RISORSE DELL’AUTONOMIA TRENTINA SOTTO ATTACCO

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 2 Agosto, 2014 @ 3:53 pm

Detto altrimenti: una favola moderna (post 1618)

thS3WAIMWFC’era una volta un buon padre di famiglia che aveva quattro figli. Uno era molto bravo, lavoratore ed oculato. Gli altri tre non altrettanto: lavoravano poco, spendevano molto, sperperavano il denaro, contraevano debiti. Quel padre, pertanto, decise di lasciare al figlio oculato l’autonomia di amministrare  la maggior parte di ciò che egli si guadagnava, mentre disse agli altri di cercare di lavorare di più, di spendere di meno e comunque di rivolgersi a lui in caso di bisogno.

I figli poco operosi si approfittarono della situazione: continuarono a lavorare poco, a non risparmiare denaro, a indebitarsi,  a sperperare denaro e ad ogni fine mese chiedevano al padre di dare loro i soldi necessari a pagare i loro debiti e a saldare  ogni tipo di spesa. Il padre buono li accontentava, ma ad un certo punto per far fronte alle loro richieste fu costretto a ridurre le somme che lasciava in disponibilità del figlio laborioso, il quale gli disse: “Padre, io sono d’accordo con te che se gli altri fratelli hanno bisogno, chi si trova in una situazione migliore debba essere disponibile ad aiutarli. Tuttavia, prima di versare del buon vino in una botte sarebbe prima il caso di chiudere i tanti buchi che ha quella botte?

Il padre buono rispose: “Sì, figlio, hai ragione, ma i tuoi fratelli si trovano in una emergenza, non possiamo abbandonarli …”. Al che il figlio operoso rispose: “Va bene, ma allora facciamo così: questi denari io non te li regalo ma te li presto senza interessi e tu li presti loro  alle stesse condizioni,  ma con l’impegno di restituzione da loro a te e da te a me”.

“Bella idea, disse il padre buono, facciamo così”.

Quando il padre buono comunicò la cosa agli altri suoi figli, costoro credettero di poter continuare a sperperare il denaro, in quanto non avrebbero mai avuto l’intenzione di rendere il prestito ricevuto. Tuttavia il padre buono capì i loro retro pensiero e disse: “Figlioli, sappiate che se entro un anno non avrete iniziato a ripianare il vostro debito, io non vi darò più un euro”.

E fu così che i figli poco operosi furono costretti obtorto collo a modificare il proprio sistema di vita e di lavoro ed iniziarono a gestire se stessi con oculatezza e a risparmiare i denari per essere in grado di  ripianare il prestito che avevano ricevuto. Dopo qualche tempo loro stessi si resero conto di quanto meglio era comportarsi come aveva loro indicato il padre buono, e alla fine, saldati i debiti, furono trattati dal padre con lo stesso sistema riservato al fratello operoso, ottenendo la stessa autonomia amministrativa. In tal modo l’equiparazione dei due diversi sistemi di vita fu fatto, ma verso l’alto e non verso il basso. E tutti vissero felici e contenti.

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HAMAS E ISRAELE, DUE PAROLE

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 2 Agosto, 2014 @ 2:49 pm

Detto altrimenti: “Le parole sono pietre” scriveva Don Lorenzo Milani … (post 1617)

… e non solo pietre, mi permetto di aggiungere io. Infatti, in questo caso, anche razzi e soprattutto bombe, cannonate, disperazione, stragi di innocenti …

(quanto segue, da “Narcolessico”)

 Inizia

 israel-palestine[2]Hamas non è un’organizzazione paramilitare di stampo religioso.

Hamas è anche questo, certo. Ma non lo è anzitutto. E non lo è, certamente, per noi.

 Per noi Hamas è soprattutto una parola, una di quelle parole dal suono magico, dal potere evocativo, il nome del cattivo, l’eco della Shari’a, il verso dell’orco. La sua sola emissione presentifica una bolla indivisa cui ascrivere tutto il male possibile, perché tutto il male possibile inferto ai Palestinesi ne risulti – di riflesso – giustificato, corrisposto in qualche modo dall’abiezione della vittima, inaderente a qualunque responsabilità, giacché mai si è responsabili delle sventure che occorrono all’orco. Perché dal nostro punto di vista non si tratta di sventure e di un orco, a ben vedere, tutto interesserà fuorché il suo punto di vista.

Un’organizzazione paramilitare può avere un punto di vista. Un orco no.

 Israele, d’altro canto, non è uno Stato sovrano.

Israele è anche questo, certo. Ma non lo è anzitutto. E non lo è, certamente, per noi.

 Per noi Israele è soprattutto una parola, una di quelle parole dal suono magico, dal potere evocativo, il nome del buono, l’eco della Shoah, la voce dell’eroe. La sua sola emissione presentifica una bolla indivisa cui ascrivere tutto il bene possibile, perché tutto il male che ne deriva ne risulti – di riflesso – contagiato, volto al bene dalla santità del carnefice, adeso alla nostra empatia, giacché sempre si vibra di quello stesso sacrosanto gesto vibrato dal braccio dell’eroe. Perché dal nostro punto di vista si tratta proprio di un gesto sacrosanto e di un eroe, a ben vedere, tutto interesserà fuorché la violenza e il sangue che quel gesto, a fin di bene, comporta.

