TNT IN BICI SUL LAGO DI GARDA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 15 Giugno, 2020 @ 7:51 am

Detto altrimenti: TNT, trinitrotoluene?  Nooo … Tre Nonni Tosti!    (post 3934)

Sempre di tipi di esplosivi, si tratta!  In realtà la formula completa sarebbe “TNT 235 FIAB TN” ove il numero sta ad indicare la somma degli anni dei tre nonni e FIAB TN la loro FIAB Associazione Amici della Bicicletta Trento, associata a FIAB-Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta (relativa bandierina rigorosamente appesa al sellino della mia bici). Ma cosa e come è successo? Ve lo dico subito: prendete tre nonni e tre biciclette, lasciateli liberi tutti e sei (nonni e bici) dopo tre mesi di coprifuoco ed il gioco è fatto: basta seguirli!

12 giugno 2020, previsione di bel tempo per due giorni, si parte da Trento alla volta di Mori-Riva del Garda. Un leggero vento da nord (“in poppa”) ci aiuta. Un breve sosta per un caffè al bicigrill di Nomi, il primo bicigrill in Italia aperto anche grazie all’azione dell’allora Presidente Fiab Manuela Demattè:  a luglio 2020 sarà la gita commemorativa in concomitanza con l’avvioa del calendario Fiab Trento (rimandato a causa del Covid19). Poco dopo Rovereto b- Borgo Sacco altra sosta per una foto alla confluenza del Leno nell’Adige.

Il Leno si getta nell’Adige
 (… e come l’acqua a corre mette co’
non più il Leno ma Adige si chiama)

Si attraversa Mori vecchia, sosta solo per “guardare e non mangiare” alla gelateria “Bologna”, indi si costeggia il bel Lago di Loppio trasformato in biotopo.

Loppio 1 – “Anne lacus rantos? Te Loppio, maxime teque
fluctibus e fremitu adsurgens Benace marino?” (Virgilio Georgiche,
II, vv. 158-160: “E che dire dei laghi così belli? Di te, Loppio, ma sopratttto di te Benaco che quando ti arrabbi hai onde e fremiti tipici di un mare?”

Loppio 2
Loppio 3
Loppio 4

Giovanni e Claudio

Si supera lo strappo della ciclabile in corrispondenza del cantiere della galleria per il Lago di Garda e si scollina a Passo S. Giovanni.

“Sole che sorgi …”

Qui, all’inizio della discesa, ignorando una freccia che indirizza i ciclisti a destra, i nostri eroi prendono a sinistra “per camporella” e sfiorando le deviazioni che salgono al Monte Baldo, raggiungono la prima casa di Nago, subito prima della quale girano a sinistra per una salita di 200 metri al 10-15% arrivando a scollinare ad un ulteriore bivio: a sinistra, ancora per il Monte Baldo, a destra l’inizio della ripida, bellissima e panoramica discesa sul parco delle Busatte e quindi su Torbole.

La discesa 1
La discesa 2
La discesa 3 (altro che i bronzi di Riace!)
“Zalatta!” – “Il Mare” gridarono i Greci nella loro Anabasi (di Senofonte!)

Indi, bici alla mano si supera il porticciolo di Torbole, indi si ripedala nella ciclabile fino a quando … ci accorgiamo che è interrotta per frana in territorio del Comune di Arco: niente paura, attraversiamo un camping, ci immettiamo sulla SP e attraverso la galleria per le auto nella quale è stata ricavata una ciclopedonale, raggiungiamo il territorio del Comune di Riva del Garda, riprendendo la splendila ciclabile a lago. Tot. 52 km. Bici utilizzate: Mtb E-bike, batteria due di noi da 400; il terzo da 500: consumo elettrico 30%.

“E appena che al mattin passato il sonno
lo sol scavalca il monte per lo quale
i Rivani veder Mori non ponno …”

13 giugno 2020, vogliamo evitare le gallerie fra Torbole e Malcesine, quindi battello “Peschiera” della Navigarda ore 08,10 per Torbole-Limone-Malcesine.

“Rari nantes in gurgite vasto” … (Virgilio, Eneide, I, 118)

Da Riva a Malcesine, compresi gli scali intermedi, un’ora di navigazione, €14,00 a testa. Superata la salitella che conduce alla baia di Sogno, i 15 km che ci conducono a Pai sono “un sogno!”

Il castello scaligero di Malcesine, visto … non dalla biciletta!
Qui, lo stesso castello: vista verso sud dalla ciclabile (foto 2018)
Baia di Sogno (foto 2018)

Pista rimessa a nuovo, torrentelli superati da nuovi piccolo ponti, ristorantini sulla sinistra e un lago splendido a due metri dalla pista!

I successivi 15 km che conducono da Pai a Garda sono diversi: la pista ciclabile è discontinua e comunque in molti tratti il fondo è costituito da uno spesso strato di ciottoli che rendono molto, molto impegnativo l’equilibrio. Facciamo di tutto pur di non abbandonare la riva lago, fino a quando un muro di traverso ed alcuni scogli ci dicono che dobbiamo salire in strada. Abbiamo impiegato molte energie e molto tempo: la conclusione? Suggeriamo di percorrere questi 15 Km tutti in strada, il minore dei mali, almeno fino a quando non avranno sistemato anche questa tratta.

Kaffepause
A Torri del Benaco

Da Garda verso sud la ciclopedonale è di nuovo splendida: solo suggeriamo di farla in primavera o in autunno oppure – se in estate – solo nei giorni feriali, data la forte presenza di pedoni. Ci fermiamo a Garda per qualche foto:

“Giovan Soncin, pedalator selvaggio
re de la strada re de la foresta
contro lo qual nessun fa mai l’ingaggio
poichè lui vola ed il meschin s’arresta”.
Il Colbacchini in posa a la mia bici
poi che la sua ha sol mezza forcella
sicchè leggera ess’ è più che tu dici
e pedalata sua è ancor più snella!
… sì ch’io fui terzo tra cotanto senno!
(didascalie alle tre foto precedenti: da “La Fiabbina Commedia”
di Riccardante Lucattieri)
e

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Siamo a Garda. Siamo affamati. Una spaghettata di mare al ristorante Casa Lady Garda, arretrato di qualche metro rispetto al litorale e quindi molto tranquillo. Qui facciamo amicizia con il direttore, Enzo, un simpatico giovanotto: “Enzo, di dove sei?” “Sono calabrese ma risiedo qui da anni”. “Eh no, Enzo, non fare l’auto-razzista, devi rispondere: risiedo qui da anni ma sono orgogliosamente calabrese!”

