LA BANCA DEL FUTURO? QUELLA DEL PASSATO!

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 3 Dicembre, 2012 @ 7:44 am

Detto altrimenti: torniamo alla Cooperazione, a quella vera, intendo …

“Che fa la banca?” Me lo chiesero prima di assumermi alla Comit, Banca Commerciale Italiana. Era il 1970. Ci rimasi cinque anni. Preparatissimo, ne uscii è divenni dirigente in SpA private e quindi in Finanziarie pubbliche e private. Un mio collega ci rimase. Ne divenne Amministratore Delegato. Grazie Comit.  Ah già, dimenticavo. Cosa risposi? “Raccoglie il risparmio e lo investe verso chi ne ha bisogno”. Bravo. Assunto. Dopo, lavorai tanti anni “con” le banche, cioè avendole come interlocutrici.

Già “ai miei tempi” le banche più “moderne” si erano dotate di un “Direttore Finanziario”. Per “fare finanza”. Non per fare banca. Fare finanza, che significa? Per una banca, massimizzare la reciproca regolazione dei flussi di denaro in entrata (raccolta del risparmio) e in uscita (prestiti alla clientela). E fino a qui, nulla quaestio. Ma poi le banche cambiarono mestiere, si misero a “lavorare in proprio”, cioè a “fare finanza” a prescindere dai flussi citati, cioè a fare in proprio investimenti “a rischio” e a farli fare alla propria clientela. No buono. Oggi a livello della loro associazione di categoria, l’ABI,  si sono impegnate a non farlo più (“Lo giuro, non lo faccio più!”) per cinque anni. Ma allora? E prima? E dopo? Ma questa è un’altra storia.

Ma veniamo all’oggi. Mutui fondiari. Cosa sono? Sono mutui (cioè operazioni reali che si perfezionano con la consegna del denaro) assistiti da garanzia ipotecaria su un immobile. Non hanno una destinazione di scopo. Cioè non è necessario investire il ricavato in una specifica direzione (acquisto della casa). Altra cosa sono ad esempio i “mutui edilizi”, erogati a stati avanzamento lavori, erogati ed utilizzati per la costruzione di un edificio.

Ma torniamo a noi. Due giovani sposi vogliono comperar casa. Si presentano in banca. Lui ha un lavoro a tempo indeterminato: €1.400 netti al mese, praticamente una mosca bianca, un superfortunato. Lei no, lavora in un call center a tempo determinato. Si vergogna a dichiarare che le danno €700 al mese. “Non si preoccupi” le dice il funzionario, “la Sua busta paga non conta, Signora”. Infatti conta solo quella del marito. Ecco, il conto è presto fatto. Il funzionario estrae complicate tabelle, guarda l’indice, le sfoglia, prende un righello per seguire la riga giusta dei dati, novella bibbia laica e sentenzia: “Mutuo a 40 anni, tasso 8%, importo erogabile €80.000, rata mensile €517, rivedibile, naturalmente”.

Ecco, a parte che se avesse e sapesse usare una piccola calcolatrice tascabile HP Finanziaria 12C non avrebbe bisogno di mezzo kg di tabelle cartecee, a parte questo, non è di un box auto che ha bisogno la coppia. Peccato. “Certo che se aveste un co-intestatario o garante con un reddito fisso di altri €3.900 netti al mese, tutto sarebbe più facile” Ah se le cose stanno così, bastava dirlo subito …

Ma nel recente passato, cosa accadeva? Si, i contratti di lavoro a tempo indeterminato erano assai più frequenti, ma poi, il mercato immobiliare “tirava” cioè il valore delle case cresceva, cresceva, per cui posso erogare il 70, 80. 90, 100% del suo valore, tanto domani quel valore cresce ulteriormente ed io ho sempre dei buoni margini di garanzia. Anzi, se a suo tempo ti ho erogato una somma pari a 100, oggi ti invito in banca: guarda, il valore della tua casa è cresciuto, se vuoi posso erogarti un ulteriore 50. Ecco cosa succedeva. La garanzia. La sicurezza. Per la banca, s’intende. Mai l’intuitus personae, mai la valutazione della persona, così come assai raramente veniva considerato la capacità di una società ci crescere, di innovare. La garanzia. Ecco quello che ci vuole, Così io banca dormo tranquilla e a fine anno pago superpremi all’alta dirigenza.

Don Lorenzo Guetti

Si, ma ora che succederà? La gente ha meno lavoro. Risparmia meno, anzi per nulla. Dove e come la banca “farà raccolta”? Per intanto si è limitata a non prestare denaro. Poi si vedrà. Ma allora se la raccolta tende a scomparire e la banca non presta denaro, la banca non servirà più, non vi pare? Oppure ne servirà di un altro tipo. Quale? A d esempio quella del tipo Casse Rurali, stile Raiffeisen, cioè stile quelle costituite nella seconda metà dell’800 da Don Lorenzo Guetti in Trentino. In altre parole: occorrerà tornare alla Cooperazione, ma a quella vera, dove le persone sono “soci” e non “clienti”.

