OBIETTIVO E SCOPO (DELLA FUNIVIA TRENTO-MONTE BONDONE)
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 30 Settembre, 2020 @ 3:35 pmDetto altrimenti (in inglese): mission & purpose (post 4022)
Ormai usiamo anche noi il termine mission: la mission (obiettivo) di questa società è … Molto meno frequentemente utilizziamo il termine purpose, cioè lo scopo che, attraverso la realizzazione dell’obiettivo, si vuole raggiungere. Un esempio: una multinazionale ha come obiettivo (mission) di riuscire ad avere la maggioranza del pacchetto azionario di una certa società, “al fine di” (ecco il purpose) di avere il monopolio di quel tipo di produzione. Normalmente ogni SpA dichiara espressamente quali siano i propri obiettivi (mission); molto meno quale sia la ragione ultima (purpose) del proprio agire.
Comunque amici, non ci siamo inventati nulla: già qualche annetto fa un tale avvocato … mi pare si chiamasse Cicerone, in una sua celebre arringa, per contestare il comportamento della controparte, pose provocatoriamente la domanda: “Cui prodest? Cui bono? Ovvero, a chi giova, chi ci guadagna? Ecco, quell’avvocato era alla ricerca della ragione ultima dell’agire (altrui).
Ma torniamo ai tempi nostri. Una SpA pubblica più di una privata deve avere ben chiaro il proprio purpose, ovvero la ragione del suo agire nel raggiungimento degli obiettivi del suo piano triennale scorrevole (aggiornato di anno in anno): ben oltre quindi il raggiungimento della sua mission. E faccio un esempio concreto. Prendiamo un importante ente fiera pubblico di una grande città. Sicuramente avrà come obiettivo (mission) l’organizzazione di fiere e congressi; sicuramente avrà come obiettivo (mission) anche quello di non generare perdite ma, possibilmente, utili. Altrettanto sicuramente avrà come purpose (scopo) quello di generare un rilevante indotto per il proprio territorio.
Nella mia vita ho lavorato anche per il Gruppo Siemens. Alla capogruppo non bastava che una sua SpA controllata producesse “un” utile. Si voleva che producesse un utile maggiore di quello che avrebbe prodotto sul mercato l’intero capitale in essa investito. A tale scopo, il bilancio delle SpA controllate veniva figurativamente peggiorato degli interessi “calcolatori” cioè di quella quota di reddito che sarebbe stata generata da un investimento sul mercato delle somme investite nella SpA. Solo se dopo tale addebito il risultato economico fosse rimasto ancora in attivo, solo allora lo si sarebbe valutato positivamente la SpA.
Da qui traggo un ragionamento opposto e parallelo: se l’ente fiera del nostro esempio avesse prodotto a bilancio una perdita di 10 ma avesse generato un indotto di 100, prima di valutare negativamente tale risultato bisognerebbe accreditargli figurativamente quel 100.
Ma il purpose non può essere solo o principalmente un ritorno economico, diretto o indotto. Esso può consistere anche nello sviluppo di una visione del futuro, di integrazione con progetti trasversali, nell’accettazione di una sfida che al suo nascere potrebbe sembrare visionaria, ma che tale non è se si è visionari in maniera attrezzata e pragmatica.
Quanto sopra vale per l’ente fiera del nostro esempio. Lo stesso dicasi per una funivia urbana.
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PENSIERINI DEL MATTINO
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 30 Settembre, 2020 @ 6:44 amDetto altrimenti: miei, copiati dal mio profilo FB, per chi non utilizza quel social. (post 4021)
A cosa sto pensando? Al web. Per alcuni aspetti ha migliorato, per altri ha peggiorato la nostra vita, nel senso che ha indotto una certa superficialità sostituendosi a) al salutare e formativo sforzo culturale che ha fatto crescere e maturare le generazioni precedenti e b) al rapporto diretto (relazione) fra le persone. Da qui la maggiore possibilità che un mediocre raggiunga – grazie ad un consenso superficiale – posizioni di potere, procurando un duplice danno al sistema: 1) essendo mediorcre, governa male: 2) stimola la gara fra mediocri: “Se c’è riuscito quello lì …” Per nostra fortuna alle comunali ha vinto Franco Ianeselli, una persona che ha impostato la sua campagna sulle relazioni personali e dirette, quelle che ci fanno conoscere agli altri per quello che siamo. E ha vinto.
A cosa sto pensando? Al fatto che ora dobbiamo trasformare le idee della nostra campagna elettorale in veri e propri progetti. Si attiveranno gruppi di lavoro, riunioni nelle quali ognuno non dovrà dimostrare di essere migliore degli altri, bensì fornire il proprio contributo originario di idee; nelle quali ognuno non dovrà far emergere le problematiche ovvero perchè questo o quello non si può fare, bensì dovrà far emergere le soluzionatiche; nelle quali non si lavorerà per “organigramma” aziendale e/o politico, bensì per ” funzionigramma”, ovvero secondo un ordine semplicemente funzionale ad ogni singolo progetto. Anche per la Nuova Funivia Trento – Monte Bondone.
