
10 – La prima riconversione riguarda la scuola che deve dare agli alunni non solo la capacità di eseguire i lavori attuali, ma anche la conoscenza che permetterà loro di imparare i lavori futuri.
La scuola italiana non è male, ma ha perso quella funzione anche di ascensore sociale che aveva in passato. Dobbiamo credere nella bontà del nostro sistema formativo, che prepara bene, pur lavorando in un contesto molto complicato. Se solo incominciassimo a credere veramente nella formazione come investimento e non come costo da tagliare … Ma è soprattutto qui che si vede che l’Italia è un paese morto, dove non si penalizza chi lavora male e non si premia chi lavora bene.

11 – L’etica aziendale del risultato ha condotto al cinismo delle multinazionali; per converso l’etica dei soli principi condurrebbe al fondamentalismo (Norberto Bobbio, Elogio della mitezza e altri scritti morali). Può esistere un’etica aziendale frutto di un compromesso, come ci ricorda Paolo Mieli nel suo bel volume “I conti con la Storia”?
La vita è fatta di compromessi, il compromesso è il cemento che tiene assieme i pezzi della nostra vita. Guai se non ci fosse. Poi a volte lo si cerca a tutti i costi, viene visto come il mezzo per raggiungere il fine. Se invece che la parola compromesso usassimo l’espressione “punto di equilibrio”, la sensazione sarebbe migliore. Però è necessario trovare un compromesso alto tra etica e valori: in passato siamo riusciti, in molte aziende ci sono imprenditori illuminati che ci riescono. Quindi è possibile.

12 – Mi risulta che per le loro posizioni apicali molte aziende ricerchino laureati in filosofia e sociologia. Mi rifaccio al libro di Pier Luigi Celli “Il potere, la carriera e la vita – Un mestiere vissuto controvento”: Celli, un manager alla Adriano Olivetti, il quale fra l’altro fu il primo ad assumere per la posizione di DG un laureato in filosofia.
Laureati in filosofia e matematici. Per la capacità di ragionamento e per la flessibilità nell’affrontare problemi nuovi. Le tecnicalità si possono sempre imparare ed evolvono nel tempo. La capacità di analisi o la impari a scuola e all’università, o dopo è dura …
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13 – Ultima domanda. Democrazia e democrazia aziendale: interconnesse? Reali o fittizie? La maschera democratica dell’oligarchia (Canfora-Zagrebelksky) trova un riscontro anche nella democrazia aziendale, la quale consiste nella vittoria del funzionigramma sull’ organigramma e nella vittoria dell’intelligenza collettiva su quella individuale?
La democrazia aziendale è molto difficile da attuare. In azienda tendenzialmente ci deve essere la democrazia della responsabilità. Il processo decisionale può essere partecipato, ma alla fine la responsabilità della decisione deve cadere su poche persone. Forme di governance democratiche sulla carta, scontano spesso un bias di democrazia e di trasparenza proprio per la deresponsabilizzazione dei vertici, soprattutto nel caso di imprese di grandi dimensioni. Qui infatti il meccanismo per occupare i posti di responsabilità è spesso slegato dal merito e molto più vicino alle dinamiche dell’elezione politica, che non fa certo del merito uno dei valori prevalenti. E questa è a mio avviso la negazione della democrazia aziendale. In definitiva secondo me la democrazia aziendale deve essere basata sui valori e sulla responsabilizzazione.
Grazie professore per la Sua disponibilità e i Suoi contributi, anche da parte degli associati Restart e dei lettori dei miei post! Comunque a sentirci europei prima che italiani siamo almeno in due!
Scrive Ernesto R.: “Complimenti! Purtroppo, con molta più competenza di me, esprime in modo articolato quanto ho compreso e penso della “depressione “ grave che seguirà ed accompagnerà la emergenza sanitaria. La Politica mi pare decisamente “balbettante “ ed incredibilmente incapace di un minimo denominatore comune. Che tempi duri ci aspettano! Buona serata con cari saluti”. Rispondo: grazie dell’intervento, Ernesto R.: la Politica siamo anche noi piccole gocce, e questo nostro agire e questa tua attenzione rappersentano piccole gocce che vanno in un ruscello che va in un fiume che va in un mare che va in un oceano!
VEDRAI VEDRAI … NON SO DIRTI COME E QUANDO …
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 20 Aprile, 2020 @ 5:56 amDetto altrimenti: … ma qualcosa cambierà (post 3860)
Ricordate Luigi Tenco? “Non so dirti come e quando, ma qualcosa cambierà …” Nel dopo coronavirus sicuramente qualcosa cambierà, nel senso che si annullerà

