LA SCALA, L’ORDINE DI GRANDEZZA, LE PRIORITA’

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 18 Agosto, 2012 @ 8:43 am

Detto altrimenti: confrontiamo il peso specifico, la portata reciproca dei diversi valori, interessi, problemi e le relative priorità …

Tanti anni fa, ero all’ultimo piano di un edificio, al salone nautico di Genova. Un mio amico, ingegnere, era stato incaricato di mostrare al pubblico cosa succedeva semplicemente girando una manopola. Si trattava di un radar. A comando, variava la scala, cioè l’ampiezza dell’orizzonte rappresentato sullo schermo. Si andava dall’individuazione della sagoma di un rimorchiatore che stava entrando in porto, alla mappa del porto, alla curva del Golfo di Genova e così via.

 

 

Dall'alto d'una scogliera ...

20 dicembre 2011, in un mio post scrivevo: “Visione d’insieme e percezione sensoriale, ogni intervento (governativo) deve essere inserito in una logica di sistema. Detto altrimenti: dall’alto di una scogliera si ha la visione d’insieme del mare. Man mano che si scende verso la spiaggia fino a immergersi nell’acqua, diminuisce la visione d’insieme del mare, sino a scomparire ed aumenta la sua percezione sensoriale. Se poi, nuotando, ci capita di ingurgitare un sorso d’acqua salata, la percezione sensoriale è massima e la visione d’insieme nulla”.

Oggi pare che non ci sia sufficiente comunicazione fra chi per mestiere gestisce la visione d’insieme (i legislatori e i governanti) e chi invece vive di percezioni sensoriali (il disoccupato, lo sfrattato, il carcerato, etc.).

Per fortuna non si fa!

Chi ha la visione d’insieme afferma che non possiamo esimerci dal partecipare alle missioni militari all’estero; dal completare il TAV (Treno ad Alta Velocità, tuttavia giustificato par la sua Alta Capacità di trasportare merci che poi non ci saranno); dal mantenere i privilegi alle varie caste (alto numero di parlamentari, cosiddetti rimborsi ai partiti politici, stipendi, pensioni e liquidazioni stratosferiche, limitata lotta all’elusione fiscale, etc.).

Chi la percezione sensoriale protesta, perché non riesce a programmare la costituzione di una sua famiglia, a pagare la rata del mutuo, a vedere istruiti e poi occupati i propri figli, a immaginare un futuro.

Orbene, non possiamo confrontare fra di loro due problemi appartenenti a scale diverse, bensì problemi appartenenti alla stessa scala. Ad esempio, correttamente potremmo impostare le seguenti alternative:

 

Quanti asili nido in più, con un F 35 (da 180 milioni di euro!) in meno?

1) Acquistare i cacciabombardieri F35 o investire quei fondi (180 milioni di euro per ognuno degli 90 aerei acquistati!) nella realizzazione di migliaia di micro centrali idroelettriche che si potrebbero realizzare in Italia senza danneggiare l’ambiente?
2) Completare il TAV o investire quei fondi nella scuola e università pubblica e nella ricerca?
3) Mantenere le innumerevoli retribuzioni “fuori scala” o creare un fondo per finanziare lo start up di centinaia di cooperative giovanili a tutela, sviluppo, manutenzione e vendita ai turisti delle centinaia e migliaia di siti archeologici, turistici e naturalistici di cui l’Italia è ricca, ma che oggi non sono valorizzati, a cominciare da Pompei, dove i vasi romani sono ridotti a ricettacolo delle immondizie!

Ecco, chi ha la percezione sensoriale, dovrebbe inquadrare il suo “piccolo” problema all’interno della categoria di problemi di quello stesso tipo ed esigere quindi che – a livello categoriale – venga messo a confronto con alternative appartenenti originariamente alla scala di chi ha la visione d’insieme.

E chi ha la visione d’insieme, dovrebbe accettare di inserire fa la categoria delle proprie priorità non solo l’alternativa – cito solo per fare un esempio .- fra il TAV e i caccia F35, ma anche fra il TAV e l’occupazione giovanile; fra gli F35 e la soluzione del problema-dramma delle carceri; fra i costi delle missioni militari all’estero e il finanziamento di migliaia di cooperative giovanili; etc..

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DETENUTO IN ATTESA DI GIUDIZIO

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 18 Agosto, 2012 @ 7:35 am

Detto altrimenti: ho appena rivisto questo alla TV

 

Nanni Loy, 1971 (anno del mio matrimonio con Maria Teresa). Un gran film. Roba a terzo mondo. Che fa riflettere. E’ di questi giorni l’ennesimo interessamento di alcuni parlamentari per lo stato delle carceri e soprattutto dei carcerati italiani. La nostra legge afferma che la pena è volta alla rieducazione del condannato. Quando mai ….!? Siamo coerenti: o cambiamo il sistema carcerario o cambiamo la legge. Questa è la prima osservazione, sull’ipocrisia, incongruenza e incoerenza  del sistema.