A cosa sto pensando? Al lavoro di gruppo e alla firma delle proprie idee. Io nella mia lunga vita di manager prima e di top manager poi, ho sempre creduto a) nel lavoro di gruppo- intelligenza collettiva e b) nella motivazione delle persone, quale primo fattore della produzione di risultati. Questi due principi ispiratori dell’azione inizialmente e durante tutta la fase lavorativa convivono su di un piano di parità: tuttavia alla fine, prevale quello della motivazione dell’individuo che deve consentire ad ogni singolo partecipante al processo di firmare le proprie idee.
A cosa sto pensando? Al fatto che “le parole sono pietre”, come scriveva Don Lorenzo Milani ad una professoressa. E allora usiamole con precisione. Le mie parole di questa mattina sono “mondo” e “terra”. Il mondo è l’insieme delle relazioni umane; la terra è il pianeta sul quale si generano le nostre relazioni. E noi non dobbiamo distruggere nè il mondo nè la terra: infatti uno non può esistere senza l’altra. E viceversa.
A cosa sto pensando? Al fatto che m’era sfuggito un altro pensierino serioso: alluvione, una casa isolata è inondata da un metro d’acqua. Arrivano i vigili del fuoco. La padrona di casa: “Guardate il soffitto, quella macchia di umidità ..”. “Signora, prima eliminiamo questo metro d’acqua: all’umidità pensiamo dopo”. Ecco, anche nelle riunioni di lavoro, mettiamo in ordine i problemi e affrontiamoli (e risolviamoli) secondo l’ordine della loro pregiudizialittà progressiva, ovvero in ordine logico. Usando altre parole: eliminamo innanzi tutto il primo lilello superficiale della sabbia, quello che ci impedisce di capire dove siano i veri problemi. Poi, dopo avere tolto anche un secondo strato … allora sì, andiamo a fondo, scaviamo e risolviamo ogni singolo aspetto.
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SOCIETA’ MISTE PUBBLICO PRIVATE, DI SCOPO E DI GENERAL MANAGEMENT
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 29 Settembre, 2020 @ 5:37 amDetto altrimenti: solo poche riflessioni, state tranquilli! (post 4020)
La forma giuridica di società di capitali, tipicamente la SpA, Società per Azioni, è tipica del settore privato. Il suo obiettivo – fino a poco tempo fa – è stato quello di produrre il maggiore utile possibile: in altre parole, l’etica che “doveva” animare chi era a capo di quelle entità, era l’etica del risultato economico, con il risultato (scusate il gioco di parole) di trasformare il capo azienda in un cinico: occorre perseguire il massimo utile economico, costi quel che costi: ai dipendenti, alla collettività in genere.
Sul fronte opposto troviamo i sistemi comunisti che in ossequio al principio della negazione della proprietà privata e al (presunto) bene di tutta la collettività, sacrificavano la ricerca dell’utile economico. Operando in base all’etica dei principi, i capi di quel sistema tendevano a diventare integralisti. Sullo stesso lato metodologico si collocano oggi quei servizi pubblici che “operiamo in base alle finanze djsponibili, poi chiudiamo bottega, cioè blocchiamo la nostra attività, anche se non abbiamo realizzato tutte le opere e fornito tutti i servizi necessari alla comunità e/o programmati”; come pure quagli altri settori pubblici nei quali si realizzano comunque opere e si prestano servizi senza la minima preoccupazione del costo finale (in termini di volume di risorse finanziaria impegnate e di perdite economiche causate al sistema).
Ed allora, che fare? In medio stat virtus, diceva quel tale: infatti occorre arrivare ad un compromesso e i compromessi – come ci ricorda Paolo Mieli in un capitolo del suo bel libro “I conti con la storia” – possono ben essere virtuosi come i tanti compromessi che “hanno fatto la storia”. In altri termini: occorre che la SpA privata si ponga sempre di più il perseguimento anche dell’utile sociale e che la SpA/servizio pubblico abbia più attenzione anche agli aspetti finanziari ed economici.
Ed ecco nascere le SpA miste con azionariato pubblico privato come pure le SpA cosiddette inhouse, cioè con forma giuridica privata. Orbene, sia nel caso di SpA miste che di Spa inhouse occorre che ognuna delle parti in causa – azionisti privati e pubblici nelle Spa miste; azionisti pubblici e manager societari, nelle SpA inhouse – riconosca e sia rispettoso dei legittimi interessi, del ruolo e della funzione della controparte. In altre parole: nelle SpA miste non deve accadere che il pubblico neghi la componente di interesse privata e viceversa; nelle SpA inhouse non deve accadere che il pubblico dia “ordini politici” al management societario che siano in contrasto con le finalità statutarie e/o con l’equilibrio funzionale, finanziario ed economico delle stesse.