- la falsa convinzione della globalizzazione a sviluppo infinito e dell’eternità del processo della super concentrazione della ricchezza;
- l’errato convincimento che da soli, chiusi in se stessi, si può;
- la dannosa idea di aumentare comunque la produzione anche se poi il mondo è povero e non acquista;
- la pericolosa illusione che riusciremo a fermare le masse dei disperati;
- l’incredibile idea che la finanza fine a se stessa possa sostituire la finanza strumento della produzione di beni e servizi;
- la cattiva politica delle prossime elezioni che dovrà lasciare il posto alla buona Politica per le prossime generazioni;
- la fuorviante idea che il Bene Comune sia solo un bene pubblico, collettivo (una scuola, una piazza) e non invece quello realizzato con l’apporto iniziale di tutti;
- la micidiale convinzione che si possa fare politica con la retorica e il populismo;
- l’egoistica idea che “noi first”;
- l’immorale convinzione che “noi si e gli altri chissene …”;
- l’antiproduttiva convinzione che si possa riconvertire un sistema economico senza prima riconvertire i lavoratori;
- l’ignorante convinzione che l’azione possa precedere il pensiero;
- la cieca abitudine ad avere tante percezioni sensoriali anzichè una visione d’insieme;
- l’ autolesionistica cocciutaggine di non volere cambiare tutto quanto sopra elencato.

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Un minuscolo virus (chi mai di noi l’ha vissto in faccia se non al microscopio?) farà tutto questo. Una forza poderosa, nascosta, altrimenti micidiale, irresistibile come le radici di una piccola pianta, un fico nato fra le crepe di un bastione, radici che crescono, crescono e scardinano i pesanti blocchi di pietra delle nostre secolari convinzioni …
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25 APRILE
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 19 Aprile, 2020 @ 1:01 pmDetto altrimenti: per non dimenticare (post 3859)
In questi giorni siamo confinati in casa da un copri-fuoco (che poi è anche un copri-sole, visto che è anche diurno!) del quale tuttavia condividiamo le ragioni. Da un copri-fuoco che limita il nostro corpo ma non la nostra coscienza, la nostra mente, la nostra libertà di pensiero. Sia pure limitatamente, noi giovani (giovani come me, nati ad esempio dal 1944 in avanti) possiamo iniziare a capire cosa possa essere stato il coprifuoco della libertà di pensiero, della libertà politica, della libertà tout court.

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Ed ecco che noi giovani Fiabbini, spiriti e corpi liberi di pedalare “in libertà” verso ogni meta senza dovere esibire permessi e passaporti, noi giovani (nati dal 1944), dicevo, anche giovanissimi (dati dal 1964) ogni anno dedichiamo una pedalata commemorativa al 25 aprile. Quest’anno non possiamo: il citato coprifuoco ce lo impedisce.
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Ed allora ho approfittato di una mail del mio presidente dell’Associazione Amici della Musica di Riva del Garda, prof. Franco Ballardini, per inserire qui un filmato che ritrae suo babbo Renato, avvocato partigiano, già Onorevole, che insieme alla sua dolcissima nipote Lisa intona le ultime strofe di “Bella ciao!”: una sorta di garanzia di continuità per un messaggio molto, molto importante che i giovani devono continuare a far proprio:
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Buon 25 aprile a tutte e a tutti, dunque, nella speranza di potere di nuovo, presto, “essere liberi” (fisicamente) un’altra volta! E quando avremo riacquistato la libertà del corpo, non dimentichiamo di difendere la libertà della nostra mente da agenti inquinanti quali la demagogia, il populismo e le forme oligarchiche e antidemocratiche di quel “Fascismo eterno” ben evidenziate nel prezioso libro “Il fascismo eterno” di tale Eco dr. Umberto, Ed. la Nave di Teseo, €5,00 mai così ben spesi. Ugualmente ben spesi sono i 9,50 euro per “La maschera democratica dell’olgarchia” di Gustavo Zagrebelsky e Luciano Canfora, Ed. Laterza.
Ogni migliore augurio, amico Avvocato Renato Ballardini!
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BICI TU …
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 18 Aprile, 2020 @ 5:35 pmDetto altrimenti: quando sei bloccato in casa dal coprifuoco …. (post 3858)
N.B.: alcuni amici lettori mi chiedono: “Uei, blogger, e tutti i post sull’economia e la finanza dove sono”? Scialla raga, tranquilli: sono rimasti indietro di circa 10 posizioni: scorrete i post, scorrete, andate anche alla pagina 2 … e che ci vuole?