Uno Stato Sovrano può avere delle colpe. Un eroe no.

 Ecco perché non vogliamo chiederci cosa mai penseremmo di quanto accade ai Palestinesi se accadesse, che so, ai Portoghesi, ai Greci o agli Olandesi. Se accadesse, che so, agli Israeliani.

Perché l’orco è sempre lo stesso. Perché l’eroe è sempre lo stesso. Perché qualunque altro scenario è rubricato alla voce carnevale, e non è più serio né degno d’attenzione.

Perché nel mondo delle fiabe certe cose sono scritte e dette una volta per tutte e come sanno tutti i bambini si rileggono ogni sera nello stesso modo.

Il nostro immaginario impresso nella loro carne, sottratto a qualunque traduzione.

 Finisce

 

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NON DOBBIAMO ASSUEFARCI ALLA CIALTRONERIA E ANCHE A QUALCOSA DI BEN PIU’ GRAVE

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 1 Agosto, 2014 @ 6:55 am

Detto altrimenti: in casa vostra, non vi è mai capitato di “abituarvi” a vedere e quindi di accettare passivamente una bruttura?      (post 1616)

In casa nostra.Un muro scrostato, un tappeto sfilacciato, un quadro perennemente storto, lo spigolo del divano graffiato dal gatto … si vabbè, poi lo facciamo, ci penseremo, alla prima occasione, ora ho altro da fare … Ma poi, dopo qualche tempo, vengono meno anche queste pseudo giustificazioni: ecco, ci siamo “abituati” al brutto.

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Quasi un rissoso “bivacco” …

Al Senato (ma anche il Senato è casa nostra!). Urla, gesti scomposti, violenze verbali e non solo, lussazioni alla spalla comprese. E fino a qui aspetti esteriori anche se gravi e deprecabili ed alle quali NON dobbiamo abituarci. Tuttavia le  “violenze” più gravi alle quali assolutamente NON dobbiamo abituarci a mio parere derivano dal mix dei seguenti  “diritti/prassi parlamentari”:

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  • l’assenza di vincolo di mandato;
  • la prassi della migrazione da un partito all’altro (scilipotata palese);
  • la possibilità del voto  segreto (scilipotata occulta);
  • la facoltà di ostruzionismo;
  • la possibilità di scatenare crisi al buio;
  • l’interpretazione (illegale) dell’autorizzazione a procedere contro un parlamentare come valutazione nel merito delle azioni dell’ “imputato” e non come azione del giudice mirata/non mirata  a impedirne l’esercizio della funzione politica.

Ovvero:

 “Non sono vincolato dal vincolo di mandato, cioè io voto come decido io, secondo “coscienza” (leggi: interesse personale)  e non secondo le indicazioni del partito entro il quale sono stato eletto/nominato.  E voglio esercitare questo mio “diritto” anche senza metterci la faccia, cioè con il voto segreto. Inoltre, io posso presentare migliaia di emendamenti burla, che nulla hanno a che fare con la materia delle proposte politiche. E poi, quanto alla mia “particolare” gestione del denaro e del potere, fino a quando posso contare su una maggioranza “politica”, non sarò mai arrestato”.

A mio avviso ciò significa licenza di uccidere la legge e la democrazia, garantiti dall’anonimato. Ecco, si può concordare o meno con le mie conclusioni, ma ciò che non è possibile fare è assuefarci all’esistenza dei problemi, ciò che non è possibile fare è non riflettere sulle evidenti contraddizioni, illogicità ed illegalità del sistema.

 E nel frattempo? Nel frattempo … dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur! (Mentre a Roma si discute, la Sagunto (della nostra economia) è espugnata).

Come uscirne? Combattendo i fenomeni negativi? Si, certo, ma soprattutto eliminando i presupposti  che ne hanno consentito l’origine, come si dovrebbe fare per le stragi palestinesi.

 

 

 

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FRATELLI D’ITALIA?

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 31 Luglio, 2014 @ 9:03 am

Detto altrimenti: magari! Utinam an, magari fosse vero, ve lo dico anche in latino! (post 1615)

Fratelli. In una famiglia. Se uno continua ad arricchirsi e l’altro non arriva a fine mese, il primo cede un po’ di ricchezza al secondo.

Ma in Italia non succede così. Il ricco è sempre più ricco e il povero fa … il suo dovere: diventa sempre più povero. Mappoi (mappoi) ci sono gli altri, gli esenti, i derogati, quelli che le gestioni separate, quelli che i diritti acquisiti.

Diritti acquisiti? Io mi chiedo: chi ha inventato questa categoria, si è però dimenticato di ricomprendervi quelli sanciti dalla nostra Costituzione: il diritto al lavoro, alla famiglia, alla dignità … Hai visto mai che questi ultimi non siano prioritari sugli altri, cioè su quelli già censiti ….

E invece, ci capitano tutte addosso le disgrazie impreviste ma prevedibili, la pianificazione per le prossime elezioni e non per le prossime generazioni (Degasperi si rivolterà nella tomba!), le alluvioni del Nuovo Clima Tropicale … e noi? Noi comperiamo gli F 35; registriamo uno scandalo al giorno (che leva il precedente di torno); abbiamo una pressione fiscale del 53% (la quale pressione grava naturalmente solo su chi le tasse le paga): etc. etc…

Come uscirne? A mio avviso il primo problema è il problema antropologico: il paese è mio, io sono un suo “azionista”, io devo e voglio capire ciò che succede e quindi giudicare e poter agire di conseguenza. Subito dopo, anzi, insieme, il problema morale. Il terzo problema? Il ritardo nel costituire gli Stati Uniti d’Europa. Se non risolviamo questi tre problemi, sarà dura … molto dura uscirne.

