HUMILI GENERE NATUS
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 31 Maggio, 2019 @ 3:17 pmDetto altrimenti: umile o nobile nel vero senso del termine? (POST 3597)
S. Angelo in Colle, una frazione di Montalcino. I miei nonni paterni ci nascono nel 1875 nonno Giuseppe (morto nel 1958), e nel 1879 nonna Maria (morta nel 1972). S. Angelo è uno splendido paesino su un colle a 440 metri slm, a far da “capitale” ai tanti poderi che circondano la campagna sottostante, degradante verso la Valle dell’ Orcia. Al di là del fiume, il Monte Amiata.
Alle spalle del paese, a pochi km, l’Abbazia di S. Antimo (foto qui sotto) e Montalcino.
Per certi aspetti, il paese – rispetto ai poderi – si poneva come una sorta di moderno “castello” medievale nei confronti del contado: infatti i “paesani” in una qualche misura si sentivano più “cittadini” dei “contadini”. All’orizzonte, nelle giornate limpide, si scorge l’isola del Giglio e il luccichio del mare. Nell’immediato dopoguerra la mia famiglia d’origine ci passava un mese di vacanza, in estate.
Noi si risiedeva a Genova. Anni ’50, non s’aveva l’auto, sicchè si prenotava una vettura (ricordo: Fiat 1100 tipo 103 BE, quella con il muso sporgente e i fanali non inglobati nei parafanghi) per andare da casa alla stazione FS di Genova Brignole. Indi biglietto FS “Tariffa ‘51” quella dei dipendenti statali, carrozza di seconda classe. A Grosseto si cambia: una vaporiera inizialmente con i soli carri bestiame, presto sostituiti con i vagoni in legno della terza classe. Alla Stazione di S. Angelo Scalo, si scende e si prende la SITA, un vecchio autobus che ci porta a S. Angelo, una “corriera” con il motore interno, collocato a fianco dell’autista che fungeva anche da bigliettaio e da raccoglitore delle novità dei vari passeggeri che andavano via via salendo durante il percorso. Le strade erano “bianche” cioè sterrate, e quella principale era detta “la strada bona”. Dal muretto della “piazzola” che si affacciava sulla valle, i paesani si sfidavano nel riconoscere l’auto che – solitaria, in lontananza – transitava in quel momento sulla strada bona a circa 10 km di distanza in linea d’aria, riconoscendola dal tipo di polverone che alzava dalla strada!
Il paese contava 350 abitanti e. tranne la farmacia, era dotato di tutto: stazione dei CC, parroco, medico condotto, macelleria, merceria, negozio di alimentari e varie, un fabbro, due falegnami, ufficio postale, un auto noleggiatore, due bar: uno DC ed uno PCI. La farmacia … a dire il vero ve n’era più d’una, nel senso che i paesani definivano “farmacia” la cantina di ognuno … I due bar, i due partiti politici. Tutti avevano un coltello a serramanico in tasca: serviva per tagliare il pane, il prosciutto crudo, il cacio o per spiccare un grappolo d’uva o un melograno. Mai un fatto di sangue. Mai. Perché? Grazie allo “spirito toscano”. Eccone un esempio: Tizio dice a Caio: “Oh te, ma gli è vero te tu e sc’hai il bischero gobbo?” (alludendo ad un difetto estetico dell’organo riproduttivo del compare). La risposta “Maremma bona, come è chiaccherona la tu’ moglie!” Oppure: “Ma … voi siete la Sora Emma? Sapeste quante corna v’ha fatto il vostro poro (povero=defunto) marito!” . Risposta: “Sie, perchè te t’un sai quelle che gli ho fatto io!” E la cosa finiva lì.
Ma quelli erano già tempi moderni. Torniamo alle origini. Nonno Giuseppe era l’unico operaio del Comune di Montalcino distaccato a S. Angelo: unico addetto per tutti i servizi della piccola comunità. Nonna Maria, casalinga.