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Enzo & 2/3 di noi (i volti sono stati sfumati per ragioni di privacy)

Amicizia fatta. Il che ci procura una superdose di ottima spaghettata ricchissima di pesce, molluschi e crostacei che abbiamo finito solo per onore di firma (a danno di formadella nostra pancia!) per non sfigurare! Enzo, ad un passo dalla laurea in economia? Uei … raga! Ed io allora a parlare subito di finanza, a dargli i miei riferimenti mail e blog. Per chiudere, gli suggerisco la lettura del libro “I leoni di Sicilia – La saga dei Florio” di Stefania Auci, soprattutto perché i Florio erano calabresi, di Bagnara Calabra. Ripartiamo “per digerire”:  questa volta fino a Malcesine tutto sulla strada, con l’Ora che ci spinge alle spalle, una volata a 25 kmh! Indi battello, Limone-Riva. Tot. Km 60, consumo elettrico 30%.

Da PAI a Malcesine: una meraviglia!
La massicciata a lago a difesa della ciclabile
La torretta a Casson
Scempio edilizio in Lombardia, poco a nord di Limone

14 giugno. Riva del Garda. Nella notte temporalone. La mattina pioviggina. Aspettiamo, pranziamo (v. sotto, nota tecnica 1), spunta il sole, si parte per Trento, salita Vecchia Torbole, in 22 minuti di salita al 12-15% siamo a Nago.

Da Nago sul lago

Indi per la ciclabile che all’andata avevamo “snobbato”, al Passo S. Giovanni. In totale 30 minuti, consumo elettrico 15%. Da qui fino a Mori si va bene, salvo lo spettro (lontano) di un temporale sulla destra, verso sud (ma tanto noi dovremo girare a sinistra verso nord).

Borgo Sacco, verso nord (foto 2018)

E a Mori comincia la salita in pianura di 30 km che ci ha condotti a Trento. “Salita in pianura” direte voi? Certo, visto che avevamo un forte vento da nord contrario! Da vecchio e sperimentato velista ne ho valutato l’intensità in 25 nodi (45 kmh) con raffiche di 30 (55 kmh). Provare per credere! Nonostante che noi ci concediamo molto “aiuto elettrico” (modalità sport, il penultimo grado, dopo c’è solo il turbo), la nostra velocità (18-20 kmh) è ridotta anche perché uno di noi tre è stracarico (due borsoni ed una pesante valigia). Tot. Km. 48, consumo elettrico 15% per la salita a Nago + 60% (!) da Mori a Trento.

Una sosta “controvento” (a 7 km da casa)

Prossima pedalata?  Direi la Valsugana da Levico a Bassano del Grappa, 75 km. Io userò la bici da strada (da corsa), così farò meno fatica … a caricarla sul treno al ritorno …

Verso Bassano (Foto 2018)

… dopo la sosta alla bruschetteria subito prima del famoso Ponte degli Alpini a Bassano!

Premiata Bruschetteria “Ponte degli Alpini”
(Bassano del Grappa – Foto 2018)

Good Bike & good Fiab everybody!

Note tecniche:
1) Alloggio a Riva in casa di Riccardo: in frigo coniglio all’uvetta e pinoli predisposto da sua moglie Maria Teresa; vini dell’Agraria di Riva. Spaghetti preparati da Claudio: carbonara con guanciale e rossi d’uova.
2) Parte lesa. E’ una mia impressione oppure le e-bike richiedendo meno sforzo sulle gambe e quindi meno pressione sui pedali, conseguentemente scaricano un peso maggiore sulla parte lesa (il sedere) che risulta maggiormente “lesa” (dolorante)?
3) Unica nota negativa (espressa da Giovanni, modenese Doc): la mancanza di una buona bottiglia di lambrusco. Provvederà.

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LA NAVE DI FIORI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 11 Giugno, 2020 @ 4:32 pm

Detto altrimenti: Si chiama “Dipladenia”    (post 3933)

Dopo mesi di clausura, riprendiamo in mano i nostri balconi e il nostro orto. Già, perché io su un balcone coltivo … no, non la mariuana, bensì il basilico, letteralmente l’erba del basileus, del re!

Dice … e i fiori? Sull’altro, ecchediamine| In particolare “a me mi” piace la dipladenia, quella che si arrampica, quella che fiorisce continuamente fino all’autunno, che poi quando smette lei, esplode la salvia ananas, con quelle sue belle spighe rosse carminio. E poi, i crisantemi! Ma qua’ fiori dei morti? Sono una bellezza!

Salvia ananas

Ma parliamo delle dipladenie. Ogni anno mi dico: Riccardo, quest’anno costruisci l’intelaiatura dei bastoncini di legno sui quali poi loro si arrampicheranno prima di invasarle. E invece, ogni anno è sempre la stessa storia: le pianto, poi man mano aggiungo bastoncini vari,  tutori, tiro piccoli tratti di spago etc.. lavorando delicatamente con giochi ad incastro fra i ramoscelli ed i fiori della pianta che mi osservano un po’ stupiti. Mia moglie esce sul balcone, vece i primi “pali” ed esclama: “Sembra una nave!”. Una nave? Un veliero, mi dico! Ed eccomi giorno dopo giorno, per una settimana, ad aggiungere alberi, pennoni, aste, bompresso, sartie etc..

Sul trincetto le dipladenie hanno già raggiunto la testa d’albero!
La prua (dettaglio)
La prua col bompresso
Due gabbiole (vele quadre) e il picco della randa
L’albero di poppa

Non è escluso che presto io aggiunga anche qualche vela e il gran pavese, ovvero la serie ininterrotta di bandierine attaccate agli stralli del veliero. Che ne dite? Vi piace? A me si! Ne riparleremo quando le dipladenie l’avranno ricopertta tutta!