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PALESTINA: LA STRAGE DEGLI INNOCENTI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 31 Luglio, 2014 @ 6:45 am

 (vedi anche mio post del 8 luglio 2014)

Detto altrimenti: non si può retare indifferenti. Non ci stiamo indignando abbastanza di fronte a queste “morti di serie “B”. Già, perché vi sono moti di seria “A” (olocausto) e morti di serie “B”: la strage degli Armeni, quella degli Indiani e degli Indios d’America, le continue stragi africane, la strage palestinese, quelle degli immigrati affogati nel Mare Nostrum, le stragi per fame e malattie nel mondo … (post 1614)

th7N98A9YYPalestina. Non sono antisemita, sia per una convinzione morale sia se non altro anche perché non si può essere “anti-“ una cosa che non esiste, cioè la “razza ebraica”, in quanto la razza umana è una sola: quella umana, appunto, ed io non sono ovviamente contro la mia stessa razza.

Non sono contro l’ebraismo se non altro anche perché io non sono contro alcuna religione.

Sono contro la guerra e le stragi, soprattutto se si tratta di stragi di innocenti.

ZOM1[1].

Dice: ma anche gli USA bombardavano le città tedesche pur di accelerare la fine della guerra. Sì, dico io, ma il tempo matura inutilmente? La cultura della guerra, del colonialismo sono – o almeno dovrebbero essere – cose del passato. Il colonialismo? Per certi aspetti la creazione dello Stato di Israele  a danno dei palestinesi rappresenta un episodio di colonialismo permanente, stante il continuo espandersi degli insediamenti dei coloni israeliani. Suggerisco la lettura di un libro: “Con il vento nei capelli – Una Palestinese racconta” di Salwa Salem (giunti Editore). Poi ne riparliamo. E adesso copiamo un po’ da un altro blog trovato in internet …

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 Inizia

 I Palestinesi possono morire tutti

 10 morti – Non posso parlare del conflitto Israelo-palestinese. Non ne so abbastanza.

 40 morti – Posso parlare, però, dell’opinione pubblica italiana, nella quale sono immerso da lungo tempo.

64 morti – Non parlerò, però, delle fazioni tifose, che puntualmente saltano fuori in mancanza di altre competizioni che consentano loro di schierarsi da qualche parte. Non credo sia necessario spendere parole per chi difende Israele in nome del suo status di democrazia persa nel mondo brutto e cattivo dell’Islam o per chi indossa una kefiah e solidarizza con un fronte armato a vocazione religiosa di cui in realtà non condivide (e non sa) quasi nulla. Considero queste posizioni ugualmente cretine e dei cretini non parlo.

115 morti – Parlo più volentieri di una terza categoria. Gli osservatori. I politologi da toilette, quelli che seduti sulla tazza sfogliano l’Espresso, Limes, il Corano (comprato il giorno prima perché avere in casa solo la Bibbia, in questa fase, li faceva sentire sporchi dentro) e dopo aver azionato lo sciacquone escono dal bagno nella sardonica e amara consapevolezza d’essersi affrancati dalla litigiosa superficialità del mondo.

120 morti – Li chiameremo “accademici”. Gli accademici non parteggiano. Scuotono la testa perché sanno che la loro preziosa visione delle cose, basata su un approfondito esame della posta in gioco, è minoritaria per definizione. Cosa sanno realmente del Medio-Oriente? Praticamente nulla, in realtà. Ma si stanno documentando e, scambiando i mezzi con il fine, eleggono il documentarsi a obiettivo primario della civiltà.

140 morti – È un vero peccato che Palestinesi e Israeliani, dopo tutto, non si fermino un momento per andare al bagno e documentarsi un po’ su loro stessi.

 150 morti – Ovviamente gli accademici parlano malvolentieri dei morti, perché fare retorica sul dolore non sarebbe degno.

160 morti – E allora parte il pippone solonico su quanto sia facile tifare per questo o per quello e su quanto invece sia più difficile, ma doveroso, comprendere le ragioni profonde che stanno dietro a quel conflitto. A questo punto il fiume si sta già ingrossando ma la piena arriva in fretta: la geopolitica, gli USA, i califfati, le primavere arabe, il Mossad, la Russia, la crisi Siriana, lo scenario iraniano in veloce mutamento, e la Giordania? Oh ma la Giordania?, la Bibbia, il Corano, Hamas, il Likud, l’Olocausto, la guerra dei sei giorni, il Sionismo, la diaspora, la fuga dall’Egitto, Mosè, il ruolo perduto dell’Italia nell’area mediterranea, ti ricordi Craxi e la crisi di Sigonella?, D’Alema che dopo tutto, Andreotti che con Arafat si andava via che era una meraviglia, e spiace – alla fine – non trovare un’ultima rubrica che metta in evidenza come il regime alimentare osservato dalle due fazioni non aiuti a fornire al cervello le giuste vitamine per attivare l’enzima della pace.

