IL MASO LIMAR0’

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 20 Giugno, 2015 @ 7:57 pm

Detto altrimenti: ne ho già parlato nei post n. 866 e 987, ma oggi … (post  2089)

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.… oggi al Maso è stato presentato il libro “Maso Limarò” – Il fascino di un luogo rinato, a firma del Vescovo di Trento Mons. Luigi Bressan e della giornalista Silvia Gadotti. Limarò, da “Limes”, confine fra il Principato Vescovile di Trento e la Contea di Arco, si trova sul bordo di una Forra, un profondo canyon scavato dal Sarca che scende da Madonna di Campiglio, 6,5 km per 250 metri di profondità. Perché il Vescovo? Perchè il Maso è di proprietà di un Ente della Curia, presieduto da un mio vecchio conoscente,  Gianni Benedetti, ed è dato in gestione a privati, i simpatici ed attivissimi Enzo e Stefania.

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Al km. 2,6

Alla scoperta dei “lavori in corso”

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Quasi per caso, due anni fa, da ciclista qual sono, scoprii la pista ciclabile che è stata ricavata nella sede della vecchissima strada che congiungeva le Giudicarie esteriori a Sarche, breve capolavoro della natura e dell’uomo, che in questo caso hanno reciprocamente collaborato.

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E il maso si trova ad un tiro di sasso dalla pista. Pedalando lungo essa mi sono venute alla mente le difficoltà che dovevano avere, nell’ 800, i contadini delle Giudicarie per recarsi pressi gli uffici amministrativi e giudiziari dell’impero d’Austria situati a Innsbruck, difficoltà che furono fra le motivazioni che indussero Don Lorenzo Guetti, nativo di Vigo Lomaso, a recarsi in Austria per perorare la causa dell’autonomia amministrativa della regione, scintilla dalla quale prese poi il via il processo che portò, nei secoli, all’attuale Autonomia speciale. Quello stesso Don Guetti che – sull’esempio delle casse rurali create dal tedesco  F. G. Raiffeisen, fondò le prime Casse Rurali, dando il via all’attuale Cooperazione Trentina.

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A passeggio sopra il Maso

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Insomma, la Forra del Limarò evoca molti avvenimenti e si legge sotto diversi aspetti: quello storico,  imprescindibile; i racconti che sono nati intorno a questo posto incantato; le bellezze naturali che si offrono al turista; e, last but not least, gli sport che si praticano: l’attraversamento di ponti thailandesi e percorsi “tibetani”, la zip line, il canyoning,  percorsi su vie ferrate, palestra di roccia, gite in mountain bike e molto altro.

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La “Zip Line”

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Il tutto per ricoverarsi la sera in accoglienti camere, in sale ed anche ex stalle oggi cantine di legno e pietra, come quelle di una volta, anzi, “quelle di una volta”. Tuttavia il libro non si limita ad illustrare le ricchezze del luogo, ma anche quelle che da quel luogo di possono raggiungere in brevissimo tempo.

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Il gestore Enzo fra due istruttori

Direte: ma libri del genere ne esistono già molti, in Trentino! Si, d’accordo, ma non centrati sulla “perla” Limarò. Per conoscere ed apprezzare in pieno la quale tuttavia occorre soggiornarvi, e godersela soprattutto nelle primissime ore del mattino e la sera tardi, quando i turisti di passaggio – di passaggio, appunto – sono “passati” e chi resta a dormire può respirare l’autenticità del luogo. Per godere appieno del “fascino Limarò” inoltre mi permetto di suggerire la lettura quanto meno della parte storica del libro in questione, dalle origini (1200 d.C.? Sicuramente 1494 d.C.;  prime risultanze cartografiche (tirolesi) del 1774;  all’abbandono degli anni 1970; al “limes” fra i diversi odierni Comuni trentini e le diverse Comunità di Valle; all’ intervento conservativo iniziato nel 2009 ed oggi  perfettamente terminato.

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Oltre il km 2,6

Verso il Maso Limarò

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Ciclisticamente parlando, la pista ciclabile che sta per congiungere Ponte Arche alla tratta già in funzione che costeggia il maso e che già ora taglia fuori le pericolose gallerie, renderà ancora più attraente l’anello Riva del Garda-Passo del Ballino-Sarche-Riva e/o viceversa;  e la tratta Molveno-Ponte Arche-Sarche-Riva del Garda e /o viceversa.

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A sinistra, la SP – Al centro, nel verde, il Maso – a destra il canyon

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Per maggiori notizie e fotografie: www.gotravelgo.eu – info@gotravelgo.eu – tel. 0039 3777056232 – 0039 3358128140

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UN’IDEA REGALO E IL REGALO DI UN’IDEA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 20 Giugno, 2015 @ 11:07 am

Detto altrimenti: dove andranno  a finire  … certe idee?  (post 2088)

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“Dove andranno a finire i palloncini?”  si chiedeva anni fa una bella canzoncina di Renato Rascel … Dove andranno a finire certe idee. mi chiedo io oggi? Ora, sull’ “idea regalo” sappiamo già tutto: in particolar modo sotto le feste, ne sono piene le vetrine dei negozi nell’esercizio del loro marketing “diabolico”, ovvero nel farci sorgere un bisogno che altrimenti non avremmo mai avvertito. Ma questa è un’altra storia che io ho utilizzato solo come spunto per parlare di un fenomeno diverso, quello del “regalo di un’idea”. E allora la domanda è: “Dove andranno a finire certe idee letteralmente regalate agli altri?”