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RICCHI O POVERI?

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 11 Giugno, 2020 @ 3:16 pm

Detto altrimenti: chi? Ma noi Italiani, e chi altro sennò?   (post 3932)

La Banca d’Italia ha diramato ieri i dati finanziari del paese a fine aprile 2020: nei tre mesi del Covid19 (febbraio, marzo e aprile 2020) i depositi bancari sono cresciuti di + 54 miliardi (+ 20 le imprese non finanziarie, ex + 16,5 nello stesso periodo del  2019; + 34 le famiglie, ex + 15,6 nello stesso periodo del 2019). La ricchezza finanziaria degli Italiani è calcolata in 4300 miliardi, di cui circa 1460 fra contanti e depositi nei conti correnti bancari. Poi c’è il patrimonio immobiliare e i depositi esteri in evasione fiscale.  Questa enorme liquidità “bancaria” è dovuta a vari fattori: la contrazione dei consumi, il dilazionamento delle imposte, la moratoria sui mutui, i disinvestimenti dai fondi comuni. In parallelo ha avuto grande successo l’ultima asta dei BTP tal che lo Stato sta preparando un’altra asta (BTP Futura).

Nel frattempo il debito pubblico è salito a circa 2600 miliardi, pari a quasi il 160% del PIL. Qualcuno vorrebbe accreditare al valore del PIL quei 1460 miliardi e arrivare a dire che così facendo il rapporto debito/Pil scenderebbe a circa il 90%, cioè poco al di sopra di quel valore ( il 60 % ) indicato negli accordi di Maastricht. Su questo calcolo io non concordo perchè vorrebbe dire sommare le pere (un valore patrimoniale, i depositi bancari) alle mele (il prodotto interno lordo annuale): eventualmente al PIL si potrebbero sommare gli incrementi annuali del risparmio privato. Ma questa è un’altra storia.

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Tuttavia cito questi numeri per arrivare ad una conclusione: stante la forte disponibilità liquida dei privati; la loro forte propensione ad investire in titoli che diano un reddito (fondi comuni; titoli di debito che rendono 1,4% + 0,8% se si tengono fino a scadenza); il rilevante piano di investimenti pubblici in opere infrastrutturali, si potrebbe avviare gradualmente una serie di emissioni di TIR-Titoli Irredimibili di Rendita al 3,5-4% illustrati nel libro qui a fianco, attivando in tal senso l’intero sistema bancario per l’acquisto in proprio di quote di titoli (con la prospettiva di immetterli in Borsa per attivarne il mercato) e per il collocamento – attraverso “prenotazioni” – presso la propria clientela. Questa operazione avrebbe un duplice effetto: sul piano patrimoniale, ridurrebbe il livello dell’indebitamento; sul piano finanziario, procurerebbe la finanza necessaria agli investimenti.

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Inoltre i TIR sono la prevenzione, il vaccino contro una tremenda malattia (la “patrimoniale”) e ove proprio qualcuno tentasse di infettarci, sarebbero la migliore risposta: un contributo patrimoniale volontario senza essere una “patrimoniale”.

Una nota finale: siamo ricchi, d’accordo, ma  non dimentichiamoci che le medie e le statistiche non fanno affiorare le disuguaglianze: ritorna un po’ quella vecchia storia che gli italiani mangiano in media un pollo all’anno a testa: in media, il che però può voler dire che Tizio ne mangia due e Caio nemmeno uno. Da “La statistica” di Trilussa: “Me spiego: da li conti che se fanno / seconno le statistiche d’adesso / risurta che te tocca un pollo all’anno: / e, se nun entra nelle spese tue, / t’entra ne la statistica lo stesso / perch’è c’è un antro che ne magna due”.

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FINANZA ED ECONOMIA MISTA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 11 Giugno, 2020 @ 5:59 am

Detto altrimenti: di cosa stiamo parlando?          (post 3931)

Probabilmente i super esperti del settore utilizzano altri termini, ma in questa sede a me interessa semplicemente stabilire solo un po’ di chiarezza lessicale, così … tanto per capirsi.

La finanza “privata”, cioè la disponibilità di denaro, è generata dall’economia reale. La finanza “pubblica” si genera dai trasferimenti fiscali dal privato all’ente percettore oppure dalla emissione di nuova moneta da parte dell’ente pubblico. Per finanza “mista” possiamo intendere quelle somme di denaro che il privato affida (investe) volontariamente nel settore pubblico sotto forma di sottoscrizione volontaria di titolo di debito pubblico oppure di TIR, Titoli Irredimibili di Rendita (non di debito!). Ugualmente è finanza “mista” quella che si genera in capo all’ente pubblico a seguito dell’esercizio dell’economia mista.

Definire l’economia mista è più semplice: è quella pubblico-privata, concettualmente a metà fra lo statalismo (fa tutto lo stato imprenditore) e il liberismo puro (lo Stato stabilisce solo alcune regole e poi fa tutto il privato). Personalmente io sono contrario ad entrambe queste due forme estreme. A questo punto è chiaro che parliamo di attività economiche e di servizi gestiti sotto forma di SpA il cui azionista di maggioranza o unico sia un ente pubblico (rari sono i casi di azionista pubblico di minoranza: in questi casi tuttavia l’ente pubblico ha azioni privilegiate, le cosiddette golden share che gli consentono diritti ben superiori all’esigua pecentuale di azioni possedute, ad esempio in materia di dividendi e di aumenti di capitale).

La gestione di simili SpA  deve contemperare l’esigenza del rispetto delle regole privatistiche delle connesse responsabilità civili e penali degli amministratori con gli indirizzi della politica dell’ azionista pubblico. Questo non sempre facile contemperamento è agevolato da due tendenze che da qualche tempo si stanno muovendo nella stessa direzione: quella delle SpA, a non ritenere più che l’utile di bilancio sia l’obiettivo primario della propria azione, bensì sia la crescita ed il soddisfacimento delle esigenze umane di fornitori, clienti, del proprio personale e della società umana in genere (alla Adriano Olivetti, per intendersi!); quella dell’ente pubblico a ritenere che la propria attività in ambito economico non possa perdere di vista del tutto l’obiettivo di un buon risultato di bilancio.