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ABBIAMO BISOGNO DI PIU’ EQUITA’ FISCALE E DI PIU’ EUROPA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 2 Dicembre, 2012 @ 9:20 am

Detto altrimenti: Altrimenti? Altrimenti  i singoli Stati Europei non ce la faranno, anche quelli che fabbricano le Volkswagen

Visione di insieme e percezione sensoriale. Ogni persona, ogni famiglia, ogni categoria di persone, ogni “casta”, ogni comunità comunale, ogni comunità regionale, ogni comunità statale, ogni comunità continentale, man mano che si “sale” nella scala dimensionale, ha sempre di meno la percezione sensoriale dei singoli bisogni e sempre di più la visione d’insieme dei bisogni del sistema.

Il soddisfacimento da parte di un certo numero di persone dei bisogni individuali avvertiti a livello di percezione sensoriale, ammesso pure che ciò oggi sia possibile, non risolve i problemi di fondo percepiti da chi si sforza di avere una visione d’insieme dei “bisogni collettivi”.

Il Presidente Monti afferma: “È giusto abbassare la pressione fiscale, ma ciò oggi non è possibile”. Mi permetto di suggerirgli (quale presunzione la mia!) un passaggio attuabile subito, intermedio fra l’abbassare e il non abbassare tale pressione: la rimodulazione della scalettatura delle aliquote, alleggerendo i livelli inferiori e aggravando i livelli superiori. Alleggerendo il fisco sul lavoro e sulle case d’abitazione e aggravandolo sulla finanza e sui grandi patrimoni mobiliari e immobiliari.

 

Mi spiego meglio. Perdiamo un settore a caso: la crisi del mercato delle automobili. Se alleggeriamo la pressione fiscale sulla grande massa di chi ha redditi medio bassi, mettiamo in grado un gran numero di persone di cambiare l’auto e il settore riparte. A fronte di questo alleggerimento fiscale, aumentiamo la tassazione a chi guadagna, ad esempio, oltre un milione di euro l’anno. Infatti costui più di tanto non potrà né avrebbe potuto consumare. In other words, la ripresa può avvenire solo grazie ai consumi del ceto medio basso, non crto grazie ai consumi della elite dei milionari (sempre che si dia per scontato che occorra puntare sulla ripresa di “questo” modello di crescita, il che non è detto che debba essere!)

Dice … vabbè, ma che c’azzecca l’Europa con tutto ciò? C’azzecca, c’azzecca … perché se la tassazione dei ceti milionari non fosse uguale in tutti i Paese Europei, i capitali fuggirebbero verso i paesi più appetibili fiscalmente.

Dice … vabbè, ma anche se ciò avvenisse, resterebbero sempre i paesi extra europei paradisiaci sotto il profilo fiscale. Rispondo: intanto facciamo l’Europa, e non ci fasciamo la testa prima di esservela rotta, affrontiamo i problemi in ordine, man mano che si presentano …

Infatti, fatta l’Europa, occorre anche un accordo “intercontinentale” (quanto meno fra i due continenti che si affacciano sulle sponde del nord Atlantico) per redigere una sorta di boicott list, di sanzioni contro tali paesi “fiscalmente disinvolti” e contro i loro “clienti”.

Dice … belle parole, ma si tratta di utopie. Rispondo: a parte che nella Vita occorre avere utopie, non possiamo stare fermi “ad aspettare”. Come ci ha ricordato il Vangelo di Luca di ieri, all’approssimarsi dello scatenarsi delle forze della natura ( e divine) occorre stare all’erta, alzare la testa. Ecco, alzare la testa, usare la testa e quello che c’è dentro, cioè il cervello, la mente, l’orgoglio, la coscienza di sé. Mai cedere al catastrofismo, al pessimismo cosmico, al “tanto nulla cambierà”. L’umanità è uscita da catastrofi storiche ben peggiori. Usciremo anche da questa. Solo cerchiamo di limitare al massimo gli “effetti collaterali”. Evitiamo una nuova, moderna, cruenta ed inutile “strage degli innocenti”:  già 40.000 famiglie italiane hanno dovuto abbandonare la propria casa perchè non più in grado di pagare le rate del mutuo.

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DON GIUSEPPE GRAZIOLI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 1 Dicembre, 2012 @ 2:00 pm

Detto altrimenti: un altro prete “socio-economico-autonomista” per il Trentino dell’800. Scrivo “un altro” perché solo pochi post fa (21 novembre, ore 16,15) ho ricordato la figura di Don Lorenzo Guetti, il fondatore della Cooperazione Trentina, oggetto di un altro bel libro, scritto, questo, da Don Marcello Farina.

L’Assessore Franco Panizza e i quattro Autori

In occasione del centenario della statua di Don Grazioli che si trova in Via Matteotti a Lavis (TN), è stata inaugurata a Palazzo de Maffei una mostra per ricordare questo grande personaggio. Nella stessa serata, l’Associazione Culturale Lavisana, Presidente Daniele Donati, ha presentato alla popolazione intervenuta un libro su Don Giuseppe Grazioli, Lavisano doc, sacerdote impegnato nel sociale, nell’economia e nell’Autonomia della sua Terra. Libro scritto da  e “a cura di” quattro Autori: Daniele Donati, Andrea Casna, Andrea Brugnara, Daniele Erler.

 

Il Presidente dell’Associazione, Daniele Donati

La presentazione, preceduta dall’intervento del Sindaco di Lavis, Graziano Pellegrini e dell’Assessore Provinciale Franco Panizza, è stata intervallata da significative letture di lettere di Don Grazioli (voce recitante Maria Vittoria Barrella) con il sottofondo musicale da parte del contrabbassista Giamaria Stelzer.

