CREDIT SUISSE, PERCHE’ LA VICENDA LEHMAN NON HA INSEGNATO NULLA!
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 22 Marzo, 2023 @ 2:38 pmPost di Gianluigi De Marchi, consulente finanziario, giornalista e scrittore, con il quale nel 2020 ho scritto e pubblicato il libro di cui alla foto in calce.
Anche chi ha poca di dimestichezza con i Vangeli conosce sicuramente la parabola dei talenti: un padrone si assenta per un viaggio, lascia alcuni talenti (una somma enorme per il tempo) a tre servitori e al ritorno li convoca per sapere come hanno amministrato il suo patrimonio. Il primo ed il secondo servitore restituiscono il doppio di quanto ricevuto, mentre il terzo rende solo il talento avuto, giustificandosi che, per paura di perderlo, lo aveva sotterrato. Il padrone lo punisce e lo definisce con rabbia “servo malvagio ed infingardo”, concludendo con un consiglio: “Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse.”
La parabola dei talenti fino al caso Credit Suisse – Sono passati duemila anni, e le banche, in poco tempo, sono riuscite a far impallidire la narrazione evangelica. Se il servo avesse affidato i soldi ad un banchiere alla fine del secolo scorso avrebbe ottenuto un bel “giardinetto” di bond (Cirio, Argentina, Parmalat) che, al ritorno del padrone, sarebbe risultato privo di valore; e probabilmente sarebbe stato fustigato e licenziato. Se li avesse affidati ad un banchiere verso il 2005 avrebbe ottenuto qualche polizza index linked a “capitale garantito” (con sottostanti obbligazioni della Lehman Brothers) che, al ritorno del padrone, sarebbe risultata azzerata nonostante la denominazione di “polizza”; e probabilmente sarebbe stato fustigato e licenziato. Se li avesse affidati ad un banchiere un anno fa, avrebbe partecipato al finanziamento di start up a rischio elevatissimo restando coinvolto nel fallimento degli istituti di credito; e probabilmente sarebbe stato fustigato e licenziato. Invece il servo sciocco e “infingardo”, avrebbe restituito tutto il capitale ricevuto al suo padrone, che lo avrebbe nominato sul campo amministratore delegato… Insomma, in pochi anni i banchieri hanno sgretolato un’immagine che resisteva da duemila anni, quella di persone serie ed affidabili cui il risparmiatore poteva affidare con tranquillità i propri soldi perché poteva pensare serenamente “ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse”. Riflettiamo su quanto successo in questi giorni convulsi che hanno visto il fallimento di alcune banche statunitensi ed il “quasi crack” del Credit Suisse, uno dei colossi della finanza elvetica.
La scommessa sulle start up tech – Negli USA molte banche si sono specializzate nel finanziamento di start up, termine che indica iniziative imprenditoriali altamente innovative, prevalentemente nel settore della tecnologia avanzata, del metaverso, della realtà virtuale, delle blockchain, delle criptovalute, degli NFT. Settori che promettono utili da capogiro, ma che non sempre mantengono le promesse. Ad esempio la Silicon Valley bank (una banca media, al sedicesimo posto nella classifica per dimensioni), si era specializzata nel settore della tecnologia, facendo affari principalmente con fondi di venture capital o società di private equity. Questi, alle prese con molte difficoltà tra il rialzo dei tassi d’interesse e le turbolenze nel settore tech, negli ultimi mesi hanno prelevato molti soldi dai propri conti, provocando una crisi di liquidità cui la banca ha sopperito vendendo massicciamente treasury bond sui quali ha registrato pesanti perdite.
Gli effetti nefasti della deregulation –Purtroppo dal 1998 (quando fu approvata la cosiddetta “deregulation”) le banche USA hanno avuto mano libera per eseguire operazioni di ogni tipo, non solo finanziando le aziende per alimentare il circolante, ma anche fornendo fondi a lungo termine per investimenti ed addirittura partecipando ad operazioni speculative (esempio ormai “di scuola” la creazione dei titoli legati ai mutui subprime). Il primo, gravissimo effetto si ebbe nel 2008, quando uno dei colossi mondiali del credito (la Lehman Brothers) fallì proprio per l’eccesso di utilizzo di strumenti speculativi che in poche settimane distrussero il patrimonio della banca, rischiando di travolgere tutto il sistema bancario mondiale in una catastrofe. Allora tutti i rappresentanti delle istituzioni e della politica promisero solennemente “Mai più un nuovo caso Lehman!”.