230 morti – Facile dire no alla guerra. Facile condannare Israele. Facile gettare fango su Hamas. Per carità. L’accademico – se solo gli prospettate una di queste cose – se ne ritrae schifato che manco un gelato alla cacca e torna subito a leggere qualcosa sugli sport praticati nel tempo libero dagli arabi israeliani, un aspetto della vicenda che in questo clima da stadio rischiava di passare sotto silenzio e che invece è ovviamente fondamentale per capire di cosa stiamo parlando. E giù letture. Alla fine bisogna ricorrere al Guttalax per avere di che chiudersi in bagno senza destare sospetti. L’unica voce di spesa che supera quella delle riviste specializzate, in questa fase, è quella per la carta igienica.

250 morti – Ora, volete mettere in crisi un accademico? Chiedetegli una priorità. Andate lì e gli dite: “Tesoro, senti, puoi uscire un attimo dal bagno? Allora, qua ormai siamo a 300 morti. Ho capito che ancora non abbiamo analizzato il DNA dei capelli trovati sulle spiagge di Gaza, ma fra tutte le questioni che sollevi con tanta ponderazione ti dispiacerebbe indicarmi una priorità? Ti dispiacerebbe dirmi qual è, secondo te, la cosa che va fatta per prima?”

302 morti – La priorità è piuttosto facile da individuare: interrompere il massacro, evitare che il numero dei morti aumenti. E visto che quei morti sono al 98% palestinesi, la priorità è fermare Israele. Punto. Non perché si debba tifare per Hamas ma perché i morti li fa Israele. Priorità, appunto. Facile metterla così, dirà l’accademico, ormai sommerso dai suoi approfondimenti e costretto, in emergenza, ad usarne alcuni come carta igienica.

340 morti – Magari fosse facile metterla così. Non è facile per niente. Anche il Papa – che non ha un elettorato davanti al quale farsela sotto – si limita a dichiarazioni generiche, cose del tipo: basta alle violenze e no alle cose brutte. Nessuno fra quelli che contano qualcosa, in Europa e tanto meno negli Usa, si azzarda a chiedere che Israele sospenda l’eccidio. Tutti quanti sappiamo che si tratta di questo: un eccidio, un genocidio, uno sterminio scientifico e programmato. Al massimo, tuttavia, capeggiati dalla nostra tribù di accademici, siamo disposti a manifestare amarezza per la tragedia umana (stando ben attenti a non darle colore o identità), salvo poi tirare i remi in barca quando si tratterebbe di individuare i responsabili e mandare loro un messaggio chiaro. Perché?

350 morti – A questa domanda, per piacere, non fate rispondere l’accademico che dentro di voi si passa la mano sotto il mento. Chiudete il saggio sulla crisi armena e sulla latitanza diplomatica della Turchia e ammettete a voi stessi una cosa. Ammettete a voi stessi quello che nessuno dice. Quello che non si può dire. E cioè che alla fine, a noi, noi italiani europei occidentali americani atlantici come ci pare, a noi insomma, va bene così. Ammettete a voi stessi che sotto sotto, fra le pieghe di un inconscio collettivo nemmeno troppo inconscio, il nostro cuore batte forte per i missili che con tanto eroismo si schiantano su Gaza, facendo piazza pulita di morettini dall’aria poco raccomandabile, grandi o piccini che siano. Ammettete a voi stessi che Israele campeggia nel vostro immaginario, anzitutto, come avamposto occidentale nella terra del burqa, un avamposto a cui tutto è concesso perché tutto ciò che l’attornia appartiene a un modello di civiltà che non è il nostro e di cui, in fondo, non ci può fregare di meno. Ammettete a voi stessi, a voi stessi accademici, a voi stessi osservatori, a voi stessi teorici da toilette, a voi stessi geopolitologi in botta di guttalax, ammettete a voi stessi che i Palestinesi possono morire tutti, dal primo all’ultimo.

370 morti – Ammettete a voi stessi che l’attitudine a questo patologico e compulsivo approfondimento è un modo per prendere tempo e consentire alla tragedia di consumarsi come meglio crede. Nella peggiore delle ipotesi, in fondo, sarete colti a studiare e nessuno potrà accusarvi di nulla. Ammettetelo. E provate a pensare, per averne la riprova, a che reazione avreste se la situazione fosse a parti invertite, con Hamas che massacra gli Israeliani con bombardamenti a tappeto e incursioni di terra. Le navi di mezzo mondo sarebbero schierate davanti a quelle coste a spolverare i Palestinesi dalla faccia della Terra, e col cavolo che perdereste tutto questo tempo a documentarvi, ad approfondire e a nascondervi dietro le clamorose foglie di fico di cui in questi giorni amate addobbarvi. Saremmo tutti ebrei, altro che Kennedy che fa il berlinese. Perché i morti non sono tutti uguali. E i loro, i morti di quelli lì, non contano niente. Ammettetelo, su. Per questo possiamo perdere tempo a fare gli accademici. Per questo rinunciamo a darci una priorità.

 400, 450, 480 morti – Fate un favore a voi stessi. Ammettetelo e finitela di prendervi in giro. L’unica cosa peggiore di un crimine è l’incapacità, sottoscrivendolo, di averne il coraggio e la faccia.