Il problema non è semplice, presuppone maturità, competenza, disponibilità, dialogo ed equilibrio da parte di tutti i soggetti e comunque la sua soluzione non può certo essere trovata e spiegata all’interno di un semplice post. Tuttavia un esempio può aiutare a mettere a fuoco un tentativo di soluzione: prendiamo il caso di una SpA comunale per il controllo della sosta alla quale il Comune abbia “ordinato” di riservare gratuitamente per tot giorni un certo numero di stalli auto – normalmente a pagamento – in favore di una certa manifestazione. La SpA dovrà adeguarsi a questa direttiva, ma dovrà computare a proprio credito figurativo gli incassi mancati. A fine esercizio, la SpA predisporrà oltre ai due consueti bilanci (civilistico e fiscale) anche un terzo bilancio, quello figurativo che comprenderà i ricavi mancati per disposizione dell’ente pubblico.

Sotto il profilo opposto, quando una SpA porta orgogliosamente al Comune un certo utile di bilancio, il Comune potrebbe reclamare che il livello dell’utile fosse tale da remunerare ai tassi di mercato l’intero capitale investito, e quindi, ai fini di una valutazione della gstione, potrebbe “impoverire” quel risutato dei corrispondenti interessi calcolatori (kalkolatorische Zinsen: Gruppo Siemens docet!)

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Se un sindaco “ordina” ad una Spa di cui possiede la maggioranza azionaria di applicare tariffe fallimentari, i responsabili di tale società cosa devono fare, se non dare in blocco le dimissioni? L‘alternativa sarebbe “disubbidire” ed allora essi violerebbero l’impegno di “adeguarsi alle direttive del Comune” che è stato fatto loro sottoscrivere all’atto della loro nomina, oppure “ubbidire” e procurare un danno alla società, sini al suo fallimento. Occorre chiarirsi quale sia la “legge superiore”: il codice civile e penale oppure le ordinanze comunali?

Un ulteriore intervento aspetto sul quale riflettere è quello del rapporto fra l’Assemblea degli azionisti ed il CDA – Consiglio di Amministrazione della SpA, nel senso che è prassi e giurisprudenza consolidata che l’Assemblea non possa indicare  le linee guida strategiche che siano vincolanti per il   CDA, in quanto la legge vuole che queste responsabilità (civili e penali, anche a tutela dell’affidamento dei terzi) siano in capo proprio al CDA. Il problema si risolve sulla base del rapporto di fiducia e di rispetto reciproco dei ruoli pubblici e privati coinvolti, nel senso che il CDA non potrà ignorare le attese dell’ente pubblico, che l’ente pubblico non potrà e non dovrà considerare e trattare la propria SpA come se fosse un proprio ufficio.

Ulteriore possibilità di “controllo e di indirizzo” del pubblico sul privato (e delle SpA su loro stesse!) è far sottoporre le SpA in questione alle diverse certificazioni (di qualità, ambientali, sociali) e dotarle di efficienti funzioni interne di Internal Auditing e di Pianificazione e Controllo di Gestione.

Un ulteriore contributo alla gestione ottimale delle SpA “miste” lo si avrà con l’immissione nei CDA e nelle direzioni delle SpA di personale formato managerialmente ed al contempo sensibile a attento ai problemi dell’amministrazione pubblica, il quale possa trovare all’interno dell’ente pubblico un interlocutore culturalmente equivalente e del giusto livello, non troppo “basso” (un ufficio), né troppo elevato (lo stesso sindaco).

Privatizzare non vuol dire necessariamente o esclusivamente che l’ente pubblico debba dismettere le “sue” attività economiche, ma anche che le gestisca prendendo il meglio della cultura manageriale privata.

Un caso controverso: la gestione dell’acqua. Molti dicono: è un bene strategico ( = indispensabile e insostituibile) e quindi deve essere di gestione pubblica. Altri controbattono: è un bene economico (cioè è una risorsa sempre più limitata) e la gestione pubblica, per perdite durante la distribuzione, per mancanza di investimenti e per cattiva gestione,
ne spreca circa il 70% !!): deve essere affidato alla gestione privata. La soluzione? Esistono SpA pubbliche multiregionali che hanno ridotto drasticamente quelle perdite e che sono in grado di progettare, finanziare, realizzare e gestire l’intero ciclo dell’acqua: ricerca, captazione, sanificazione, distribuzione a tariffe accettabili.

Un completamento lessicale, e non solo: in italiano il termine “società pubblica” indica una società posseduta da un Ente Pubblico. Nel mondo anglosassone, il termine “public company” significa “società posseduta dalla collettività dei cittadini” e “privatizzare” si traduce con “to go public”. E spesso il going public si attua attraverso la quotazione in borsa delle sue azioni. Una simile SpA potrebbe essere interessante anche da noi, per coinvolgere e corresponsabilizzare la cittadinanza nella progettazione pubblica. L’ente pubblico potrebbe eventualmente trattenere (o anche no) un picolo paacchetto azionario (“di controllo”) e il denaro pubblico ptrebbe essere raccolto attraverso TIR-Titoli Irredimibili Rendita, convertibili nelle azioni ddella SpA coinvolta.

Un esempio teorico (ma mica tanto) di public company all’anglosassone? Eccolo. Proviamo ad immaginare la situazione seguente, che ipotizziamo relativamente ad un Comune facente parte di un ambito territoriale funzionale intercomunale. Il nostro Comune non attende di essere costretto a vendere ai privati (“privatizzare”) una sua Spa entro una data fissa per ottemperare ad un probabile “dictat” legislativo (ad esempio dell’UE), se non altro perché il prezzo della vendita scenderebbe di molto di fronte ad un compratore consapevole di tale obbligo a scadenza. Ed allora, ben prima di quel momento, il nostro Comune stipula con la sua Spa adeguati contratti di servizio che gli garantiscano comunque il controllo della qualità e dei costi del servizio. Indi il Comune apre il capitale della Spa ai cittadini propri ed a quelli dei Comuni confinanti, uscendo egli stesso dal capitale della sua Spa. La Spa diventa interamente privata, “dei cittadini locali” i quali sono innanzi tutto interessati ad avere servizi efficienti e a costo contenuto, più che, almeno in questa prima fase, a ricevere dividendi azionari. A quel punto i Comuni interessati si consorziano e lanciano un unico bando intercomunale per la gestione del servizio pubblico a livello unificato intercomunale con rilevanti migliorie funzionale e forti economie di scala. La Spa vi partecipa con ottime probabilità di vittoria, in quanto, essendo già operante sul territorio ne conosce ogni aspetto di criticità e di opportunità e può formulare l’offerta di gran lunga assai più tempestiva e favorevole.