 

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La seconda riguarda l’atteggiamento del direttore del carcere, magistralmente interpretato da Lino Banfi. Superficialità, nessun coinvolgimento nel dramma dei suoi amministrati, efficienza senza efficacia. Efficienza: le strutture sono fatiscenti e “sgarrupate” (letteralmente, “cadenti a pezzi”)? Scriviamo un sollecito a chi di competenza, e siamo a posto. Se poi il risultato non arriva, a noi che ce frega? La nostra parte l’abbiamo fatta. Efficienza che copre, nasconde, assolve la mancanza di efficacia, del risultato e della connessa responsabilità. “Scriviamo, inoltriamo a chi di competenza …” e poi, que serà serà, cantava Doris Day …

 

Il Ministro della Giustizia Severino

Terza ed ultima osservazione. Siamo all’epilogo. L’avvocato (d’ufficio) dell’imputato ed il giudice hanno appena comunicato al detenuto che si è trattato di un equivoco. Il detenuto ormai è segnato nel corpo e nella mente, non è più completamente compos sui, cioè padrone delle proprie facoltà mentali, al punto che fatica persino ad apporre la sua firma sul “verbale assolutorio”. Viene quasi rimproverato, con un tono a metà fra il paternalistico ed il bonario, che, si, vabbè, un po’ è stata anche colpa sua … se avesse parlato … Ma se nemmeno gli era stata data questa possibilità! Letteralmente rapito ai suoi cari, alla libertà, senza una parola di giustificazione, senza che gli fosse mostrato il mandato di arresto, senza una parola, nulla! Via … ma qui viene il bello (si fa per dire): mentre il detenuto ormai non più tale, aiutato dallo psichiatra, faticosamente appone la propria firma sul foglio che lo proscioglie in istruttoria, avvocato e giudice si appartano, solo pochi metri più in là, e disquisiscono dei difetti del sistema giudiziario e carcerario, confrontandosi sul problema come se fossero al tavolino di un bar, in maniera teorica, assumendo un’aria dotta, attenta, riflessiva, reciprocamente disponibile all’ascolto, completamente avulsi dalla realtà del dramma che si consuma a pochi passi da loro. Ecco, questo stare lontani dal dramma reale, concreto, non solo dei carcerati ma anche dei disoccupati, giovani o maturi che siano, questo disquisire sui modelli di soluzione applicati o applicandi, questo “consùlere” vuoto della responsabilità dell’immediatezza, senza considerare che anche un solo delle migliaia di drammi che si stanno consumando nelle carceri e famiglie italiane merita ben più attenzione di qualsiasi studio teorico, di qualsiasi ragionamento programmatico, di qualsiasi “modello di soluzione”!

Lo storico Tito Livio

Consùlere? Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur, tradotta letteralmente, significa “mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata” (Tito Livio, Storie, XXI, 7, 1). La frase non è pronunciata dagli ambasciatori di Sagunto andati a Roma per chiederne l’intervento al fine di rompere l’assedio che nel 219 a.C. il generale Cartaginese Annibale Barca aveva posto alla città, bensì è l’amaro commento di Livio alla situazione. Roma tergiversò:  dopo otto mesi di combattimenti la città si arrese e Annibale la rase al suolo. Questo attacco fu il casus belli della seconda guerra punica.

 

 

Il generale cartaginese Annibale Barca

 

Mentre nelle aule parlamentari, al governo, nelle varie sedi giudiziarie, nelle direzioni delle carceri, in un angolo della stanza che ospita una delle ultime inquadrature del film si discute, mentre accade tutto ciò, si consuma il dramma dei suicidi nelle carceri, della disoccupazione, degli sfratti (nella realtà) e di un uomo rovinato nel lavoro e nella salute (nel film). Quale “guerra” vogliamo oggi che derivi da simili disattenti ed irresponsabili comportamenti? Ma la Storia, non dovrebbe essere magistra vitae?

 

 

 

 

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DECRETI LEGGE, EDITTI, DI IERI E DI OGGI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 14 Agosto, 2012 @ 6:26 pm

Detto altrimenti: occorre invertire la rotta, non modificarla

Pedalando di ritorno da una “scalata” in bici con mio nipote Enrico da Riva del Garda a Balbido , il Paese Dipinto, detto così per via dei suoi splendidi murales, arrivato al Lago di Tenno ho fatto una deviazione a sinistra e sono andato a Canale di Tenno, splendido paesino medievale arroccato sulla montagna, un museo a cielo aperto: le vecchie case manutenzionate (il termine “ristrutturate” farebbe pensare ad un intervento snaturante, il che non è), le viuzze acciottolate e le insegne dei mestieri medievali … poi, in una piazzetta, affissa alla parete, una ordinanza del sindaco … ops, scusate, un estratto dell’editto del Re Rotari, capo dei Longobardi, all’epoca dominatori della zona. Si tratta di un intervento molto specifico a fronte di specifici “reati”: furto di favi e di api e furto delle setole della coda dei cavalli.

Secondo la mia cattiva abitudine, sono stato portato ad attualizzare la norma. Anche oggi se ne stanno promulgando molti, di “editti”, soprattutto governativi. Si, il nostro attuale governo (Monti) sta facendo molto, sta correggendo la rotta con una numerosa serie di colpi di timone, di provvedi … monti! Ma forse oggi noi dovremmo invertirla, la nostra rotta, non semplicemente correggerla.

Mi spiego: quello che a mio sommesso avviso ancora si potrebbe/dovrebbe fare è prender atto che la riduzione della spesa pubblica in corso o ancora auspicata e programmata, non basterà a fare riprendere la crescita. Già, la crescita, pare che sia l’unica via possibile. E se l’attuale modello di crescita è giunto alla frutta, ecco, proviamo a programmarne un altro (nel prossimo mio post proverò invece ad ipotizzare la crescita attraverso la decrescita).

Balbido, il maniscalco

Ma torniamo agli “editti” attuali, molto specifici: numero di esodati, data del pensionamento, Imu sul beni di tutti anzi no, accordo con la Svizzera sulla tassazione dei capitali illecitamente esportati (ma pare che la CH stia per varare un referendum a difesa dei suoi “clienti”), etc..  Sono tutte correzioni di rotta, della stessa rotta, non inversione della rotta.