Ma … come si programma all’interno di una SpA mista di scopo? Ogni programmazione che si rispetti ha un obiettivo statutario che poi si sviluppa in un piano triennale scorrevole, con ogni anno dotato di un budget. Orbene, all’interno di questo sistema si avviano i progetti. E qui “casca l’asino” perché spesso non si progetta bene perché non si è sicuri del successivo finanziamento; e spesso non si finanzia perché il progetto non è redatto in forma completa. Come si ovvia a tutto questo? Per le grandi opere – soprattutto pubbliche – occorre investire inizialmente su una società-start up-strumentale, la SpA di scopo che abbia l’obiettivo di organizzare e gestire il general management del progetto inquadrando tutte le sue componenti interne ed esterne, 1) per poi diventare essa stessa la SpA operatrice oppure 2) per promuovere la società operatrice: ad esempio una SpA di Project Financing. Nel primo caso la Spa di scopo dovrà anche provvedere alla propria capitalizzazione per arrivare a finanziare essa stessa i propri investimenti. Nel secondo caso la finanza sarò fornita da chi interverrà come finanziatore, realizzatore e gestore dell’opera. In ogni caso, nella SpA di scopo di entrambi i tipi vanno fatte tassativamente confluire tutte le componenti di interesse e tutte le conoscenze relative al progetto che si vuole eseguire. Va da se’ poi che il Project Financing è applicabile sono nei casi in cui l’investimento sia previsto essere produttivo di utili economici.
E i BOC attuali, redimibili ma quasi già irredimibili visto che sono convertibili in azioni delle SpA di scopo? Io credo che siano un ottimo strumento per coinvolgere il capitale privato in opere pubbliche, senza dovere applicare alcuna tassa patrimoniale.
Un’ultima considerazione: essere indebitati non è una negatività, purchè le risorse finanziarie acquisite siano produttive. Quindi il problema non è impuntarsi a criticare chi cerca in ogni modo di migliorare il sistema finanziario, ma destinare ogni energia nella programmazione, nella gestione e nel controllo dell’impiego delle risorse finanziarie generate direttamente o acquisite attraverso l’indebitamento.
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I VALORI DELLA FINANZA ITALIA E LA LORO MIGLIORE GESTIONE
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 29 Settembre, 2020 @ 5:29 amDetto altrimenti: la finanza pubblica per tutti (post 4019)
Di cosa e di quanto stiamo parlando? Il PIL Prodotto Interno Lordo vale 1800 miliardi l’anno (e sta diminuendo). Il nostro debito pubblico ammonta a 2400 miliardi (e sta aumentando). Il nostro deficit finanziario annuo ammonta al 2,4% del PIL. La ricchezza finanziaria privata degli Italiani vale circa 4500 miliardi (il patrimonio immobiliare dello stato vale 250 miliardi e quello dei privati, un valore multiplo, ma in questa sede ci occupiamo di dati finanziari e non patrimoniali). Ora … si tratta di agire su due fronti: su quello dell’economia reale che produce un prodotto, un utile o una perdita e non è materia di questa trattazione; su quello della materia “finanza”, ovvero della disponibilità del denaro e del suo migliore utilizzo, e ci proveremo qui di seguito.
Innanzi tutto occorre ridurre il debito pubblico anche attraverso strumenti finanziari, ad esempio con l’emissione di titoli irredimibili di rendita, iniziando ad offrirli in sostituzione gratuita dei titoli di debito redimibili in scadenza e proseguire con ulteriori nuove emissioni “originarie”.
Poi occorre dare centralità al valore ed al significato delle particolari caratteristiche dei BOC-Buoni Ordinari Comunali (Provinciali, Regionali) di cui alla legge 23.12.1994 art. 35 e cioè al fatto che non possono avere scadenza inferiore a cinque anni; che sono emessi solo a fronte di investimenti; che hanno un rendimento maggiore dei titoli di Stato; che hanno un trattamento fiscale interessante e soprattutto che sono convertibili nelle azioni delle SpA di scopo create per realizzare l’investimento.
Infatti occorre condurre la disponibilità finanziaria dei privati a concorrere alle esigenze dello Stato senza l’applicazione di alcuna tassa patrimoniale. Ciò si può ottenere proprio con l’emissione di TIR-Titoli Irredimibili di Rendita il cui ricavato sia destinabile esclusivamente a investimenti. La loro emissione, inizialmente, potrebbe essere fatta in sostituzione volontaria di tranche di titolo redimibili in scadenza.
Agli scettici di questa sia pure parziale soluzione propongo: si dotino di una calcolatrice HP finanziaria tascabile del costo di circa €50,00 e calcolino di quanto i mancati flussi in uscita per mancati rimborsi di titoli redimibili siano enormemente superiori ai maggiori flussi in uscita per la corresponsione di interessi ad un tasso di rendimento più elevato.
