LO STATO IN ECONOMIA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 7 Marzo, 2020 @ 8:58 am

Detto altrimenti: chi dice si, chi dice no … (post 3786)

Premessa – L’argomento è attuale perché da molti si pensa che i primi investimenti da farsi per rimettere in moto la macchina della crescita dovrebbero essere quelli pubblici. Io poi mi sento particolarmente coinvolto avendo lavorato per anni nel Gruppo IRI, sia nelle filiali e nella Direzione Centrale della Banca Commerciale italiana, sia in società industriali operative, sia quale responsabile della Finanza Italia della Stet, Società Finanziaria Telefonica per Azioni – Torino, all’epoca la più grande finanziaria di partecipazioni e operativa del paese, a sua volta facente capo all’IRI. Inoltre mi sono da sempre appassionato al tema delle privatizzazioni (quelle produttive per tutte le parti in causa, non le semplici dismissioni o svendite!) ed agli strumenti delle Società internazionali, miste pubblico-private e del project financing. Fine della premessa.

Una brevissima occhiata alla nostra storia più recente. Nell’ ‘800 il capitalismo liberale aveva subordinato il politico all’economico. Nel ‘900 il marxismo (in un sistema che non aveva conosciuto il capitalismo liberale) ed il fascismo (sorto dopo il capitalismo liberale) hanno cercato di subordinare l’economia alla politica. Le Costituzioni del secondo dopoguerra, antitotalitarie, hanno adottato un capitalismo liberale qualitativo, conciliando lo sviluppo economico con un predefinito ordine sociale “giusto”, perché l’economia “da sola” non si preoccupa – ad esempio – della salute e dell’ambiente (Taranto docet!); della dignità dell’uomo (infimo livello retributivo dei raccoglitori di pomodori e dei riders); della turpe commercializzazione del corpo umano (contrabbando di organi umani!); della pace (fabbricazione e vendita di armi), solo per citare alcuni ambiti. Del resto un intervento pubblico in economia è sempre esistito: opere pubbliche, disciplina delle acque e delle miniere, misure protezionistiche, commesse pubbliche e – purtroppo – guerre coloniali.

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E oggi? Oggi io vedrei bene un nuovo IRI che non fosse più l’Istituto per la Ricostruzione Industriale Italiana bensì ISTITUTO EUROPEO PER LA RICONVERSIONE  INDUSTRIALE  E DEI SERVIZI con strumenti misti interstatali , pubblico-privato e project financing.

Un ‘utopia la mia? Certo, ovvero un traguardo semplicemente non ancora raggiunto! E poi … guai nella vita a non coltivare utopie!

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