LAVORO 1

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 17 Novembre, 2017 @ 8:28 am

Detto altrimenti: il lavoro, un problema bifronte           (post 2925)

  1. La mancanza di lavoro. Primo problema. Ma oggi voglio cercare di ragionare sul secondo problema, quello del …
  2. … senso del lavoro.

Il lavoro ha un doppio senso: il senso trascendente e il senso immanente.  Mi spiego. Spesso di un’azione ci chiediamo “Che senso ha fare …?”. Ecco, che senso ha fare quel tale lavoro? Innanzi tutto ha un senso trascendente: lo faccio perché “con quanto deriva dal  mio lavoro” a fine mese mi pagano ed io posso pagare l’affitto, il mutuo, sostenere la mia famiglia, concedermi qualche svago, etc… Fino a qui niente di male, anzi … lavoro perché ho uno scopo, un obiettivo da raggiungere.

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Un traguardo semplicemente “non ancora” raggiunto!

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Ma non basta. A fianco del senso trascendente deve esistere anche un senso immanente: lavoro perché “nel mio lavoro, durante il mio lavorare” realizzo qualcosa di utile, di duraturo, di significativo per me e per gli altri … perché il mio lavoro è frutto dell’intelligenza, dell’ingegno, della creatività … poche o tante che siano queste doti in me.

Orbene, la fame di lavoro ti fa ricercare e accettare un lavoro qualsiasi, purchè sia in grado di dare un senso trascendente alla tua vita (v. sopra). Tuttavia se dopo ti viene a mancare il senso immanente, tu lavori di malavoglia e vivi male. Ecco … vengo all’oggi. La nostra “economia del lavoro”, la nostra “globalizzazione”, il nostro “libero mercato”, la nostra “automazione computerizzata” troppo spesso uccidono il senso immanente. E chi lavora vive male.

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imagesRicordo. 50 anni fa. Il mio primo lavoro. In banca, una grande, grande banca. Io, liceo classico e laurea in giurisprudenza. Mi sento dire dal capufficio: “Dottore, mi meraviglio di lei, la fiche è già a quadro” (quel tale intendeva dire che il foglio contabile era già stato registrato nella contabilità della banca). A me che chiedevo cosa significassero quelle parole che non riuscivo a capire, il capufficio rispose: “Lei non è pagato per capire, ma per lavorare”. Dopo qualche tempo andai alla Direzione Centrale della mia banca e ottenni di essere inserito nel gruppo (ristretto) dei dipendenti “in istruzione sul lavoro”. Dieci filiali diverse in tre anni. Appresi tutti i servizi. Appena fui ben preparato, diedi le dimissioni e dopo due anni ero Dirigente Capo della Finanza Operativa della Direzione Finanziaria della maggiore società finanziaria italiana con uno stipendio multiplo di quello bancario d’origine. Grazie anche a quella grande banca.

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50 anni fa. Oggi una cosa simile non sarebbe possibile. Per cambiare lavoro oggi dovrei dedicarmi – oltre che alla mia preparazione professionale – anche e soprattutto al “lavoro della ricerca di un nuovo lavoro”, ovvero dovrei licenziarmi ed essere in grado di mantenermi per tot mesi/anni mentre frequento convegni, party, riunioni, ovvero mentre tesso una rete di relazioni. Il che per chi ha una famiglia e non vive di rendita è troppo rischioso. E allora?

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E allora ecco il messaggio che da queste righe lancio è duplice:

1) per i tanti capiufficio, dirigenti, “capi” in genere di società, di strutture, di Persone (la lettera majuscola non è utilizzata a caso): voi siete responsabili di riuscire a motivare le Persone che vi sono affidate le quali devono poter essere liete di venire a lavorare. Una Persona motivata lavora meglio, è felice, rende di più per l’azienda. Ecco, se io fossi il vostro super-capo, ove riscontrassi questa vostra capacità, vi premierei. Ove non la riscontrassi, vi licenzierei in tronco, perché dilapidate il primo, maggior fattore della produzione che non è il “lavoro comunque” né il “denaro comunque”, bensì la Motivazione delle Persone Lavoratrici (le lettere maiuscole … v. sopra). Per non parlare del capitale potenziale umano che distruggete …

2) per le Persone che hanno un lavoro senza senso immanente: allargate il vostro ambito a tutta la giornata e ricercate al suo interno il senso immanente della giornata.  Dopo tutto le ore di non-lavoro sono in numero maggiore delle ore-lavoro, anche se non siamo ai livelli individuati da Tommaso Moro (San Tommaso Moro) nella sua “Utopia”, di sei ore lavorative al giorno. Cosa? Mi dite che è un’utopia, una cosa irrealizzabile? No, amici, l’utopia è un traguardo semplicemente non ancora raggiunto! Coraggio!

P.S.: si narra un aneddoto. Il Gran Capo Contabile di una grandissima società è da una vita in quella posizione, depositario dei più grandi segreti dei bilanci, rigorosissimo e assai esigente nei confronti dei dipendenti. Ogni mattina, come prima azione del giorno, apre il cassetto di destra della sua scrivania, vi getta lo sguardo, lo richiude ed inizia il suo complesso lavoro. Muore. I suoi dipendenti, ansiosi di scoprire l’arcano, aprono quel cassetto. Dentro, un foglio: “Dare a sinistra, avere a destra”.

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