Occorre però dare centralità ad un altro aspetto, alla denuncia dei “falsi irredimibili” proposti da una certa parte politica sulla scia dell’idea originaria, e cioè alla denuncia di quei pseudo irredimibili chiamati “titoli patriottici o tricolori”. Si tratta di titoli a lunghissima scadenza, quindi pur sempre di debito; riservati agli italiani e esentasse. Questi titoli sarebbero uno sgarbo per gli stranieri che ci hanno finanziato da decenni, quindi ci allontanerebbero dall’UE; escluderebbero l’apporto della finanza estera; drenerebbero i conti correnti bancari mettendo in crisi le nostre banche; sono un regalo ai ricchi nostrani. Assolutamente da evitare sul piano finanziario e sul piano politico.
Occorre infine fare un cenno a possibili TIR Semi-UE, ovvero a quegli Irredimibili “veri” che potrebbero essere emessi solo da alcuni stati dell’UE: in tal caso, poiché il livello di rendimento sarebbe assai interessante, questi TIR-Semi UE sarebbero sottoscritti anche dalla finanza privata dei paesi non emittenti (ad esempio, in Germania i tioli di stato hanno un rendimento … negativo!) inducendoli a convincersi all’idea che tutto sommato converrebbe anche a loro partecipare a quelle emissioni: ed ecco che questi TIR semi UE diventerebbero TIR UE a tutti gli effetti e sarebbero un fattore di coesione del sistema finanziario di tutta l’UE e quindi dell’UE. Esattamente l’opposto di ogni sovranismo politico, economico e finanziario.
Per completezza ed onestà di ragionamento v’è da dire che un paragrafo della normativa di bilancio UE definisce “debito” i titoli irredimibili. Questa norma è una “decisione di estetica contabile”, non rappresenta la realtà, è datata, non è funzionale alle crisi dei nostri tempi, è modificabile e deve essere modificata, evitando di fare confusione con fra costi e dati patrimoniali. Infatti se voi accendete un mutuo per acquistare un immobile per la vostra attività commerciale, nella vostra situazione patrimoniale avrete due voci: un bene immobile e un debito. Ma se quell’immobile lo prendete in affitto, nella situazione patrimoniale non avrete né l’immobile né il debito, bensì solo un costo mensile, il canone di affitto (voce del conto economico – finanziario e non dello stato patrimoniale). Sotto il profilo strettamente finanziario, il TIR è uno swap, uno scambio: l’investitore riceve una rendita maggiore rispetto ai titoli redimibili e in cambio consente che a restituirgli il capitale non sia più l’ente emittente bensì la borsa valori.
E chi è contrario per principio anche solo a sentire parlare di “debito pubblico”, di “gestione del debito pubblico” e/o di “miglioramento della struttura del debito” solo perché per fare tutto ciò occorre usare la parola “debito”, agisce sulla base di un principio (negazionista) e come tale tende a diventare un integralista.
E mentre scriviamo apprendiamo che la Commissione UE a partire dal 2021 potrà emettere obbligazioni UE finanziandosi direttamente sui mercati con emissioni congiunte per finanziare la spesa corrente. Per finanziare gli investimenti resta la possibilità della proposta TIR, Titoli Irredimibili Rendita. Inoltre è stato varato il piano Recovery Fund che per l’Italia vale 82 miliardi a fondo perso (un vero e proprio regalo) e per 127 miliardi quale prestito a tasso vantaggioso. Uscire dall’UE? Ma chi lo dice? Follia …
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USCIRE DALL’UE E DALL’EURO? UNA TRAGEDIA!
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 29 Settembre, 2020 @ 5:17 amDetto altrimenti: ricordare, conoscere, riflettere prima di spararle grosse! (post 4018)
Sovranisti, lend me your ears, datemi ascolto: uscire dall’Euro in una certa misura equivarrebbe per l’Italia a quando il nostro Paese fu privato della copertura dell’ombrello degli accordi di Bretton Woods. Luglio 1944, le potenze ormai quasi vincitrici si riunirono in quella località (oggi stazione sciistica) USA e stabilirono il regime dei cambi fissi rispetto all’oro, a sua volta fissato a 35 dollari USA l’oncia. Questi accordi garantirono stabilità fino a quando non furono cancellati nel 1971 e ciò avvenne anche perché molti paesi acquistavano oro dagli USA a quel prezzo e lo rivendevano sui mercati ad un prezzo non calmierato, realizzando notevoli utili, mentre gli USA si impoverivano delle loro riserve auree. E la lira? Fino al 1971 un dollaro USA valeva 625 lire. Poi tutto cambiò, nel senso che emerse il vero valore (inferiore) della lira solitaria, abbandonata a se stessa e di fronte ai provvedimenti di legge restrittivi iniziò a dilagare l’arte italica di arrangiarsi. Ma cominciamo dai provvedimenti:
- forte svalutazione;
- aumento dei tassi bancari a livello di usura (25-35% quale costo effettivo annuo);
- divieto di possedere valuta estera, con l’obbligo di cessione entro sette giorni all’ Ufficio Italiano dei Cambi al minor tasso di cambio del periodo;
- feroce stretta creditizia e valutaria;
- obbligo per gli importatori di pagare all’estero le importazioni con fondi obbligatoriamente prelevati da conti debitori in divisa estera denominati “conti anticipi” e obbligo di versare alla Banca d’Italia in un conto infruttifero vincolato per sei mesi una somma pari alla metà del prezzo pagato all’estero.