Nel frattempo l’Italia sta soffrendo per la siccità. Poi soffrirà per le inondazioni e per altri, nuovi malanni (ad esempio, innalzamento del livello dei mari). Infatti in questi giorni infatti è stato rilevato che la fusione dei ghiacci della calotta polare sta procedendo ad una velocità molto maggiore di quella prevista. Le conseguenze sul clima saranno catastrofiche. Il nostro Bel Paese è un paese costiero, montano, sovra edificato, già oggi esposto a calamità “umane” (così io preferisco chiamare le cosiddette Calamità naturali). Ed allora, cosa aspettiamo? Se non altro come esercizio, proviamo ad programmare un diverso modello di crescita.

Canale di Tenno

Ecco, occorre invertire la rotta. Potremmo non finanziare più i partiti politici; le GOI, Grandi Opere Inutili (come abbiamo fatto – per fortuna – per il Ponte sullo Stretto!); potremmo non acquistare più cacciabombardieri da 180 milioni dii euro ciascuno (!); non finanziare più missioni militari all’estero; non pagare più super stipendi, super pensioni, super buonuscite a chicche e sia (direbbe Totò!); non permetterci più super parlamenti e parlamemtari super pagati, ma investire in migliaia di cooperative giovanili per il rilancio delle migliaia dei nostri siti artistici, archeologici e naturalistici. E poi, occuparci della prevenzione dei disastri geologici, della difesa del territorio, dell’occupazione anche non giovanile, della realizzazione di migliaia di micro centrali idroelettriche, dello sviluppo delle fonti di energia alternative al petrolio, etc.. Il noblesse oblige non fa più per noi, non ce lo possiamo più permettere!

 

 

Canale: entering the village ... entrando in paese

La faccio facile? Non credo. La crisi dell’attuale modello di crescita è sotto gli occhi di tutti. Di chi è la colpa? Ricordo mia mamma. Era professoressa di lettere alla Scuola Media Statale Andrea Doria di Genova. Severa, impegnatissima, esigente … all’antica, insomma, avete capito. Un giorno la vidi preoccupata: “Sai, mi disse, dovrò bocciare alcune mie alunne”. Io risposi: “Ma tu stai tranquilla, hai fatto il tuo dovere. Sarà un problema loro”. “No”, rispose, “Il risultato è quello che conta e con queste allieve il risultato non è stato raggiunto”. All’epoca io non lo potevo sapere e mamma neppure, ma stava dicendo con parole sue che l’efficacia (raggiungimento del risultato) è cosa ben  diversa dall’efficienza (“semplice” rispetto delle regole, del proprio dovere).

Ed allora, se dobbiamo giudicare chi ci ha governato dai risultati … Antipolitica? No, anti-cattiva-politica!

P.S.: BUON FERRAGOSTO A TUTTI I MIEI LETTORI!

 

 

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I NUOVI SCHIAVI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 12 Agosto, 2012 @ 6:36 am

Sir Thomas Gresham (1519-1579)

Detto altrimenti: la Legge di Gresham afferma che la moneta cattiva scaccia quella buona. Io mi permetto di aggiungere: la politica cattiva  (genera l’antipolitica e) scaccia la politica buona. Per lo stesso principio logico, si potrebbe affermare anche che l’economia cattiva  scacci quella buona.

Crisi economica. Si dice che la colpa è della delocalizzazione e della concorrenza dei paesi cosiddetti emergenti, nei quali il rispetto dei diritti civili e del lavoratore è un semplice optional … si dice che queste sono fra le principali ragioni della crisi della nostra economia. Forse però ci dimentichiamo che la crescita del nostro famoso PIL dagli anni sessanta ad oggi è passata da valori del +8% a valori negativi, e la tendenza si è manifestata ben prima dell’avvento della concorrenza dei paesi del Bric (Brasile, Russia, India, Cina). E allora, forse, in una certa misura, le ragioni troviamo ricercarle in noi stessi, anche perché, nello stesso lasso temporale, l’andamento di altri paesi europei, Germania in testa, è stato ben diverso. In successivi post scriverò della possibilità che abbiamo di recuperare terreno per due vie: all’interno del nostro “modello di crescita”, adottando un diverso “modello di crescita”; ma soprattutto, adottando un “modello di decrescita”.

Ma torniamo a noi, all’antieconomia e ai nostri nuovi schiavi. In questi giorni sono stato al mare, per una breve vacanza familiare in acqua salata, noi che, Trentini, usualmente ci bagnamo in splendidi laghi, limpidi, puliti, pluricertificati, ma ovviamente… insipidi! Sulla spiaggia si fanno nuove conoscenze. Molte le occasioni: un ombrellone che “vola” rapito dal vento, un tale che ti chiede se vuoi fare equipaggio sulla sua deriva … sa, il mio equipaggio mi ha dato forfait … ma noi, non eravamo vicini di tavolo al ristorante, ieri sera? … E questa bella bimba? E’ sua nipote? Complimenti! Anch’io ne ho una, ecco, qui sul telefonino ho le foto, etc…. Lei è in pensione? Io si e Lei? No, sto lavorando ….
 E qui inizia il bello, si fa per dire, il bello. Infatti …

