SOCIOLOGIA: UNA BUONA NOVELLA PER IL 2020

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 1 Gennaio, 2020 @ 12:00 am

Detto altrimenti: una Buona Novella per la gestione della vita per il 2020     (POST 3729)

BUON ANNO!

Nei prossimi giorni oltre a nuovi post vedrete arricchirsi via via questo dal quale può nascere un esperimento: ciascun lettore potrà prendere lo spunto da uno dei temi trattati  e far nascere un approfondimento sulla materia scrivendomi a riccardo.lucatti@hotmail.it facendo riferimento al n. di pagina ivi citato

Buona Novella  per la gestione laica, amministrativa, aziendale, etc. ? Si, anche, ma soprattutto per la gestione della nostra vita!

Novella-Gestione laica? Sì, nel senso di diversa, cioè componente di un pluralismo. Ma laica anche in senso di non-religiosa, anche se i principi che professa sono in linea con il Codice di Hammurabi che fra l’altro prescriveva: “Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te; fai agli altri ciò che vuoi sia fatto a te” e anche se qualche millennio dopo ci fu un Tale che l’ha copiato, questo Hammurabi …

Novella-Gestione amministrativa? No di certo, bensì General Management!

Novella-Gestione aziendale? Sì. In alcuni post precedenti ho scritto che la migliore gestione aziendale non è quella che pone al primo posto il profitto, ma la motivazione dei lavoratori.

Un giorno dissi ad un mio conoscente ex commesso ed ex magazziniere che il primo fattore della produzione non è né il denaro né il lavoro, bensì la motivazione dei lavoratori. Lui controbattè: “No, quello che conta è l’aumento del fatturato.” Eh, caro mio … qui casca l’asino: infatti un fatturato crescente può anche significare una perdita crescente e poi in ogni caso se proprio ti sta a cuore il suo incremento, sappi che il miglior mezzo per ottenere ciò è motivare chi ci lavora al tuo fatturato! Ma già … a Milano dicono “Ofelè fa ‘l to’ mestè”, cioè pasticciere fa’ il tuo mestiere: ognuno faccia il mestiere suo! E io il commesso magazziniere non lo so proprio fare!

Novella-Gestione della vita? Sì. In altro post scrissi che i buoni principi della buona gestione aziendale possono ben essere trasferiti nella gestione delle associazioni, della politica e in quella di governo. Oggi mi permetto di dire che dobbiamo trasferirli anche nella gestione della nostra vita.

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Dice: ma … caro blogger, di quali principi stai parlando? Rispondo: li sto estraendo dall’ottimo libro di Pier Luigi Celli ”Il potere, la carriera e la vita – Memorie di un mestiere vissuto controvento”, Ed. Chiarelettere ottobre 2019, 194 pagine per  €17,00 molto, molto ben spesi! Un libro che mi ha appassionato perché io – da vecchio manager – mi ci sono ritrovato in pieno! Quindi, raga, vi attende una scopiazzatura che però è anche una confessione-dichiarazione del mio sentire e di quella che è stata la mia vita di manager al lavoro. Il mio è un invito a leggere integralmente quel libro. Intanto iniziate da questi estratti sui quali potreste ad aprire la discussione.

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Pier Luigi Celli, classe 1942: un sociologo laureato a Trento, prestato al management

Pagg. 8, 9 : … occorre avere a mente quattro fondamentali: 1) la precarietà di ogni modello di  carriera manageriale; non prendere mai sul serio i propri successi; non contare sulla tenuta delle relazioni ad esso collegate; 2) per dar vita alle storie che sarà bello ricordare occorre avere rispetto per coloro che le hanno condivise; 3) immaginiamo come vorremmo essere ricordati da chi ha lavorato con noi; 4) per sopravvivere nel ricordo dobbiamo costruirci i nostri eredi.

Pag. 14: … non basta essere nel giusto per pretendere di superare le gerarchie. Se il tuo capo diretto vale poco ciò non ti autorizza scavalcarlo.

Pag. 19: … una malattia del potere è l’auto isolarsi anche distanziando logisticamente la direzione dalle sedi operative.

Pag. 21: … il manager non deve improntare la sua carriera al relazionarsi con gli altri semplicemente in ragione della posizione raggiunta.

Pag. 22: … l’organigramma, la rincorsa ad accreditare processi e procedure sotto forma di regole di condotta stabili ed asettiche aride come una traversata nel deserto … l’organizzazione gerarchica è la tomba dei desideri personali … e inaridisce le storie che sono il contenitore principe dell’identificazione dei dipendenti nell’azienda … inaridendo in ognuno la prospettiva di evocare un futuro e di potersi collocare come attore per quanto piccolo in una trama che dovrebbe diventare anche la sua storia personale.