Come cercarono di arrangiarsi gli Italiani?
I singoli privati diedero inizio ad una molteplicità di mini atti di evasione valutaria, acquistando regolarmente in banca quel minino di valuta estera che la legge consentiva loro – acquisto registrato sul passaporto e che mi pare di ricordare fosse la contropartita di 500.000 lire – per poi rivendere con un nforte utile “in nero” quella valuta a cambiavalute compiacenti che in tal modo raccoglievano rilevanti quantità di banconote estere che poi contrabbandavano all’estero per conto di clientela facoltosa.
Fra le società ed i gruppi di società di maggior dimensioni solo pochissimi riuscirono a farsi concedere l’uso di “conti in divisa estera autorizzati” creando una ingiusta disparità di trattamento rispetto alla concorrenza in applicazione della massima che “la legge è uguale per tutti tranne le eccezioni di legge”.
E gli altri gruppi-società? Di fronte al proliferare delle posizioni debitorie in molte divise estere, dovettero organizzare un particolare sistema di controllo del rischio di cambio: uno fu quello di accendere le migliaia dei singoli conti anticipi debitori con scadenze compattate in modo da potere gestire masse omogenee di rinnovi e di rinegoziazioni (STET Società Finanziaria Telefonica per Azioni, Torino).
Di fronte alla stretta creditizia, proliferarono o le operazioni di concessione di crediti in pool: ovvero si organizzava un certo gruppo di banche coordinate da una banca capofila, ognuna di esse erogata una parte del credito e il gruppo industriale riceveva complessivamente un credito dimensionato rispetto alle proprie esigenze. Fra queste operazioni merita un cenno una in particolare, organizzata dalla citata STET, operazione denominata “Omnibus”: poiché le banche potevano prestare denaro solo “a breve termine” mentre la STET aveva bisogno di un credito a medio termine, si ideò di raccogliere ogni mese un certo numero di quote di finanziamento con scadenza, ognuna, di sei mesi mentre la banca capofila, la Banca Popolare di Milano, per cinque anni garantiva (credito il suo al momento non per cassa e quindi non contingentato dalla legge) che sarebbe intervenuta per cassa al fine di garantire un livello predeterminato di concessione del credito. Al che la STET classificava l’intero ammontare quale debito a medio termine.
Le banche poi idearono un ulteriore strumento per “arrangiarsi” nella erogazione di un credito altrimenti vietato: lanciarono lo strumento delle “accettazioni bancarie” ovvero accettarono tratte emesse su loro stesse, tratte che poi il cliente poteva scontarsi presso chi avesse una buona liquidità. Per dare l’immagine del fenomeno, una delle banche maggiori, la Banca Commerciale Italiana, decise di accettare e di rilasciare un plafond di 200 miliardi di lire di accettazioni che andarono “bruciate” in pochi giorni.
E il Tesoro, come reagì? Nella necessità continuare a collocare i propri titoli di debito pubblico, ne innalzò il rendimento al punto che ad un certo punto alle imprese convenne indebitarsi in banca e investire in titoli di stato, lucrando sulla differenza dei due tassi: in altre parole, usarono il denaro per fare denaro e non quale strumento della produzione industriale.
Quanto sopra esposto è storia vissuta in prima persona da chi scrive (*) ed è solo una pallida immagine di ciò che potrebbe accadere se l’Italia uscisse dall’Euro. Quanti di chi oggi vorrebbero il ritorno alla lira hanno vissuto e/o conoscono e/o sono disponibili a studiare e riflettere su quanto avvenne? Storia maestra di vita … e di scelte di politica finanziaria ed economica!
(+) all’epoca, responsabile della Finanza Italia della STET, Torino/Roma
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RECOVERY FUND
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 28 Settembre, 2020 @ 5:19 pmDetto altrimenti: Fondo di recupero (post 4017)
L’attuale pandemia ha avuto anche effetti positivi: farci apprezzare il valore della libertà di muoverci per le nostre città (un bene si apprezza soprattutto quando viene a mancare) e – ciò che è massimamente importante e significativo – farci comprendere l’importanza di essere ed agire da Europei all’interno dell’Unione Europea. Sul fronte opposto, ha indotto l’UE a razionalizzare i suoi interventi sul duplice piano del reperimento delle risorse finanziarie comunitarie da destinare ai singoli stati e del loro impiego da parte dei destinatari.