 1300 morti – “Fatti loro“: il riassunto dei vostri studi, fondamentalmente, è questo.

 Finisce

 

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STALLI SOSTA EX BIANCHI VIALE TRIESTE -PRO MEMORIA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 30 Luglio, 2014 @ 6:41 pm

Detto altrimenti: post di documentazione sul grado di “disoccupazione” gli stalli bianchi di Viale Trieste, “privatizzati”.  (post 1613)

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Si veda il post del 20 giugno 2014, Oggi, mercoledì 30 luglio 2014,  alle ore 17,00, dei 20 stalli ex bianchi “privatizzati” in cima al Viale Trieste, lungo il torrente Fersina. ne risultano occupati uno da un’auto con contrassegno della Polizia Locale e tre da auto private senza contrassegno. Questo è il grado di “disoccupazione” usuale. Ma allora, perché sono stati sottratti all’uso pubblico e non rimpiazzati dal Comune? Dice … stiamo studiando una soluzione ….

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Sopra la cascata d’acqua …

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Poco più a valle, i fiori sui ponti del torrente Fersina. Bellissimi, Ottima iniziativa, questa, del Comune …

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HEIMAT, COMUNITA’ DI VALLE E TERRE ALTE (HIGHLANDS)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 30 Luglio, 2014 @ 11:11 am

Detto altrimenti: heimat … heim … home … casa … (Es.: Bergamo … Berg-heim, la casa in montagna, Bergano Alta),  luogo ove si hanno radici … (post 1612)

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“Io, la mia patria or e’ dove si vive” scrive il Pascoli nella sua bella “Romagna”. L’altro giorno su un giornale locale (locale, siamo a Trento–blog!) ho letto un interessante intervento sulla distinzione fra heimat e nazionalità. Oggi, sullo stesso giornale, leggo osservazioni sull’heimat in risposta alla bocciatura delle Comunità di Valle fatta dal Consiglio di Stato, che rimanda il tutto alla Corte Costituzionale a meno che nel frattempo non intervenga la “sanatoria” della riforma provinciale in corso.

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La mia “heimat”? Ve la indicherò alla fine del post. Vi anticipo intanto dove ho vissuto i miei 70 anni (elencati in ordine di durata decrescente): 27, Genova – 25, Trento – 8, Monza – 5, Torino –  5, fra Pisa, Carrara, Biella, Reggio Emilia. Totale 70, i conti tornano, controllate pure …   

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Heimat, non necessariamente il posto nel quale si è nati, ma quello in cui si hanno o si son messe le radici, quello del quale si percepisce l’appartenenza, indipendentemente dallo Stato o nazione al quale quel luogo, e non noi stessi, appartiene. Ad esempio, l’heimat trentino-tirolese connota un comune senso di appartenenza transfrontaliero.

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 Ma veniamo alle Comunità di Valle.

A)     La critica (di presunta incostituzionalità) del Consiglio di Stato è la seguente:

  1. L’elezione diretta da parte dei cittadini della parte preminente delle loro Assemblee ne fanno un organo istituzionale non previsto dalla Costituzione e dallo Statuto di Autonomia.
  2. La modifica (rectius, diminuzione) dei poteri dei Comuni spetta alla Regione e non alla Provincia.
  3. Le Comunità di Valle si giustificherebbero solo se fossero espressione diretta ed esclusiva dei Comuni

B)      Chi le ha fatte nascere oggi le spiega così: le CDV dovevano

  1. smagrire l’elefantiasi della provincia;
  2. organizzare e razionalizzare la rete storicamente molto frazionata delle aggregazioni comunai;
  3. dare alle Valli il loro senso di soggettività e di appartenenza (heimat);
  4. organizzare unitariamente servizi di tipo amministrativo, a minor costo.

 Io mi permetto di osservare che a tutto questo problema di “organizzazione istituzionale” fa da contrappeso l’altro ben più rilevante  di “quale modello di sviluppo vogliamo/dobbiamo per il nostro Trentino”. Ma questa è un’altra storia …

Piuttosto mi permetto qui, gentili lettrici e cortesi lettori, di sottoporre alla vostra attenzione due mie considerazioni, per poi soffermarmi solo sulla seconda di esse:

  • In numerosi precedenti miei articoli (post) io insistevo a che le CDV fossero gestite dai Sindaci;
  • perché io, nato a Genova, parlo del “nostro” e cioè anche “mio” Trentino?
Genova0overlook[1]

Wherever I wander, wherever I rove,  the hills of my Genoa for ever I love (1)

Ed allora parliamone di questa heimat! Qual è la mia? Quella trentina. Ma, dice, tradisci le tue origini? No, ragazzi, si può amare sempre di più una realtà senza peraltro smettere di amarne anche un’altra. Comunque, avrete capito che la finalissima della corsa alla titolarità dell’heimat si è giocata fra Genova e Trento. E ha vinto Trento. Perché? Perché gli anni genovesi, i primi della mia vita, sono stati vissuti tutto sommato superficialmente se paragonati agli (attuali) anni trentini. Mi spiego. Dopoguerra, due genitori impiegati statali, si cresce, ci si pongono meno problemi di oggi. Il lavoro? Si trovava. La casa in affitto? Anche. La scuola, l’università … canoni classici, molto classici, forse troppo classici per stimolare le riflessioni e le considerazioni delle quali invece oggi mi arricchiscono la più avanzata età ed il maggior coinvolgimento sociale, sul lavoro e culturale che ho maturato a Trento. Dal che è nato un vero e proprio senso di appartenenza,  heimat appunto. Anche perché i miei genitori, siciliana mamma, toscano il babbo, si sono conosciuti e fidanzati a Bolzano! E poi, mia figlia mi ha fatto diventare nonno qui a Trento!