”Lavoro vicino Roma, in un laboratorio artigianale, siamo 15 persone, io sono l’unico Italiano, coordino gli altri, tutti filippini, africani, cinesi (loro, tutti ad €30 al giorno + vitto e alloggio, cioè, vitto e branda, tutto “in nero”). Sa, ho famiglia … la mia ditta aveva chiuso … ho trovato lavoro solo a queste condizioni. Inizio alle 11 di mattina, ininterrottamente sino a mezzanotte, sabato e domeniche comprese. Ferie? Ho fatto due giorni a Pasqua ed ora sono qui, al mare, per tre giorni. Forse a Natale, ne avrò un altro paio. E’ due anni che faccio questa vita. Altri miei ex colleghi lavorano, alle stesse condizioni, in altri laboratori analoghi, anche più grandi. In due anni nessuno di noi ha mai visto un controllo della Guardia di Finanza, dell’INPS, dell’INAIL, dei Vigili del Fuoco, etc.. Niente. E dire che quando si lavorava nelle ditte “in regola” ogni giorno avevamo un controllo. Vede, il danno non è solo nostro. Queste ditte fanno concorrenza sleale a quelle che lavorano secondo le regole e le costringono a chiudere. I fornitori? Italiani, certo, ma vengono accettati a patto che siano disponibili a fatturare solo un terzo delle forniture. Che vuole, che si sia noi a denunciare il fatto, per perdere anche quest’ultima opportunità di portare uno stipendio a casa, sia pure “in nero”? No di certo. Ciò che sorprende è che sono situazioni note e che nessuno, dico nessuno fra le Autorità Pubbliche, intervenga. Insomma, la Napoli di Saviano è anche qui”.

Morale: la buona economia italiana, se sovraccaricata da una eccessiva burocrazia e pressione fiscale, lascia troppi margini alla economia cattiva, clandestina e incontrollata, che la scaccia.

Ci salutiamo. Lui torna “vicino Roma” dove riprenderà il suo lavoro. Io a Trento, dove ho ripreso a scrivere.

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IL RAPPORTO FRA L’ENTE PUBBLICO AZIONISTA E LA SUA SPA (operante nei servizi pubblici locali)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 10 Agosto, 2012 @ 4:06 pm

Detto altrimenti: a completamento di quattro puntate precedenti dal titolo “Sentenza della Corte Costituzionale …”

Sino a pochi anni fa ogni azionista (di maggioranza) poteva far inserire nello statuto della sua SpA la prescrizione di attenersi alle linee guida che egli avrebbe fissato alla società anno per anno.  Poi questa possibilità è stata abolita per legge, soprattutto per ribadire la piena autonomia del soggetto “SpA” rispetto al soggetto “azionista”. Autonomia che vuol dire indipendenza nell’assumere decisioni e nel farsi carico della relativa responsabilità.

Nel campo del rapporto fra azionista pubblico ed una sua SpA (ovviamente di diritto privato, non potrebbe essere altrimenti) soprattutto se esercente un pubblico servizio locale, tuttavia ciò non vuol dire che la SpA possa e debba “inventarsi” le precondizioni sulla cui base redigere una pianificazione pluriennale scorrevole.

Chiariamo. Qualsiasi SpA bene amministrata, su quello che sarà il suo risultato economico a fine anno, ogni anno redige delle “stime” le quali poi diventano nel corso dell’anno vere e proprie “previsioni”, poi “preconsuntivi” ed infine “consuntivi”. Tutto all’interno di una pianificazione pluriannuale scorrevole, cioè aggiornata anno per anno. Mi spiego meglio. Se una SpA ha concessioni trentennali ed ha effettuato investimenti trentennali, non può e non deve “navigare a vista” anno per anno, o peggio ancora, mese per mese. Ma questa SpA non può certo inventarsi, ad esempio, l’evoluzione delle tariffe che andrà ad applicare, le quali sono di competenza dell’ ente pubblico territoriale suo azionista.

Ed allora, ecco che quello che è “uscito dalla porta” deve rientrare – in questo caso – dal portone. Cioè, l’ente pubblico territoriale deve fornire alla sua stessa SpA gli elementi di base che le consentano di redigere e di aggiornare il proprio piano pluriennale scorrevole.

Al riguardo, talvolta si assiste ad un errore da parte dell’ente pubblico, e cioè che esso dica alla sua SpA che questa previsione pluriennale può essere redatta dalla SpA sulla base degli attuali flussi finanziari della SpA stessa. Il che vuol dire affrontare il problema dalla fine del processo verso l’inizio e non come è corretto, dall’inizio verso la fine. Infatti, sulla base delle indicazioni dell’azionista, la SpA può redigere a aggiornare di anno in anno il piano strategico pluriennale. Su questa base, potrà redigere la previsione economica (e quindi patrrimoniale)  annuale e solo alla fine, potrà calcolare, come conseguenza, l’andamento dei flussi finanziari. Non viceversa. La previsione finanziaria (che comprende i movimenti dell’IVA che non sono né un costo né un ricavo) può ben essere anch’essa redatta come tale, cioè come previsione, cioè “prima”, ma solo come “conseguenza” delle precedenti previsioni strategiche, economiche e patrimoniali. La finanza è un effetto della pianificazione. Non può esserne causa.