Nel 1904 nasce la loro prima figlia (zia Clelia, mancata nel 1954) e nel 1912 nasce il mi’ babbo Dario. Il babbo frequenta la terza elementare (aula unica, unico maestro per i cinque anni) e poco dopo va al lavoro in paese quale garzone di falegnameria. All’età di 12 anni lavora alla stazione ferroviaria (loc. S. Angelo Scalo): 9 km all’andata e 9 al ritorno, a piedi, tutti i giorni, con un dislivello di circa 350 m da superare.
All’età di 18 anni si arruola nei “Reali” (“Carabinieri Reali”) e viene traferito in Trentino Alto Adige.
In questi giorni, riordinando vecchie carte, riemerge un vecchio documento, datato Bolzano 22 settembre 1936/XIV° che attesta che il babbo, carabiniere di 24 anni aveva conseguito il diploma di quinta elementare con la classifica di “Buono”. Successivamente, sempre a Bolzano, consegue il diploma di Scuola Media, da privatista. Già, con la sua non certo ricca paga, si era pagato le lezioni private dalla prof.ssa Concettina Migliorino (insegnante a Bolzano del futuro On.le Berloffa) che poi alle ore 08,00 del 4 gennaio 1941 Dario ha sposato a Genova! Dal certificato di matrimonio il babbo risulta residente a Sant’Orsola (Valle dei Mocheni, TN) e mamma, nata ad Agrigento, residente a Genova, città nella quale negli anni 1942, 1944 e 1949 siamo nati noi tre figli. Babbo, due anni di prigionia in Germania.
Babbo la sua carriera: Maresciallo Maggiore alla Legione CC di Genova, traferito nel 1964 a Cles (TN) nell’ambito delle “iniziative” dell’allora Com.te Gen.le dell’Arma De Lorenzo.
E mamma? Mamma (Agrigento 1904 – Genova 1981), resta orfana all’età di nove anni: nonna Angelina muore di parto e nonno Francesco, Ispettore delle Imposte Dirette, la fa studiare in collegio. All’età di 22 anni si laurea in lettere antiche a Palermo, diventa insegnante di scuola media, chiede ed ottiene il trasferimento a Bolzano.
Poi mamma si trasferisce a Genova, dove si sposa, dove ci alleva, dove insegna nella prestigiosa Scuola Media A. Doria. Quante ragazze di Agrigento, in quegli anni, hanno fatto questo percorso?
Quanta strada però noi figli, da quel lontano S. Angelo, da quel nonno toscano operaio! Noi tre figli, nell’ordine: Beppe, a Milano, ingegnere elettronico; io … be’, leggete il mio breve curriculum sul blog; Alberto, a Genova, primario cardiologo. Umili le nostre origini? No, io direi piuttosto “nobili” nel vero senso della parola, nobili come la vita, il lavoro e i sacrifici dei nostri genitori che ora riposano a Genova.
Un abbraccio, babbo, un abbraccio, mamma!