Lo squilibrio tra raccolta e impieghi _ Invece la legislazione non è sostanzialmente cambiata, e le banche hanno continuato ad operare con criteri sostanzialmente contrari alle elementari regole del contenimento dei rischi e soprattutto dell’equilibrio tra le fonti di raccolta dei capitali e del loro impiego. Per finanziare il capitale circolante si deve ricorrere al credito “commerciale” (scoperto di conto, anticipazione su fatture, anticipo su merci, ecc.). Ma per finanziare esigenze di lungo periodo (acquisto d’impianti e macchinari, costruzione di stabilimenti, acquisizione di partecipazioni, ecc.) si deve ricorrere ad altre forme tecniche (emissione di obbligazioni, aumenti di capitale sociale, stipula di mutui, ecc.).
Se la banca concede finanziamenti di lungo periodo utilizzando i depositi sui conti correnti provoca uno squilibrio tra fonti di raccolta e destinazione degli impieghi che, al minimo segnale di crisi, provoca gravi scompensi: il ritiro dei depositi da parte dei clienti non può essere soddisfatto per mancanza di liquidità perché i capitali sono investiti in beni di difficile ricupero.
E’ quanto nuovamente accaduto dopo il “caso Lehman”: la Silicon Valley bank ed altre minori hanno operato senza rispettare l’equilibrio finanziario tra depositi (a vista) ed impieghi (a medio-lungo termine).
Archiviato anche Credit Suisse, come uscirne? – La ricetta è semplice, ed è ripetuta inutilmente da molti studiosi ed esperti finanziari: imporre nuovamente la separazione tra credito a breve e credito a lungo termine, tra banche “commerciali” e banche “d’affari”, tra finanza tradizionale e finanza speculativa. La banca deve svolgere una funzione che non è solo quella di generare profitti smisurati, ma anche quella di proteggere e garantire il risparmio del pubblico.
Tale principio era chiaramente contenuto nella legge bancaria del 1936 che distinse nettamente le “aziende di credito”, che operavano la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito a breve termine, dagli istituti di credito speciale, che operavano la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito a medio-lungo termine. Una struttura che garantì 60 anni di sviluppo ordinato ed equilibrato del sistema finanziario italiano. Poi la riforma del 1993 introdusse la “banca universale”, che poteva compiere qualunque tipo di operazione sul mercato.
Assurdo tornare indietro fino al 1936? – Ritornare al modello del 1936 potrebbe sembrare assurdo, rinnegando la cosiddetta “evoluzione” del sistema finanziario; ma non è detto che le innovazioni siano sempre sinonimo di miglioramento; ed i fatti in questo caso lo dimostrano chiaramente. Tornare indietro e ripristinare un sistema basato su principi di prudenza ed equilibrio è una necessità imprescindibile se si vogliono veramente evitare nuovi “casi Lehman”.
Le banche saranno meno profittevoli e ridurranno i loro margini di guadagno? Non è un dramma, soprattutto se si pensa che, a differenza del sistema industriale, i profitti delle banche non derivano dalla creazione di ricchezza ma dal suo semplice trasferimento: un’azienda alimentare che produce marmellate partendo dalla frutta, pasta partendo dal grano o prosciutto partendo dal maiale crea ricchezza grazie all’arricchimento della materia prima. Una banca che raccoglie i risparmi dal dottor Rossi per prestarlo alla ditta Bianchi trasferisce il capitale da uno all’altra senza aggiungere nulla; svolge una funzione essenziale per l’economia, ma non certo così preziosa da giustificare utili miliardari (pagati dai clienti a beneficio degli azionisti e dei dirigenti…).
Le banche tornino a fare quello che hanno fatto per millenni. – Sarebbe ora che le banche tornassero a fare quello che hanno fatto per millenni: raccogliere risparmi, indirizzarli al meglio senza creare prodotti derivati, certificates, asset backed securities e tutto l’armamentario del peggior “apprendista stregone della finanza”.