Interventi finanziari dell’UE
La crisi generata dalla pandemia ha indotto l’Unione Europea a concentrare la propria azione su strumenti quali il MES – Meccanismo Europeo di Stabilità che vale 500 miliardi di prestiti la cui distribuzione dipende direttamente dagli Stati membri dell’UE e la cui assegnazione è subordinata al rispetto di stretti vincoli e condizioni, il che sta suscitato forti polemiche nel nostro paese fra chi non accetta limitazioni di sorta e gli altri. I fondi del MES in ogni caso aumentano il debito pubblico di ogni stato.
Vi è poi il SURE (Sicurezza): 100 miliardi di prestiti proposti dalla Commissione UE per finanziare direttamente gli effetti della disoccupazione. Questa è una medicina che lenisce gli effetti della malattia ma non ne elimina le cause.
Infine, vi sono gli acquisti da parte della BCE di titoli di debito pubblico dei singoli stati membri. Ma quanto sarà la quantità massima acquistabile? I titoli di quali stati saranno acquistati? Quale tipo di titoli? In che misura? Fino a quando la BCE potrà acquistarli?
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Già nella prima edizione di questo libro scritto nel marzo scorso e pubblicato nel successivo mese di aprile, ipotizzavamo l’emissione da parte degli Stati e dell’UE di titoli di Rendita (cioè non di debito) irredimibili. Al riguardo si veda il successo del primo esperimento “privato” di cui ad apposito capitolo in questa seconda edizione del libro: infatti il 25 agosto scorso Banca Intesa Sanpaolo ha emesso 700 milioni di suoi titoli di rendita irredimibili a fronte dei quali ha avuto 6,5 miliardi di richieste di acquisto!
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A sostegno della nostra idea “irredimibile”, mi piace citare il finanziere George Soros, il quale sul Il Sole 24 Ore del 22 aprile 2020 a pagina 1 ha citato la GB che con i titoli irredimibili ci finanziò le guerre napoleoniche, riscattando i titoli nel 2015. Egli inoltre ci ha ricordato come in USA dal 1870 ne furono emesse alcune serie per consolidare emissioni redimibili già esistenti ed evitarne l’onere del rimborso. Egli tuttavia in quella sede ha dimenticato di citare il successo dell’emissione italiana del 1935 per 42 miliardi di lire. Quali vantaggi degli irredimibili per la’UE, Soros cita:
1) eliminazione delle restrizioni per la BCE all’acquisto di titoli; 2) l’onere finanziario lieve per la UE malgrado la loro notevole “potenza di fuoco”; 3) a bilancio UE non si richiederebbero accantonamenti nè ammortamenti; 4) l’emissione può essere più facilmente emessa a scaglioni frazionati successivi; 5) la BCE non sarebbe più costretta a ribilanciare continuamente il proprio portafoglio titoli dei vari paesi aderenti.
Il Recovery Fund
E veniamo all’ultimo nato, il Fondo di Recupero, Recovery Fund creato per recuperare lo status quo rispetto ai danni dalla pandemia e per migliorare ulteriormente le condizioni di una ripartenza. Sul piano internazionale ci si deve rifare ad una prima idea francese – poi sposata anche dalla Germania – che proponeva l’emissione di Eurobond, cioè di titoli di debito europei, il cosiddetto debito condiviso, per la raccolta dei fondi necessari ad aiutare la ripresa dei singoli stati. Da qui l’idea dei Recovery Fund a cui prima iniziativa è stata dei ministri finanziari dei paesi dell’UE, i quali hanno interessato i Capi di Stato e di Governo e il Consiglio Europeo il quale ha dato mandato alla Commissione Europea di predisporre una bozza entro il 6 maggio scorso.
La Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha dovuto impostare la soluzione dei seguenti aspetti: l’ammontare totale dell’intervento; da dove e su quale bilancio recuperare questi fondi; con quali criteri e finalità destinarli agli stati; quando erogarli. L’ammontare del fabbisogno finanziario è stato definito in 750 miliardi di cui 209 all’Italia di cui 81,4 a fondo perso e 127,6 sotto forma di prestiti. La copertura del fabbisogno avverrà attraverso l’emissione di Eurobond il cui rimborso in favore dei sottoscrittori sarà garantito pro quote diverse dai singoli stati membri. I singoli stati devono proporre all’UE come utilizzeranno questi fondi con una bozza già entro il 15 ottobre prossimo e con un vero e proprio piano entro l’aprile 2021. I principali campi di applicazione indicati dall’UE sono: difesa del clima, digitalizzazione, produttività, equità e stabilità macroeconomica, sanità, sostenibilità ambientale.
A quest’ultimo riguardo vi sono Regioni che stanno predisponendo piani da sottoporre al Parlamento con contenuti assolutamente in linea con le finalità UE stabilite ben prima della pandemia e cioè mirate alla riduzione delle emissioni inquinanti per il 2050. In questo ambito rientra la sostituzione del trasporto su acciaio (rotaia o cavo) al trasporto su gomma e quindi ad esempio una maggiore intermodalità ferroviaria, la realizzazione di metropolitane leggere di superfice e, per le città articolate su diversi livelli di altitudine, la realizzazione di funivie.