 

Sala stracolma, grande successo di pubblico. Molti (anche) i giovani presenti.

Don Grazioli. Viaggiatore Autonomista. Viaggiatore, in quanto si recò in tutta Europa ed anche in Giappone (che raggiunse da oriente e da occidente!) per acquistare e portare in Trentino i semi dei bachi da seta “sani” in sostituzione di quelli distrutti da una malattia che aveva colpito gli allevamenti  del nord Italia, terzo produttoree mondiale di seta.

Autonomista, in quanto propugnatore dell’autonomia amministrativa del Trentino dall’impero Austro-Ungarico. Per questo motivo fu incarcerato a Innsbruck nel 1848, cioè un anno dopo la nascita a Vigo Lomaso di un suo “collega” altrettanto famoso, Don Lorenzo Guetti, il fondatore della Cooperazione Trentina e delle Casse Rurali, anch’egli prete socio-economico, anch’egli dedicato al miglioramento economico dei contadini trentini (cioè della popolazione trentina), anch’egli “Autonomista”, convinti entrambi come erano, i due sacerdoti, che i problemi del Trentino – non più Principato Vescovile (cioè non più vero e proprio Stato) ma semplice provincia di Innsbruck – avrebbero dovuto essere affrontati, discussi e risolti da una Autorità presente sul territorio e non assente, lontana e “di lingua tedesca” insediata a Innsbruck(o anche di “lingua italiana”, ma insediata a Roma, n.d.r.).

A Trento, la Via Grazioli, dedicata a Don Giuseppe. Una via alberata, quasi un viale, la quale, fra le case nuove, conserva a difende “vecchie signore” di fine ottocento (o primo novecento?), case “preziose”, memoria di una Terra e di una Persona.

Novecento in Via Grazioli

La sala, gremita
La sala, gremita

Cuscini di alberi in fiore
circondano vecchi disegni
edere di stucchi
che la terra germoglia
per cingere antiche mura
e scale sbrecciate
a passeggio
in giardini di ghiaia.

Nobili dame
ingioiellate di ferro battuto
e imposte di legno
guardano salire la via
che hanno solcato
nei prati del tempo,
difese ed amate
da chi vuole che vivano
serene
il futuro dei loro ricordi.

Lo stemma de Maffei – Lavis

Troppo poco per ricordare una tale Persona? Si sa, i post dei blog non devono essere troppo lunghi, e poi, l’Associazione Culturale Lavisana, alla quale possono ben iscriversi anche i non Lavisani,  è lieta di farvi omaggio di una copia del libro.

Associazione Culturale Lavisana
Via Clementi, 32
I 38015 Lavis TN
www.associazioneculturalelavisana.it
procultura.lavis@gmail.com

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1) ILVA – 2) VARIE ED EVENTUALI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 1 Dicembre, 2012 @ 7:16 am

Detto altrimenti: nel mio post del 27 novembre ipotizzavo che si potesse arrivare all’espropriazione degli impianti da parte dello Stato a danno dell’attuale proprietà ILVA. E’ quello che il 30 novembre è stato previsto nel decreto del Governo, ove la società non rispetti tutti gli adempimenti e non effettui tutti gli investimenti di risanamento ambientale.

Disoccupazione. Sindacati e Governo concordano: nel 2013 la disoccupazione crescerà. Domanda: gli ammortizzatori sociali saranno finanziati a sufficienza? Propongo la stessa cura che sto proponendo da sempre: trasferiamo ad essi le risorse oggi destinate alle mega opere (TAV), ai mega armamenti, ai mega costi della politica, ai mega-super stipendi-pensioni-liquidazioni-benefit d’altri tempi. Dobbiamo riscrivere l’ordine delle priorità. Quanto accanimento contro la “casta dei tassisti“! E le altre?

Ma non basta intervenire sui disoccupati: occorre intervenire sulla rinascita della piccola imprenditoria, all’interno di un nuovo modello di crescita. Infatti, siamo sicuri che riusciremo a rimettere in moto quello vecchio?

Evasione ed elusione fiscale: occorre accelerare, ma questo ritornello è ormai cosa ovvia, ci si stanca quasi a ripeterlo, tuttavia occorre agire con maggiore incisività. Conoscete la storia delle multe miliardarie abbonate alle case che gestiscono le machinette magiasoldi? La trovate nei mie post … cercate, gente, cercate …

Economia Pubblica Locale: non basta l’accorpamento di provincie. Da subito occorre individuare aree funzionali omogenee e accorpare i SS.PP.LL. (Servizi Pubblici Locali). Ciò consentirà economie di scala e migliore efficacia del servizio.

Già, ma ora siamo occupati con le primarie, poi con le elezioni, poi con la formazione del nuovo governo … ma, dum Romae consulitur, familia expugnatur, mentre a Roma si discute, la famiglia (italiana) non ce la fa più.

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ECONOMIA DELLA FELICITA’

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 30 Novembre, 2012 @ 8:58 am

Detto altrimenti: si, esiste anche questa branca della scienza economica

Università di Siena – Dipartimento di Economia Politica, Professore Associato Ricercatore Dr. Stefano Bartolini. Autore, fra l’altro – del libro “Manifesto per la felicità; come passare dalla società del ben-avere a quella dl ben–essere”, Ed. Donzelli, 2010.