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Mi spiego. Avete una buona idea che può essere utile alla collettività. La illustrate ad un politico importante. La prima domanda che spesso vi fa è la seguente: “L’hai già esposta ad altri?”, il che può sottendere alla possibilità che il vostro uomo intenda vendersela come idea propria.

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Ne’ per i talenti, nè per le idee …

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Ma questo, tutto sommato, sarebbe il minore dei mali, in quanto comunque l’idea in ogni caso potrebbe trovare attuazione a vantaggio della collettività. Invece, il male peggiore è che di quell’idea non se ne faccia nulla, che non ne sia nemmeno verificata la realizzabilità, che non ne  sia finanziato un pre-progetto. A questo punto l’intera comunità perde un’occasione di arricchimento, senza che a quel politico sia imputata responsabilità alcuna. Eppure la parabola dei talenti avrebbe dovuto insegnare qualcosa … nel senso che non è peccato solo non-rubare-talenti, ma anche non-far-fruttare-talenti (e idee).

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Ma allora uno, le sue idee, se le deve tenere per sè? No di certo, ricordate cosa diceva  G.B. Shaw? Diceva: “ Se ognuno di noi ha una mela e ce le scambiamo, alla fine avremo sempre una sola mela a testa; ma se ognuno di noi ha un’idea e ce la scambiamo, alla fine ognuno di noi avrà due idee”

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EDIPO A HIROSHIMA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 19 Giugno, 2015 @ 5:38 am

Detto altrimenti: nel settantesimo anniversario della prima “bomba”  (post 2087)

Rielaborazione e regia del testo di Luigi Candoni a cura di Alfonso Masi – Con le voci di Ester D’Amato, Letizia Grassi, Giovanna Laudadio, Beatrice Ricci , Serena Tomasi, Vito Basiliana, Stefano Galetti, Mimmo Iannelli, Alfonso Masi, Luigino Mongera, Fiorenzo Pojer, Michele Tabarelli.

Iniziativa di Mirno Elena, coordinatore delle manifestazioni commemorative. Presentazione di Massimiliano Pilati, Presidente del Forum per la Pace. Nella sala n. 5 della facoltà di lettere in Via Tommaso Gar a Trento. ieri alle 17.00.

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Presidente e PM

Un processo nel quale l’imputato si dichiara colpevole, vuole essere punito (ecco il moderno Edipo) per un delitto che ritiene di avere commesso. L’imputato, il pilota Allan Darnell, al comando del bombardiere B52 che sganciò la bomba su Hiroshima (nella verità storica il protagonista del pentimento fu il ricognitore Claude Robert Eatherly che alcuni giorni prima scelse la città più adatta per il bombardamento).

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La parola all’imputato

Il senso della tragedia americana … ma no, della tragedia giapponese … nemmeno: della tragedia dell’umanità: la guerra non risolve nulla. E poi, una volta messa in moto questa valanga, nessuno può precedere quali dimensioni essa assuma, senza che – alla fine – si possano individuare i responsabili della sua escalation. Ma il dramma è duplice. della collettività e di ogni singolo individuo. L’ordine: vai, uccidi, questo è il tuo dovere, questo è l’ordine, e poi … e poi … “deus vult” Dio lo vuole tant’è che prima della missione si prega Dio che guidi i piloti, che non faccia commettere loro alcun errore.

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“Deus vult!”

Ma il singolo si pente, si ravvede, grida loro in faccia di non tirare in ballo Dio, lui non crede in un Dio che sgancia le bombe. L’imputato ha orrore di se stesso per ciò che ha fatto e ricerca una punizione per espiare il male compiuto ma il “sistema guerra” lo assolve, cerca di convincerlo che egli è semplicemente uno strumento di salvezza: infatti se è vero che la “sua” bomba ha ucciso 300.000 giapponesi, è altrettanto vero che essa ha abbreviato la durata della guerra di due anni, stimati in 2 milioni di morti e quindi il saldo è positivo di 1.700.000. La morale a peso anzi a numero.

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Areoplanini di carta

Ma insomma …  “era un ordine, tu hai solo eseguito”. Già, ma chi lo ha dato, quell’ordine? E qui inizia lo scaricabarile alla rovescia, verso l’alto, di grado superiore in grado superiore fino a quando la ricerca della responsabilità si perde nel vuoto. Nessuno è responsabile, tutti hanno eseguito una serie di ordini. Anche i gassificatori degli ebrei nei campi nazisti. L’imputato invece reclama per se’ un posto sul banco di Norimberga: “Forse un giapponese vale meno di un Ebreo?”

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La parola alla difesa

La parola alla difesa

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La guerra. La condanna della guerra, innanzi tutto della prima scintilla di guerra, in questo caso della prima guerra mondiale i cui “postumi” hanno innescato la seconda (n.d.r.).

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Ma veniamo al processo. Il presidente del tribunale superficiale, distratto: una macchietta, una parodia, sicuramente un’esagerazione a cercare – tuttavia – di rappresentare una tremenda realtà – soprattutto USA – nella quale ancora oggi si condanna legalmente alla pena di morte salvo poi, in alcuni casi, riconoscere innocente il colpevole e riabilitarlo … anzi, riabilitarne la memoria visto che tale assoluzione giunge dopo l’esecuzione della pena capitale.  Il Presidente del Tribunale che costruisce barchette ma soprattutto areoplanini di carta. Gli areoplanini … oggi si chiamano F35, ma questa è un’altra storia.

