MICHELE GADENZ

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 8 Giugno, 2020 @ 6:01 pm

Detto altrimenti: Micel,  il  “paron” delle Pale di S. Martino      (post  3929)

Io, genovese d’origine, classe 1944, sampdoriano, risiedo a Trento da 35 anni. Vidi la prima volta le Dolomiti dall’auto. Avevo diciassette anni, poco prima della riapertura autunnale delle scuole, ero a Bolzano in visita in treno da Genova alla zia Amalia che era ragioniera capo all’amministrazione provinciale (Presidenza Magnago) di quella città. Bolzano, la città nella quale mamma aveva insegnato fra gli altri ad Alcide Berloffa e dove aveva conosciuto babbo, che poi aveva sposato a Genova. Ed ecco la poesiola che ne è nata (primo colpo di fulmine):

Dolomiti la prima volta

Si sale pian piano / con una seicento che sbuffa / fra nuvole stanche / sedute nei prati rossi di umori / e di foglie. / E sotto il maglione d’autunno / compare / dapprima ogni tanto / e quindi ogni poco / il bianco sparato di neve. / D’un tratto si apre / nel sole / una torre dorata / adagiata su coltri / di freddo vapore d’argento. / Il ricordo di Lei / profuma nei sogni nascosti / di un solitario turista / un po’ fuori stagione / che ha spalancato per caso / la porta di un camerino / e s’innamora alla vista / della Prima Donna / intenta a rifarsi il trucco / per lo spettacolo d’inverno.

Campanil Basso, Brenta Alta, Cima Margherita (Via Videsott)

Toccai con mano quelle montagne gioiello all’età di vent’anni, quando, in vacanza da Genova a Cles – dove il babbo era Maresciallo Maggiore dei CC – un nostro amico (Giacomo Dusini) ci portò a fare il giro delle Bocchette.  Salivamo da Vallesinella ed ecco che improvvisamente la cima del Crozzon di Brenta emergere a galleggiare sul mare delle nuvole mattutine. Quando si dice il “secondo colpo di fulmine”.

Dalla vetta della Cima Margherita, vista sulla Cima Tosa
(conservo ancora scarponi mod. “Guida” leggeri e giacca!)

Rientrato a Genova mi iscrissi ai corsi di alpinismo della Scuola Bartolomeo Figari del CAI Sez. Ligure, prima da secondo e poi da capo cordata, sino a diventare Aiuto Istruttore Sezionale. Successivamente il lavoro mi portò in giro per l’Italia e all’estero e finì lì la mia carriera di istruttore, non quella di alpinista. Infatti, oltre alle salite dalle “mie parti” (Alpi Marittime e Valle d’Aosta), tornavo ogni estate in Trentino e per circa dieci giorni ero nel “mio” in Brenta. Poi non ricordo come, lo tradii per le Pale di San Martino.

In Alpi Marittime

Oggi, 8 giugno 2020, ricevo per posta il n. 2/2020 della rivista del CAI-Sezione Ligure, sodalizio al quale sono rimasto legato da ben 56 bollini annuali (1965-2020). Alle pagine 48-50 trovo il bell’articolo “Cimon della Pala – Spigolature di storia alpinistica” a firma Matteo Graziani, IS Scuola Nazionale Scialpinismo “Ligure”, ed ho subito pensato a Micel a quella splendida montagna, un po’ “mia” anch’essa.

Da sinistra: Michele Gadenz ed io. Non ricordo le altre persone, mi scuseranno

Infatti, come in Brenta ero affezionato al Rifugio Pedrotti alla Cima Tosa, sulle Pale mi legai fedelmente al Rifugio Rosetta, nel quale – erano gli anni ’60 – ’70, ebbi il piacere e l’onore di conoscere e frequentare Michele Gadenz detto Micel, gestore del rifugio, capo del Soccorso alpino, grande scalatore (innumerevoli le vie aperte da Micel!), innamorato delle sue montagne. Di Micel ricordo come si preoccupava di informarsi quale salita avremmo fatto, se conoscevamo bene il percorso di salita e quello di discesa, come eravamo attrezzati, quale fosse il nostro grado di preparazione e di allenamento, a che ora pensavamo di essere di ritorno.

Un prezioso cimelio

Chiarito tutto ciò, ci regalava quelli che lui definiva gli “schizzi”, cioè preziose piantine da lui stesso disegnate a mano e a memoria, le quali all’atto pratico sarebbero risultate assai più utili di qualsiasi guida! Negli “schizzi” era segnalato ogni sasso, ogni sporgenza, ogni pinnacolo, passare di qui non di là, salire, scendere, fare attenzione … insomma, un vero Schutzengel, “angelo custode”.