Egli afferma: oggi, purtroppo, l’uomo è al servizio dell’economia. Dovrebbe essere il contrario: l’economia al servizio dell’uomo. Questo sul piano macroeconomico. Io mi voglio soffermare su di un aspetto micro-economico-aziendale: Bartolini sottolinea come sia scientificamente provato che la tecnica di gestione aziendale di spremere, stressare, strumentalizzare, sfruttare al massimo i dipendenti sia molto meno produttiva di risultati di una gestione basata sul loro rispetto, sul loro coinvolgimento, sulla loro motivazione.

Nella scienza della gestione e della info-comunicazione aziendale, in linea con quanto sopra, la IT, Information Technology, si è trasformata nella ICT, Information Communication Technology. “Prima” si diceva: ”Tutte le informazioni a me. Io le gestisco”. Oggi si dice “Riuniamoci, scambiamoci le informazioni, maturiamo insieme la migliore decisione comune per l’azienda. E se avete idee, coraggio, metettele sul tavolo!”

Il “vecchio” capo: “Decido solo io”. Il risultato era la “delega al contrario”, cioè tutta la filiera dei successivi livelli gerarchici scaricava il problema sulla scrivania del livello superiore. Tutto finiva su tavolo del “capo” che “fa quello che può, poveraccio, encomiabile, si ammazza di lavoro, 14 ore al giorno” ma, nella realtà, riesce a smaltire solo una parte del lavoro e solo ciò che riesce a capire lui personalmente. L’azienda trova un limite proprio nel capo. Se poi il capo si ammala o muore, è la fine (ecco perchè diffido di quei capi che hanno la scrivania stracarica di carte!).

I dipendenti? Stressati dalla mancanza di coinvolgimento, di deleghe, di potere, di responsabilità, di motivazione. Hanno paura di assumere una iniziativa qualsiasi., frenano ogni loro idea, ogni possibile proposta. Lavorano male. Vivono peggio. La loro società va ancor peggio. Siamo all’età delle caverne.

Tutto questo è testimoniato da numerosi studi internazionali citati dal professore Bartolini. Io posso testimoniarlo non per averli letti, ma per avere sperimentato di persona, più volte, nelle SpA, queste diverse situazioni: prima, come dipendente, entrambe. Poi, come capo, solo quella che fa riferimento all’ICT.

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ALCUNI ASPETTI “OSCENI” DELLA VITA: RACCONTARLI O PALUDARLI?

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 30 Novembre, 2012 @ 8:20 am

Detto altrimenti: prendere atto degli aspetti deteriori della nostra moderna “civiltà” per condannali e cercare di eliminarli, oppure sorvolare, nasconderli, ignorarli … cioè, “sopire, troncare, molto reverendo padre”, come scriveva il Manzoni?

La superficialità, la distrazione, l’indifferenza e l’ipocrisia sono piaghe terribili del nostro tempo. Una tragedia sociale? Siamo sicuri che vada raccontata? Non è forse meglio travestirla in qualche modo, depurarla degli aspetti più crudi, addolcirla, così, tanto per non urtare la sensibilità di nessuno?

E se proprio la si vuole raccontare, La si racconta fino a quando fa notizia, fino a quando non è superate da altro fatto analogo, più recente. Idem per gli scaldali. Di volta in volta, l’ultimo scaccia il penultimo. Oggi siamo tutti presi delle primarie di destra e di sinistra. Ma che ne è stato della riduzione dl numero dei parlamentari? Dei controlli su tutti i denari dati ed “utilizzati” dalle segreterie di tutti i partiti politici? Della limitazione dei super stipendi-pensioni-benefit-buonuscite? E che si sta facendo circa i denari gestiti o dati alla Fondazione Mauceri di Pavia? In un mio intervento precedente scrissi che ci vorrebbe un nuovo giornale: quello dedicato a seguire lo sviluppo di ogni scandalo, nel tempo, periodicamente. Nulla deve cadere nel “dimenticatoio della pubblica consapevolezza”. Ma questa è un’altra storia.

Avevo pubblicato un post dal titolo “Burro o cannoni” nel quale facevo un parallelo fra il nostro paese ed un altro paese estero, notando come in entrambi si stia assistendo a rilevanti investimenti in armamenti pur in presenza di situazioni di gravissimo disagio sociale, qual è ad esempio, scarsa cura per l’occupazione, l’assistenza sanitaria e il sistema pensionistico;  o l’abbandono sul marciapiede del figlio neonato o poco più. Da due lettori sono stato definito “il solito uomo di razza bianca”, e quando replicavo che per me la razza è una sola, quella umana, mi è stato detto “Ecco, vedi, da parte tua dire questo è segno di razzismo”.