Pag. 23: … occorre che il manager accentui la valorizzazione delle persone come asse fondante della strategia di governo manageriale … la pretesa di chiarezza procedurale rischia di fare più male alle imprese di quanto non gioverebbe loro la revisione del modello.

Pag. 24: … sulla base della sola efficienza tecnica non si potrà mai dire se gli investimenti in innovazione porteranno i risultati attesi … occorre potere disporre di persone capaci di adattamento e anticipazione, indipendentemente dalla loro collocazione nella scala gerarchica, persone in grado di muoversi, di connettersi, di pensare, di produrre in modo creativo …

Pag.25: … purtroppo spesso sopravvivere è la vera aspirazione di chi raggiunge la vetta … il potere non vuole eredi e quindi si guarda bene dall’allevare sostituti … invece la strategia vincente è quella delle competenze convergenti dove la collaborazione, la cooperazione, la diversità e lo scambio alimentano una visione più adatta ad affrontare cambiamenti e sfide.

Pagg. 25-26: … il potere che avanza è quello delle idee, della leadership come coordinamento e governo delle pluralità, con la capacità di stare in mezzo ai propri collaboratori, ascoltando, confrontandosi, motivando.

Pag. 26: … il capo che trascura chi non ha pedigree non fa gli interessi dell’azienda … è la causa del malfunzionamento degli apparati e soprattutto è la causa della sofferenza delle persone.

Pag. 27: … sta per finire il destino di un potere unificante fondato sulle strategie di pressione dall’alto sul basso, senza necessità di ascolto rispetto a quanti dovevano solo ubbidire. Un potere affidato alla pressione non ha più significato.

Pag. 28: … un capo non è legittimato se gli manca la stima e la fiducia dei dipendenti.

Pag. 31: … conta non solo il curriculum, ma la storia di ogni lavoratore: nella Olivetti di Adriano Olivetti, nei colloqui di selezione ci si informava sugli ultimi libri letti dal candidato, sulle sue radici familiari … per coglierne inclinazioni, preferenze, aspirazioni prima e più che non le competenze professionali.

Pag. 33: … i fatti decisivi per la vita di ognuno avvengono prevalentemente nella biografia e non nel curriculum di ogni persona.

Pag. 35: … i manager mediocri si adeguano subito ai modelli di relazione dominanti e capiscono che comandare “a prescindere” li mette al riparo dall’essere discussi.

Pag. 37: … le vere carriere nascono in contesti in cui gruppi affiatati esprimono, attraverso uno dei propri membri, il meglio che l’insieme è stato in grado di produrre lavorando con intelligenza collettiva in forme collaborative.

Pagg. 37-38: … chi raggiunge posti di potere senza suo merito o sulla base di forzature, avrà un destinio mediocre ma quello dei suoi dipendenti sarà tragico.

Pag. 43: … il “capo intermedio” è il vero custode dell’ortodossia organizzativa, quello che spegne le velleità, custodisce l’ordine “in nome e per conto”. Nelle organizzazioni “per bene”, quelle che “funzionano”, non è previsto che la parola sia un diritto di tutti. sarebbe il caos.

Pag. 45: … per fortuna questi riti e rituali hanno perso gran parte del loro peso … resta la percezione, amara, di essere per lo più ingranaggi acefali di meccanismi costruiti più sui processi e sulle procedure che sulle qualità dei dipendenti.

Pag. 46: … continuare a difendere il distacco mortificante tra chi ha ruoli di comando e chi deve eseguire i comandi, non rappresenta solo un affronto verso i dipendenti, ma configura un vero e proprio danno per l’azienda … la colpa più grande del potere è il coefficiente di ansia e di passività che induce nei governati.

Pagg. 47-55: Capitolo autobiografico, molto utile a comprendere tutto il libro e chi lo ha scritto.

Pag. 56: … purtroppo l’organigramma non considera i processi che guidano il modo di pensare e di sentire delle persone, la loro propensione naturale a tessere relazioni che non siano solo funzionali, la voglia di autonomia e di iniziativa rispetto a obiettivi anche comuni.

Pag. 57: … la variabilità tecnica e dei mercati richiedono competenze molto diverse dalla mera obbedienza alle regole … si tratta di potenzialità presenti dei dipendenti, spendibili senza costi aggiuntivi.

Pag. 58: … così, l’azienda-solo-organigramma, nell’ansia di raggiungere un obiettivo inchiodato a scadenze vincolate, causa un’oggettiva perdita di ricchezza di cui disporrebbe nella persona di ogni dipendente.