Il 15 settembre 2020 il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte ha trasmesso al Parlamento una prima bozza di proposta di utilizzo. Sarà importante vedere come sarà gestito in dettaglio il totale assegnato all’Italia, se direttamente su singoli progetti e/o – sempre in linea con le prescrizioni UE – per somme complessive a Regioni e/o Provincie e/o Citta lasciando loro il potere di gestire a cascata – con gli stessi criteri – l’assegnazione effettiva ai singoli progetti.
L’auspicio di chi scrive è che in capo agli Enti Pubblici Intermedi si ripeta il criterio di assegnazione generale adottato dall’UE che vede i fondi da assegnarsi in parte genericamente per la ripresa e in parte per progetti specifici. In altre parole, l’esistenza di una “catena di distribuzione” dei fondi (Stato, Regioni, Province, Comuni) non deve impedire a che almeno una parte di essi sia destinata “di diritto” a progetti specifici di emanazione diretta e originaria comunale, provinciale, regionale.
Ho iniziato questo contributo con una considerazione di ordine generale, e con una di odine generale voglio chiuderlo. L’UE aveva stabilito che l’assegnazione dei fondi potesse avvenire a patto che nei paesi destinatari fosse garantito lo stato di diritto. Il premier ungherese Viktor Orban (in gioventù allievo di George Soros! Quali diverse strade ha poi percorso Orban rispetto al suo maestro!), sostenuto da Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, ha posto il suo veto. L’UE ha dovuto sfumare molto trasformando la condizione in un auspicio. Questi paesi interpretano l’appartenenza all’UE in un modo non condivisibile, cioè ”alla carta”, ovvero “Reclamo e ricevo sussidi ma mi oppongo all’equa distribuzione degli immigrati e all’impegno del rispetto dello stato di diritto”. Quo usque tandem … fìno a quando?
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DUM ROMAE CONSULITUR …
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 24 Settembre, 2020 @ 2:25 pmDetto altrimenti: … SAGUNTUM EXPUGNATUR! (post 4016)
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Dai raga che un po’ di latinorum non farà poi male! La frase latina Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur, significa “mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata”(Tito Livio, Storie, XXI,7,1) – Siamo nel 219 a.C.: gli ambasciatori della alleata Sagunto sono a Roma per chiedere aiuto contro i loro assedianti comandati dal generale cartaginese Annibale Barca. Roma tergiversò e nel frattempo, dopo otto mesi di combattiment, la città si arrese e fu rasa al suolo.
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Mentre in UE si discute di come accogliere e distribuire gli immigrati, molti di loro affogano in mare; giacciono nei vari centri di raccolta senza una certezza circa il loro futuro; sono diventati i nuovi schiavi della criminalità organizzata. Per non parlare della sorte di quelli che in Grecia hanno visto bruciare la loro misera tendopoli. E invece ci sono casi diversi, casi in cui mentre in UE si discute, qualcuno di dà da fare, opera, aiuta. E’ il caso di una mia amica medico, collega di pedalate, Anna M., la quale si trova in servizio in Sicilia su una “nave immigrati”. Mi ha mandato una foto. Le ho chiesto se al suo ritorno mi può concedere un’intervista. Vedremo. Nel frattempo, “omeni”, giù il cappello di fronte a queste Donne Dominae!
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HA VINTO IL SI. PURTROPPO
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 24 Settembre, 2020 @ 5:47 amDetto altrimenti: ricordate la favola del bimbo olandese che tappava con il suo ditino il piccolo foro nella grande diga? (post 4015)
Ecco, oggi io, piccolo e semplice blogger, mi sento come Hendrick, il bimbo olandese che tappò con il suo ditino il buco apertosi nella grande diga. Aperto da altri un foro con la vittoria dei SI nella diga che difende la Democrazia Parlamentare, io – che ho votato NO – continuo a mettere in guardia dai pericoli del suo crollo. Rivista ACLI TRENTINE, 9/2020 pag. 5, Opinioni: “Referendum costituzionale- Il diritto dovere di votare” a firma PIERGIORGIO CATTANI . Alcuni suoi passaggi: “… nessuno tranne il M5S si sente di fare campagna elettorale per il Si, visto che poi dovrebbe subito dopo proporre dei correttivi! … avremo un senatore ogni 302.000 abitanti”. Ecco, io parto da questa sua ultima osservazione per aggiungere che ciò allontanerebbe la popolazione dell’Istituzione Parlamento agevolando il lavorio di chi quella diga proprio la vuole abbattere:
” Vedete … non avete nemmeno scelto voi stessi (causa liste bloccate, n.d.r.) il vostro rappresentante in parlamento, non lo avete nemmeno mai visto in faccia … non potete sentirvi rappresentati … molto meglio la democrazia diretta”.