Per i non addetti ai lavori: io ho un appartamento che vale 100 ed ho una disponibilità in banca di 50. La mia situazione patrimoniale è 150. Se nel corso dell’anno spendo 70 e ricavo 80, ho avuto un utile economico di 10 che aumenta di 10 la mia disponibilità in banca per cui la situazione patrimoniale sale da 150 a 160. Il saldo finanziario è positivo di 10. Se nell’anno successivo l’appartamento si rivaluta di 200, ma io non riesco ad affittarlo e spendo 70, 200-70 = 130 che rappresenta l’incremento del mio patrimonio che quindi sale a 160+130= 290, ma io sono “corto” cioè debole di finanza (devo ricorrere ad un fido bancario, che mi sarà concesso in quanto patrimonialmente sono forte). Solo dopo che avrò saputo se affitterò o meno l’appartamento e a quanto lo affitterò, solo allora potrò redigere la previsione finanziaria, non prima. In altre parole: sarebbe inutile che io mi inventassi dei flussi  finanziari di cassa in entrata solo per far quadrare le mie previsioni economiche, patrimoniali  e strategiche.

Si può obiettare: no, tu devi redigere una pianificazione strategica sulla base delle risorse finanziarie che prevedi di potere generare. Si, bravo, ma come faccio a prevedere il corso delle tariffe decise ad esempio da un Comune, se il Comune non mi dice come intende procedere? Ed allora, in questo caso, pur avendo concessioni trentennali, investimenti ed ammortamenti trentennali, sono costretto a condurre la SpA con una “navigazione a vista”. Il che non è il massimo dal punto di vista della gestione di una SpA di tal fatta, la quale può ben incappare in uno scoglio del tipo di quello dell’Isola del Giglio. Senza colpa del suo comandante, però, nel nostro caso! E i terzi che hanno rapporto con la SpA sarebbero travolti nel suo naufragio, non essendo stato garantito l’ ”affidamento dei terzi” che invece il codice civile vuole tutelare.

Positivamente: se invece l’ente pubblico territoriale conosce, comprende,  condivide e rispetta le ragioni di una SpA, di una sua SpA, allora potrà arricchirsi dei benefici della gestione manageriale dei propri beni e servizi.

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MALEDETTI TOSCANI?

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 10 Agosto, 2012 @ 3:04 pm

Ovvero: reduce da qualche giorno in Toscana … mi è venuta l’ispirazione

Ieri sera ero a cena nel locale “ I Pescatori” di Orbetello. Un cartello, all’ingresso, recita: “Il ristorante apre alle 19,30 circa”. “Circa”, appunto, e si fa quel che si pole … senza troppa furia.

Curzio Malaparte … già quel cognome la dice tutta … Polemico? No … Critico? No …. Acuto “libero osservatore”? Si. Dice … quando gli alleati stavano entrando in Firenze, il carrarmato di testa fu rallentato, quasi fermato, da … un birrocciaio: “Un lo vedi che e sciò ‘l‘ mulo che più lesto un pole ?” Maledetti Toscani, avrà pensato quel capo-carro …

Ed io, una sera, entro nella farmacia che si affaccia sul rondò vicino alla Villa Reale di Monza. Subito mi si impone alla vista un cartello. “Vietato fumare perché dà noia a me”. Penso, questo è un Toscano. Difatti gli chiedo. “Ma lei è toscano?” “Si”. “Di dove?” “Di Livorno”. Al che replico :“Il mi’ babbo è di Montalcino”. E lui, pronto. “”E chi ti sci’hà fatto venire qui?”

Ecco S. Angelo in Colle!

Al paesello del mi’ babbo, S. Angelo in Colle, importante piccola, storica frazione di Montalcino (Siena). Sentita in uno dei suoi “chiassi” (stradicciole). Lui a lei “Ma voi non siete la Sora Emma, la moglie del poro (povero nel senso di defunto, n.d.r.) Giuseppe?” “Si”. E lui: “Sapeste quante corna v’ha messo il vostro poro marito!”. “Sie, sie, perché te t’un sai quante glie ne ho messe io”.

Altra perla paesana, vera. “O nini, gli è vero te tu e sci’ha ‘l bischero gobbo?” “Madonnina, quant’è chiaccherona la tu’ moglie!”

 

 

Dalle mura del paese, il bivio, una volta di strade bianche ...

Al bivio, subito sotto il paese. Un motociclista si ferma e chiede ad una vecchietta: “O donnina, vado ben da qui per andar dove mi pare?”. E la vecchina, appoggiata al bastone e reggendo un cesto con il quale portava a casa le verdure colte all’orto. “Sie, sie, da quella parte e sci vanno tutti quelli che vanno a chiappalla ‘n tasca!”

“O nonna, avete saputo le chiacchere sul prevosto (parroco, n.d.r.), che pare e sci’abbia avuto un’avventura con una donna …” “Sie, sie, gli è un cristiano anche lui, tanto a me un mi frastorna.” (disturba, n.d.r.).

“Oh che tu fai? Un lo vedi che le travi non combasciano? Da’ retta a un bischero, mettile più vicine!” “Sie, sie, e ne f0′ pochinina di strada se do’ retta a un bischero!”

Un Livornese ad un Pisano: “Meglio un morto in casa che un Pisano all’uscio”. E il Pisano, di rimando. “Dio t’ascolti”.

Per vedere se uno gli è bono a poco, mettilo ad accendere il foco …

Foco? “Donne e foco toccale poco”. Con il fuoco e con le donne non ci scherzare, soprattutto se sono donne Toscane.

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ATTENZIONE: PENSIONATI IN VISTA!

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 10 Agosto, 2012 @ 3:02 pm

Detto altrimenti: pensionati liberi – troppo liberi – pensatori e soprattutto … scrittori!