Oltre a ciò, la Spa, essendo a capitale interamente privato, potrebbe liberamente operare anche al di fuori dei confini dei Comuni d’origine, partecipando a bandi pubblici lanciati da altri Comuni ed anche stipulando contratti gestionali con soggetti privati. Il suo fatturato aumenterebbe, essa potrebbe assumere altro personale locale; praticare condizioni sempre migliori ai suoi Comuni d’origine; produrre utili e ritorni fiscali ed infine distribuire dividendi ai suoi azionisti. Un esempio? In Trentino, terra dei moltissimi Comuni di difficile reciproca fusione, stiamo già assistendo a Comuni che, per ragioni funzionali ed economiche, hanno riunificato le proprie Polizie Locali. Ed allora, gli stessi Comuni potrebbero riunificare anche la gestione della sosta e della mobilità attraverso un’unica Spa della Mobilità strutturata come sopra descritto.

Cosa? Mi dite che la mia è solo teoria? Può essere, ma intanto iniziamo a pensare anche in questa direzione, per bacini d’area funzionali e per public company all’anglosaassone. Male non ci avrà fatto di certo.

In sintesi: si può anche dire “no” alla privatizzazione che preveda la cessione tout court delle azioni di un SpA pubblica comunale dal Comune ad un singolo imprenditore privato ma si può ben dire “si” ad una privatizzazione che preveda un azionariato popolare, locale e diffuso. Mi pare che il Sud Tirolo abbia già fatto una scelta del genere in materia di energia.

E se mi sbaglio, mi corigerete: io comunque ci ho provato, questo almeno me lo dovete concedere …

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GUARDARSI NEGLI OCCHI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 10 Giugno, 2020 @ 1:03 pm

Detto altrimenti: o “in faccia”, se preferite    (post 3930)

Emmanuel Levinas, il filosofo del volto: “Il volto dell’Altro di guarda, ti interroga, si aspetta una risposta da te”.  Ma oggi sia per lo sviluppo dei social, sia per il colpo di grazia infertoci dal Covid19, sempre più spesso guardiamo i volti dello schermo del computer. E non è la stessa cosa. Guardarsi nel volto, guardarsi negli occhi. I primi occhi che abbiamo guardato sono quelli della mamma, poi quelli dell’innamorata, poi quelli di figli e nipoti. Nel frattempo, durante la vita lavorativa e di relazione in genere, il volto e gli occhi dei nostri interlocutori. Oggi non più. Oggi devono ancora inventare il computer che trasmette le intonazioni e il tono (serio, ironico, di scherno, di approvazione, irritato, curioso, interessato, ostile, amichevole, complice, etc.).

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Mi viene alla mente un mio vecchio capo, Bruno Kessler (i Trentini sanno bene a chi mi sto riferendo), classe 1924. Un giorno voleva contestare qualcosa di grave a qualcuno. “Gli scrivo una letteraccia – disse, salvo correggersi subito – No, deve venire qui, lo voglio guardare in faccia!”

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Già in famiglia … (foto lastampa.it)

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Oggi siamo passati dalla IT-Information Technology alla ICT-Information Communication Technology, un discreto passo avanti. E stavamo facendo un ulteriore progresso, verso la ICDT- Information Communication Dialogue Technology, ovvero alla tecnologia del dialogo, ma poi è arrivato il Covd19 e ci ha bloccati sul più bello: peccato!

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MICHELE GADENZ

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 8 Giugno, 2020 @ 6:01 pm

Detto altrimenti: Micel,  il  “paron” delle Pale di S. Martino      (post  3929)

Io, genovese d’origine, classe 1944, sampdoriano, risiedo a Trento da 35 anni. Vidi la prima volta le Dolomiti dall’auto. Avevo diciassette anni, poco prima della riapertura autunnale delle scuole, ero a Bolzano in visita in treno da Genova alla zia Amalia che era ragioniera capo all’amministrazione provinciale (Presidenza Magnago) di quella città. Bolzano, la città nella quale mamma aveva insegnato fra gli altri ad Alcide Berloffa e dove aveva conosciuto babbo, che poi aveva sposato a Genova. Ed ecco la poesiola che ne è nata (primo colpo di fulmine):

Dolomiti la prima volta

Si sale pian piano / con una seicento che sbuffa / fra nuvole stanche / sedute nei prati rossi di umori / e di foglie. / E sotto il maglione d’autunno / compare / dapprima ogni tanto / e quindi ogni poco / il bianco sparato di neve. / D’un tratto si apre / nel sole / una torre dorata / adagiata su coltri / di freddo vapore d’argento. / Il ricordo di Lei / profuma nei sogni nascosti / di un solitario turista / un po’ fuori stagione / che ha spalancato per caso / la porta di un camerino / e s’innamora alla vista / della Prima Donna / intenta a rifarsi il trucco / per lo spettacolo d’inverno.

Campanil Basso, Brenta Alta, Cima Margherita (Via Videsott)

Toccai con mano quelle montagne gioiello all’età di vent’anni, quando, in vacanza da Genova a Cles – dove il babbo era Maresciallo Maggiore dei CC – un nostro amico (Giacomo Dusini) ci portò a fare il giro delle Bocchette.  Salivamo da Vallesinella ed ecco che improvvisamente la cima del Crozzon di Brenta emergere a galleggiare sul mare delle nuvole mattutine. Quando si dice il “secondo colpo di fulmine”.

Dalla vetta della Cima Margherita, vista sulla Cima Tosa
(conservo ancora scarponi mod. “Guida” leggeri e giacca!)