Pag. 59: … l’azienda-solo-organigramma farà sì che ognuno finirà per capire sempre meno il perchè di quello che fa o se quello che sta facendo è proprio ciò che serve. E nessuno può sentirsi appagato se non capisce il perchè del proprio agire …. usare gli uomini solo come macinatori di risultati non è una scelta intelligente … le storie di ciascun dipendente sono l’unica salvezza delle imprese che vogliono durare … è necessario creare un’organizzazione che venga vissuta come un mondo ospitale.

Pag.61: … lo spreco delle risorse umane interne non ha mai prodotto cultura di governo e spesso ha portato all’uso e all’abuso di grandi società di consulenza con un forte impegno finanziario e scarsi risultati effettivi.

Pag.62: … l’irrompere della teconologia delle reti sta per dare una salutare spallata al sistema azienda-solo-organigramma, decostruendo le architetture gerarchiche che ingabbiano tante potenzialità oggi sprecate e rendendo superflui molti (falsi, n.d.r.) manager posizionati sulla difensiva e con l’ossessione del controllo.

Pagg. 63-65: … il governare è (purtroppo spesso, n.d.r.) diventato un esercizio titanico di (eccessiva, n.d.r.) semplificazione: il trionfo del pensiero tecnico, impersonale, standardizzato; la ricerca della condivisone su formulari precompilati conduce alla ricerca del consenso più che al confronto. Chi cerca di andare (giustamente, n.d.r.) controcorrente, diventa un testimone ingombrante inutile per questo tipo di (pessima, n.d.r.) organizzazione.

Pag. 66: … la gestione di cui sopra da strumento operativo in grado di risolvere problemi è diventata un’ideologia aziendale.

Pag. 68: … nonostante il percorso minato di cui sopra … l’impresa come organismo vivente dipende più dall’esperienza dei suoi uomini che non dal condizionamento dei suoi processi di funzionamento … anche perchè …

Pag. 70: … il rischio sarebbe di irrigidire le relazioni e i processi proprio quando le condizioni dei business e la turbolenza dei mercati richiederebbero più attenzione alle risorse disponibili ed una diversa distribuzione delle responsabilità interne.

Pag. 71: … occorre invece allargare i rigidi confini degli organigrammi perchè è sui confini che l’esistenza riprende vita, è sui confini che si apprende.

Pag. 72: … le storie più belle nascono dal coraggio di forzare il limite, i confini.

Pag. 73: … le molte storie delle persone sono la vitalità del sistema: il tema di fondo è la capacità dell’organizzazione di farsi carico della pluralità delle sue risorse.

Pag. 74: … segmentare, compartimentare, selezionare le informazioni per livelli di privilegio, intricare i percorsi senza chiarezza, alimentare distanze e contrapposizioni sono attentati alla vitalità dell’impresa.

Pag. 75: … non va bene essere semplicemente parte di un tutto. Occorre la partecipazione attiva ai processi comuni. L’azienda deve potere disporre di processi abituali di dislocazione dei saperi e delle capacità dialoganti.

Pagg. 76-77: … il buon capo sa che le risorse umane vanno riconosciute non solo per quello che danno, ma anche per ciò che non si chiede loro di dare ma che sarebbero capaci di dare. In caso contrario, trionfano le procedure e si perde l’anima: ciò avviene quando il capo considera i dipendenti una risorsa fungibile che il mercato oggi offre in abbondanza e a sconto.

Una mia considerazione : nel mestiere e nella cultura del manager oggi più che mai occorre inserire più sociologia e più filosofia, per il bene delle Persone e quindi dell’azienda. Nel frattempo le nostre università continuano a proporre agli studenti “percorsi separati”: le scienze dure e pure da una parte, le arti e le lettere dall’altra: io invece propongo che – ad esempio – nei corsi di ingegneria o di economia siano inseriti esami di filosofia e di sociologia.

Pag. 79: … la testa non ha più la flessibilità di un tempo mentre spesso ciò che cambia non è solo il contesto organozzativo, bensì il tipo di business che si deve affrontare …

Pag.81: … nella comunicazione girano le informazioni e trova espressione la gerarchia dei ruoli: c’è chi è abilitato a “emettere” e chi a “ricevere”. La conversazione invece riduce le distanze, accetta il confronto, scambia informazioni e emozioni …

Pag. 89: … farsi seguire, da parte del nuovo capo, da un codazzo di collaboratori più o meno collaudati, è solo un modo, persino poco elegante, per tentare di ovviare alle proprie insicurezze … ciò è testimoniato dalla tendenza ad assumere personale che non ha niente di manageriale ma che proviene da carriere militari di ogni grado.

