USCIRE DALL’UE E DALL’EURO? UNA TRAGEDIA!
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 29 Settembre, 2020 @ 5:17 amDetto altrimenti: ricordare, conoscere, riflettere prima di spararle grosse! (post 4018)
Sovranisti, lend me your ears, datemi ascolto: uscire dall’Euro in una certa misura equivarrebbe per l’Italia a quando il nostro Paese fu privato della copertura dell’ombrello degli accordi di Bretton Woods. Luglio 1944, le potenze ormai quasi vincitrici si riunirono in quella località (oggi stazione sciistica) USA e stabilirono il regime dei cambi fissi rispetto all’oro, a sua volta fissato a 35 dollari USA l’oncia. Questi accordi garantirono stabilità fino a quando non furono cancellati nel 1971 e ciò avvenne anche perché molti paesi acquistavano oro dagli USA a quel prezzo e lo rivendevano sui mercati ad un prezzo non calmierato, realizzando notevoli utili, mentre gli USA si impoverivano delle loro riserve auree. E la lira? Fino al 1971 un dollaro USA valeva 625 lire. Poi tutto cambiò, nel senso che emerse il vero valore (inferiore) della lira solitaria, abbandonata a se stessa e di fronte ai provvedimenti di legge restrittivi iniziò a dilagare l’arte italica di arrangiarsi. Ma cominciamo dai provvedimenti:
- forte svalutazione;
- aumento dei tassi bancari a livello di usura (25-35% quale costo effettivo annuo);
- divieto di possedere valuta estera, con l’obbligo di cessione entro sette giorni all’ Ufficio Italiano dei Cambi al minor tasso di cambio del periodo;
- feroce stretta creditizia e valutaria;
- obbligo per gli importatori di pagare all’estero le importazioni con fondi obbligatoriamente prelevati da conti debitori in divisa estera denominati “conti anticipi” e obbligo di versare alla Banca d’Italia in un conto infruttifero vincolato per sei mesi una somma pari alla metà del prezzo pagato all’estero.
Come cercarono di arrangiarsi gli Italiani?
I singoli privati diedero inizio ad una molteplicità di mini atti di evasione valutaria, acquistando regolarmente in banca quel minino di valuta estera che la legge consentiva loro – acquisto registrato sul passaporto e che mi pare di ricordare fosse la contropartita di 500.000 lire – per poi rivendere con un nforte utile “in nero” quella valuta a cambiavalute compiacenti che in tal modo raccoglievano rilevanti quantità di banconote estere che poi contrabbandavano all’estero per conto di clientela facoltosa.
Fra le società ed i gruppi di società di maggior dimensioni solo pochissimi riuscirono a farsi concedere l’uso di “conti in divisa estera autorizzati” creando una ingiusta disparità di trattamento rispetto alla concorrenza in applicazione della massima che “la legge è uguale per tutti tranne le eccezioni di legge”.
E gli altri gruppi-società? Di fronte al proliferare delle posizioni debitorie in molte divise estere, dovettero organizzare un particolare sistema di controllo del rischio di cambio: uno fu quello di accendere le migliaia dei singoli conti anticipi debitori con scadenze compattate in modo da potere gestire masse omogenee di rinnovi e di rinegoziazioni (STET Società Finanziaria Telefonica per Azioni, Torino).
Di fronte alla stretta creditizia, proliferarono o le operazioni di concessione di crediti in pool: ovvero si organizzava un certo gruppo di banche coordinate da una banca capofila, ognuna di esse erogata una parte del credito e il gruppo industriale riceveva complessivamente un credito dimensionato rispetto alle proprie esigenze. Fra queste operazioni merita un cenno una in particolare, organizzata dalla citata STET, operazione denominata “Omnibus”: poiché le banche potevano prestare denaro solo “a breve termine” mentre la STET aveva bisogno di un credito a medio termine, si ideò di raccogliere ogni mese un certo numero di quote di finanziamento con scadenza, ognuna, di sei mesi mentre la banca capofila, la Banca Popolare di Milano, per cinque anni garantiva (credito il suo al momento non per cassa e quindi non contingentato dalla legge) che sarebbe intervenuta per cassa al fine di garantire un livello predeterminato di concessione del credito. Al che la STET classificava l’intero ammontare quale debito a medio termine.
Le banche poi idearono un ulteriore strumento per “arrangiarsi” nella erogazione di un credito altrimenti vietato: lanciarono lo strumento delle “accettazioni bancarie” ovvero accettarono tratte emesse su loro stesse, tratte che poi il cliente poteva scontarsi presso chi avesse una buona liquidità. Per dare l’immagine del fenomeno, una delle banche maggiori, la Banca Commerciale Italiana, decise di accettare e di rilasciare un plafond di 200 miliardi di lire di accettazioni che andarono “bruciate” in pochi giorni.
E il Tesoro, come reagì? Nella necessità continuare a collocare i propri titoli di debito pubblico, ne innalzò il rendimento al punto che ad un certo punto alle imprese convenne indebitarsi in banca e investire in titoli di stato, lucrando sulla differenza dei due tassi: in altre parole, usarono il denaro per fare denaro e non quale strumento della produzione industriale.
Quanto sopra esposto è storia vissuta in prima persona da chi scrive (*) ed è solo una pallida immagine di ciò che potrebbe accadere se l’Italia uscisse dall’Euro. Quanti di chi oggi vorrebbero il ritorno alla lira hanno vissuto e/o conoscono e/o sono disponibili a studiare e riflettere su quanto avvenne? Storia maestra di vita … e di scelte di politica finanziaria ed economica!
(+) all’epoca, responsabile della Finanza Italia della STET, Torino/Roma
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