UGUAGLIANZA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 5 Giugno, 2020 @ 7:12 am

Detto altrimenti: Alessio di Tocqueville, chi era costui?       (post 3926)

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Tocqueville, il visconte Alexis Henri Charles de Clèrel de Tocqueville (1805-1859) è stato un filosofo, politico, storico, precursore della sociologia, giurista e magistrato francese. È considerato uno degli storici e studiosi più importanti del pensiero liberale, liberal conservatore e del liberalismo progressista. Per un periodo della mia vita ho lavorato in Via Alessio di Tocqueville, a Milano, responsabile delle relazioni finanziarie della Italtel, con Donna Marisa Bellisario. Già all’epoca mi ero chiesto chi fosse costui. Il Tocqueville fu fra i primi a osservare (o a temere?) che l’egualitarismo, nonostante l’avversione e la resistenza accanita che esso suscita ogni volta nella storia, è una delle grandi molle dello sviluppo.

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Uguaglianza, detto altrimenti parità. E qui viene subito alla mente la parità di genere, una se non la maggiore battaglia di civiltà del nostro tempo. Una battaglia di democrazia palese, perché formalmente tutti la sostengono, anche se poi segretamente, non tutti “questi tutti” ne sono concretamente sostenitori: basta vedere come si sono comportati i signori senatori maschi alla lettura ed alla votazione in senato della mozione sottoscritta, promossa e letta dalla Sen.ce Donatella Conzatti, mozione che impegna il governo su questo tema: uno solo ha preso la parola, molti sono usciti dall’aula, pur attenti a non far mancare quel minimo numero legale che sarebbe stato veramente troppo! Mozione comunque approvata all’unanimità.

Uguaglianza etnica o nazionale. E qui i “disuguaglianti” sono usciti allo scoperto: siamo passati da “non si affitta a meridionali” della Torino anni ’50, all’attuale “aiutiamoli a casa loro” e “prima gli Italiani”. Il tema mi porterebbe su un altro, separato LP-Long Post.

Uguaglianza delle classi sociali, come terzo tavolo di confronto. E’ stata l’esasperazione del comunismo, ed ha ampiamente dimostrato il proprio insuccesso. Oggi viene rappresentata e da taluno perseguita in modo più o meno palese ma soprattutto sotto una forma più temperata, nel senso di “diminuzione dell’enorme divario fra la ricchezza e la povertà”, alias “distribuzione un po’ più omogenea della ricchezza del mondo (degli esseri umani) e delle risorse naturali della terra (del pianeta)”.

In favore di questo tipo di uguaglianza si erano già pronunciati Tommaso Moro (San Tommaso moro, dal 1935) alias Thomas More nella sua “Utopia” e Tommaso Campanella ne “La città del Sole”. Io non ho letto il Campanella, ma ho letto (Ed. Laterza) e riletto l’Utopia di Moro, da ultimo nella traduzione di Maria Lia Guardini (Ed. Piccola Biblioteca del Margine). Al riguardo mi permetto di suggerire di fare precedere la lettura di quest’opera da quella della biografia dell’Autore: “Tommaso Moro, l’uomo completo del Rinascimento”, di Elisabeth-Marie Ganne, Ed. San Paolo, traduzione di Bruno Amato: aiuterà molto a comprendere il pensiero di Moro.

Ecco, io credo che quest’ultima “uguaglianza” sia oggi la più difficile da perseguire, se non altro perchè i “disuguaglianti assoluti” non escono allo scoperto (e quindi più difficilmente possono essere contestati) e frenano questo processo in modo occulto ma efficace. E scrivo perseguire e non raggiungere anche perchè personalmente io sono contrario all’uguaglianza in assoluto a tutti i costi, costi quel che costi, ma sono favorevole ad un temperamento di questo tipo di enorme disuguaglianza per diversi motivi:

una prima ragione, di ordine morale, per cui il non fare agli altri etc. sul piano pratico si traduce anche nel non affamare gli altri, non farli morire di malattie, di mancanza di acqua potabile, di istruzione, di futuro;

una seconda ragione riguarda la crescita (non esclusivamente economica!) del genere umano, la cui molla è il potere-dovere eccellere, una sana e costruttiva competizione innanzi tutto culturale e quindi creativa di ogni sorta di sviluppo in ogni campo;

una terza ragione meno nobile ma altrettanto valida: se tutto quello che tocchiamo diventa oro, alla fine cosa mangeremo? I nostri lingotti d’oro? E se continuiamo a sfruttare e a impoverire la maggior parte degli abitanti della terra per aumentare la nostra produzione e la nostra ricchezza, alla fine avremo impoverito a tal punto i potenziali consumatori che le nostre merci resteranno invendute nei magazzini.

E se mi sbaglio, mi corigerete.

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