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I testimoni

Il PM, Pubblico ministero, l’accusa, altra figura parossistica: “Se non ci fossero le guerre che ne sarebbe delle fabbriche di armi e dell’industria cinematografica?” La difesa? Mai un compito più facile per l’avvocato difensore Alfonso Masi. La replica del Maggiore Darnell: “L’uomo ha venduto la sua coscienza per una coscia di pollo: io non ho paura di morire, ma di sopravvivere”. Implora ed ottiene che siano uditi i testimoni sopravvissuti: e qui gli attori hanno dato il meglio di loro stessi. Tremenda e commovente la rievocazione di alcuni passi dell’istante dell’esplosione e degli istanti after.

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Ei fu

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Con la tragedia greca si è iniziato, con il teatro (greco e) latino si finisce. Infatti ecco il “deus ex machina”, l’escamotage che risolve la situazione: il Presidente del Tribunale non dorme più. Muore. Processo interrotto, anzi nullo. Tutti a casa. L’imputato si dispera.

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Bravissimi!

Mia considerazione finale: la guerra non inizia quando viene dichiarata formalmente o iniziata di fatto, bensì quando si inizia a pensare in termini di guerra. Nel nostro recente passato – per non perdersi in una analisi storica troppo lunga che stancherebbe le mie poche lettrici e di miei pochi lettori – prendiamo le “nostre” due guerre mondiali: la prima iniziata per distrazione e superficialità e per non dispiacere alcune minoranze esaltate. La seconda, conseguenza della prima.

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Dalla conoscenza alla coscienza

Dice … ma la terza guerra mondiale, quella che stiamo vivendo, dove la metti? Già, caro “Grillo Parlante” hai ragione (e poi dicono che “Pinocchio” è un libro per ragazzi! Quando mai!?). Questa nostra terza guerra mondiale si combatte con altre armi: con le enormi disuguaglianze sociali e nell’utilizzo delle risorse; la distruzione della natura;  il predominio dell’occidente che ha depredato il sud e l’oriente del mondo; i governatori (delle banche) che comandano più dei governi; l’esportazione del colonialismo; i successivi accordi con le tirannie che sono subentrate; la ricerca di una nuova verginità attraverso l’esportazione di una improvvisa (pseudo) democrazia a suon di bombardamenti degli ex alleati; il caos che ne è derivato. Si chiama globalizzazione.

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Il vecchio B52, quattro eliche; il nuovo, otto reattori

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Come se ne esce? Cercando di analizzare con intelligenza ed onestà le vere cause di questi fenomeni e valutandone le conseguenze. La globalizzazione che stiamo vivendo, in un paio di decenni è nata e si è trasformata: da economica a politica, da politica ad armata, da armata a caotica. E il caos produce stragi, emigrazioni, immigrazioni. Ma questa è un’altra storia. Il seguito alle prossime puntate.

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Utopia? Tommaso Moro!

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Fine del post  (che poi è solo un articoletto scritto da un semplice blogger) e mi vorrei augurare anche fine di ogni guerra, di ogni tipo di guerra: militare, economica, finanziaria, alimentare, politica, sociale, religiosa, inter etnica, etc.. Un’ Utopia, la mia? Sicuramente, ma sappiate che l’Utopia non è un obiettivo irraggiungibile, bensì un obiettivo  non “ancora” raggiunto!

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P.S.: chi scrive ha prestato servizio militare nel 1969 quale S. Tenente di complemento nella Brigata Alpina Tridentina: mi devo dichiarare colpevole?

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“DIRITTO DI MEMORIA” – Canto per mia madre a mio padre emigranti, romanzo (ma non del tutto, n.d.r.)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 17 Giugno, 2015 @ 6:31 am

Detto altrimenti: un Libro di Andrea Nicolussi Golo    (post 2086)

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Qualche post fa (al. n. 2082) ho iniziato a conoscere questa Persona, questo Autore. Ora ho letto il suo Libro (le maiuscole non sono utilizzate a caso).

Semplificando, la vita delle famiglie cimbre di Luserna (oggi provincia di Trento) durante la prima guerra mondiale, la loro emigrazione, la loro deportazione. Povertà, sopraffazioni. Semplificando, dicevo. Ma volendo fare le cose per bene, il Libro è molto di più.

Cloud, nuvola. Nel web è un marchingegno per il quale se tu scatti una foto in un certo luogo, altri che posseggano lo stesso software, passando per quel luogo, possono registrare sul proprio apparato la foto scattata da te.

Cloud, nuvola di foto e nel caso del Libro di Andrea, nuvola di sentimenti: infatti, dopo che lo hai letto, se ti avvicini ad esso – fisicamente o con il pensiero – ricevi una serie di sensazioni, di emozioni, di “ricordi di esperienze altrui”. Infatti è un Libro Poesia, ricco di personificazioni, immagini, metafore che non stancano, anzi, ti catturano, ti ammaliano come le Sirene di Ulisse: divori una pagina dopo l’altra, corri all’inseguimento della personificazione successiva, del dialogo successivo.

