IL MESTIERE (perenne) DELLA POLITICA
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 23 Febbraio, 2017 @ 5:55 amDetto altrimenti: e invece no, invece varietas delectat            (post 2653)
Cambiare piace, ogni varietà (ci) stuzzica … insomma: un inno alla bellezza del cambiamento. Sessant’anni fa. S’era alle prime avvisaglie “italiane†che al nostro “posto fisso perenne†si contrapponeva – oltre oceano – la prassi di cambiare spesso lavoro. Ricordo che ero ragazzo. Mio fratello maggiore (tra noi c’erano poi solo due anni di differenza, ma lui a scuola lottava per il posto di “primo della classeâ€; io invece “speriamo che me la cavo”, ed era un abisso!) mi fratello maggiore dicevo (anzi, scrivevo) proseguiva: si, infatti negli USA esistono molte più possibilità di lavoro che da noi e il cambiare spesso lavoro è considerato un arricchimento della personalità e della professionalità , mentre da noi qui in Italia ciò che premia è la fedeltà al tuo posto, l’anzianità di (quello stesso, immutabile) servizio. E poi da noi guai ad avere avuto – durante la carriera – una caduta, uno “stop”! Guai. Da loro no, al contrario avere avuto e avere superato un momento negativo della carriera contribuisce a far valutare positivamente la persona. Ma no … dicevo io all’epoca, quanto sbagliano loro!
E invece no, loro avevano ragione … avevano ragione  loro, gli USA men. L’ho constatato sulla mia pelle, ma questa è un’altra storia. Oggi poi, pensando ad un nostro mestiere particolare, “il mestiere della politica†(hai visto mai che Ermanno Olmi abbia voglia di farvi un secondo film, dopo quello “delle armiâ€) mi è venuta a galla una riflessione: chi lavora sempre o anche solo molto nell’ambito di un’unica professione, mantiene quasi del tutto invariate le proprie opinioni generali sui fatti della vita: nella sua testa queste opinioni si fanno sempre più rigide, sempre più tiranniche. E noi tutti sappiamo bene che “solo uno stolto non cambia mai opinioneâ€. E per costoro l’angolo visuale, il punto di vista resta sempre lo stesso. Per di più spesso sbagliato.
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Un aneddoto-barzelletta, di quelli che castigat ridendo mores. Una grande società . Il (Gran) Capo Contabile, re anzi tiranno assoluto dei numeri e dei bilanci, ogni mattina entra in ufficio, si asside sulla sua poltrona-trono dalla quale domina la schiera dei propri sudditi contabili, apre un cassettino della scrivania come se aprisse un tabernacolo, vi getta lo sguardo, richiude ed inizia a “governare†i bilanci. Così, immancabilmente, inderogabilmente, identicamente per 40 anni. Poi un giorno va in pensione. La mattina seguente il trono è vuoto. I sudditi, guardandosi in faccia un con l’altro per farsi coraggio, lentamente e timidamente si avvicinano a quella sorta di altare della contabilità . Il più ardimentoso aggira quello che sembra ormai essere diventato un monumento funebre, apre “quel†cassetto e vi getta lo sguardo. All’interno un foglio con una sola frase “â€Dare†a sinistra, “Avere†a destra. Ecco, credo che per certi nostri politici possa accadere lo stesso troppo spesso: il ragionamento che sta alla base di molte loro decisioni non è sempre molto profondo, complesso, bensì è basato su considerazioni semplici, banali, quale quella, ad esempio, di non fare cadere anzitempo il governo che sennò non maturiamo il vitalizio.
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C’è poi un secondo aspetto da considerare. Un giorno “un amico mi disse” (e qui ho copiato da Tiziano Terzani): il tale politico molto importante tanti anni fa mi invitò a candidarmi. Avevo 23 anni. Ringraziai e risposi no grazie, o almeno non ancora: prima voglio costruirmi un mestiere mio, una posizione di lavoro nella società . Dopo potrei anche accettare di fare “anche†politica. Ma se mi ci dedicassi ora, anima e corpo, ne diventerei schiavo, schiavo del bisogno di non perdere quell’unico mestiere, quell’unico posto da e di lavoro e – così condizionato – non sarei libero di operare per il bene della collettività .
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Fine
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