Heimat, senso di appartenenza, aspetto antropologico del vivere umano: questa terra appartiene a me, io appartengo a questa terra. Era questo uno degli obiettivi che indusse a far nascere le CDV. Ed ecco chiuso il cerchio fra la mia vicenda personale e quella delle CDV.

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Sopracornola. Sullo sfondo il “primo” Adda che esce dal Lago di Como, a Lecco

Proseguo. Recentemente mi sono recato nel lecchese (ex bergamasco) per visitare alcuni luoghi della prima infanzia di mia moglie (v. relativo post “Alla ricerca del tempo … passato” del 12 luglio scorso). La sensazione che ne ho tratto e che solo nei paesini di montagna si percepisca l’heimat, mentre nelle città e nei paesi del fondovalle questa “possibilità di percezione” non esista: infatti a valle, un paese è addossato all’altro senza soluzione di continuità, senza una sua particolare specifica connotazione o diversa storia … insomma, queste sono solo mie impressioni, probabilmente  errate, ma sta di fatto che alcune persone della frazione più piccola che abbiamo visitato (Sopracornola) , persone “dotate di heimat”, hanno scovato il mio post, ci hanno contattato etc.. Dalle città e dai paesi del fondovalle, nulla. Sarà una combinazione, ma a me piace interpretarla e spendermela così.

Termino. Heimat, senso di appartenenza, aspetto e problema antropologico. Quando tutti, in Europa, conquisteremo e vivremo il senso di appartenenza al territorio (quartiere, città, provincia, regione, euroregione, stato, Stati Uniti d’Europa), allora le cose andranno meglio per tutti sotto ogni profilo ed in ogni ambito territoriale.

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(1) da un verso di Robert Burns (1759 – 1796), tratto dalla poesia “The Highlands”: “Wherever I wander, wherever I rove / The Hills of the Highlands for ever I love”. Ora, se alla parola Highlands sostituisco il termine Trentino e traduco (quasi letteralmente) il tutto in italiano, questa potrebbe essere la poesia di un esule trentino e suonerebbe press’ a poco così:

Trentino

Il mio cuore è in Trentino, il mio cuore … non  qui,

il mio cuore è in Trentino, a caccia di cervi.

A caccia di  cervi, inseguendo il capriolo,

il mio cuore è in Trentino ovunque sarò.

Addio al Trentino, addio al mio Nord,

ove nasce il  valore e la dignità!

Dovunque mi rechi, dovunque sarò,

i tuoi monti, Trentino, per sempre amerò.

Addio  monti dall’alto mantello di neve;

addio  al Tirolo di verdi vallate;

addio boschi e scoscese foreste,

addio  tuoni di acque impetuose e ruscelli.

Il mio cuore è in Trentino, il mio cuore … non  qui,

il mio cuore è in Trentino, a caccia di cervi.

A caccia di  cervi, inseguendo il capriolo,

il mio cuore è in Trentino ovunque sarò.

The Highlands, le Terre Alte della Scozia, ma anche noi qui in Trentino abbiamo le nostre Terre Alte, recentemente oggetto, fra l’altro, di attenzione  da parte di un settore della politica nostrana, che sulle Terre Alte organizza una serie di convegni e interventi.

E poi, ragazzi, “Addio monti? Ricordate l’addio monti del Manzoni nei Promessi Sposi? Eccolo “Addio/ monti sorgenti dall’acque- ed elevati al cielo/ cime inuguali/ note a chi è cresciuto tra voi/ e impresse nella sua mente/ non meno che l’aspetto de’ suoi familiari/ torrenti- de’ quali si distingue lo scroscio/ come il suono delle voci domestiche/ ville sparse e biancheggianti sul pendìo/ come branchi di pecore pascenti/ addio!/”. Chissà se Don Lisander aveva letto la poesia di Robert Burns …

E già che ci siamo … avevo in mano un libretto ricevuto in regalo, tutte le Poesie di Giovanni Berchet (esule a Londra, quello de “L’han giurato li ho visti in Pontida”), edito in lingua italiana a Londra nel 1848 (!). Per dedica, un verso “Adieu, my native land, adieu! Native land? A me pareva di ricordare “native shore”. Didatti, corro a prendere il volume di letteratura inglese del mio ginnasio che conservo gelosamente (edizione del 1956!) e trovo la poesia originaria: G.G. Byron (1788-1824): “Childe Harold’s adieu”: Adieu, adieu! My native shore/Fades o’er the water blu; …” 

 

 

 

 

 

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L’AUTORIDUZIONE DEGLI EMOLUMENTI DELLA POLITICA: UN ERRORE!

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 29 Luglio, 2014 @ 9:08 am

 

Detto altrimenti: occorrerebbe ben altro, infatti …   (post 1611)

SpA, Società per Azioni, qualsiasi essa sia. Non si è mai visto che i suoi Amministratori  possano deliberare da loro stessi i propri emolumenti. Questo è compito dell’organo superiore, cioè dell’Assemblea degli Azionisti, cioè dei proprietari della Spa.