Finalmente l’hanno detta la parola micidiale: democrazia diretta, quella che ucciderebbe la Democrazia Rappresentativa Parlamentare, cioè la Democrazia, cioè la vera e unica Democrazia. La democrazia diretta … diretta da chi? Da chi manovra la rete per individuare i candidati parlamentari eletti sulla base delle indicazioni dei capi rete (ovvero, senza la possibilità per l’elettore di esprimere preferenze); da chi vuole introdurre il referendum propositivo senza quorum; da chi vuole introdurre il vincolo di mandato, trasformando i parlamentari in soldatini ubbidienti; da chi in tale modo, riunendosi in tre o quattro, redigerà le proposte di legge da sottoporre a referendum per l’immediata successiva l’approvazione obbligatoria da parte del parlamento; da chi, in tal modo, avrà fatto sì che la Democrazia Parlamentare si sia trasformata in modo democratico in una oligarchia. Ma che si vuole di più del fatto che l’attuale giovane erede capo rete abbia dichiarato in TV che “Presto il parlamento non servirà più”?
“Democrazia” nei millenni ha assunto tre successivi diversi significati: 1) potere sul popolo, il democrator era il dittatore; 2) strapotere del popolo; 3) potere del popolo. Oggi noi dobbiamo evitare di regredire allo strapotere del popolo (della rete).
Who opened the door for the democrator? / And how come he let in the market-conquistadors? / Why is he acting as if he has something to hide? / The privilege of the stupid is to be taken for a ride – Chi ha spalancato la porta al democrator? E com’è che costui si è collocato nel novero dei conquistatori? Perchè si sta comportando come se avesse qualcosa da nascondere? Il privilegio dell’ingenuo è di farsi prendere in giro.
democrazia diretta? NO, GRAZIE!
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ELEZIONI COMUNALI A TRENTO: VINTE! BRAVISSIMO FRANCO IANESELLI!
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 23 Settembre, 2020 @ 6:44 amDetto altrimenti: per quanto, anche noi di Piùtrentoviva, per essere la prima volta … (post 4014)
VINZU’, TRENTO: EVVIVA!
Sta volta avem propi vinzù …
Son tut content
me sent pù vif …
perché ‘l nos grupo
col Franco
ancoi l’è sta’ tut riunì.
Ma sora de tut
dovem dir grazie
a chi l’ha pensada
de nar drio a quel de Firenze.
Pertant rinfrancadi disem
un grazie sincer, Donatela
per ‘sta nova adunada
sì bela.
E ora liberi e fier
scominzierem la rincorsa
per far provinzial ‘l suces
del nos pensier
con mente Pu’ Viva
a ricostruire ‘l Trentin
e ‘l so futur.
Amizi al lavor, tuti ‘nsema!
E tegneghe dur!
… Cin cin!
Riccardo Lucatti, Trentin de quei ciapai co ‘sciop … e se ghe dei erori, mi corigerete!
P.S.: Trentino Autonomia Amministrativa Speciale: della Provincia rispetto allo Stato, dei Comuni rispetto alla Provincia. Nelle campagne elettorali comunali si parla di “progetti di amministrazione”. Ora, dopo le elezioni, faremo “amministrazione di progetti”. E il Sindaco Commissario Straordinario!
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PERCHE’ HO VOTATO NO AL REFERENDUM
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 22 Settembre, 2020 @ 8:38 amDetto altrimenti: ci faccio su un post così almeno mi spiego (post 4014)
La riduzione tout court e lineare del numero dei parlamentari non rientra in un disegno organico ed esplicito, bensì rientra in un disegno organico non esplicito. Infatti, le forze politiche che l’hanno proposta ed ottenuta, in varie sedi hanno fatto dichiarazioni per me allarmanti (“Occorre dare più potere alla rete”; “Presto il Parlamento non servirà più”, Casaleggio jr alla TV); “Vogliamo arrivare alla democrazia diretta” (tutti).
In altre parole: si vuole passare dalla democrazia parlamentare alla democrazia diretta. Ma il termine “diretta” è il participio passato di un verbo della seconda coniugazione ed ha sempre significato passivo: orchestra diretta da; riunione diretta da; democrazia diretta da …da chi?
E vengo al piano organico non esplicito.
- Riduzione del numero dei parlamentari (“Avete visto che tanto non cambia nulla? Non servivano loro … e quelli rimasti … che li teniamo a fare?”);
- individuazione dei candidati parlamentari via rete e loro elezione su decisione dei capi rete-partito (“Le preferenze, dai … così aiutiamo la mafia! Lo diciamo noi chi deve essere eletto!”);
- introduzione del referendum propositivo senza quorum (“In due o tre scriviamo una bozza di legge e la sottoponiamo a questo referendum”);
- introduzione del vincolo di mandato (“Così i Parlamentari sono obbligati a votare e approvare le nostre proposte referendarie”).
Finito questo iter, la democrazia si accorgerà di essersi democraticamente trasformata in una oligarchia, in quanto le leggi saranno fatte da poche persone (i capi rete/partito).
Ecco perché ho votato NO a questo modo di ridurre il numero dei parlamentari. E se mi sbaglio, mi corigerete …
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