Ed ora una mia poesia per Terra Toscana: ” La mia Africa”
Disegni a fumetti / sogni tascabili / in bianco ed in nero / riletti cento volte / poemi infantili. / Vola fra le folte liane / spinta ondeggiante altalena / nel greto di un dondolìo / che cela e che svela / infiniti confini / sopra i muretti / di cinta ai giardini / ed ai campanili / di chiese lontane. / Ossa di pollo od umane / spilloni preziosi / trattengono chiome / del capo tribù o di mamma. / Guerrieri mai dòmi / orde difese da scudi di rami intrecciati / stuoie toscane usate da nonna / per stendere i fichi al sole a seccare. / Lance appuntite per meglio colpire / canne recise nell’orto vicino / con la zagaglia da tasca / comprata alla fiera / a tre cento lire d’un tempo. / Zittite le piagge assolate / caldo il silenzio / striato soltanto / dal profumo di Terra Maremma / canto di antiche cicale alla sera / tigre di casa / a forma di gatto / in cerca dell’ombra dietro le scale / in questo meriggio ormai tardo / che sembra in attesa / di un qualche evento. / Ed ecco / appare improvviso allo sguardo / dell’esploratore bambino / il calabrone che vola / armato del nero suo spillone/ feroce la testa / d’un lucertolone / spacciato ai compagni di gioco / per un coccodrillo neonato. / Colori di Siena / scolpiti dal tratto / dell’acqua de’ fossi / etrusca e preziosa / linfa africana / culla a girini / e ad una rana. / E sogni anche tu / di vivere forse un domani / questa avventura lontana. /E invece / ti svegli cresciuto / e scopri di non correr più / nemmeno le strade de’ buoi maremmani / che lenti trascinano il carro / e spingono avanti pazienti / il loro orizzonte profilo d’un colle / e che l’ossatura di legno / di un molle divano / ormai è la bara / di sogni per sempre finiti / all’ombra di un fico / non tanto convinto / nel recitare il ruolo un po’ stanco / di finto / e per sempre immaturo / banano.
Cosa? Vi è piaciuta? Ne volete un’altra? Eccola: “Campagna Toscana”:
La luce accecante / sprigiona profumo di terra / da zolle rimosse ne’ campi. / Le pietre a contorno son ricche / di more spinose e di fichi: / in siepi sinuose costeggiano il bianco tratturo / che porta ad antico podere. / Ascolti cicale. / Sull’aia / un popolo gaio rincorre il mangime. / All’ombra d’un fitto pagliaio sonnecchiano cani. / C’è acqua nel pozzo / e lunga catena stridente vi cala una brocca di rame. / Profumano i pani appena sfornati / e ‘l fuoco rallegra la propria fascina. / Un fiasco di vino sul desco richiuso con foglie seccate. / Nell’aria le mosche. / La stalla è vicina: giumente imponenti frantuman pannocchie, / corone regali sovrastano candidi corpi giganti / e gran carri stanchi riposan le ruote dal duro lavoro. / Filari frequenti ed ulivi perforan la coltre del grano. / Colori: / la terra di Siena / il giallo del sole / il verde d’olivo. / Prezioso convivio, / culture scomparse, / memorie scolpite per sempre da tratti d’amore.
Pensavi ad un mondo inventato / ed alto volava il pensiero / che prima era tuo. / Il corpo restava seduto / davanti ad un libro di scuola / e dentro di te / esplodeva la gioia / per quella tua fuga segreta. / Ricordi? Ti vedi? / La penna tormenti coi denti / di legno e l’inchiostro ti sporca le dita. / La guardi segnare con tratti azzurrini / la coltre di neve / del bianco quaderno. / Raccolto nel caldo d’un’unica stanza / da un cielo segnato dai graffi / dell’ombra nascente / da piccola luce sospesa ad un filo ritorto / amica discende la voce / del vecchio apparecchio sonoro. / Conservi da giorni / la carta stagnola del cioccolatino / e credi che possa brillare / da sola / nel buio che attende silente l’evento / appena al di fuori dell’uscio / di questa cucina. / Ti vesti, vai fuori. / C’è buio in inverno, fa freddo. / Tu, speri che piova. / Ti piace che lavi le strade, i palazzi / che spazzi la costa / quell’acqua che il vento impetuoso / solleva ancor prima / che baci la terra. / Ti piace vedervi riflesse / le luci stradali ed i fari. / Il tram è stracolmo: / tu resti schiacciato ad un vetro / e soffi il calore del corpo / sui molti colori dei neon / che adornan fuggenti il tuo finestrino / a Natale. / E dalle sbandate / dal peso che ondeggia del corpo, / del tram che ora scende ora sale / conosci l’intero percorso. / E’ tua la città che ti parla / e suo il ricordo che scrivi.
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