Ho cercato di rispondere pacatamente. Mi è stato replicato che avrei dovuto scrivere semplicemente che “una bella coppia adottava un bel bambino” e non che in quel paese i bambini vengono spesso abbandonati sul marciapiede. Meninos de rua, si chiamano, o no? E dire che non avevo nemmeno scritto del fatto che in un altro paese, nel quale i mariti non vogliono figlie femmine, il marito stesso costringe la moglie ad abortire ove il nascituro si sia rivelato del sesso indesiderato. Tal che quello Stato ha vietato quel tipo di indagine prenatale, la quale tuttavia viene eseguita in compiacenti cliniche private gestite dalla mafia, entro le quali poi le mogli sono fatte abortire “in tempo reale” contro la legge e soprattutto contro al loro stessa volontà. Ecco, a mio avviso invece queste atrocità vanno raccontate e quindi combattute, in ogni sede, anche se possono urtare la sensibilità di qualcuno.

 Le mie osservazioni poi – da chi mi scriveva: “Per carità, senza alcuno spirito polemico” – sono state definite “discorsi da bar” perché citavo il binomio “burro e cannoni” del Samuelson o l’angoscia kirkegaardiana sempre insita nei momenti in cui si devono fare delle scelte (il famoso aut-aut), facendo io un parallelo fra lo Stato che sceglie fra armamenti e finanziamento del servizio sanitario nazionale o della scuola pubblica ed una famiglia, la quale – per carenza di denaro – deve scegliere sceglie fra due spese alternative: sostituire la porta blindata dell’appartamento e curare un suo membro gravemente malato. Tanto per capirsi …

Io ho le mie idee. Rispetto quelle degli altri e le pubblico, purchè espresse sempre con rispetto. Come non stava avvenendo. Pertanto ho oscurato il mio post e tutta la corrispondenza che vi aveva fatto seguito, così come non pubblicherò eventuali ulteriori interventi di questo tipo. Continuerò invece a pubblicare ogni commento, ogni diversa opinione, purchè espressa in forma non offensiva dell’opinione e della persona “altrui”.

Per concludere. Sto per arrivare alla fine del mio primo anno di blogger (6 dicembre 2’011 .- 5 dicembre 2012). Ad oggi ho pubblicato 376 post. Ho ricevuto e pubblicato una media di 1,76 commenti scritti per ciascun post e sto ricevendo  10.000 visite (“contatti”) al mese della durata media di 9 minuti cadauna. Ho cestinato 28 spam e i commenti al post citato.

Quella di cui sopra è stata l’unica contestazione “violenta” nella sostanza e nella forma che ho ricevuto, se si esclude l’altra nella quale mi si contestava la critica che io muovevo alle manganellate “gratuite” che hanno massacrato i ragazzi della Diaz a Genova. In quella occasione, almeno, una certa forma è stata rispettata. Ma solo quella. La sostanza resta, tutta.

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ASCOLTARE IL VICINO e poi agire responsabilmente

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 29 Novembre, 2012 @ 9:22 am

Detto altrimenti: … ascoltare il vicino, oppure? Oppure,  leggerne le riflessioni

Sto leggendo un Libro (non a caso uso a caso la “L” maiuscola), un Libro di Don Marcello Farina, “A rinascere si impara – Filosofia per tutti”, Ed. Il Margine, 2006. Un Libro da leggersi con “una matita sulla coscienza” (cioè, con una matita nella mano e la mano sulla coscienza), per evidenziarne i passaggi significativi. Un Libro composto da capitoletti corti, ognuno dei quali vi chiede di essere riletto più volte, tanto non volete perdere “quel” contenuto, “quella” riflessione che invece condividete, amate, volete che diventi anche vostra o che era già vostra, magari “a vostra insaputa”.

Mi ero riproposto di farne oggetto di un post, ma poi ho pensato che i contenuti sono tanti e tali che non ce l’avrei fatta a trattenermi e quindi ne parlo “in itinere”.

Il male. Un po’ come il gasolio rovesciato in mare: sta sulla superficie (n.d.r.). Se rinunciamo a pensare con la nostra testa, se ci limitiamo ad agire secondo i contenuti superficiali di ordini o ordinamenti, ecco che, nuotando nella superficie degli eventi, il male ci ricopre, ne diventiamo parte, dolosamente, se ci rendiamo conto di ciò; colpevolmente, se ciò avviene “a nostra insaputa”. Il petrolio stando in superficie può devastare l’intero Golfo del Messico. Il male, dilagando sulla superficie della nostra coscienza, può devastare il mondo intero (n.d.r.).

Orbene, “una società che non fa pensare, che non rende accessibile a tutti la capacità di giudizio e l’opportunità di approfondire criticamente la propria storia, trasforma donne e uomini in tanti Ponzio Pilato, cioè in esseri senza responsabilità, meschini esecutori di ordini … Eppure, la fatica del pensare e del far pensare non sembra un esercizio diffuso all’interno di una società che preferisce le frasi fatte e gli slogan ad effetto, dentro la banalità quotidiana”.

La politica del bene e quella del male. “Una politica che produce vittime, profughi, diseredati (disoccupati, n.d.r.), orfani, impoveriti, esclusi, “silenziati” è una politica sacrificale, distruttiva e pericolosa”. E’ la politica del male (n.d.r.).  Molti si dicono contro questa politica, ma alle parole devono fare seguire i fatti. “Una politica non deve essere efficace, ma feconda, cioè non deve “vincere, imporsi”, ma “portare responsabilità dove c’era irresponsabilità, riconoscimento dove c’era anonimato, dialogo dove tutto era bloccato da fanatismi e idolatrie”.