Ora, chi sono i “Proprietari” degli Enti Pubblici Stato, Regione, Provincia e Comuni se non i cittadini? E chi sono gli Amministratori di tali Enti?

Ma, dice, intendi che l’autoriduzione degli emolumenti pubblici sia un errore? Sì, dico io, in quanto e nel caso che – come purtroppo oggi avviene – la facoltà di autoriduzione presupponga a monte il potere della autodeterminazione di tali importi. Il che non va.

Dice … ma allora tu diresti che dovremmo essere noi Cittadini a decidere il livello dei loro emolumenti? Certo, dico io, altrimenti mi si dovrebbe – quantomeno – spiegare il perché di questa differenza fra sistema logico  privato e sistema illogico pubblico.

Dice … la tua è un’utopia, ovvero  un traguardo  irrealizzabile. Si, dico io, concordo, è un’Utopia (notate la maiuscola, n..d.r.), solo che l’Utopia è un  traguardo non ancora realizzato.

Dice … ma gli amministratori pubblici hanno una rande responsabilità … Alt, dico io. Se un Amministratore di una SpA (pubblica o privata) sbaglia (per errore o colpa grave. Se interviene il dolo la questione è ben diversa), non solo è “licenziato” ma subisce l’azione di responsabilità per i danni arrecati. Gli amministratori pubblici invece, ove sbaglino (allo stesso titolo) al massimo non sono rieletti o ri- nominati.

Inoltre, dico io, la legge impone all’amministratore di una SpA pubblica di essere assicurato, in modo che in ogni caso l’Ente Pubblico azionista possa rivalersi degli eventuali danni da lui causati. Per la “politica” cosa avviene? Nulla di tutto ciò: si fa, di rifà, si disfa, si fa ostruzione (ostruzionismo), si omette, si interviene in emergenze assolutamente prevedibili  e nessuno è chiamato a pagare i danni, tanto meno nessuno è assicurato …

Responsabilità come diritto-dovere di agire; come titolarità  dell’obbligo dell’eventuale risarcimento del danno provocato; responsabilità di governare; responsabilità di fare una (corretta) opposizione; responsabilità per i danni provocati dall’ostruzionismo … Responsabilità: qui siamo a metà strada fra “le parole sono pietre” di Don Lorenzo Milani e la filosofia del diritto di Hans Kelsen …,

Concludo: una parte politica insiste perché sua definita la responsabilità civile dei magistrati. Ma i “poteri” dello Stato sono tre: giurisdizionale, legislativo ed esecutivo. Allora mi domando io: sbaglio se – condottovi   proprio da quella stessa parte politica – arrivo a pensare anche alla eventuale responsabilità civile degli  altri due “poteri”? O tutti o nessuno, dico io.

Dice: anche questa tua idea è un’utopia. Dico io: Utopia? Vedi sopra.

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OGGI E’ LUNEDI: SI LAVORA!

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 28 Luglio, 2014 @ 9:01 am

Detto altrimenti: per me, pensionato, il “lavoro” è diffondere idee (spero buone!)  (post 1610)

OSTRUZIONISMO A ROMA

Chi vince le elezioni – ed ogni maggioranza, , governa. Chi le perde – ed ogni minoranza –  fa opposizione, non ostruzione. Sono due cose diverse. Chi perde – ed ogni minoranza – deve controllare; ;può non approvare l’operato della maggioranza;  può proporre altre soluzioni. Non può e non deve “ostruire”, cioè impedire l’azione di governo di chi ha vinto le elezioni – e di ogni altra maggioranza. Quindi  se io dovessi descrivere su un vocabolario della lingua italiana cosa si intende con il termine “ostruzionismo”, scriverei: “Ostruzionismo:  azione di vero e proprio sabotaggio illegittimo all’azione del governo e di ogni altra maggioranza. Reato non ancora previsto nel codice penale”.

VITALIZI E PRIVILEGI DELLA POLITICA LOCALE (TRENTINA)

Non accetto di essere coinvolto a discutere sui mille particolari. Pongo solo una domanda: perché l’età della pensione dei nostri politici può essere diversa (cioè minore) di quella di un operaio, di un impiegato, di un dirigente? Forse perché esistono altre categorie del settore pubblico (ed esistono!) le quali – attraverso gabale diverse – riescono a mandare in pensione i propri “castigiani” (appartenenti alla casta) a 55 anni.

QUELLI CHE …

“Nel mondo c’è chi può e chi non può: io può”.

 

 

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FIAB TRENTO IN VAL VENOSTA (VINSCHGAU)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 27 Luglio, 2014 @ 8:11 pm

FIAB TRENTO

FEDERAZIONE ITALIANA AMICI DELLA BICICLETTA

(FIAB è amicizia, sport, natura, cultura)

ViaClaudiaAugusta5-305x273[1]

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Nel bimillenario della morte dell’imperatore Ottaviano Augusto: l‘antica strada romana Via Claudia Augusta” di 350 miglia romane (circa 520 km) congiungeva attraverso le Alpi l’Adriatico al Danubio collegando il porto lagunare di Altinum ad Augusta. Oggi ha congiunto noi tutti,  in bicicletta, per 85 km dai 1500 metri del Passo Resia ai 350 metri  di Merano (per chi vuole  proseguire: Merano -BZ, 35 km; BZ-TN,  65; Tn-VR, 100).