giorno mia moglie mi ha sorpreso mentre
lucidavo i suoi raggi con l’Argentil!
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….. non sai più come colmare la nostalgia, letteralmente: il dolore del (mancato) ritorno alle consuete pedalate. Ed allora sfogli riviste, leggi libri, scrivi di tutto, ciatti uozap, vai a vedere quanti hanno letto i tuoi post e da quale città. Insomma cerchi di non pensarci ma alla fine ci ricaschi: vai a lucidare la bici da corsa (35 years old!) che tieni in casa (ma non vi preoccupate; la mia casa è molto pulita, la bici non si impolvera!); sfogli le bicifoto ed incappi in una foto che ti attrae e ti scatta l’idea: dopo tutto “lei” ha un bel campanello … ecco, ci sono … la luna … il campanello? Ed allora … IDEA! un nuovo …:
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… PAESE DEI CAMPANELLI!
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Bici tu, non sai dirmi perché
i tuoi raggi d’argento a ruotar
non invitano me ad andar?
Luna tu, mi vuoi tu spiegar
senza lei dove mai posso andar?
Senza lei non si può pedalar
sii cortese, la puoi liberar?
(Passerà il coprifuoco virus … adda passà a nuttata!)
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SI RIAPRE?
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 17 Aprile, 2020 @ 7:53 pmDetto altrimenti: ma per la mobilità con distanziamento sociale, come la mettiamo? (post 3857)

Sono un ex dirigente (oggi socio “semplice”) della FIAB – Federazione Italiana Amici della Bicicletta, Trento, Aderente a FIAB-Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta. Siamo a Trento: in previsione della riapertura delle attività e delle scuole ci si pone il problema di come far viaggiare la gente “distanziata”. Su l’Adige di Venerdi 17 un’intera pagina (la n. 15): l’intervista al mobility manager della Provincia Roberto Andreatta, e un intervento del portavoce di FIAB- Federazione Italiana della Bicicletta, Trento, Massimo Pegoretti.

Vi risparmio i numeri. Trasporto pubblico: per distanziare i passeggeri occorrerebbe raddoppiare il servizio (mezzi su strada e orari) il che non è possibile, e poi resterebbe comunque il grande rischio di contagio per chi utilizza un mezzo chiuso quale un bus o il treno; l’alternativa auto è impraticabile: già adesso entrano in Trento ogni giorno oltre 100.000 auto. Cosa fare? L’idea che sta emergendo è incentivare l’utilizzo delle E-bike. Più che d’accordo. Ma non basta. Occorrono le piste ciclabili degne di questo nome. E si possono realizzare a costi molto limitati: infatti in molti casi basta trasformare in pista ciclabile una delle due corsie auto. La politica locale sicuramente è consapevole del caos che si genererà a settembre prossimo e sicuramente vorrà evitare che si generi: in tal caso infatti non sarebbe sufficiente “dimostrarsi bravi a gestire un’emergenza di gran lunga preavvisata”.

Olanda, secondo dopoguerra, PIL alle stelle, tutti ricchissimi, tutti in automobile. Aumentano di molto gli incidenti mortali di cui sono vittime i bambini. La popolazione scende in piazza e la viabilità automobilistica lascia il posto a quella ciclabile. Andiamo ora a vedere la grande funzione delle “autostrade ciclabili” per l’accesso alle città olandesi!

