OCCORRE INTERVENIRE CONTRO LA CRESCITA DEL DEBITO PUBBLICO
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 11 Maggio, 2021 @ 2:27 pmDetto altrimenti: gutta cavat lapidem … repetita iuvant … quod potui feci; faciant meliora potentes … ovvero: la goccia scava la roccia …. giova ripetere le cose … io ho fatto ciò che sta in me; facciano di meglio coloro che hanno il potere (post 4254)
Il nostro debito pubblico “pro-capite” è più sostenibile di quello di altri stati europei, tuttavia il livello crescente del nostro debito pubblico (oggi arrivato a 2700 mildi) rispetto al deficit annuale (160 mildi) e al PIL annuale (1600 mildi) è preoccupante e questa tendenza va invertita al più presto. Purtroppo, le quote di Recovery Fund in arrivo non riusciranno a produrre una finanza tale da invertire questo andamento. Orbene, questi dati e l’elevato ammontare della ricchezza finanziaria privata italiana (4700 mldi di cui 1800 mldi nei c/c bancari) impongono l’attivazione di strumenti che canalizzino volontariamente la finanza privata italiana (ed estera!) verso il nostro settore pubblico statale e quindi, a cascata, verso Regioni, Provincie e Comuni. Volontariamente, laddove una imposta una patrimoniale attirerebbe verso il nostro settore pubblico solo la finanza privata italiana e per di più in modo forzoso!
Per inciso: cosa potrebbe accadere se non iniziassimo a far diminuire quel debito ad esempio nella misura di 5 punti all’anno? Probabilmente saremmo messi fuori dall’Euro e torneremmo alla lira.Ed allora ricordo cosa accadde alla lira negli anni ’70 dopo che furono abrogati gli accordi di Bretton Woods sulla parità di cambi. Soprattutto nella seconda metà del decennio, eravamo messi così:
– svalutazione della lira del12 % con interesse dei soli cittadini italiani a sottoscrivere titoli pubblici a rendimenti molto alti, ma con una moneta che varrebbe molto poco;
– feroce stretta creditizia per cercare superare la quale ci inventammo le “accettazioni bancarie” e le operazioni in pool revolving;
– costo effettivo annuo del denaro anche oltre il 35%;
– cambio lira/dollaro alle stelle;
– feroce stretta valutaria;
– obbligo di cessione all’UIC-Ufficio Italiano cambi la divisa estera ricevuta a fronte di esportazioni, al minor cambio fra la data di ricevimento e quella di cessione;
– obbligo di pagare le importazioni con conti a debito in divisa estera;
– obbligo per gli importatori di versare a Bankitalia in un conto in lire infruttifero bloccato per sei mesi la metà dei pagamenti fatti all’estero.
Oggi registriamo almeno quattro segnali d’allarme:
- fine marzo 2020: duemiladuecento cittadini tedeschi hanno impugnato il Recovery Fund presso la loro Corte Costituzionale, causando quanto meno un ritardo di tre mesi all’intera procedura. Sorgeranno altri intoppi?
- In genere l’Italia è stata capace di utilizzare solo in misura minima i fondi UE;
- stesso periodo, in una riunione UE non deputata (era sul Covid), Draghi – evidentemente preoccupato – ha auspicato l’emissione di Eurobond;
- lo spread sta crescendo e non se ne sta parlando.
A fronte di tutto ciò, il Tesoro potrebbe lanciare emissioni di Titoli di Stato Irredimibili, con i quali lo Stato non si indebita, bensì “vende una rendita”. Infatti i Titoli Irredimibili Rendita non hanno scadenza di rimborso del capitale, pur essendo prevista un’opzione di riacquisto in capo all’ente pubblico emittente. Il tasso di rendimento potrebbe essere molto appetibile, ad esempio 3,5% lordo (tassato al 12,5% trattandosi di titoli pubblici).
Per inciso: 20 agosto 2020: Banca Intesa Sanpaolo emette 1,5 mildi di propri Titoli Privati Irredimibili al 5,5 % lordo in tagli da €100.000, tassati al 26% e riceve richieste di sottoscrizione per 6.5 mildi. Poi si apprende che quella Banca è la principale finanziatrice della costruzione di una mega centrale a carbone nei Balcani. Se altre banche seguissero questo esempio, si indurrebbero le banche a investire a prescindere dall’ “eticità ecologica” dell’investimento (ad esempio in una centrale a carbone!) in favore di chi accetta comunque di pagare il denaro a tassi così alti fuori mercato; verrebbero drenati i c/c bancari; sarebbero dirottati fondi verso investimenti esteri; ci sarebbe una pericolosa concorrenza per l’emissione di titoli pubblici di debito.