Il terzo nella foto, primo nella fila: Micel. Io sono fra i due.

Tornavo al Rosetta di anno in anno, e Micel mostrava di apprezzare che io ricordassi le salite fatte o che mi aveva suggerito l’anno prima: aggrottava le ciglia istintivamente – non era un atteggiamento – mentre tutto serio approvava questo nostro ricordare: “Si vede che sei veramente appassionato e fedele alla montagna…” Lui che sull’altopiano intorno al Rosetta, aveva tracciato con la vernice dei segnali a raggera che conducevano al rifugio chi, ove si fosse alzata la nebbia, avrebbe bivaccato all’aperto pur a poche centinaia di metri dal rifugio!

Io, il primo sulla destra, in una pausa, con le guide del soccorso alpino

Non ho intenzione di elencare qui le salite fatte se non due per motivi diversi: la Via Castiglioni al Campanile Pradidali (salita che feci insieme a Nello Tasso, se ben ricordo), nella quale ci fu utilissimo lo schizzo di Micel che ci condusse agevolmente ad imbroccare la complessa ed intricata via di discesa.  E poi SM-Sua Maestà il Cimon della Pala. La vetta più bella, la salita più ricercata anche se non la più difficile (l’ardito spigolo non supera il terzo grado) e la via normale è un secondo grado con un passaggio di terzo (n. b.: i gradi sono quelli dei miei tempi, ora sono cambiati. Poi, vi sono anche le vie più difficili, tipo la “Fumo negli occhi”, ma questa è un’altra storia). E lo cito per una serie di motivi.

Sul Dente del Cimone: Rifugio Rosetta, esci la mattina, scendi per un sentiero, 
scali una piccola parete di 2-300 metri (Dente del Cimone, il Cusiglio, la Rosetta), arrivi in vetta all’altezza della … tua pastasciutta in rifugio! E il pomeriggio si replica, magari dal rifugio in su (ad es. Le due Beppine)

Il primo: su quella cima io Aiuto Istruttore Sezionale, portai (e riportai a casa, sano e salvo ed entusiasta) un caro vecchio amico, Alfredo Fanara, ingegnere genovese, il quale non era mai stato su una roccia !).

Dalla vetta del Cimon della Pala: laggiù S. Martino di Castrozza

Il secondo: settembre 1968, in vacanza premio dopo la laurea e prima del servizio militare. Accompagnai il Soccorso Alpino nella ricerca di un disperso, Gerard Sprand se ricordo: era salito in solitaria lungo lo spigolo, non aveva individuato la via di discesa (non aveva gli schizzi di Micel e le guide straniere erano molto imprecise!)  ed era precipitato nello scendere per la parete nord, dal lato del ghiacciao del Travignolo: roccia friabile, bagnata, con ghiaccio qua e là.

Il terzo: quella è stata la mia prima salita in solitario, cioè slegato. 1975, ero in vacanza a Carano. Dissi a mia moglie: vado, scalo e torno. E così feci. Arrivato in vetta trovai un reparto delle Fiamme Gialle di Moena intente a fare esercitazioni. Mi chiesero dove fosse il mio compagno: “Sono solo” risposi un po’ fiero di me stesso. “Posso utilizzare le vostre corde doppie da 50 metri, già da voi armate per la discesa? Si? Grazie!” E in attimo fui ai piedi della parete e quindi all’Hotel Corona di Carano del Signor Braito (che memoria che ho per le cose “vecchie”! Quelle recenti invece, talvolta mi sfuggono!)

Luciano Righetti, in vetta

Altre salite sulle Pale e sul Cimon de la Pala mi videro compagno all’amico Luciano Righetti, che saluto da queste pagine.

Luciano Righetti, in vetta e laggiù S. Martino di Castrozza

Ecco, oggi io genovese ormai ampiamente trentinizzato, ho telefonato a Gianfranco Gadenz, il figlio di Micel, gli ho mandato quelle poche foto che ho, gli ho chiesto di mandarmi  alcune notizie sul suo caro papà, perché è mia intenzione scrivere un articolo su di lui e inviarlo alla “mia” Sezione Ligure, a complemento dell’articolo che ha messo in moto questo post.

A presto, dunque e … excelsior, nel ricordo di Micel!

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