bisogno di queste autostrade ciclabili!
E a Trento ciò sarebbe immediatamente fattibile soprattutto per l’asse nord-sud-nord. La politica locale ha sicuramente una visione d’insieme del problema e intenderà predisporre per tempo le soluzioni del caso, anche per non ritrovarsi a ridosso delle prossime elezioni comunali di novembre con questo problema da risolvere. Da quando ero un fanciulletto infatti mi hanno insegnato che esistono anche i peccati per omissione, ma siccome ho la massima fiducia nella piene consapevolezza del problema da parte di chi governa la mia città, vado a letto tranquillo. Anche perchè ho avuto modo di parlare con un candidato sindaco ad una riunone co-organizzata da FIAB ed ho constatato che la persona ha chiaro il “modello-sistema di città” che vuole realizzare, una città modello che va anche molto a pedali! Un vero approccio manageriale il suo, e se lo dico io, vecchio manager da sempre critico verso l’assoluta mancanza di managerialità da parte della maggior parte della politica …
Oggi non basta più la mobilità sostenibile! Occorre la mobilità “necessaria”: quella distanziata!
Firmato: un cicloblogger!
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SOTTO I PONTI DI TRENTO FERSINA SCORRE
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 17 Aprile, 2020 @ 7:25 amDetto altrimenti: il mio fiume durante la pandemia (post 3856)

e li occhi porto per fuggire intenti / a che vigile urban non porti mali.”
(Ho voluto parafrasare il famoso sonetto del Petrarca. La paura del vigile urbano è solo una licenza poetica: infatti davanti a casa mia io passeggio del tutto legittimamente!)
Un liquido velo nuziale d’acqua montana accarezza sassi ormai levigati dal tempo. Lo guardo e lo vedo respirare più che scorrere: il suo è l’alito della montagna, un soffio che in estate addolcisce l’arsura, il gesto amorevole di una mamma che lava dolcemente il viso al proprio bimbo al risveglio. Dicono che sia un torrente e questa è l’immagine che può dare di se’ quando è in piena, una piena che non tracima mai ma che ugualmente talvolta sa ruggire, spaventosa, violenta. Io lo preferisco fiume, quando le irregolarità del suo letto impongono strade diverse alle sue acque che poi sono i suoi pensieri: alcuni – come i miei – scorrono via veloci, determinati; altri esitano, sembrano riflettere, per poi riprendere la strada e ricongiungersi agli altri: più lentamente, più dolcemente, più a valle.

Il mio fiume è la Fersina, in dialetto trentino la Fersena come preferisco chiamarla. Un fiume, un torrente al maschile, un nome al femminile. A lei ho dedicato poesie, fotografie, pensieri e riflessioni come quelle che sto scrivendo. Per lei ho scritto una poesia che è stata inserita nello splendido volume “La Fersina – Antica signora della Valle” di Lino Beber, Mario Cerato e Claudio Morelli, edito dall’Associazione Amici della storia di Pergine, la cui presentazione, a firma della Presidente Iole Piva, recita: “Non si può amare un fiume o un torrente, l’acqua che scorre, carica di simbologie, miti, paure, demoni, streghe e fate; l ’acqua che scorre è vitale, ma è anche la lotta dell’uomo per sopravvivere, per domare la sorte e la terra che calpesta. La vitalità dell’acqua fa della Fersina natura pura.” Il volume. Nella pagina dei ringraziamenti il mio contributo è attribuito a tale Riccardo Luccati: evvabbè … può succedere ad un tipografo compositore Trentino di trentinizzare, d’istinto, un cognome toscano: non gliene voglio certo per questo.
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In questi giorni di coprifuoco a me suo frontaliero è consentito dalla legge passeggiare lungo gli ottocenteschi bastioni austroungarici che lo hanno deviato un secolo e mezzo fa, a ricordare quando in un recente passato mi fermavo a cercare di cogliere qualche sua prima immagine, io fotografo improvvisato, io che un giorno lungo questi viali viali ho fatto amicizia con un fotografo vero, in pensione come me ma sempre molto vero, Luigi Zullo, ormai un amico che mi ha regalato alcuni suoi scatti.

