RECOVERY FUND
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 28 Settembre, 2020 @ 5:19 pmDetto altrimenti: Fondo di recupero (post 4017)
L’attuale pandemia ha avuto anche effetti positivi: farci apprezzare il valore della libertà di muoverci per le nostre città (un bene si apprezza soprattutto quando viene a mancare) e – ciò che è massimamente importante e significativo – farci comprendere l’importanza di essere ed agire da Europei all’interno dell’Unione Europea. Sul fronte opposto, ha indotto l’UE a razionalizzare i suoi interventi sul duplice piano del reperimento delle risorse finanziarie comunitarie da destinare ai singoli stati e del loro impiego da parte dei destinatari.
Interventi finanziari dell’UE
La crisi generata dalla pandemia ha indotto l’Unione Europea a concentrare la propria azione su strumenti quali il MES – Meccanismo Europeo di Stabilità che vale 500 miliardi di prestiti la cui distribuzione dipende direttamente dagli Stati membri dell’UE e la cui assegnazione è subordinata al rispetto di stretti vincoli e condizioni, il che sta suscitato forti polemiche nel nostro paese fra chi non accetta limitazioni di sorta e gli altri. I fondi del MES in ogni caso aumentano il debito pubblico di ogni stato.
Vi è poi il SURE (Sicurezza): 100 miliardi di prestiti proposti dalla Commissione UE per finanziare direttamente gli effetti della disoccupazione. Questa è una medicina che lenisce gli effetti della malattia ma non ne elimina le cause.
Infine, vi sono gli acquisti da parte della BCE di titoli di debito pubblico dei singoli stati membri. Ma quanto sarà la quantità massima acquistabile? I titoli di quali stati saranno acquistati? Quale tipo di titoli? In che misura? Fino a quando la BCE potrà acquistarli?
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Già nella prima edizione di questo libro scritto nel marzo scorso e pubblicato nel successivo mese di aprile, ipotizzavamo l’emissione da parte degli Stati e dell’UE di titoli di Rendita (cioè non di debito) irredimibili. Al riguardo si veda il successo del primo esperimento “privato” di cui ad apposito capitolo in questa seconda edizione del libro: infatti il 25 agosto scorso Banca Intesa Sanpaolo ha emesso 700 milioni di suoi titoli di rendita irredimibili a fronte dei quali ha avuto 6,5 miliardi di richieste di acquisto!
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A sostegno della nostra idea “irredimibile”, mi piace citare il finanziere George Soros, il quale sul Il Sole 24 Ore del 22 aprile 2020 a pagina 1 ha citato la GB che con i titoli irredimibili ci finanziò le guerre napoleoniche, riscattando i titoli nel 2015. Egli inoltre ci ha ricordato come in USA dal 1870 ne furono emesse alcune serie per consolidare emissioni redimibili già esistenti ed evitarne l’onere del rimborso. Egli tuttavia in quella sede ha dimenticato di citare il successo dell’emissione italiana del 1935 per 42 miliardi di lire. Quali vantaggi degli irredimibili per la’UE, Soros cita:
1) eliminazione delle restrizioni per la BCE all’acquisto di titoli; 2) l’onere finanziario lieve per la UE malgrado la loro notevole “potenza di fuoco”; 3) a bilancio UE non si richiederebbero accantonamenti nè ammortamenti; 4) l’emissione può essere più facilmente emessa a scaglioni frazionati successivi; 5) la BCE non sarebbe più costretta a ribilanciare continuamente il proprio portafoglio titoli dei vari paesi aderenti.
Il Recovery Fund
E veniamo all’ultimo nato, il Fondo di Recupero, Recovery Fund creato per recuperare lo status quo rispetto ai danni dalla pandemia e per migliorare ulteriormente le condizioni di una ripartenza. Sul piano internazionale ci si deve rifare ad una prima idea francese – poi sposata anche dalla Germania – che proponeva l’emissione di Eurobond, cioè di titoli di debito europei, il cosiddetto debito condiviso, per la raccolta dei fondi necessari ad aiutare la ripresa dei singoli stati. Da qui l’idea dei Recovery Fund a cui prima iniziativa è stata dei ministri finanziari dei paesi dell’UE, i quali hanno interessato i Capi di Stato e di Governo e il Consiglio Europeo il quale ha dato mandato alla Commissione Europea di predisporre una bozza entro il 6 maggio scorso.
La Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha dovuto impostare la soluzione dei seguenti aspetti: l’ammontare totale dell’intervento; da dove e su quale bilancio recuperare questi fondi; con quali criteri e finalità destinarli agli stati; quando erogarli. L’ammontare del fabbisogno finanziario è stato definito in 750 miliardi di cui 209 all’Italia di cui 81,4 a fondo perso e 127,6 sotto forma di prestiti. La copertura del fabbisogno avverrà attraverso l’emissione di Eurobond il cui rimborso in favore dei sottoscrittori sarà garantito pro quote diverse dai singoli stati membri. I singoli stati devono proporre all’UE come utilizzeranno questi fondi con una bozza già entro il 15 ottobre prossimo e con un vero e proprio piano entro l’aprile 2021. I principali campi di applicazione indicati dall’UE sono: difesa del clima, digitalizzazione, produttività, equità e stabilità macroeconomica, sanità, sostenibilità ambientale.
A quest’ultimo riguardo vi sono Regioni che stanno predisponendo piani da sottoporre al Parlamento con contenuti assolutamente in linea con le finalità UE stabilite ben prima della pandemia e cioè mirate alla riduzione delle emissioni inquinanti per il 2050. In questo ambito rientra la sostituzione del trasporto su acciaio (rotaia o cavo) al trasporto su gomma e quindi ad esempio una maggiore intermodalità ferroviaria, la realizzazione di metropolitane leggere di superfice e, per le città articolate su diversi livelli di altitudine, la realizzazione di funivie.
Il 15 settembre 2020 il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte ha trasmesso al Parlamento una prima bozza di proposta di utilizzo. Sarà importante vedere come sarà gestito in dettaglio il totale assegnato all’Italia, se direttamente su singoli progetti e/o – sempre in linea con le prescrizioni UE – per somme complessive a Regioni e/o Provincie e/o Citta lasciando loro il potere di gestire a cascata – con gli stessi criteri – l’assegnazione effettiva ai singoli progetti.
L’auspicio di chi scrive è che in capo agli Enti Pubblici Intermedi si ripeta il criterio di assegnazione generale adottato dall’UE che vede i fondi da assegnarsi in parte genericamente per la ripresa e in parte per progetti specifici. In altre parole, l’esistenza di una “catena di distribuzione” dei fondi (Stato, Regioni, Province, Comuni) non deve impedire a che almeno una parte di essi sia destinata “di diritto” a progetti specifici di emanazione diretta e originaria comunale, provinciale, regionale.
Ho iniziato questo contributo con una considerazione di ordine generale, e con una di odine generale voglio chiuderlo. L’UE aveva stabilito che l’assegnazione dei fondi potesse avvenire a patto che nei paesi destinatari fosse garantito lo stato di diritto. Il premier ungherese Viktor Orban (in gioventù allievo di George Soros! Quali diverse strade ha poi percorso Orban rispetto al suo maestro!), sostenuto da Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, ha posto il suo veto. L’UE ha dovuto sfumare molto trasformando la condizione in un auspicio. Questi paesi interpretano l’appartenenza all’UE in un modo non condivisibile, cioè ”alla carta”, ovvero “Reclamo e ricevo sussidi ma mi oppongo all’equa distribuzione degli immigrati e all’impegno del rispetto dello stato di diritto”. Quo usque tandem … fìno a quando?
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