Rientrato a Genova mi iscrissi ai corsi di alpinismo della Scuola Bartolomeo Figari del CAI Sez. Ligure, prima da secondo e poi da capo cordata, sino a diventare Aiuto Istruttore Sezionale. Successivamente il lavoro mi portò in giro per l’Italia e all’estero e finì lì la mia carriera di istruttore, non quella di alpinista. Infatti, oltre alle salite dalle “mie parti” (Alpi Marittime e Valle d’Aosta), tornavo ogni estate in Trentino e per circa dieci giorni ero nel “mio” in Brenta. Poi non ricordo come, lo tradii per le Pale di San Martino.

In Alpi Marittime

Oggi, 8 giugno 2020, ricevo per posta il n. 2/2020 della rivista del CAI-Sezione Ligure, sodalizio al quale sono rimasto legato da ben 56 bollini annuali (1965-2020). Alle pagine 48-50 trovo il bell’articolo “Cimon della Pala – Spigolature di storia alpinistica” a firma Matteo Graziani, IS Scuola Nazionale Scialpinismo “Ligure”, ed ho subito pensato a Micel a quella splendida montagna, un po’ “mia” anch’essa.

Da sinistra: Michele Gadenz ed io. Non ricordo le altre persone, mi scuseranno

Infatti, come in Brenta ero affezionato al Rifugio Pedrotti alla Cima Tosa, sulle Pale mi legai fedelmente al Rifugio Rosetta, nel quale – erano gli anni ’60 – ’70, ebbi il piacere e l’onore di conoscere e frequentare Michele Gadenz detto Micel, gestore del rifugio, capo del Soccorso alpino, grande scalatore (innumerevoli le vie aperte da Micel!), innamorato delle sue montagne. Di Micel ricordo come si preoccupava di informarsi quale salita avremmo fatto, se conoscevamo bene il percorso di salita e quello di discesa, come eravamo attrezzati, quale fosse il nostro grado di preparazione e di allenamento, a che ora pensavamo di essere di ritorno.

Un prezioso cimelio

Chiarito tutto ciò, ci regalava quelli che lui definiva gli “schizzi”, cioè preziose piantine da lui stesso disegnate a mano e a memoria, le quali all’atto pratico sarebbero risultate assai più utili di qualsiasi guida! Negli “schizzi” era segnalato ogni sasso, ogni sporgenza, ogni pinnacolo, passare di qui non di là, salire, scendere, fare attenzione … insomma, un vero Schutzengel, “angelo custode”.

Il terzo nella foto, primo nella fila: Micel. Io sono fra i due.

Tornavo al Rosetta di anno in anno, e Micel mostrava di apprezzare che io ricordassi le salite fatte o che mi aveva suggerito l’anno prima: aggrottava le ciglia istintivamente – non era un atteggiamento – mentre tutto serio approvava questo nostro ricordare: “Si vede che sei veramente appassionato e fedele alla montagna…” Lui che sull’altopiano intorno al Rosetta, aveva tracciato con la vernice dei segnali a raggera che conducevano al rifugio chi, ove si fosse alzata la nebbia, avrebbe bivaccato all’aperto pur a poche centinaia di metri dal rifugio!

Io, il primo sulla destra, in una pausa, con le guide del soccorso alpino

Non ho intenzione di elencare qui le salite fatte se non due per motivi diversi: la Via Castiglioni al Campanile Pradidali (salita che feci insieme a Nello Tasso, se ben ricordo), nella quale ci fu utilissimo lo schizzo di Micel che ci condusse agevolmente ad imbroccare la complessa ed intricata via di discesa.  E poi SM-Sua Maestà il Cimon della Pala. La vetta più bella, la salita più ricercata anche se non la più difficile (l’ardito spigolo non supera il terzo grado) e la via normale è un secondo grado con un passaggio di terzo (n. b.: i gradi sono quelli dei miei tempi, ora sono cambiati. Poi, vi sono anche le vie più difficili, tipo la “Fumo negli occhi”, ma questa è un’altra storia). E lo cito per una serie di motivi.

Sul Dente del Cimone: Rifugio Rosetta, esci la mattina, scendi per un sentiero, 
scali una piccola parete di 2-300 metri (Dente del Cimone, il Cusiglio, la Rosetta), arrivi in vetta all’altezza della … tua pastasciutta in rifugio! E il pomeriggio si replica, magari dal rifugio in su (ad es. Le due Beppine)

Il primo: su quella cima io Aiuto Istruttore Sezionale, portai (e riportai a casa, sano e salvo ed entusiasta) un caro vecchio amico, Alfredo Fanara, ingegnere genovese, il quale non era mai stato su una roccia !).

Dalla vetta del Cimon della Pala: laggiù S. Martino di Castrozza

Il secondo: settembre 1968, in vacanza premio dopo la laurea e prima del servizio militare. Accompagnai il Soccorso Alpino nella ricerca di un disperso, Gerard Sprand se ricordo: era salito in solitaria lungo lo spigolo, non aveva individuato la via di discesa (non aveva gli schizzi di Micel e le guide straniere erano molto imprecise!)  ed era precipitato nello scendere per la parete nord, dal lato del ghiacciao del Travignolo: roccia friabile, bagnata, con ghiaccio qua e là.

Il terzo: quella è stata la mia prima salita in solitario, cioè slegato. 1975, ero in vacanza a Carano. Dissi a mia moglie: vado, scalo e torno. E così feci. Arrivato in vetta trovai un reparto delle Fiamme Gialle di Moena intente a fare esercitazioni. Mi chiesero dove fosse il mio compagno: “Sono solo” risposi un po’ fiero di me stesso. “Posso utilizzare le vostre corde doppie da 50 metri, già da voi armate per la discesa? Si? Grazie!” E in attimo fui ai piedi della parete e quindi all’Hotel Corona di Carano del Signor Braito (che memoria che ho per le cose “vecchie”! Quelle recenti invece, talvolta mi sfuggono!)

Luciano Righetti, in vetta

Altre salite sulle Pale e sul Cimon de la Pala mi videro compagno all’amico Luciano Righetti, che saluto da queste pagine.