La Fersena è poesia. A lei ne ho dedicate alcune. Lei me ne richiama una di Guillaume Apollinaire della quale riporto volentieri qui di seguito alcuni versi, chiedendo scusa all’Autore per questa estrapolazione (strumentale, lo confesso! In compenso un giorno, a Parigi per lavoro, mi sono fatto accompagnare a rendere omaggio al Ponte Mirabeau):
Il ponte Mirabeau

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Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna / me lo devo ricordare. / La gioia veniva sempre dopo il dolore. / Com’è lenta la vita / e come la Speranza è violenta / quest’acqua corrente. / Venga la notte suoni l’ora / i giorni se ne vanno io rimango. / Passano i giorni e passano le settimane / né il tempo passato / né gli amori ritornano. / Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna. / Venga la notte suoni l’ora / i giorni se ne vanno io rimango.
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Mi era venuta voglia, tanta voglia di scrivere “Sotto i ponti di Trento Fersina scorre …” ma poi ci ho rinunciato e ho scritto le “mie” poesie. Eccole:
Il Canto di Trento a la Fersena
Sei vivo. / Mi parli col suono di luce / dei tuoi mille occhi di rivo / splendenti / nel verde. / Dapprima / mi sembri annoiato / nel lento rigiro / che sempre conduce / al tuo limitato infinito / eletta dimora / di anatre urbane / ed aironi / in morbide anse di steli / ov’acqua / fra ‘l fiore che odora / con tenue sospiro si perde.

Ma ecco / improvviso / uno slancio / al pari del cervo brunito / che hai visto saltar le tue rive / braccato dal cane / ed hai ristorato / offrendoti invito alla sete / ed alle corse un po’ schive / del giovane re incoronato.

Ancora … / hai negli occhi il ricordo / di una prudente marmotta / del falco / che lento / si libra nel cielo in agguato … / di un movimento … / di vita che lotta … / di tenero nido violato.

Tu nasci ove aria rinfresca. / Poi … / scendi la cima / scoscesa di valle / tedesca / qual liquido velo nuziale / che adorni la Sposa Atesina / e rechi in pianura / la figlia del suolo innevato / i fulgidi pesci d’opale / il tenue lenzuolo / che dona ristoro all’arsura / di ninnula cuna / il manto di brezza / che stendi alla luna / ed olezza.

E dolce assopisci il bambino / cantandogli la ninna nanna / che i monti ti hanno affidato. / Tu sei Poesia / il capolavoro scolpito / del grande Pittore Trentino / che ascolto / rapito all’oblìo / insieme alle fronde / degli ippocastani / che sopra le spalle / ti fan capolino ondeggiando / e curioso / protendono il volto / sull’armonioso spartito / del tuo gorgoglio.

Ma ora prosegui il tuo viaggio / e mentre ricevi altre sponde / le mie vecchie mura imperiali / riflesse / ti rendono omaggio / più belle pe’ i grandi regali / che porti di piccole onde.

Le prossime mie poesie ve le trascrivo senza gli “a capo”: divertitevi voi …
Primavera sul Fersina
(Guardando i grappoli fioriti degli ippocastani)
Tenere fresche speranze danzanti ti offrono grappoli di parole amiche i rami protesi sul Fersina. Disegnate dal cielo mobili sculture trasmettono linfa di primavera al fusto a la vita alla terra. Tronco invernale ostinatamente infisso in uno spazio ostile tu pure le vedi e rinasci dal dono di forza e calore che scivola lungo lo sguardo sin dentro una pietra a forma di cuore.


Autunno sul Fersina
(Dedicata alle bimbe di una coppia di amici)
Scrocchiano le foglie al passaggio di pensieri dipinti a colori sospesi. Ritorna dal monte lontano la fredda aria del nord e contende calore al mattino e alla sera. I raggi del sole dorati di fresco trapuntano un cielo pulito. Attesa d’inverno prepari il tuo nuovo quaderno al bianco mantello di neve. Attraverso i rami e di tuoi anni ogni giorno di più appare la vista nascosta del verde d’estate e del tuo passato. E’ giunto l’autunno colorato di occhi bambini e di voglia di vita che scorre.

La piena del Fersina
Impregna di sé erba paziente rocce assetate asfalti insidiosi erosa montagna disciolta da un cielo colore di terra. Galoppo sfrenato di liquidi pensieri scolpisce lo spazio di forme sospese nel nulla e attrae lo sguardo come lingua di fuoco danzante dal ceppo invitando il tuo corpo a librarsi in una vertigine alpina. Sfuggono a valle saltando tronchi rubati alle sponde avulse membra stillanti dal corpo indifeso del mondo tratti bizzarri di un perenne dipinto vivente. E tu vorresti che l’onda di piena dei tuoi sentimenti non passasse mai …