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Al centro l’Autore alla presentazione al Bookfestival di Caldonazzo

E poi … i dialoghi: a me piacciono molto. Per il mio gusto letterario sono una componente essenziale. Qui, nelle 137 pagine, a prima vista sembrano essercene pochi. Sembra che sia così, e invece … invece il racconto è un dialogo continuo fra l’Autore, le sue Parole Scritte e la tua sensibilità, la tua coscienza. 137 pagine, anzi piccole pagine. L’Autore, nella presentazione di cui al post citato, dice che ha impiegato tre anni a scrivere questo romanzo verità (la definizione è mia, n.d.r.). Ora, se non hai letto il Libro, puoi pensare che Andrea sia uno scrittore lento. E invece no. Letto il suo lavoro, ti accordi che ogni parola, ogni frase è un diamante estratto al costo di una grande fatica  dalle profondità dei sentimenti più veri, antichi, nobili, sinceri, propri e altrui, dal profondo di  un “altrui” vicino e lontano allo stesso tempo.

Talvolta anche oggi, Carisolo 2014, come ieri ...

Talvolta anche oggi, Carisolo 2014, come ieri …

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“Diritto di memoria” come Pinocchio.  …  vicino per come è percepito da “chi scrive …” (così ogni tanto interviene manzonianamente l’Autore per esplicitare il proprio pensiero e distinguerlo da quello dei suoi personaggi, artificio necessario tanto questi ultimi parlano e vivono di una luce e vita propria, un  po’ come il burattino Pinocchio che si è auto-animato e liberato dai fili del marionettista – i questo caso marionettista scrittore-). Lontano, per quanto ogni lettore non Cimbro o semplicemente non conoscitore del popolo, della storia, della lingua cimbra può avvertire quella realtà.

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thBRC3H7BYMa il libro è “vicino” anche per il parallelo che vive rispetto alla violenza dell’immigrazione odierna – per chi la soffre sulla propria pelle una immigrazione che è emigrazione); vicino per la sofferenza generata dalle guerre, quelle di oggi – e sono tante – non meno di quelle di ieri; vicino per come  descrive la sfruttamento del lavoro della persona, la violenza del potere, la connivenza del potere. Vicino anche per alcuni tocchi magistrali di regia felliniana: ricordate il transatlantico Rex che sfila davanti agli occhi meravigliati della povera gente!  Vicino, per come ti mette “di fronte alla tua responsabilità di essere umano di frontiera”. Mi spiego: di essere umano nella ben protetta trincea della frontiera fra il mondo fortunato e quello sfortunato, trincea ben riparata e ben difesa, dalla quale tu – in condizioni di assoluta sicurezza – osservi chi sta cercando di sfuggire ad una pioggia di granate e corre, corre verso il tuo stesso riparo, corre portandosi appresso neonati, bambini, anziani e vecchi, implorando con lo sguardo che tu apra un varco nello sbarramento dell’egoismo e dell’indifferenza e regali anche a loro un minimo della tua fino a quel momento egoistica e distratta  vita. Già, perché se tu non fai loro questo regalo, altro non resta per quei fuggitivi che la morte.

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Levinas, il filosofo del Volto (impronta) dell'”Altro”: il Volto dell’Altro di interroga e si aspetta una risposta da te

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Il nesso di causalità. Ne ho parlato nel post n. 2083. Riprendo il discorso anche in questo caso. Il concetto di “nesso di causalità” andrebbe allargato anche in questo caso. Infatti, almeno moralmente, tutti coloro che votano, optano, si battono per il respingimento dell’Altro, sono responsabili della sua morte.

Dalla presentazione dell’opera e dalla sua lettura sono uscito arricchito del concetto di una “appartenenza ad un gruppo che pratica l’accoglienza e non si chiude nella identità”; del rafforzamento della mia propensione all’accoglienza della mia avversione alla guerra.

E se sotto il profilo sociale e storico “Diritto di memoria” è un Libro Verità, sotto il profilo letterario è un Libro Poesia e la Poesia, si sa, ha bisogno di poche parole quindi di poche pagine per suscitare molti sentimenti: “ multa paucis” come scrivevo nel post precedente.

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Lettura da non perdere, assolutamente.

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2 Comments »

MULTA PAUCIS, I DOPPI INCARICHI IN POLITICA E (NON SOLO)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 16 Giugno, 2015 @ 4:18 pm

Detto altrimenti? Chiariamoci: ad essere “detto altrimenti” è ciò che io dico, non io stesso, ovvero io non ho un soprannome tipo … il “maledetto toscano” o altro che dir si voglia!    (post 2085)

Multa paucis, chevvordì? Ecco qui: “dire molte cose con poche parole o a poche persone”; oppure “dare molto a poche persone”; oppure “realizzare molto con poche energie”, oppure etc.. (certo è una cosa: che non vuol dire “elevare le contravvenzioni solo a poche persone”!). Ma siamo seri e prendiamo in esame uno dei tanti significati: “realizzare molto con poche energie”.

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Ecco quello che mi viene in mente quando vedo una persona che si fa carico di molti, troppi ruoli. In tal caso infatti io mi permetto di dubitare che chiunque riesca a realizzare “molto” con le poche energie che può dedicare a ciascuno dei suoi tanti incarichi, se non altro perchè, anche per lui, il giorno è composto dalle solite 24 ore, la settimana da sette giorni etc..

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Dice … ma in politica … è stato stabilito che i sindaci di città con un numero inferiore a  20.000 abitanti, possono anche “fare” i senatori e i deputati.