Luciano Righetti, in vetta e laggiù S. Martino di Castrozza

Ecco, oggi io genovese ormai ampiamente trentinizzato, ho telefonato a Gianfranco Gadenz, il figlio di Micel, gli ho mandato quelle poche foto che ho, gli ho chiesto di mandarmi  alcune notizie sul suo caro papà, perché è mia intenzione scrivere un articolo su di lui e inviarlo alla “mia” Sezione Ligure, a complemento dell’articolo che ha messo in moto questo post.

A presto, dunque e … excelsior, nel ricordo di Micel!

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VIAGGIO IN ITALIA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 7 Giugno, 2020 @ 6:26 am

Detto altrimenti: viaggiando s’impara       (post 3928)

Viaggio in Italia (Italienische Reise) è un’opera che Johann Wolfgang Goethe scrisse tra il 1813 e il 1829 in ben tre volumi a seguito di due suoi viaggi nel Bel Paese. Viaggiare oggi: il Covid19 ha bloccato la mia programmazione di un Viaggio in Sicilia. Vedremo se e come si risolve questa situazione. Nel frattempo “non ci resta che … scriverne”.

Navigare necesse est, vivere non est necesse (“Navigare è indispensabile, vivere no”), è l’esortazione (rectius: minaccia) che, secondo Plutarco, Gneo Pompeo fece ai suoi marinai, i quali opponevano resistenza in Sicilia a imbarcarsi alla volta di Roma a causa del cattivo tempo. Da qui la lingua italiana ha tratto altre esortazioni, tipo volare necesse est”, per invitare i giovani ad iscriversi all’Arma Aereonautica. A me piace trarne un’altra: viaggiare necesse est: è necessario, conveniente viaggiare, per conoscere altri mondi, altre realtà, altri modo di vivere e quindi per conoscere meglio noi stessi. E durante il viaggio, soggiornare nei luoghi, parlare con la gente, conoscerla, fare amicizia, capirla. Per questo mi piace viaggiare nel nostro meridione, nel quale l’apparente invadenza nei tuoi confronti in realtà è attenzione, disponibilità, desiderio di stabilire un rapporto.

Ed ecco che ho ripreso un mio viaggio in Basilicata.

Ovviamente con le bici al seguito! (S. Teodoro, poco a sud di Metaponto)

Villaggio arabo soppra Tursi
Ma … è vera o è finta? Tursi, il figlio di Andrea Doria era Duca di Tursi.
 La sede del Comune di Genova è nel Palazzzo Tursi
Le case della riforma agraria
Strade non trafficate, ideale per noi ciclisti!
Just the nature, my bike and me …
“Cornuto … a chi?!”
Metaponto
“Ma ci sarà l’uomo delle caverne'”
“Arrivooo!”
“Ma si, ormai me lo tengo così com’è …” (Matera)
Aliano: la tomba di Carlo Levi (“Cristo si è fermato ad Eboli”)
S. Teodoro vecchio: un vero gioiello da rivalutare!
Dolomiti anche in Basilicata!
Da S. Teodoro a Marconia, a fare la spesa

Cinque amicizie locali: 1 – Con il contadino custode della fattoria trasformata in appartamentini vacanze.

2 – Con il venditore di formaggi, che mi ha voluto mostrare il suo laboratorio (“Latticini Val Basento”, Via A. Gramsci)

3 – Con l’ormai amico Nicola, il panettiere-pasticcere, la cui moglie è laureata in legge come me. Lui che, alla nostra partenza per Trento, ha voluto regalarci le focacce “per il viaggio” (Panificio La Spiga d’Oro, Via Nazionale, Marconia) – Oggi ci siamo salutati per telefono!

“Ciao, Nicola!”

4 – Con il verduraio, sua moglie e sua suocera.

La spesa in piazza!

5 – Sulla spiaggia, con un improvvvisato, entusiasta aspirante velista che io – da velista gardesano qual sono – ho aiutato ben volentieri

Altro viaggio, a Napoli. E qui ho fatto amicizia con … alcuni avvisi posti sugli autobus!

E infine, all’interno di un bar, l’indicazione del WC

Che vi avevo detto? Viaggiando s’impara!

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L’AZIENDALIZZAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 6 Giugno, 2020 @ 3:11 pm

Detto altrimenti: si può fare, ma in modo “onesto”      (post 3927)

Quelli i servizi pubblici non sono tutti uguali. Il trasporto ferroviario ad esempio. È stato liberalizzato, vi sono più operatori che lo gestiscono: si dice che ciò giova alla concorrenza e quindi all’efficienza del servizio. Ma non è di questo che voglio scrivere, bensì del Servizio Sanitario Nazionale o “locale” quando, come nel caso della nostra provincia Autonoma, esso rientra fra le competenze decentrate, lasciate cioè in gestione alla nostra Autonomia Amministrativa Speciale.

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In questo caso l’aziendalizzazione ha comportato due aspetti negativi: uno facilmente rimediabile, l’altro meno. Il primo consiste nel voler valutare un servizio anche molto sulla base del risultato economico. Il rimedio? Poiché il servizio è obbligato a fornire molte prestazioni gratuitamente o sottocosto, basta imputargli come “ricavi” tutti i propri costi non coperti da ricavi effettivi.  Ho imparato a conoscere questo sistema quando lavoravo nel Gruppo Siemens a Milano: in quell’ambito, tutti i costi del servizio assistenza tecnica non coperti da incassi effettivi (in quanto ad esempio rientranti nelle garanzie contrattuali) ai fini della sua valutazione annuale
venivano imputati come ricavi del servizio stesso.

Il secondo aspetto difficilmente rimediabile? La prevalenza del settore amministrativo gestionale su quello medico. In altre parole, la burocratizzazione. Ma qui il discorso è assai più complicato …

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Passiamo a trattare di un altro servizio pubblico e prendiamo quelli prestato da una società comunale della sosta. Ha in concessone tot stalli auto. Il Comune destina un certo numero di stalli per alcuni giorni all’utilizzo gratuito di una manifestazione. Nulla in contrario, ma a fine anno la società, oltre al bilancio civilistico e a quello fiscale, redigerà anche un bilancio “calcolatorio”, che riporterà fra gli incassi anche quelli persi “per ordine” del Comune suo azionista.

