Privatizzazioni in arrivo: che fare in Trentino?

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 14 Gennaio, 2012 @ 7:33 am

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Detto altrimenti: l’UE potrebbe indurre il governo Monti a privatizzare molte società pubbliche. Con ciò, fra l’altro, si eviterebbe il rischio di dover computare nell’ammontare del debito pubblico anche i debiti di tali SpA, il che farebbe crescere di molto il rapporto debito pubblico/PIL.

Alcuni settori non si possono privatizzare, come la gestione dell’acqua,  per la loro natura strategica e perché così dice un referendum popolare.  Parliamo d’altro. Altre attività producono utili, ed allora perché privatizzarle? Altre sono in perdita, ed allora si troveranno compratori solo a patto di aumentare molto le relative tariffe. Ed allora?

La soluzione potrebbe consistere nel sistema già adottato delle Spa a capitale misto pubblico-privato gestite da imprenditori privati secondo le tecniche che essi – e non i funzionari pubblici – conoscono, con l’Ente Pubblico che interviene solo quale regolatore delle tariffe, della qualità dei servizi etc… Ma al riguardo il legislatore non ha adeguato in modo armonico e completo la relativa legislazione, generandosi situazioni di incertezza ad ogni livello. E poi … il futuro pare che sia per SpA private. Al riguardo, la popolazione potrebbe obiettare: perché sostituire l’Azionista pubblico con i “soliti” Azionisti Imprenditori privati? Ed allora?

Allarghiamo l’angolo visuale. In italiano il termine “società pubblica” indica una società posseduta da un Ente Pubblico. Nel mondo anglosassone, il termine “public company” significa “società posseduta dalla collettività dei cittadini” e “privatizzare” si traduce con “to go public”.

Ed allora? Allora proviamo ad immaginare la situazione di un Comune trentino facente parte di un ambito territoriale funzionale intercomunale. Il nostro Comune non attende di essere costretto a vendere ai privati una sua Spa gestore di un servizio pubblico locale entro una data fissa per ottemperare ad un probabile “dictat” legislativo, se non altro perché il prezzo della vendita scenderebbe di molto di fronte ad un compratore consapevole di tale obbligo a scadenza. Ed allora, ben prima di quel momento, il nostro Comune stipula con la sua Spa adeguati contratti di servizio che gli garantiscano comunque il controllo della qualità e dei costi del servizio. Indi il Comune apre il capitale della Spa ai cittadini propri ed a quelli dei Comuni confinanti, uscendo egli stesso dal capitale della sua Spa. La Spa diventa “dei cittadini” i quali sono innanzi tutto interessati ad avere servizi efficienti e a costo contenuto, più che, almeno in questa prima fase, a ricevere dividendi azionari. A quel punto i Comuni del citato bacino funzionale si consorziano e lanciano un unico bando intercomunale per la gestione del servizio pubblico a livello unificato intercomunale con forti economie di scala e funzionali. La Spa vi partecipa con ottime probabilità di vittoria, in quanto, essendo già operante sul territorio ne conosce ogni aspetto di criticità e di opportunità e può formulare l’offerta di gran lunga più tempestiva e favorevole.
Oltre a ciò, la Spa, essendo a capitale privato, potrà liberamente operare sul libero mercato anche al di fuori dei confini dei Comuni d’origine, partecipando a bandi pubblici lanciati da altri Comuni e stipulando contratti gestionali con soggetti privati. Il suo fatturato aumenterebbe, essa potrebbe assumere altro personale locale; praticare condizioni sempre migliori ai suoi Comuni d’origine; produrre utili e ritorni fiscali ed infine distribuire dividendi ai suoi azionisti. Un esempio? In Trentino, terra dei moltissimi Comuni di difficile reciproca fusione, stiamo già assistendo a Comuni che, per ragioni funzionali ed economiche, hanno riunificato le proprie Polizie Locali. Ed allora, gli stessi Comuni potrebbero riunificare – ad esempio – anche la gestione della sosta e della mobilità attraverso un’unica Spa strutturata come sopra descritto.
L’alternativa potrebbe essere, per ogni Comune interessato, il mantenimento della propria SpA separata o la trasformazione della SpA in un ufficio comunale o di altra SpA comunale. Ma ciò andrebbe contro il principio della privatizzazione ed inoltre ucciderebbe la prospettiva di sviluppo organico del settore.
In sintesi: si può ben dire “no” alla privatizzazione che preveda la cessione delle azioni dal Comune ad un singolo imprenditore privato ma si può dire “si” ad un azionariato popolare, locale e diffuso. Mi pare che l’Alto Adige abbia già fatto una scelta dl genere in materia di energia. A Trento il problema parrebbe attuale relativamente alla rete idrica.

In ogni caso: ogni privatizzazione va fatta bene, e cioè va esaminata ed attuata (o meno) dopo una analisi specifica ad essa dedicata. Altrimenti è meglio non farla.