Mio figlio Edoardo opera nel settore dell’immagine e della comunicazione di un di una grande società regionale per i servizi pubblici. Oggi mi ha detto: “I più pericolosi sono i pensionati. Hanno tempo libero. Troppo. Vanno in giro, osservano, esaminano, analizzano, soppesano, criticano e poi quel che è peggio … scrivono! Quando un quotidiano pubblica una loro lettera al direttore, c’è sempre un collega che entra in ufficio sventolando la copia del quotidiano ed esclama: Attenzione! Letterina di un pensionato!”
Soggiunge. “Sai, con loro non te la puoi cavare con una risposta generica, devi essere preciso, specifico, devi indicare la data entro la quale il problema sarà risolto. Già, perché loro verificano e riscrivono”. Ecco, mi sono detto, sta parlando del suo vecchio padre …

Pensionati in riunione nel loro ... CDA, Consiglio di Amministrazione!

Poi aggiunge: “Qui nella città dove lavoro, una parte di questi pensionati sono chiamati “Umanel” cioè “ometti”: sono quelli che osservano i “lavori in corso” nei cantieri, valutano l’operato, suggeriscono modifiche, esprimono valutazioni: “Secondo me tocca … regge …, non regge, troppo lungo, troppo corto …” e così via. E se il cantiere è recintato da una palizzata di latta, qualcuno ha provveduto a dotarla di finestrelle. Taluno dice che sia per poter controllare dall’esterno – anche a cantiere chiuso – che all’interno tutto sia tranquillo. I più informati invece affermano trattarsi di una misura in favore degli Umanel … un intervento sociale, insomma, per agevolare il loro passatempo, che poi è quasi un’attività professionale. Vi sono ex di tutto: carpentieri, elettricisti, muratori, idraulici, di tutto dicevo … è rappresentato ogni tipo di artigianato, di professione. Non si scappa. E non è detto che dal loro contributo non nascano migliorie.

Si parla di fare in modo che anche la “terza età” sia attiva, si interessi alla vita sociale: ecco qui un altro impiego per i pensionati. Creiamo un Albo degli Umanel, distribuiamoli nella città per competenze e per aree, dotiamoli di un giubbetto, di un casco e di scarpe antinfortunistiche. Insomma, rendiamoli riconoscibili come i loro colleghi che regolano l’attraversamento dei pedoni in prossimità delle scuole.

Forza, Umanel, il futuro è vostro!

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MA INSOMMA, SIAMO IN VACANZA O NO? E basta co ‘sti post seri, prendiamoci una pausa!

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 5 Agosto, 2012 @ 5:56 pm

Detto altrimenti: VENI, VIDI, BICI, seconda puntata!

Pista Ciclabile delle Dolomiti + varie ed eventuali. Gruppo BICI UISP – Trento. 3 e 4 agosto 2012.

Mentre la bici si riposa ... uno sguardo al lago di Dobbiaco

Si parte da Trento in pullman privato alle 07,30, sino a Dobbiaco. Qui un primo gruppo noi va a Lienz; un altro (io sono fra questi) sulla ciclabile delle Dolomiti. Si inizia a pedalare alle 11,00. 17 km per superare 350 metri di dislivello. La sola difficoltà è rappresentata dallo sterrato spesso “disastrato” dalle esondazioni di torrentelli vari. Grosse macchine operatrici attendono il lunedì per riprendere a lavorare. Lago di Dobbiaco, boschi. Bello. Poco prima del termine della salita, si gira a sinistra per vedere le cime di Lavaredo. Tutti dicono le “tre” cime, ma noi ex alpinisti, sappiamo che sono ben cinque. Andate a controllare presso la vostra sezione del CAI o della SAT.

 

Cimabanche, gran premio della montagna! Sosta per un panino e via, in discesa!

Sotto il ponte di ferro torrente scorre ...

 

 

 

Sterrato agevole, con prudenza (non fatevi ingannare a prendere troppa velocità). Boschi, laghetti, ruscelli, torrentelli, gallerie ex ferroviarie, deliziose stazioncine dismesse (chi le vuole riattare?) e poi, su di un ponte 100 metri sopra un torrente e quindi la vista si allarga: si traversano sassaie e in fondo a destra, Cortina. Sembra di planare con un aereo … verso la fine, asfalto e la Regina Cortina d’Ampezzo!

 

 

 

 

Entusiasmo ( e bici) alle stelle!

Non entriamo in città. Si prosegue (ripeto: attenzione alla velocità, la ciclabile è invitante, asfaltata, larga … quasi troppo invitante!). Pare che la discesa non debba mai finire … Antelao, Pelmo, Civetta, Gruppi Dolomitici, nomi famosi, cime invitanti … Siamo arrivati a Borca (stazione Agip), dopo aver percorso 49 km.. Troppo tardi per cercare di raggiungere Calanzo di Cadore (mancano altri 23 km), entro le 15,30, ultima corsa bus per risalire a Cimabanche. Ma si sa, quando si è in tanti, fra amici, si parla, ci si diverte, ci si ferma, si scattano foto … a noi piace molto anche questo modo di pedalare! Ci fermiamo e prendiamo (un gelato e) il bus che ci conduce a Dobbiaco (€10,00), dove ci riuniamo ai nostri amici di ritorno da Lienz.

Quindi un gruppo (fra cui io) rientra a Trento in pullman. Gli altri si fermano a dormire presso il locale ostello e il giorno dopo pedala sino a Fortezza per tutta la Valle Pusteria, per poi rientrare a Trento in treno. Sentiremo come è andata.

Ciclabile delle Dolomiti: da fare, assolutamente. Non tutta adatta ai bambini. Bici usate: rampichini o ibride con ruote robuste.