 Questo “cammino collettivo” e questa “azione politica” meglio si realizza attraverso quattro tappe:

1) Il rispetto dell’altro, cioè la restitutio in integrum dei suoi diritti
2) La sincerità anche se tutti gli altri mentono
3) La testimonianza, cioè l’assunzione di responsabilità personale senza nascondersi dietro la burocratizzazione (partiti politici, gruppi, istituzioni)
4) La solidarietà, non limitandosi a sanare le situazioni più vicine a noi ma intervenendo su tutti coloro che sono stati relegati nelle “ultime posizioni” della griglia di partenza del Gran Premio della Vita. (n.d.r.).

Oggi. Tempo di votazioni, di elezioni. E noi? Rifuggiamo dagli slogan, dalle frasi fatte, dalle frasi ad effetto. Piuttosto, pensiamo con la nostra testa, secondo la nostra coscienza, e costruiamo il “nostro” modello anche se poi, e ciò è normale,  non lo ravvisiamo integralmente nel modello di quel personaggio, di quel partito politico. Ed allora? Un partito politico per ogni nostra singola coscienza, cioè per ognuno di noi? Non credo che ciò sia nè auspicabile nè possibile. E allora? Aut-aut, ecco la scelta, ecco l’angoscia kirkegaardiana: scegliamo chi sostiene il “nostro contenuto preminente” e sosteniamo quello (n.d.r.). Salvo poi esporre e vivere concretamente tutti i nostri principi.

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ILVA DI TARANTO: DANNI, COLPE, RESPONSABILITA’, RISARCIMENTI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 27 Novembre, 2012 @ 4:06 pm

Detto altrimenti: espropriamo l’ILVA, risaniamola e facciamola ripartire. Con costi a carico di chi? Di chi ha sbagliato e contemporaneamente “lucrato”.

 

Gilberto Govi. Commedia “Colpi di timone”. Un passaggio: “Se il timoniere timona male perché ha un occhio pollino, la colpa è del comandante: vuol dire che non doveva imbarcare un timoniere con l’occhio pollino”. Saggezza popolare.  In ogni SpA il Presidiente è caricato di una “responsabilità oggettiva” a prescindere dal fatto che abbia compiuto una certa azione personalmente o meno. Ubi commoda, ibi incommoda.

ILVA di Taranto (e non solo di Taranto). Decine di migliaia di posti di lavoro a rischio. La produzione a rischio. Molti personaggi della società, della politica e dell’università indagati o arrestati.  Da anni. La cosa durava da anni. Oggi le mancanze di chi ha agito, ha omesso di agire o avrebbe dovuto agire diversamente o controllare diversamente stanno generando danni enormi. A tutti i livelli. Orbene, la responsabilità penale è personale. Quella economica no. Le istituzioni che avrebbero dovuto controllare e intervenire devono essere chiamate responsabili dei “danni patrimoniali “ alla produzione nazionale e ai lavoratori. Salvo rivalersi sui più diretti responsabili.

Posso testimoniare di persona. In una SpA mista pubblico-privata un operaio, superato inconsapevolmente lo sbarramento di recinzione, cade da un solaio (un pavimento, per intendersi) e precipita al piano sottostante. Pochi metri, ma sul cemento. Quasi moribondo. L’autorità esamina immediatamente le posizioni e le azioni del Presidente, del Direttore dei Lavori, del Responsabile della sicurezza, del Capo cantiere. Inoltre verifica il posizionamento e la tenuta della barriera di sicurezza. Tutto risulta essere stato fatto secondo la legge da parte di tutti. Nessuno viene incriminato.

Ora mi domando: se tutto ciò accade per il caso di un singolo incidente, quanto maggiore avrebbe dovuto esser l’attenzione dei preposti al controllo nel caso ILVA? Lo Stato ha mancato. Direttamente o tramite i suoi organi. Lo Stato deve pagare. Subito. Potrà poi esercitare la rivalsa sui diretti responsabili. Infatti non possiamo permettere che si giochi a scaricabarile o a nascondino, non possiamo scaricare il peso (economico) di questo scempio sulle spalle dei lavoratori, i quali hanno lavorato in ambiente malsano ed ora, a causa di quel tipo di ambiente, resterebbero senza lavoro. Cornuti e mazziati. No. Non può essere.

Occorre “risalire lungo la catena delle responsabilità” penali e civili. La risposta non può essere la chiusura degli impianti. Se necessario, che gli impianti, anzi, la società, sia espropriata agli attuali proprietari ad un prezzo al netto del costo delle sospensioni/interruzioni del processo industriale, dei costi del risanamento ambientale e dei risarcimenti alle persone già purtroppo danneggiate dall’inquinamento prodotto dalla loro società.

A mali estremi, estremi rimedi. Inoltre, varrà d’esempio per il futuro. The rest are details …

P.S.: apprendo che Hollande per evitare licenziamenti della Peugeot, le ha aperto una linea di credito di 7 miliardi di euro con una opzione a trasformare il proprio credito in aumento di capitale, cioè in azioni della società, al fine di diventarne azionista a tempo e di rimettere successivamente in borsa le azioni non appena passata la crisi. Pare che analogo intervento Hollande  stia effettuando nel settore dell’acciaio francese.