Infatti la Corte Costituzionale, con la sentenza 277/2011 (Presidente Alfonso Quaranta, Giudice Redattore Paolo Grossi), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio 1953, n. 60 (“Incompatibilità parlamentari”), nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti.

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E qui “casca l’asino”, ovvero, qui la decisione “salomonica” mostra il suo lato debole. Infatti mi permetto di sottoporre all’attenzione delle lettrici e dei lettori alcune sottolineature.

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E i sindaci di città con 19.999 abitanti? E quelli con 20.001? Dice … sono casi limite, occorreva stabilire un livello preciso. Si, vabbè che summa lex summa iniuria, ovvero, per quanto sia precisa una legge, in ogni caso essa reca danno a qualcuno, ma io mi domando: perché “occorreva” stabilire quel livello anzi, “un” livello? Infatti a mio sommesso avviso il problema non è individuare la soglia, ma risolvere un problema diverso: “è conveniente che si consenta la somma dei due incarichi”?

Dice … ma se la città è piccola, il Sindaco può ben anche fare il parlamentare. Eh, no, caro mio, continui ad eludere il vero problema ..  e poi ti sei risposto da solo, ti sei dato ragione da solo: continui a spostare il problema sul colore degli scaffali dell’enciclopedia, mentre io quell’enciclopedia proprio non la voglio acquistare! Infatti mi conduci furbescamente a discutere del “livello” mentre si dovrebbe discutere del cumulo a prescindere dal livello.

Dice … ma se la città è piccola .. Eh, no, caro mio: lasciami fare un esempio personale. Negli anni 1975-1980 io sono stato capo della finanza Italia della Stet, la più grande finanziaria italiana e negli anni 2010, a un passo dalla pensione, a capo di una Spa mista pubblico privata che organizzava e gestiva la mobilità di una cittadina con meno di 20.000 abitanti retta da un Sindaco-Senatore. In entrambi i casi:

  1. io lavoravo circa dieci ore al giorno e avevo al mente occupata dai pensieri del mio unico incarico anche ben oltre l’orario di lavoro;
  2. io avevo la necessità di avere il mio capo come interlocutore diretto, immediato e disponibile.

Orbene, mi domando:

  • thU2YEU0PEun Sindaco che deve vivere la sua città, camminare per le strade, parlare con la gente, osservare come “funziona” la città, ricevere i cittadini, partecipare alle riunioni delle Commissioni, dei Consigli e della Giunta, come può allo stesso tempo seguire lavori parlamentari? Se poi quel parlamentare fa parte di una Commissione … le avete viste alla TV le pile di documenti posta sulle scrivanie dei componenti le varie Commissioni? Per me non riescono nemmeno a leggerle tutte quelle pagine … (“ecco, tanto vale, dirà quel tale che mi sta contestando: se tanto nessuno le legge, allora il nostro bi-politico può ben fare anche il Sindaco”.)
  • Se poi il bi-politico è tale in quanto invece di essere sindaco + parlamentare è a capo di un partito + parlamentare, il discorso non cambia (peggio mi dice se poi da bi-politico il de quo agitur – il politico del quale si tratta mi diventa tri-politico!):
  • Per un diverso aspetto: chi lavora “per” quel Sindaco, può accontentarsi di incontralo – se va bene – una volta alla settimana, magari il sabato o la domenica?
  • E poi, le situazioni, in città, in Parlamento, in una SpA … occorre viverle senza alcuna interruzione, ti devono “entrare nella pelle”, le devi respirare ogni istante del giorno e della notte. Solo così  avrai conoscenza e coscienza delle cose e potrai conseguentemente agire per il meglio e non sulla base del “sentito dire” da chi ti aggiorna frettolosamente su ciò che è accaduto mentre tu eri “in tutt’altre faccende affaccendato”.

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Dice … ma la legge lo consente. Ok, ho capito, ma non si vive solo de jure còndito (sulla base delle leggi esistenti) ma anche sulle aspettative de jure condendo, ovvero della necessità di aggiornare – migliorandole – le leggi esistenti. E poi, sempre per restare nel latino … quod non vetat lex, hoc vetat fieri pudor, ovvero, ciò che non è vietato dalla legge può ben essere vietato dal pudore … soprattutto se prendi doppia paga. O no?

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Dice … ma nel titolo avevi accennato a pluralità di incarichi anche al di fuori della politica. Hai ragione, mio anonimo interlocutore, hai ragione: in parte ne ho già parlato e meglio ne parlerò nel prossimo post.

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I CITTADINI, GLI “AZIONISTI” DELLO STATO

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 14 Giugno, 2015 @ 12:16 pm

Detto altrimenti: gli Azionisti, i proprietari di una Società per Azioni …   (post 2084)

th7ISTD9D6Dice, ma lo Stato non è una SpA. Grazie, lo sapevo dammè (espressione toscana). Infatti lo Stato non è solo un patrimonio, ma è anche un insieme di cittadini, di culture (cultura = insieme di conoscenze), di storia, di prospettive, di speranze, di valori morali e civili, etc. Per quanto anche una SpA non è solo il proprio patrimonio, bensì anche l’avviamento, il capitale umano impiegato, la funzione sociale cui adempie, etc.. Chiarito ciò, lasciatemi proseguire con questa “fiction bloggeristica”: ciascuno di noi è letteralmente comproprietario del “condominio Stato SpA” (e poi anche dei “Condomini Europa e Mondo). Questo nostro condominio è amministrato da persone elette o nominate (ma questa è un’altra storia), le quali ci “rendono conto” attraverso il bilancio dello Stato.