Ecco, ho finito. Dice … “Ma tu cosa sei, Riccardo? Un po’ blogger e un po’ poeta s’era capito; ma poi anche cos’altro”? Be’ raga, scialla, se andate a leggere i miei post
scoprirete facilmente tutti gli altri miei ingredienti!
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LUIS SEPULVEDA
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 16 Aprile, 2020 @ 4:34 pmDetto altrimenti: è mancato oggi, in Spagna, di coronavirus (post 3855)

No, non vado a copiare da internet il molto che è scritto su di lui, su questo grande (great) scrittore, ne’ dirvi quali suoi libri io abbia letto. Noi del gruppo di lettura Librincontri di Mirna Moretti ci siamo trasmessi la triste notizia: è sintomatico che nel circuito “uozap” (come lo scrivo io, provocatoriamente), siano stati inviati messaggi ad un secondo uno dall’altro! Io per esempio sono stato battuto da una frazione di secondo dalla collega e amica Emma Pandini! Io che non sono un grande lettore, almeno non tale se mi misuro con lo standard dei GGLL- Grandi Lettori del nostro gruppo, ma che, fra i tanti, ho lo scaffale dei miei vangeli laici, cioè di quei libri che voglio voglio avere sempre a portata di mano, che voglio poter prendere in mano anche al buio, di notte: i suoi libri sono lì.

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Lo conobbi per caso, anni fa passeggiando fra i banconi della “mia” libreria preferita, “Il Papiro” di Via Grazioli a Trento, vicino a casa. E queste scoperte in autonomia sono poi quelle che ti danno maggiore soddisfazione. Sepulveda mi ha fatto e mi farà ancora viaggiare nelle pampas cilene e argentine, mi catturerà in una rete di desideri ancora inappagati: insomma, ci ha regalato e continuerà ancora a regalare a tutti noi “Nuovo Mondo” di civiltà, impegno sociale, democrazia, sentimenti, con libri che sono come spartiti musicali di una seconda Sinfonia per le nostre emozioni, seconda solo in ordine di data dopo quella di Dvorak.
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70 anni, un giovanotto per morire, un giovanotto ancora e soprattutto se detto da me che ne ho sei di più, di anni … una perdita difficilmente colmabile se non attraverso la rilettura delle sue opere. Mirna Moretti, la Musa ideatrice e gestore del nostro gruppo concorda nel dedicargli la nostra prossima riunione che terremo non appena il virus ce lo consentirà, presso la consueta saletta riservata… , riservata a tutti coloro che vorranno esserci, al Caffè Città di Piazza Italia a Trento.
Un invito a tutti gli amici del gruppo: mandatemi ognuno un pensiero all’indirizzo riccardo.lucatti@hotmail.it. Lo pubblicherò qui di seguito.
Buon viaggio Luis! A te il nostro ricordo, il nostro pensiero, il nostro grazie!

Scrive Santo Cerfeda: “Mi sono innamorato di Lui leggendo “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore” , poi ho comperato “Storia di una gabbianella” e dopo tanti altri. Ma non siate tristi e non credete alle bufale che raccontano in giro. Sepulveda non è morto. È forse morto Manzoni, è forse morto Leopardi? E Dante, che pure è andato nel regno dell’oltretomba, è forse morto? No, di certo. Perché i grandi scrittori non muoiono come i comuni mortali: continuano a vivere nei loro racconti, nei loro scritti, nei libri che rimangono. In ogni parola che uno scrittore scrive c’è una parte di lui, in ogni libro c’è lui e ogni volta che leggiamo egli vive e continua a rimanere con noi. E finchè ci sarà un solo lettore che rileggerà la storia della gabbianella, o della balena, o del vecchio che leggeva i romanzi d’amore, Luis continuerà a vivere. E quindi ridete e siate felici: oggi Luis Sepulveda è diventato immortale.”
Santo, grazie del tuo intervento, hai proprio ragione: Sepulveda appartiene alla categoria delle Persone perenni, inimitabili. Uno ci prova, crede di potercisi avvicinare … e dopo alcuni tentativi si arrende e si chiede come lui e quelli come lui hanno fatto. Nel filmato di poco fa (RAI 5) ha detto una frase che mi ha colpito: “Lo scrittore sa arrivare al cuore del lettore meglio del saggista, con meno parole ….” Quanto è vero! Anche perchè la sua è una poesia scritta in prosa.
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