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LA STRAGE DELLE T–SHIRT IN BANGLADESH

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 27 Novembre, 2012 @ 7:57 am

Detto altrimenti: la mancata globalizzazione della (nostra) “responsabilità occidentale”: alcuni precedenti (segnalo solo i morti. Poi vi sono centinaia di feriti e mutilati)

• Febbraio 2010. Bangkadesch. Brucia la Garib & Garib. 21 morti. Vende soprattutto alla svedese H&M.
• Dicembre 2010. Bangladesch. Brucia la That’s it Sportwear. 29 morti. Vende soprattutto ai gruppi USA Gap, Abercrombie-Fitch,  IC Penney.
• Settembre 2012. Pakistan. Bricia la Ali Enterprises. 289 morti. Vende soprattutto alla tedesca Kik.

Novembre 2012. Bangladesch. Uno dei paesi più poveri al mondo. Secondo esportatore mondiale di vestiti dopo la Cina. TF – Tazree Fashion. Una fabbrica. Un edificio di nove piani. 1600 schiave al lavoro. Giorno e notte. Turni massacranti. 37 dollari USA al mese. Fatturato annuo 35 milioni di dollari USA. La TF Vende i suoi prodotti a Wal Mart (USA); Carrerfour (F); KIK (D); C&A (GB): Ce n’è per tutti. Un corto circuito. Un incendio. Ennesima strage.

L’ipocrisia occidentale. La nostra. Globalizziamo la produzione ma non la responsabilità

Per le società che operano in Italia vogliamo i “durc”, le misure di sicurezza, i certificati antimafia, la tracciabilità del prodotto. Bene. Ma non vogliamo queste cose per tutte le società. No. Nemmeno in Italia, figuriamoci in Bangladesch. In Italia vi sono molte società “in nero”, gestite da Pakistani, Indiani, Italiani, etc., le quali operano quasi come in Bangladesch. I proprietari sono “nullatenenti”. Se li scopri e li arresti, dopo pochi giorni sono fuori e ricominciano, in altra sede, con altri prestanome. Andate un po’ a vedere cosa succede a Prato. Li costringete a metter in regola i dipendenti? A pagare i dipendenti secondo una corretta “busta paga”? Nessun problema: “Se vuoi continuare a lavorare per me, vai i banca, riscuoti la tua paga, vieni da me e me ne riversi la metà. Altrimenti sei fuori.”

Ma non basta. Avete letto “Gomorra”? Avete visto come fanno le grandi case della moda a farsi realizzare le migliaia di capi griffati che poi noi “furbi” acquistiamo a prezzi stratosferici? Facciamo qualche conto … cioè, altri li hanno fatti. Io li cito. Su di un paio di blue jeans che acquistate a 100 euro, solo 1 è andato al lavoratore che li ha realizzati.

Ma se un capo che è stato realizzato con un investimento minimo poi applichiamo un marchio famoso, ecco che può essere venduto a 500, visto che c’è chi lo compera a quel prezzo (cioè noi!). Ma allora le mafie riflettono e si dicono: “Facciamo anche noi come certe catene di negozi italiani: in vie cittadine diverse, in negozio diversi, vendiamo gli stessi capi di abbigliamento a prezzi diversi: i ricchi vorranno andare nel negozio centrale, “vorranno” spendere di più, ci mancherebbe altro! I meno ricchi saranno contenti di non doversi privare di quel capriccio e andranno a comperare quello stesso capo nel negozio periferico, risparmiando”. Detto, fatto. Ed ecco che le mafie mettono in vendita li stessi capi, a prezzi ridotti, sulle bancarelle, sui canali internet, etc.. Doppia delinquenza.

Non possiamo restare indifferenti a questo “grido di dolore”. “L’indifferenza non concede spazio allo scandalo del male, anche se talvolta accetta di crogiolarsi nell’emozione che deresponsabilizza. L’indifferenza opera perché il male venga rimosso, allontanato, coperto, mimetizzato. E se, con astuzia, essa lo esibisce, lo offre in pasto alla gente anche in forme insistite e truculente è proprio perché sa che svuotarlo della sua presa è il modo più diabolico per occultarlo” (Marcello Farina, “A rinascere si impara” Ed. Il Margine, Pagg. 108-109).

Cosa fare? Possiamo e dobbiamo risvegliare la nostra singola, fragile ma importantissima “coscienza individuale”, visto che le grandi mobilitazioni di massa sono fenomeni sempre più rari presso una comunità “civile, occidentale troppo distratta da se stessa”. Domandiamoci quali sono i successivi prezzi di vendita della nostra T-schirt nei vari passaggi, dove si forma l’utile, quanto è questo utile, e scopriremo che in qualità di “acquirenti finali” siamo la causa ultima di quelle morti.

Si obietta: “Ma comunque quella gente ha bisogno di lavorare …” Eh già, in questo modo allora non se ne esce più: “Ti tengo nella più squallida miseria, poi ti sfrutto perché tanto sei nella più squallida miseria … ma un tozzo di pane te lo dò: almeno .. ringraziami, no?”

Cosa fare? Reclamiamo regole europee per la certificazione dei sistemi di produzione delle merci che l’UE importa. Per il rispetto delle condizioni di sicurezza dei lavoratori, per il rispetto dei diritti umani.

Utopia? Forse. Ma nella vita guai a non averne, di utopie!