Ecco, quando si è in ambito di una SpA, nelle Assemblee degli Azionisti si produce il bilancio dell’anno, con le sue componenti economiche (ho guadagnato/perso), patrimoniali (ho aumentato/diminuito il patrimonio), finanziarie (dove ho messo i denari che ho ricevuto o che si sono generati dalla gestione). E se il documento è troppo complesso, gli Azionisti esigono che esso sia riassunto e riesposto per cifre significative, in modo che ogni Azionista possa immediatamente comprendere come si sono comportati gli amministratori, se hanno arricchito o impoverito la SpA loro affidata, senza essere letteralmente travolti da valanghe di numeri non significativi in quanto da essi non si trae con immediatezza la necessaria visione d’insieme.

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Solo per pochissimi

Per contro, quando si tratta del bilancio dello Stato, solo a pochi, anzi a pochissimi eletti è dato comprendere come vanno le cose. Al massimo infatti, alla massa degli Azionisti, si dice come è stata utilizzata questa o quella specifica risorsa, ma non la si inquadra percentualmente e significativamente nel complesso delle scelte effettuate. Di fronte a ciò, purtroppo la massa degli azionisti/cittadini si accontenta, non reagisce, non protesta sia perché non esiste una Assemblea Generale degli Azionisti se non in sede di elezioni politiche , in occasione della quale tuttavia la materia non è portata alla loro attenzione né da chi vuole difendere il proprio operato né da chi lo vuole politicamente criticare. Ma non reagisce anche perché non è stata educata a “capire il significato delle cifre”.

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“Mentre qui si discute …”

Dice … ma perchè te la prendi tanto? Ecco, ve lo dico: perchè qualunque sia il programma di governo (deserta, centro, sinistra) a fronte di investimenti ed esigenze di medio-lungo termine, esistono esigenze di brevissimo termine, in materia di lavoro, istruzione, sanità e … dum Romae consulitur, Saguntun expugnatur, ovvero mentre nell’antico Senato romano si discuteva se mandare un esercito in aiuto della alleata Sagunto, la città veniva espugnata dai Cartaginesi. E allora, che fare? Potrebbe servire una legge di iniziativa popolare per obbligare chi governa ad una rendicontazione periodica, ad esempio trimestrale, significativa ed immediatamente comprensibile anche dal più piccolo Azionista. Utopia la mia? Sicuramente, purchè per utopia di intenda un obiettivo “non ancora” raggiunto.

Dice … ma noi abbiamo prodotto i documenti necessari alla comprensione del bilancio, siamo a posto, non abbiamo nulla da rimproverarci. Dico: eh no, cari miei, vi racconto una storiella vera: tanti anni fa … mia mamma, insegnante di scuola media, si lamentava con me che all’esame finale tre sue alunne fossero state bocciate. Io la consolavo dicendo: ma tu hai fatto il tuo dovere … semmai è un problema loro. No, Riccardo, mi rispose, a me interessa il risultato e cioè che il mio lavoro porti frutti per tutte le mie alunne, e in questi tre casi tali frutti sono mancati. Allo stesso modo io dico: se la grande maggioranza della popolazione non è in grado di comprendere il significato del bilancio dello Stato, qualcuno non ha raggiunto il risultato come avrebbe dovuto.

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IL NESSO DI CAUSALITA’

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 13 Giugno, 2015 @ 6:56 am

Detto altrimenti: … fra azione e reazione, fra azione e conseguenza della stessa … (post 2083)

Il nesso di causalità è la relazione che lega  un atto umano o un fatto naturale e l’evento che vi discende. Da un lato la prospettiva di chi agisce, dall’altro la prospettiva dell’osservatore cui perviene il risultato dell’azione: la sintesi delle due prospettive si chiama nesso (da nectere, legare), ed altro non è che la forza umana o della natura che causa l’evento. Nel caso si tratti di un atto umano (e non quindi di un fatto della natura), questo può prendere le forme di una condotta il cui effetto viene giuridicamente individuato come evento rilevante per il diritto penale.

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Tizio colpisce con un pugno una persona: questa cade, batte la testa per terra e muore. Vi è un preciso nesso di causalità fra la causa (il pugno) e l’effetto (la caduta mortale) e Tizio sarà imputato di omicidio (volontario o preterintenzionale). Corretto (n.d.r.).

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thJHBXBMYFSempronio ricopre una di queste posizioni: tesoriere di un partito politico, alto manager pubblico, imprenditore. In tale veste, Sempronio sottrae fraudolentemente milioni di euro di denaro pubblica alla collettività. Quel denaro non può essere quindi investito per la creazione di nuovi posti di lavoro. Il numero di disoccupati aumenta. Qualche disoccupato non ce la fa più e si suicida. Quel suicidio, di fatto, è un omicidio (n.d.r.). Tuttavia nessuno stabilisce un “nesso di causalità diretto e penalmente rilevante” fra l’atto umano (il furto di denaro pubblico) e la morte del disoccupato. Sempronio, ove scoperto, non verrà mai imputato di omicidio. Sbagliato (n.d.r.).