Voglio rifarla questa estate stessa, partendo ben prima, lasciando l’auto a Cimabanche, con sosta a Cortina, con mia moglie (= negozi da visitare! Speriamo bene …!) e dormendo a Calalzo in ostello. Il Dolomiti bus parte da Calalzo la mattina alle 08,40: è gradita la prenotazione (http://www.dolomitibus.it – 0437 941237).

Viva Bici UISP (Trento), Unione Italiana Sport per Tutti!

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SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N.199 DEL LUGLIO 2012: I SERVIZI PUBBLICI LOCALI (SS.PP.LL.) NON SI POSSONO PRIVATIZZARE – Quarta ed ultima puntata (le prime tre puntate sono state pubblicate il 23, il 30 e il31 luglio scorsi)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 5 Agosto, 2012 @ 4:52 pm

Deto altrimenti: la “motivazione” del personale dell’Ente Pubblico e della SpA

La motivazione del personale. Una delle principali risorse di un ambito di lavoro, sia esso un ufficio pubblico, sia una SpA. Spesso la si trascura. E invece, senza la motivazione del personale non esiste crescita economica, sociale, culturale. Non esiste sviluppo. Non si va da nessuna parte. Chi non capisce questo semplice fatto non dovrebbe essere ammesso a gestire personale, in una SpA come in un ente pubblico.

C’era una volta … il vecchio modo di gestire una SpA, top-down, io raccolgo molte tutte le informazioni, le dispenso a spizzichi, stabilisco le regole, i dipendenti devono obbedire, devono eseguire, rispettare le prescrizioni della “libretta”. Non importa se non capiscono quello che stanno facendo. Anzi, meglio. IT, Information Technology, ecco cosa mi serve. E poi, il cottimo, che bello! Tutti erroneamente credono che sia “pagare il dipendente sulla quantità del lavoro prodotto” e invece, correttamente è “pagare il dipendente se rispetta le regole, perché tanto il risultato è garantito dal sistema, soprattutto se sono in monopolio”.

Io ordino e tu esegui. In silenzio. Non mi importa se non sei motivato. La motivazione? Non serve a nulla. Ma io ho bisogno di collaboratori. Ed allora chi mi scelgo? Quelli più ossequiosi, quelli che mi dicono sempre si, quelli che non discutono le mie decisioni, quelli che non mi sottopongono né problemi veri né soluzioni vere. Da encefalogramma creativo piatto. L’organigramma? Verticale: tutto fa capo a me che delego una sola persona a me fedele, tutto fa capo a lui, sotto di lui la piatta assoluta, tutti uguali, a ricevere input dall’alto, settore per settore, parcellizzati, divisi, in vasi non- comunicanti (comunicazione? Guai a Dio!). E Dio … no, scusate, ed Io, innanzi tutto lavoro a parte chiuse e sono disponibile solo per il mio fedelissimo. Gli altri? E’ inutile che cerchino di contattarmi: tempo perso. La società ha bisogno di me, depositario di tutto. Mi rendo insostituibile. Se io me ne vado, se ne accorgeranno cosa succede … I dipendenti come si sentono? I “fedelissimi” bene: sono deresponsabilizzati, li copro sempre e comunque. Gli altri stanno male, soffrono, si deprimono. Per loro l’andare in ufficio è una sofferenza. Ma se a loro non va, se ne possono sempre andare via. Anzi …

Io stesso, all’inizio della mia carriera lavorativa, ricordo, lavoravo in banca. Lei è laureato il legge? Bene, a “battere” (alla macchina da scrivere, n.d.r.) assegni circolari. Ok, batto. Chiesi cosa voleva dire l’espressione “la fiche (contabile, lo appresi dopo, n.d.,r.) è già a quadro” (quadro di controllo, una sorta di ufficio prima nota contabile, lo appresi dopo, n.d.r.). Mi risposero: lei lavori, non è pagato per capire. Andai alla Direzione Centrale a protestare: fui inserito in un ciclo molto serio di istruzione sul lavoro. Quando fu terminato lasciai la banca e da impiegato di banca divenni dirigente in società e finanziarie private e pubbliche. Ma se fossi rimasto in silenzio a “battere” assegni circolari?

Ma torniamo a noi. In un ambiente simile le persone non crescono professionalmente, la società entro la quale lavorano è a rischio in quanto dipende dalla capacità, incapacità, umori e ricatti dei pochi fedelissimi. Questo tipo di capo non riceve e non stimola l’apporto creativo da parte dei dipendenti e la società non cresce se non nella misura nella quale poche persone vogliono e/o sanno farla crescere: i limiti di queste persone diventano i limiti della società. Le persone migliori sono scartate, emarginate, si deprimono, si disamorano, non producono più idee, non innovano. Questa società è perdente di fronte ad altre società che invece si comportano diversamente, come vedremo qui di seguito.