Nel frattempo, a livello personale, non acquistiamo più capi di abbigliamento firmati e griffati o anche semplicemente “made in chissadove”.

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STORIA, GIUSTIZIA, LEGALITA’, ORDINE PUBBLICO, POLITICA, FILOSOFIA: NELL’ IMMAGINARIO COLLETTIVO E NELLA REALTA’

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 26 Novembre, 2012 @ 9:35 am

Detto altrimenti: leggiamo dietro l’apparenza dell’immaginario collettivo somministratoci via via dai  mass media

La nozione di immaginario collettivo, pur essendo priva di valore scientifico, è ormai entrata nell’uso comune. Per immaginario collettivo si intende un insieme di concetti presenti nella memoria e nell’immaginazione di una molteplicità di individui facenti parte di una certa comunità. Memoria di ciò che soprattutto i mass media ci propinano. Immaginazione che noi stessi deriviamo da quella memoria. Ecco perché l’immaginario collettivo è diventato oggi più che mai il luogo privilegiato di ogni sorta di distorsioni e pregiudizi.

Gli Indiani d’America. Negli anni ‘50 e ’60 nell’immaginario collettivo erano “i cattivi”. Ma se erano cacciatori nomadi che difendevano la loro terra!

Nelle nostre ultime guerre, i nostri soldati erano “bonaccioni, Italiani brava gente”. Ma se abbiamo compiuto anche noi stragi, violenze e saccheggi! Soprattutto in Africa.

La legalità, la giustizia (secundum jus, secondo il diritto, cioè secondo la legge, cioè legale). Soprattutto si persegue e realizza tutto ciò sulle strade. L’auto della polizia insegue i cattivi e li arresta. Sulle strade. Questo è l’immaginario collettivo indotto dalle centinaia di telefilm che ci vengono somministrati per endovena. Ma voi, amici lettori, cambiate canale, cambiate canale, mi raccomando, finchè siete in tempo! Infatti quella legalità, quella giustizia è solo una parte minimale del tutto. La prima giustizia, la prima legalità è invece il pieno rispetto e la piena attuazione della nostra Costituzione, e che i poteri siano separati, anche nel senso che la “paga” dei parlamentari non sia decisa dai parlamentari, che i parlamentari siano eletti dal popolo e non nominati dai capi partito, etc.. Eccola la legalità, eccola la giustizia! Altro che il recupero delle auto rubate!

L’ordine pubblico. Non avvicinarsi alle “zone rosse”. Ecco, questo è l’ordine pubblico indotto nell’immaginario collettivo. E invece, “ordine pubblico” è anche che tutto ciò che è pubblico “sia in ordine” a cominciare dalle priorità del governo: che esse siano elencate tutte (non solo alcune) secondo un ordine di priorità responsabilmente aggiornato alle esigenze del moment(acci)o che stiamo vivendo. Un esempio? C’è voluto lo “sciopero della vita” per far destinare ai malati di SLA i 200 milioni necessari alla loro sopravvivenza. Ma non si doveva arrivare a questo punto! Evidentemente prima dello sciopero non c’era ordine nel (discernimento) pubblico.

La politica. Nell’immaginario collettivo quando va male (cioè quando chi ruba viene scoperto e condannato)  è “cosa sporca”; quando va bene (quando succede il contrario dell’esempio precedente, cioè quando non si è scoperti) è “alta politica”. Se poi se un importante senatore cambia spesso partito, è “persona politicamente attenta che sa seguire l’evoluzione della realtà, sa adeguarsi ai tempi ma solo per servirli meglio, saprà quel che fa, etc.” (che se la stessa cosa la fa una persona comune è semplicemente una banderuola).  Quante volte, di fronte ad un atto politico che non si giustifica sotto nessun profilo, abbiamo visto i sostenitori del politico di turno aggrottare le ciglia, porre lo sguardo all’infinito, una mano al mento e dire: “E’ politica, voi non potete capire, dietro vi sono considerazioni ben più profonde, inarrivabili “ E’ politica, appunto, e tutto viene giustificato. Spesso noi stessi non sappiamo reagire a quell’  “è politica”. Due visioni opposte radicate nell’immaginario collettivo. Entrambi sbagliate. La Politica sarebbe “occuparsi  – avendo potere e responsabilità, non solo potere – della Polis cioè della Città, dello Stato. Per fare il bene della Città, dello Stato. Non il proprio”.

La Filosofia. Nell’immaginario colletivo: chiacchere astratte, parole che non servono, tempo perso, roba da siori (signori) … roba da “Noi siamo gente concreta, che vi credete?”  Ma amici, filosofia non è “sapere” o “saggezza” (vera o presunta che siano), non è teoria, ma ricerca attiva della  verità, cioè vita vera, concreta: ecco, cosa c’è di vero in quello che la politica mi racconta? Cosa a me farebbe veramente bene? Appena l’ho capito, appena ho concluso la mia “fase filosofica della ricerca della verità”  voto o non voto questo o quel partito. E poi vivrò meglio. Più concreti di così si muore! Ecco, vedete che siamo tutti filosofi, anche se spesso “a nostra insaputa”? Che vi avevo detto?

E per voi, amici lettori, quali altri luoghi dell’immaginario collettivo dobbiamo prendere in esame? La discussione è aperta.

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