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TRENTINO BOOK FESTIVAL: ANDREA NICOLUSSI GOLO

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 13 Giugno, 2015 @ 6:20 am

Detto altrimenti: il libro nella tempesta … e nei temporali …    (post 2082)

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Caldonazzo, cald … kalt … freddo? Come Caldaro-Kaltern forse, chissà? Tanti anni fa ci passai per scalare in bicicletta la Keiserjaegerweg, alias il “Menador”, splendida strada militare austriaca. L’Austria, l’Impero … Ero salito anche per vedere l’abez del prinzep, l’abete del principe, quasi una piccola sequoia. Ma questa è un’altra storia.  Ieri con amici, una scrittrice, Nadia Ioriatti (cfr. i vari post qui nel blog sulla sua opera “Io tinta di aria”) a visitare il Festival del libro. Fra un temporale e l’altro. Già, il tempo non è clemente in questi giorni. Peccato. Ci siamo andati “mirati”, per ascoltare la presentazione di un libro, “Diritto di Memoria” di Andrea Nicolussi Golo, scrittore Cimbro di Luserna, presentazione da parte del giornalista Carlo Martinelli, amico e “presentatore” anche di Nadia. Ecco, questa è l’anteprima. Ora possiamo iniziare.

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Andrea e il suo libro. Non è facile per me, blogger despecializzato di Trentoblog, cercare (/pretendere?) di “sostituirmi all’insostituibile” specializzatissima bookblogger Mirna Moretti (www.trentoblog.it/mirnamoretti) che non era presente alla serata. E poi non è facile per chiunque parlare di un libro che non si è letto e di un autore che si è conosciuto solo poche ore prima e per una sola ora. Ma tant’è … preferisco rischiare e scrivere “a caldo”  piuttosto che rimandare a quando fra qualche giorno avrò letto il libro. Da un libro puoi iniziare a conoscere l’Autore; dalla conoscenza dell’Autore puoi dire di iniziare a conoscerne il libro: e quest’ultimo è il mio caso. All’Autore, dunque!

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Carlo, Andrea, il Lettore

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Andrea parla con voce sommessa e se ne scusa, un sottotono che “persuade” con la stessa dieresi su quel “persuade” al pari di quella del “persuade” della voce dell’Ora di Barga. Un voce che conquista senza avere bisogno degli alti volumi, di essere amplificata e per questo a maggior ragione apprezzabile e apprezzata. La riprova? Un uditorio immobile, silenzioso, attento nonostante il temporale che roteava sul telone teso in un tentativo di  protezione.

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Dice … sono figlio di contadini, anche se mio padre faceva il muratore. Avevamo tre vacche, supporto all’alimentazione di sei figli. A Luserna, terra Cimbra. Martinelli lo provoca: sei Cimbro? Italiano? Andrea si dichiara 100% Italiano, 100% Cimbro, 100% di cultura tedesca etc.. Cimbro che scrive in una lingua straniera, l’italiano, visto che l’ha imparata dai sei anni in su, quando invece usualmente termina, per i bambini, il periodo di apprendimento della lingua madre.

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Con una foto del 2014 ho voluto “copiare” quella della copertina del libro (pista ciclabile verso Carisolo)

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Andrea non reclama per sè alcuna “identità” bensì solo una “appartenenza” fatta di una cultura “comune a”, ovvero di un insieme condiviso di conoscenze, storia, abitudini, tradizioni concrete, vissute giorno per giorno, e non di un sentirsi “identico” (ecco l’identità) ad altri ma solo per una pericolosa ed escludente definizione. Una “appartenenza” ad un gruppo che pratica l’accoglienza dell’Altro e non una “identità” che si chiude all’altro in quanto non-identico. A questo punto Andrea racconta come sua mamma accoglieva e rifocillava il vagabondo che ogni anno transitava da Luserna, un vagabondo che cantava un suo inno personale al Generale Diaz in casa di chi ne aveva subito le bombe. Ma tutto ciò non impediva l’accoglienza. Da Diaz – il riparatore dei danni del suo predecessore –  Andrea risale a Cadorna, il “macellaio della prima guerra mondiale” (queste sono parole mie, n.d.r.), il riesumatore della terribile legge della “decimazione” (parole sue, n.d.r.) ed alla prima guerra mondiale in genere, madre di tutte le guerre successive (concordo pienamente, n.d.r.) ed alla “fuga dalla guerra” di Zeno, il protagonista, che emigra in Sud America.

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Milano, Piazzale Cadorna, fermata MM “Cadorna”: ma per favore … cambiate quella intitolazione! Intitoliamo tutto a Diaz, che non si merita certo di essere ricordato principalmente per gli orrori della scuola di Genova!

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No, thanks: people love paper. Me too!

Carlo incalza: parola parlata o scritta?  “Le parole sono pietre” firmato Don Milani (citazione mia, n.d.r.), ma quali parole, quelle parlate o quelle scritte? E Andrea accetta questo nuovo confronto. Oggi si legge e si scrive di più d’un tempo, dice, ma soprattutto posta elettronica, scritti elettronici, parole scritte che puoi modificare in ogni momento. Quindi, forse, maggior valore ha la parola parlata oppure quella “scritta che resta”, quella “sui libri”. “Il libro è morto viva il libro” si legge in una mostra di disegni a favore del libro di carta (concedetemi un inciso personale: io non riesco, non voglio, non desidero passare dal libro di carta all’E-book). Ma … incalza, Carlo, per chi si scrive? E Andrea: io? Per me, non certo per il mondo! E’ vero, dico io, per se stessi e per chi vuole essere se stesso, con onestà, per chi, ad esempio, nell’emigrante Zeno, persona “nostra” vede gli immigrati di oggi. Noi ieri come loro oggi.

