IO, UN LIBRO?
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 29 Dicembre, 2017 @ 6:28 amDetto altrimenti: dai blogger, scrivine uno …                                (post 2989)
Alcuni amici mi chiedono perché non scrivo un libro. Perché no? Perchè ne ho già scritti due, diamine! Due, direte voi? Si certo, due dico io. Uno è la somma degli ormai 3000 post pubblicati in 6 anni. L’altro … la mia vita, quella della mia famiglia, oltre 350 pagine …Cosa? Lo volete leggere? No raga, cosa privata è, cosa intima. Comunque, visto che insistete, qualche brano ve lo posso riportare, come ad esempio quello che segue, con il quale ho cercato di capire quale emozione si provi ad imitare i lunghissimi periodi di tale Marcel Proust. Per ambientare storicamente il brano, tenete presente la mia data di nascita: 3 febbraio 1944. Buona lettura (ma prima prendete fiato per bene!):
.
Inizia
I ricordi più lontani che conservo, ancora vivissimi come il buon sapore di una caramella appena sciolta in bocca, il calore di una stretta di mano, l’abbraccio di un amico o il bacio dell’innamorata, sono una lampadina azzurrata che si sforzava con poca convinzione di illuminare, con un effetto a metà fra l’oscuramento di una luce e l’illuminazione di una tenebra, una piccola parte del vano monumentale delle due scale interne del palazzo ove abitavo, una a destra ed una a sinistra, che si snodavano con rampe di una lunghezza tale che avrebbe consentito a noi ragazzi, qualche anno più tardi, di sfidare la sorte nel saltarle con un unico balzo di alcuni metri, illuminate ciascuna, di giorno, dal rispettivo lucernario a vetri, completamente comunicanti al centro dell’edificio su pianerottoli siti a livello intermedio rispetto a quelli sui quali si affacciavano, dalla nostra parte, formata da una sola ala del palazzo, due appartamenti, e quattro su quelli della scala destra, la quale era quindi al servizio di due ali dell’edificio, quella centrale e quella destra, e le ante delle persiane, dipinte da babbo di un marrone scuro, con un cerimoniale quasi sacro da quanto era solenne nelle sue decisioni di pennellare ora qua ora là , di ripassare un parte e non l’altra, di scostarsi per controllare il risultato da una posizione più confacente, inclinando la testa ora a destra ora a sinistra, e che avrei poi scoperto si sarebbe ripetuto ogni due anni, e nel quale egli svolgeva il ruolo di sacerdote domestico e di maestro, persiane le cui fessure erano state ostruite con carta di giornale che lui stesso vi aveva pressato per rispettare l’oscuramento notturno e che noi bambini, cioè io ed il mio fratello Beppe, che aveva tre anni ed era maggiore di me di due, cercavamo di strappare via con le piccole dita curiose, dopo che, una sera, quasi per caso, avevamo scoperto la cosa, non senza essere interrotti nell’operazione non appena, a nostra volta, venivamo sorpresi dai carabinieri (cioè da babbo stesso) a collaborare con il nemico alla sconfitta militare del Paese ad opera dei bombardieri alleati, che poi che alleati erano se ci bombardavano?
Finisce
La casa in questione: un appartamento al terzo piano di un palazzo con ascensore, vista mare, in Via Rodi 10 interno 11 scala sinistra a Genova, quartiere la collina di Albaro, a 2 km dal mare. Tre corpi, noi si stava in quello di sinistra, separato dagli altri due dal grande vano scale doppie: le scale di destra servivano due corpi. La bomba “alleata” aveva colpito il corpo di destra (che c…!). Fra il secondo e il terzo corpo, all’esterno, un portone “finto†per garantire la simmetria della costruzione. Sul portone “veroâ€, il nostro, una scritta: “Labor omnia vincit†(sarà pur vero … cheppalle però!). L’ascensore, un Otis: le porte esterne in ferro battito, quelle interne a doppie antine vetrate: roba d’altri tempi, appunto! Riscaldamento non ce n’era. Lo misero dopo, con i tubi a vista e poiché i soffitti erano alti tre metri, io sperimentai le mie prime scalate!
Ed ora una mia poesiola sulla mia città d’origine, quella d’allora:
 Ricordo di Genova
Pensavi ad un mondo inventato
ed alto volava il pensiero
che prima era tuo.
Il corpo restava seduto
davanti ad un libro di scuola
e dentro di te
esplodeva la gioia
per quella tua fuga segreta.
Ricordi? Ti vedi?
di legno e l’inchiostro ti sporca le dita.
La guardi segnare con tratti azzurrini
la coltre di neve
del bianco quaderno.
Raccolto nel caldo d’un’unica stanza
da un cielo segnato dai graffi
dell’ombra nascente
da piccola luce sospesa ad un filo ritorto
del vecchio apparecchio sonoro.
Conservi da giorni
la carta stagnola del cioccolatino
e credi che possa brillare
da sola
nel buio che attende silente l’evento
appena al di fuori dell’uscio
di questa cucina.
Ti vesti, vai fuori.
C’è buio in inverno, fa freddo.
Tu, speri che piova.
Ti piace che lavi le strade, i palazzi
che spazzi la costa
quell’acqua che il vento impetuoso
solleva ancor prima
che baci la terra.
Ti piace vedervi riflesse
le luci stradali ed i fari.
Il tram è stracolmo:
tu resti schiacciato ad un vetro
e soffi il calore del corpo
sui molti colori dei neon
che adornan fuggenti il tuo finestrino
a Natale.
dal peso che ondeggia del corpo,
del tram che ora scende ora sale
conosci l’intero percorso.
E’ tua la città che ti parla
e suo il ricordo che scrivi.
Ciao, Zena!
.
.