(vedi anche  www.viaclaudiaaugusta2014.it )

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“Audacin …bus” che non è latino (ablativo e dativo plurale della terza declinazione)

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Detto altrimenti: fortuna juvat audaces, la fortuna aiuta gli audaci … (post 1609) – Una giornata fra amici, vecchi e nuovi, spensierata. Molto moto, qualche panino, i più veloci aspettano e aiutano gli altri, nessuna competizione, nessun confronto, ma innanzi tutto …  un saluto al nostro amico momentaneamente assente per indisposizione, Edoardo P., validissimo pedalatore e fotografo, indegnamente (e molto temporaneamente) sostituito alla fotocamera sociale dal sottoscritto.

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Da una banda  el bus ….

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Ma perché audaci? Perchè ci siamo mossi in bicicletta, per 85 km, letteralmente fra un temporale e l’altro,   nel senso che li abbiamo schivati tutti, o meglio, loro hanno schivato noi,  scaricando acqua solo in luoghi dove eravamo già/non ancora passati! Wir haben Schwein gehabt! Abbiamo avuto  fortuna!

(foto a lato, di Sergio Tait, per gentile concessione)

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… e da l’altra el Lac!

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Insomma, estate pazza = gite coraggiose. Partiti in 35 in pullman da Trento, siamo scesi dal bus ai Laghi di Resia (m. 1500)  e da lì abbiamo iniziato a pedalare.

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Audacindiscesa

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In buona discesa verso Malles, e poi falsopiano, qualche salitella minima, leggera discesa, fino a Merano, dove siamo arrivati sempre in 35!

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Audacinsosta

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La discesa a Malles  … occorre avere freni buoni, fatica quasi nulla  (certo faticavano di più quelli che la risalivano!). Tratti nel bosco, fra i prati, attraverso paesini … entusiasmante!

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Aprite il portone!

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Glorenza. Riempiamo le borracce alla fontana, abbandoniamo la ciclabile per una deviazione che ci conduce ad attraversare il paese, percorriamo un pezzo di strada carrozzabile e poi di nuovo sulla ciclabile.

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E l’ultimo chiuda la porta!

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Glorenza …

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‘sa fente? Nente, stente o ‘sa fente?

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Glorenza …

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Rari nantes

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Punto notevole, un bicigrill su un grazioso “invitante” laghetto, molto ben fornito di pietanze sud tirolesi, nel quale le graziose cameriere sono vestite con vestiti tradizionali del folclore locale, molto eleganti.

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Mi hanno detto: “Tieni in dentro la pancia!” … (ma io la stavo già tenendo!)

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Sosta per un breve pasto, torna il sole e via, si riparte! (Scusate … questo a fianco sono io … evvabbè … per una volta che mi ci metto nelle foto  … dai … passatemela!)

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Incredibile ma vero!

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Altro punto notevole: un chiosco self service (non automatico!) ci offre succhi di mela, miele, marmellate. Il denaro viene versato in una specie di improvvisata cassaforte. I prezzi della merce in vendita sono segnati su di un tabellone, il tutto è lasciato all’onestà degli acquirenti. Impariamo!

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Tornanti per bici

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Destinazione Lagundo, dove arriviamo dopo avere planato sui bellissimi ed entusiasmanti tornati riservati a noi ciclisti, ricavati in mezzo a vigneti e pomari (ma che ci vuole a collegare le ciclabili di Trento con quelle della Valsugana e della Valle dei Laghi? Impariamo!)

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Davanti ad un “pezzo autentico” della Via Claudia Augusta

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A Lagundo ci accoglie l’Assessore alla Cultura del Comune, il dr. Giancarmine Tollis (a destra nella foto)  e la Signora Laura Piovesan Schutz (a sinistra nella foto, la “u” avrebbe l’umlaut ma il mio PC non ce l’ha o io non son capace!) esperta studiosa della Via Claudia Augusta, che ci illustrano il piccolo ed interessantissimo sito archeologico-Museo “Testa di ponte” (romano). Mi aspetto che la Signora Piovesan intervenga con suoi commenti e soprattutto integrazioni sul loro lavoro e sui loro siti informativi! Grazie Signora, Grazie Assessore!

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Dall’alto…

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Lagundo …

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Auf der Alm da gibts kasund!

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Breve sosta a Foresta, alla Forst con birra (insomma, non ci siamo fatti mancare nulla!)

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Uno dei tanti (parziali) gruppi fotografici!

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Ecco, sto terminando. Vi parrà un post molto sintetico, ma ora (sono le 20,1o)  devo affrettarmi ad inserire alcune foto ed essere pronto per le ore 22,00, orario entro il quale gli amici della gita mi hanno “sfidato” a pubblicare questo post. Poi, dopo che io avrò vinta la scommessa, potremmo ritornare in argomento! Ciao e buona bici e buona FIAB a tutti! Alla prossima!

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P.S.: Esempio di toPPonomastica biLLingue!

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Altro P.S.: inserimento dell’ultima foto e revisione: ore 21,48: ho vinto la scommessa!

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