I vantaggi dei Titoli Pubblici Irredimibili sono molteplici:
- la loro emissione in sostituzione volontaria di tranche di Titoli di Debito in scadenza, riduce il livello dell’indebitamento pubblico. Oggi il debito pubblico in scadenza annua è di circa 400-500 miliardi;
- le ulteriori emissioni aumentano la liquidità del Tesoro senza aumentare il debito pubblico;
- consentono allo Stato di erogare contributi a fondo perduto alle imprese meritevoli;
- attirando risparmio, sono un argine alla pericolosa corsa alle criptovalute e agli Irredimibili bancari;
- assicurano un ottimo rendimento per l’investitore.
Per inciso: le criptovalute sono pericolose per i seguenti motivi:
- il drenaggio dei conti bancari per l’acquisto di cripto valute fa venir meno del ruolo delle banche ( = raccogliere il risparmio e finanziare famiglie e imprese);
- sottraggono finanza alla sottoscrizione di titoli pubblici di debito;
- creano nuove disuguaglianze: alcuni nuovi ricchi a fronte di molti nuovi poveri (le operazioni su criptovalute sono ad altissimo rischio);
- concentrano molto denaro (vero) in mani sconosciute per fini sconosciuti;
- creano nuovi centri di potere finanziario in grado di annullare il potere politico.
Contro gli Irredimibili si oppone:
- sarebbero comunque un debito dello Stato. La critica è palesemente infondata: infatti, non essendoci alcun obbligo di restituzione del capitale, il Titolo Irredimibile non è un debito per chi lo emette e se come tale fosse classificato basterebbe correggere una classificazione errata;
- il tasso di rendimento nel tempo potrebbe diventare fuori mercato, cioè non più attraente. A ciò si ovvia con l’adozione di rendimenti a tasso rivedibile di cinque anni in cinque anni, oppure con rendimenti in parte e tasso fisso e di parte a tasso variabile magari indicizzato al PIL. Ciò, insieme alla “fiducia nello Stato” contribuirebbe a mantenere il valore del titolo intorno a 100, il che è un presupposto necessario per il successo del lancio. Occorrerebbe trovare una formula equa, che non fosse una sorta di “truffa” per nessuno: emittente e investitore. Interessati a sottoscrivere potrebbero essere i piccoli risparmiatori e molti investitori istituzionali quale il comparto Assicurazioni Vita;
- il loro rendimento elevato aumenterebbe il costo per lo Stato. Si risponde: il costo, non l’esborso finanziario che sarebbe molto più che compensato dal fatto che sono evitati i rimborsi in linea capitale: il grave problema da risolvere infatti a questo livello è di gran lunga soprattutto finanziario, non economico;
- ma … se l’investitore volesse disinvestire? Rispondo: vende i suoi titoli sul mercato.
Altro intervento da effettuare per ridurre il debito pubblico è la vendita del patrimonio immobiliare degli enti pubblici. Infatti, dal documento conclusivo di un’indagine conoscitiva della Commissione Finanze della Camera dedicata agli immobili pubblici emergerebbe che la situazione unità immobiliari del solo Stato (escluse cioè quelle degli altri enti pubblici territoriali ed Enti del parastato!) è la seguente: 543.000 unità pari a 222 milioni di metri quadrati!
Il Dipartimento del Tesoro dell’Economia e delle Finanze, sulla base dei valori medi rilevati dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia del Territorio (valori OMI, prezzi medi per provincia) ha stimato un loro valore fra i 239 e i 319 miliardi di euro.
Si potrebbe costituire un fondo immobiliare per la vendita a scaglioni annuali di 15-20 miliardi l’anno (per non deprimere il mercato con vendite unitarie troppo elevate!) e mirare a ridurre il debito pubblico del 10-15%.
Banche, privati e investitori istituzionali italiani e stranieri potrebbero acquistare quote del fondo, di fatto acquistando gli immobili. Il fondo venderebbe gradualmente gli immobili pagando in tal modo i detentori delle quote per capitale e interessi. Inoltre il fondo potrebbe emettere proprie obbligazioni garantite dagli immobili, il cui ricavato andrebbe a favore del Tesoro. Il costo delle cedole sarebbe inferiore a quello ordinario, potendo i titoli beneficiare di un rating elevato, grazie alla loro solidità immobiliare.
Fuor di finanza, è chiaro che all’Italia occorre aumentare la produttività, questo è il vero nostro punto debole rispetto a tutti gli altri paesi. E a ciò arriveremo con le riforme della scuola, della burocrazia, fiscale e della giustizia prime fra tutte.
Riccardo Lucatti, Presidente dell’Associazione Restart Trentino, già a capo della Finanza Italia della STET-Società Finanziaria Telefonica pe Azioni, Torino/Roma.