UN IMPORTANTE ESPONENTE DEL GOVERNO …

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 23 Dicembre, 2020 @ 6:45 pm

Detto altrimenti: … avrebbe recentemente dichiarato ai ministri IV che lui il Recovery Plan “non lo aveva letto”. Al che verrebbe da dire che sì, occorre remare tutti nella stessa direzione come dice Conte, ma c’è remare e remare! E se fosse vera quella notizia, quel tale lo metterei sì a remare, ma come dico io!   (post 4114)

Da “Breve storia della navigazione a vela” un mio lavoretto di qualche anno fa.

Dal X al XVI secolo troviamo le galee veneziane (e così quelle liguri, pisane e amalfitane) a due alberi, navi che furono le prime ad avere un solo timone per di più interno allo scafo e non più due timoni appesi al giardinetto di babordo (sinistra ) e tribordo (destra).

Le galee veneziane … un mito, anche se per i vogatori erano l’inferno sulla terra! Erano molto boliniere, ed in più se attaccavano il nemico da sottovento avevano l’ulteriore vantaggio, di notte specialmente, di non essere scoperte a causa del puzzo che emanava la stiva dei rematori, i quali si liberavano direttamente sul posto di lavoro di ogni loro esigenza fisiologica. Nei primi secoli, tutti volontari. Quindi vennero impiegati anche prigionieri di guerra (schiavi) e dal 1549 anche gli “zontini” (condannati a pene varie e/o arruolati a forza, ma pagati). Infine, i volontari chiamati “bonavoglia”, questi ultimi stipendiati e armati in caso di combattimento.

La navigazione di poppa era un po’ più problematica, perché le vele latine non sono le più adatte a tale andatura, e le galee rollavano molto. A remi raggiungevano i 9 nodi di velocità e potevano mantenere tale ritmo per 12 ore, il che significa compiere – a remi! – circa 100 miglia (180 km) in 12 ore! Durante la navigazione a remi per offrire minore resistenza all’avanzamento venivano smontati gli alberi.

Le galee veneziane erano tutte “monotipo”, cioè tutte uguali fra loro. Ciò consentiva una maggior rapidità nella costruzione in serie (Arsenale di Venezia docet) e soprattutto una enorme facilità per le riparazioni da parte di tutti i fondaci e porti veneziani sparsi nel mediterraneo e dotati, tutti, degli stessi “pezzi di ricambio”.

In genere erano armate di un solo cannone “da caccia” montato a prua, per sparare lungo l’asse della galea sulla quale peraltro non ci sarebbe stato lo spazio sufficiente per collocare cannoni con tiro laterale, né le galee avrebbero potuto sopportare il rollio dovuto al contraccolpo di una bordata.

Genova – Pisa, uno a zero sul campo della Meloria, il 6 agosto 1284. La squadra genovese (63 galee) era comandata dall’Ammiraglio Oberto Doria ma la vittoria fu dovuta all’intervento dell’Ammiraglio Benedetto Zaccaria che, dal ridosso dello scoglio della Meloria, attaccò il fianco dei Pisani con 30 galee. Delle navi pisane si salvarono solo le 20 al comando del Conte Ugolino, la cui fuga non gli impedì di trionfare politicamente, sino alla sua deposizione nel 1288 ed alla sua triste e famosa fine per fame.

Genova – Venezia, uno a zero sul campo dell’isola di Curzola, 8 settembre 1299 (mi dispiace per i Trentini che si chiamano Curzel).

La formazione ligure era a favore di vento e a “voga arrancata” (ovvero la massima velocità raggiungibile da una galea); piombò in formazione serrata sullo schieramento di Venezia, rompendone i ranghi. Memore del successo alla battaglia della Meloria, Doria lasciò in disparte 15 delle 78 galee come rinforzo, nonostante l’alto rischio: i genovesi infatti erano in netta inferiorità numerica. La battaglia fu particolarmente sanguinosa, più ancora del precedente scontro del 1284 contro i pisani, dove i genovesi erano invece in vantaggio. Abbordare o affondare i legni veneziani costò caro in termini di perdite umane, alla flotta della “Superba”. I veneziani si videro affondate 65 galee, catturate 18; i morti tra i veneti furono settemila, altrettanti i prigionieri, tra cui Marco Polo, che tornato dal suo viaggio nel Catai era stato insignito dell’onore del comando di una delle galee. Ironia della sorte, dividerà la cella con Rustichello da Pisa, prigioniero della Meloria, al quale Polo dettò il suo “Milione”. L’ammiraglio veneziano (si dice che fosse il Doge in persona, anche se esistono versioni contrastanti di questo fatto) cadde altresì prigioniero, e pare si sia tolto la vita prima di essere portato a Genova “rompendosi il cranio contro il banco cui era stato incatenato”, anche se l’ipotesi pare poco credibile, e viene indicata come una leggenda. L’ammiraglio ligure Lamba Doria invece, perse un figlio nella battaglia, e lo fece seppellire in quel tratto di mare, affermando che non avrebbe potuto avere tomba migliore di quella. Come si è detto, le perdite per Genova erano state elevate, e la flotta decise di tornare in patria, rinunciando ad attaccare Venezia stessa, fatto che secondo alcuni storici avrebbe potuto determinare il declino completo della “Serenissima”. Non andò così e le due repubbliche stremate, vennero alla soluzione diplomatica.


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