Paggg. 90-91: … il nuovo capo non deve commettere l’errore di condannare all’oblio il lavoro di chi lo ha preceduto: sarebbeuna forma di damnatio memoriae, un oblio verticale volto a ripulire ogni riferimento al prima: uomini, progetti,decisioni, stili di governo, assetti organizzativi … e invece i nuovi mondi non nascono dal nulla … soprattutto se questo “nuovo” è solo uno scimmiottamento in difetto di cultura da parte di chi ostenta muscoli che non ha e racconta il passato (storytelling) in assenza di contraddittorio.

Pag. 92: … la disaffezione dei vertici per quello che passa per la testa e nelle sensazioni dei dipendenti … aumenta la voglia di controllo che viene venduto come tutela aziendale ma che in realtà è solo “controllo dei dipendenti”, non dell’azienda.

Pag. 94: … il funzionamento di un modello dovrebbe dipendere più dagli uomini che lo vivono che dalle regole che lo inquadrano.

Pagg. 96-97: … il capo “analfabeta emozionale” fa sì che il lavoratore non trovi condizioni gratificanti e non si senta parte di un insieme più ampio … e il lavoratore perde motivazione, lavora peggio, si carica di stress, irrigidisce le risposte e finisce anche con l’ammalarsi.

Pag. 99: … occorre “rifare società” all’interno dei sistemi, con l’allargamento della partecipazione … in tal modo creatività e responsabilità assumono un peso prima impensabile …

Pag. 100: … il comandare in solitario danneggia l’impresa.

Il libro che state “leggendo” con me è di 196 pagine, quindi abbiamo doppiato la boa della metà percorso. Mi permetto di evidenziare questo primo traguardo con una riflessione personale: occorre passare dal primato delle cose (ad esempio, delle cose vendute cioè del fatturato) al primato delle relazioni e dei processi, soprattutto di quelli umani.

Pagg. 102-103: … l’apertura a rete di molte strutture determinata dalla necessità di fronteggiare interlocutori diversi … cambia l’antropologia dell’uomo sui confini … rovescia il modello … la gerarchia assorbe i saperi maturati localmente … torna in primo piano il valore strategico delle persone.

Pag. 104 – 107: … la rete non ha rispetto per la verticalità tradizionale … ad andare in crisi è la sacralità dei territori separati … la rete diffonde l’abilitazione di ognuno ad esprimersi, ad entrare in relazione con altri, spinge alla condivisione, costruisce canali relazionali che non obbediscono alle procedure e ai percorsi dei processi … consente di discutere anche le regole … conduce ad una composizione-scomposiziione di gruppi … rende coscienti le persone del prorio valore.

Pag. 108: …gli ordini di servizio emanatio per consevare lo status quo sono solo masse di parole tese a compensare il vuoto di comprensione di qquello che accade nella realtà: il passaggio da “decideer” a “governare coordinando”.

Pag. 109: … i dipendenti “sopravvissuti” all’antico regime verticalistico sviluppano ora competenze e saperi superiori al proprio ruolo e posizione, per compensare i danni fatti nel passatoe superare il prosciugamento di ridondanze occupazionali dovute alle nuove tecnologie.

Pag. 111: … il nuovo potere in azienda deve essere meno paradigmatiuco è più liberale.

Pag.112-113: … tuttavia le nuove tecnologie accelerano troppo il nostro agire e conducono a “dimostrare più che a capire”: occorre invece “rallentare per capire” … e non farsi espropriare la possibilità di conferire un significato personale a ciò che si sta facendo.

Pag. 115: … per evitare l’anarchia servono regole, ma che siano ragionevoli e basate sul rispetto reciproco fra il capo e i dipendenti.

Pag. 117: … il clima aziendale migliora molto per la presenza di personale femminile, maggiormente orientato alle relazioni.

Pag. 119: … le parole “vere”, quelle che dicono senza bisogno di orpelli, sono quelle che un capo puà spendere perchè la sua storia personale le legittima … sprecare le parole è un modo di danneggiare l’impresa.

Pag. 132-136: … in azienda occorre la generosità … occorre considerare l’altro di sè come importante per sè … occorre mettere in atto una disponibilità che nessuna procedura prevede … i comportamenti di apertura trasformano il lavoro in un progetto condiviso … pensare e fare bene, generando fiducia, è un investimento anche personale sul futuro … la tutela degli interessi generali passa attraverso la valorizzazione dei singoli … ogni spirito “generoso” rasserena i climi, crea consenso su obiettivi che divengono credibili come “riferimenti comuni” … una persona “generosa” ha una concezione lunga del tempo … sottrarre tempo ai riti del ruolo per ampliare la disponibilkità verso i dipendenti fa la vera differenza … la decadenza nella formazione dei ricambi dei vertici aziendali è dovuta all’egoismo del “vecchio” vertice … “generoso” è chi ha maturato gratitudine per le persone inccontrate nel suo percordo, per quello che ha ricevuto, per cui si sente in grado di sdebitarsi …


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