Zeno, uomo povero, non poveretto, specifica Andrea: “poveretto” è un insulto; “povero” è la semplice constatazione di una situazione economica. Zeno, chissà perché quel nome …  mi chiedo … forse per “La coscienza di Zeno” (Italo Svevo), ecco cosa mi viene in mente, un altro romanzo, una autobiografia, personaggi e storie diverse ma con un unico filo conduttore: alla fine  la previsione di una catastrofe, la guerra.

Zeno che rientra in patria su un transatlantico felliniano, lui che scopre lo stesso quadrilatero dell’Orsa Maggiore che ammirava dal suo paesello natìo, mentre i passeggeri della prima classe sono distratti,  affaccendati a consumare lussi superflui.

E la pìetas (attenti all’accento, sulla “i”, per favore), ovvero il rispetto degli Altri e soprattutto degli Dei – questa era infatti la pìetas romana, talvolta oggi erroneamente tradotta con “pietà” – la pìetas traspare dalle parole scritte del libro e lette dal lettore e dalla parole parlate dell’Autore, solo che agli Dei ha sostituito un solo Dio, quello che invita ad accogliere e ed amare il prossimo.

Per concludere: leggerò volentieri questo libro sull’appartenenza, l’accoglienza e contro la guerra. La copia che ho acquistato ha una dedica dell’Autore: “A Riccardo, con gratitudine”. Dice… sai, come posso scrivere “con stima” per una persona che non conosco … hai ragione, Andrea! E quella gratidudine anticipata spero di meritarmela a posteriori. Non tanto per la pubblicazione del post, che anch’io scrivo innanzi tutto per me stesso. Quanto piuttosto per i suoi contenuti, ovvero nella misura in cui io non abbia appena scritto su Zeno e Andrea corbellerie troppo evidenti. Ma ve l’avevo detto: preferisco in ogni caso scrivere eventuali corbellerie a caldo piuttosto che dotte e pretenziose  riflessioni a freddo.

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I NUOVI BARBARI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 12 Giugno, 2015 @ 2:46 pm

Detto altrimenti: hanno impiccato una bicicletta   (post 2081)

 

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A chi mai dava fastidio?

 

 

 

 

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QUELL’ESSERCI, MA FERMI, IN SILENZIO, IN ATTESA DI …

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 10 Giugno, 2015 @ 8:52 pm

Detto altrimenti: e parliamo un po’ di mafia capitale   (post 2080)

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Quaeta non movere (si legge “movère”, non “mòvere” che sarebbe romanesco e non latino!) recita un antico proverbio latino, anzi “romano” di ieri ma anche di oggi, purtroppo: non smuovere ciò che è immobile … Ed io, pedalando lungo il Sile (Sile: fiume che bagna Treviso), in un bar ho trovato esposta quella che di fatto potrebbe essere la traduzione in lingua veneta del motto in latino.

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th[1]Talvolta assistiamo a persone (troppo, n.d.r.) “quaetae”, ovvero ferme, ovvero che non muovono se stesse né ciò che le circonda; che non assumono decisioni bensì restano in attesa; persone che “prendono le distanze” da ogni responsabilità, che aspettano che altri agiscano e quindi potenzialmente sbaglino per poi in ogni caso criticare e proporsi al loro posto. Te ne accordi. Te ne accorgi quando vedi che stanno sedute, queste persone,  un po’ in disparte, mute, che osservano, non intervengono magari anche quando ricoprono ruoli che comporterebbero il loro intervento. Sulle prime tu credi che capiscano il tuo operato e che lo approvino. E invece spesso non lo capiscono, altre volte non lo vogliono capire: sempre, tuttavia, non hanno alcun interesse  a capirlo: infatti a loro non interessano i contenuti, ma sono solo interessati a come strumentalizzare in ogni caso contro di te ciò che tu fai. Anche quando tu stai cercando di far pulizia …

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th[9]Si dice … la politica, si sa … Ma qua’ politica e politica, dico io! Quelli il mondo, il nostro tempo, il nostro paese hanno bisogno della ricongiunzione del potere con la responsabilità, e di gente che agisca con competenza e firmi ciò che fa e dice. Altro che stare a vedere se e come gli altri – che stanno agendo – possono essere criticati … Mafia capitale. Per decenni qualcuno è stato fermo: nel migliore dei casi ha lasciato correre, nel peggiore si è arricchito. E allora, per costoro, vale il quaeta non movere, appunto. Non cambiare il sistema che per ragioni d’urgenza per trent’anni ha assegnato in via diretta – senza gara d’appalto – lo smaltimento rifiuti alla stessa ditta, pagandone i servizi il triplo dei livelli di mercato. Cui prodest? Cui bono? Direbbe Cicerone … chi ci ha guadagnato? Ed ora che qualcuno ha smosso acque veramente torbide e  sta cercando di filtrarle, di farle ritornare limpide, si vorrebbe che si dimettesse? Quando mai!? Dico io! Lasciamolo lavorare, cribbio!

Nel frattempo mi chiedo: chi ha creato un sistema colabrodo che è solo un invito a nozze per i ladri? Chi lo ha gestito per decenni?

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