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Poco sopra vi parlavo della Siemens. Qui sopra vi dicevo di come veniva figurativamente “arricchito” il risultato economico di un servizio. Ora vi dico come veniva figurativamente “impoverito” quello finale della società. Infatti la valutazione del risultato di bilancio non viene fatta solo sui dati civilistici e fiscali di fine d’anno, ma il risultato – ai fini della sua valutazione da parte degli azionisti – viene impoverito degli utili che la società avrebbe dovuto generare, tenuto conto dell’intero capitale investito dall’azionista, cioè degli “interessi calcolatori”.

Quando si dice la Germania …

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UGUAGLIANZA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 5 Giugno, 2020 @ 7:12 am

Detto altrimenti: Alessio di Tocqueville, chi era costui?       (post 3926)

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Tocqueville, il visconte Alexis Henri Charles de Clèrel de Tocqueville (1805-1859) è stato un filosofo, politico, storico, precursore della sociologia, giurista e magistrato francese. È considerato uno degli storici e studiosi più importanti del pensiero liberale, liberal conservatore e del liberalismo progressista. Per un periodo della mia vita ho lavorato in Via Alessio di Tocqueville, a Milano, responsabile delle relazioni finanziarie della Italtel, con Donna Marisa Bellisario. Già all’epoca mi ero chiesto chi fosse costui. Il Tocqueville fu fra i primi a osservare (o a temere?) che l’egualitarismo, nonostante l’avversione e la resistenza accanita che esso suscita ogni volta nella storia, è una delle grandi molle dello sviluppo.

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Uguaglianza, detto altrimenti parità. E qui viene subito alla mente la parità di genere, una se non la maggiore battaglia di civiltà del nostro tempo. Una battaglia di democrazia palese, perché formalmente tutti la sostengono, anche se poi segretamente, non tutti “questi tutti” ne sono concretamente sostenitori: basta vedere come si sono comportati i signori senatori maschi alla lettura ed alla votazione in senato della mozione sottoscritta, promossa e letta dalla Sen.ce Donatella Conzatti, mozione che impegna il governo su questo tema: uno solo ha preso la parola, molti sono usciti dall’aula, pur attenti a non far mancare quel minimo numero legale che sarebbe stato veramente troppo! Mozione comunque approvata all’unanimità.

Uguaglianza etnica o nazionale. E qui i “disuguaglianti” sono usciti allo scoperto: siamo passati da “non si affitta a meridionali” della Torino anni ’50, all’attuale “aiutiamoli a casa loro” e “prima gli Italiani”. Il tema mi porterebbe su un altro, separato LP-Long Post.

Uguaglianza delle classi sociali, come terzo tavolo di confronto. E’ stata l’esasperazione del comunismo, ed ha ampiamente dimostrato il proprio insuccesso. Oggi viene rappresentata e da taluno perseguita in modo più o meno palese ma soprattutto sotto una forma più temperata, nel senso di “diminuzione dell’enorme divario fra la ricchezza e la povertà”, alias “distribuzione un po’ più omogenea della ricchezza del mondo (degli esseri umani) e delle risorse naturali della terra (del pianeta)”.

In favore di questo tipo di uguaglianza si erano già pronunciati Tommaso Moro (San Tommaso moro, dal 1935) alias Thomas More nella sua “Utopia” e Tommaso Campanella ne “La città del Sole”. Io non ho letto il Campanella, ma ho letto (Ed. Laterza) e riletto l’Utopia di Moro, da ultimo nella traduzione di Maria Lia Guardini (Ed. Piccola Biblioteca del Margine). Al riguardo mi permetto di suggerire di fare precedere la lettura di quest’opera da quella della biografia dell’Autore: “Tommaso Moro, l’uomo completo del Rinascimento”, di Elisabeth-Marie Ganne, Ed. San Paolo, traduzione di Bruno Amato: aiuterà molto a comprendere il pensiero di Moro.

Ecco, io credo che quest’ultima “uguaglianza” sia oggi la più difficile da perseguire, se non altro perchè i “disuguaglianti assoluti” non escono allo scoperto (e quindi più difficilmente possono essere contestati) e frenano questo processo in modo occulto ma efficace. E scrivo perseguire e non raggiungere anche perchè personalmente io sono contrario all’uguaglianza in assoluto a tutti i costi, costi quel che costi, ma sono favorevole ad un temperamento di questo tipo di enorme disuguaglianza per diversi motivi:

una prima ragione, di ordine morale, per cui il non fare agli altri etc. sul piano pratico si traduce anche nel non affamare gli altri, non farli morire di malattie, di mancanza di acqua potabile, di istruzione, di futuro;

una seconda ragione riguarda la crescita (non esclusivamente economica!) del genere umano, la cui molla è il potere-dovere eccellere, una sana e costruttiva competizione innanzi tutto culturale e quindi creativa di ogni sorta di sviluppo in ogni campo;

una terza ragione meno nobile ma altrettanto valida: se tutto quello che tocchiamo diventa oro, alla fine cosa mangeremo? I nostri lingotti d’oro? E se continuiamo a sfruttare e a impoverire la maggior parte degli abitanti della terra per aumentare la nostra produzione e la nostra ricchezza, alla fine avremo impoverito a tal punto i potenziali consumatori che le nostre merci resteranno invendute nei magazzini.

E se mi sbaglio, mi corigerete.

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FOTOPOST

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 4 Giugno, 2020 @ 11:47 am

Detto altrimenti: un po’ … st di pausa dopo tanti post impegnati e impegnativi!  (post 3925)

Una piccola ape si ripara dalla pioggia sotto un petalo di dipladenia

Una delle mie passioni sono i fiori e il mio orto monotematico. I fiori, nei molti vasi, rinnovata la terra, viaggi a comperarne di nuova e a scaricare la vecchia in discarica.

Excelsior! Fra qualche tempo unirò le due cime con un arco

E poi, per le dipladenie, costruire l’architettura che ne sostenga la crescita in verticale.

Il mio orto

Orto monotematico? Certo, da buon genovese d’origine non ho dimenticato il basilico, destinato a diventare un ottimo pesto. Circa 120 piantine, tre raccolti l’anno, in media 1 kg di foglioline a raccolto. Mica male …

Cosa non si riesce a fare su un paio di balconi!

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