SE NE VANNO …
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 14 Aprile, 2020 @ 7:12 pmDetto altrimenti: un popolo di nonni … (post 3853)
“Se ne vanno. Mesti, silenziosi, come magari è stata umile e silenziosa la loro vita, fatta di lavoro, di sacrifici. Se ne va una generazione, quella che ha visto la guerra, ne ha sentito l’odore e le privazioni, tra la fuga in un rifugio antiaereo e la bramosa ricerca di qualcosa per sfamarsi. Se ne vanno mani indurite dai calli, visi segnati da rughe profonde, memorie di giornate passate sotto il sole cocente o il freddo pungente. Mani che hanno spostato macerie, impastato cemento, piegato ferro, in canottiera e cappello di carta di giornale. Se ne vanno quelli della Lambretta, della Fiat 500 o 600, dei primi frigoriferi, della televisione in bianco e nero. Ci lasciano, avvolti in un lenzuolo, come Cristo nel sudario, quelli del boom economico che con il sudore hanno ricostruito questa nostra nazione, regalandoci quel benessere di cui abbiamo impunemente approfittato. Se ne va l’esperienza, la comprensione, la pazienza, la resilienza, il rispetto, pregi ormai dimenticati. Se ne vanno senza una carezza, senza che nessuno stringesse loro la mano, senza neanche un ultimo bacio. Se ne vanno i nonni, memoria storica del nostro Paese, patrimonio della intera umanità. L’Italia intera deve dirvi GRAZIE e accompagnarvi in quest’ultimo viaggio con 60 milioni di carezze… ❤🙏” F.to FULVIO MARCELLITTI
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Oggi, 15 aprile, un amico mi telefona: “Troppo triste”. Ma è la Verità, triste quanto vuoi, ma sempre Verità è, gli ho risposto. Comunque, per non cedere allo sconforto e riaccendere la speranza, oggi, the day after il post “triste” di ieri cui sopra, ho voluto aggiungere una foto, la foto della speranza, l’ultima qui sotto. Ieri, durante la mia “ora d’aria”, camminavo entro il famoso raggio dei duecento metri da casa: per mia fortuna abito ai confini della città, lungo un bel fiume (il Fersina, la Fersena in dialetto), ai piedi dei primi contrafforti montani, il tutto a novecento metri dal Duomo (evviva Trento!).
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Dalla strada si diparte una elegante scalinatella che diventa subito una ripida stradicciola costeggiata da un filare di cipressi il quale conduce alla chiesetta dei frati Francescani, quella dove diciotto anni fa si sposò mia figlia Valentina. Insieme a Maria Teresa, mia moglie, interpretiamo questa salita come una sorta di palestra nella quale fare un po’ di allenamento per le gambe e per dare fiato ai polmoni e alla Speranza. Ogni volta che la percorro penso al giorno di quel matrimonio, quando ancora i cipressi non erano stati piantati (peccato!) e a quel passo dei Promessi Sposi nel quale si parla di “una di quelle stradicciole …”. Non che io mi senta un Don Abbondio, ma la pace e la serenità che il povero curato avvertiva prima dell’incontro con i due bravacci doveva proprio essere di questo stesso tipo.
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Ebbene, all’inizio della salitella, sulla sinistra, dietro una croce, in una fettina di aiuola trascurata da tutti nella quale si sono sviluppati intricati grovigli di erbe selvatiche e qualche canna, sono spontaneamente cresciuti e sbocciati alcuni tulipani. Mi sono fermato per una foto perchè mi è parso significativo testimoniare quella presenza di vita che ho subito interpretato come una speranza: se sono riusciti loro – i tulipani – a germogliare e fiorire inaspettatamente in un ambiente così trascurato e inospitale, riusciremo anche tutti noi a uscire da questa micidiale pandemia. E poi, siccome che a me mi piace la saggezza di ogni dialetto, per l’occasione ne regalo a tutti noi alcuni. Un paio siciliani: o bono tempo e o malo tempo non dura tutto o tempo e calati iuncu ca passa la china, piegati, canna, che la piena passa e tu ti rialzi. Insomma, adda passà a nuttata! Quest’ultimo è del … nord: napoletano! Insomma scialla raga, coraggio: insieme ce la faremo!
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Firmato: un blogger tri-nonno troppo giovane, classe 1944, che della guerra ricorda solo la luce azzurra nel vano scale; la carta di giornale pressata nelle fessure delle persiane; la targhetta di metallo a contrassegnare un posto a sedere sui tram “Riservato agli invalidi di guerra e del lavoro” e le macerie delle case del centro storico, intorno al porto di Genova.
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