Altro tipo (opposto, agli antipodi del primo) di gestione societaria. Il capo promuove riunioni collettive; fornisce una visione di insieme ai propri collaboratori e colleghi (non li chiama dipendenti); concorda con loro i loro obiettivi; delega loro potere e responsabilità; stimola l’adozione di comportamenti creativi e di qualità; chiede loro di trasformare ogni loro singolo intervento correttivo o migliorativo in una serie di interventi per correggere e migliorare non il singolo fatto ma l’intero sistema; chiede ed ottiene che loro operino come se la società fosse una loro proprietà privata; promuove l’operatività per obiettivi e per progetti; per ogni progetto, stabilisce la leaderschip del capo progetto funzionale rispetto alla scala della gerarchia aziendale; stimola le loro proposte, le discute, le accetta anche se sono migliori delle proprie; crea diversi settori, promuove la loro collaborazione e la loro interscambiabilità, assicurando comunque la continuità aziendale anche nel caso di dimissioni di qualche collaboratore. Il capo stimola e premia l’efficacia ( = raggiungimento di risultati) piuttosto che la sola efficienza  ( = rispetto delle regole operative); è disponibile per tutti, nel rispetto della funzionalità del “sistema dei sistemi” che ha creato ed organizzato. Il capo lavora a porte aperte. E’ reperibile sempre, per tutti. La tecnologia e la scienza di cui ha bisogno e di cui si serve non è la IT (Information Technology), ma la ICT, Information Communication Technology. Cioè, ha inserito nel processo gestionale la COMUNICAZIONE, cioè la communis actio, l’azione comune il dialogo la compartecipazione, la condivisione, il rispetto e lo stimolo della persona, della sua intelligenza, scienza e apporto creativo. Il capo ritiene che il personale sia la prima risorsa aziendale e quindi ritiene che demotivarlo equivalga a distruggere la componente più preziosa dell’avviamento e dei beni aziendali.

Il suo obiettivo è quello di creare una società capace di crescere anche oltre il limite del proprio apporto personale, capace di funzionare e crescere anche quando egli ne sarà uscito. I collaboratori che “premia” sono quelli più “onesti”, cioè quelli che accettano la sfida di misurarsi su problemi seri, quelli che si esprimono come egli stesso si esprime, collaborativi con i colleghi, creativi, comprensivi del sistema. Per questi collaboratori, l’andare in ufficio è una gioia. Non un tormento.

Tutto questo è molto più facile da realizzare in SpA di diritto privato. Nel settore pubblico vige l’obbligatorietà del rispetto della “libretta”, cioè si premia soprattutto l’efficienza, il rispetto delle regole. Molto meno l’efficacia, il raggiungimento di risultati. Infatti ogni Comune è monopolista all’interno del suo territorio e quindi manca lo stimolo della concorrenza. Nessun Comune potrà mai venire a sottrarre “clienti” al mio Comune …

Per concludere

  • una legge (Berlusconi) imponeva la privatizzazione delle SpA pubbliche dei servizi pubblici locali;
  • un successivo recente referendum popolare aveva vietato queste privatizzazioni;
  • una successiva legge (Monti) le ha re- imposte;
  • la Corte Costituzionale ha cancellato le due leggi;
  • ora, il “rischio” non è più che i servizi pubblici locali “cadano” in mano privata, ma che le SpA pubbliche “cadano o restino” in una palude gestionale che di SpA ha proprio poco o nulla.

P.S.: gutta cavat lapidem …. “Hai visto mai” (dicono a Roma) che adesso la Corte Costituzionale abroghi anche la seconda legge sul finanziamento pubblico dei partiti, visto che la prima legge era stata cancellata anch’essa da un referendum popolare?

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BANCHE E BANCHIERI: FINANZA DI OGGI E DI IERI – SECONDA PUNTATA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 5 Agosto, 2012 @ 6:33 am

Detto altrimenti: Gialuigi De Marchi scrive nel suo blog www.dituttounblog.it:

“Dal fallimento della Lehman Brothers (la madre di tutti i guai attuali del mondo) sono passati 4 anni. Quel giorno si levarono forti voci a favore di un radicale cambiamento della finanza, che da un decennio era sfuggita di mano alle autorità per colpa del “Deregulation act” americano del 1998: una legge che aveva cancellato in un sol colpo tutte le regole del mercato, lasciando mano libera ai banchieri di fare tutto quello che volevano. Scomparsa ogni distinzione tra banche commerciali (quelle che per natura raccolgono risparmio e lo prestano ad aziende e privati: in parole povere, le uniche banche vere…) e banche globali (quelle che gestiscono risparmi, fanno compravendite in Borsa, speculano sulle materie prime, creano derivati eccetera…).

I banchieri hanno immediatamente approfittato dell’occasione lanciandosi in operazioni spericolate, inizialmente per “conto proprio” ma successivamente – per ampliare il giro d’affari, incrementare gli utili e moltiplicare i loro faraonici bonus – vendendo contratti derivati alla clientela. Nessun interesse per i clienti, nessun interesse per la collettività, solo l’esasperata ricerca del profitto aziendale e personale.

Tutto questo ha portato allo sfascio, inizialmente, del sistema bancario (non si contano più le banche salvate dagli stati per evitare guai maggiori: l’ultimo esempio eclatante è quello della Spagna) e, successivamente, dell’intero sistema economico, strozzato per l’improvvisa rarefazione dei crediti. Anche le enormi somme erogate dalla banca centrale europea (all’Italia la bellezza di 100 miliardi di euro!) sono state inghiottite dal sistema: qualche azienda italiana ha forse ricevuto anche solo €10.000 di quei 100 miliardi?

A questo punto non c’è che una soluzione: nazionalizzare le banche (tanto finanziariamente sono già “pubbliche” dato che i soldi li hanno ricevuti dagli stati!), eliminare i “managers” che per decenni si sono intascate somme enormi senza produrre benefici per la collettività, sostituirli con tecnici forse più modesti e meno fantasiosi ma più attenti alle esigenze della collettività e naturalmente reintrodurre le vecchie norme che vietavano alle banche di speculare sui mercati.

La legge bancaria italiana che stabiliva la specializzazione delle banche del 1936 era semplicemente perfetta. E’ stata abolita nel nostro paese generando mostri che hanno perso la loro natura originaria.  Torniamo al passato per poter costruire un futuro migliore!”

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