STEFANIA NEONATO: MUSICA A ROVERETO
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 14 Gennaio, 2016 @ 6:32 pmDetto altrimenti: la musica emoziona sempre, ma questa volta ….             (post 2252)
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Nella sala della Filarmonica di Rovereto  ieri sera in sala eravamo in molti da Trento per ascoltare Stefania: colleghi dell’Accademia delle Muse, altri (ciclisti) della Fiab … in molti che sono diventati, per una sera, “Roveretani nella Musica†insieme ai tanti Roveretani doc che riempivano la sala.
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Stefania – figlia d’arte, il papà era pianista – si è diplomata in pianoforte al Conservatorio Bonporti di Trento, e poi … poi, quanta strada ha fatto! Oggi Stefania è docente alla Musikhochschule di Stoccarda, famosissima Scuola Superiore Musicale. E questa è una (purtroppo non rara) particolarità , quella di essere un “cervello italiano fuggito†ovvero “migrato†verso lidi stranieri. Ma questa è un’altra storia. Figlia d’arte, dicevo, anche per via materna: anche mamma Mirma suona strumenti. Non musicali bensì “cartaceiâ€: i libri. Infatti io sono collega dell’amica blogger Mirna, che potete leggere a apprezzare nel suo blog “Tra un libro e l’altro†già “Un libro al giorno†http://www.trentoblog.it/mirnamoretti/. I libri, strumenti particolari con i quali Mirna suscita in chi la segue altrettante emozioni. Ma anche questa è un’altra storia.
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Ed allora veniamo – finalmente direte voi! – a Stefania. Stefania è una bella giovane signora, una profonda musicologa, una collezionista di pianoforti antichi (i fortepiani), una interprete – fra l’altro –  di musiche del settecento e dell’ottocento su pianoforti d’epoca, i fortepiani appunto.
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I fortepiani. Io un poco li conosco perché Stefania il 1 febbraio 2012 (v. il mio post http://www.trentoblog.it/riccardolucatti/?p=1599) ha accettato di venire a tenere una lectio magistralis su tali strumenti al Conservatorio Bonporti in Riva del Garda, su invito del compianto Ruggero Polito, allora Presidente della locale Associazione Amici della Musica. Fortepiani, già illustrati dal “tecnico di fortepiani†Marco Barletta (post 26 gennaio dello stesso annohttp://www.trentoblog.it/riccardolucatti/?s=marco+barletta ).
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Stefania. Un’amica carissima. Appena posso la catturo e la ospito nei miei post: non me ne faccio mancare una di occasioni! E questa volta, come dicevo, a Rovereto, ad eseguire brani del roveretano Giacomo Gotifredo Ferrari e di tale Ludwig Van Beethoven.
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Stefania suona, poi parla. I concerti ai quali assistiamo sono due: uno di note ed uno di parole. Parole come note musicali, parole che colpiscono, anzi accarezzano i nostri sentimenti: così è accaduto in particolar modo quando Stefania ha introdotto l’ “adagio sostenuto†della Sonata op, 27/2 in do min “Quasi una Fantasia†di Beethoven, alias “Al chiaro di lunaâ€.
Amici, senza nulla togliere alle altre sue esecuzioni e all’altro autore, lasciate che un musicofilo non musicologo par mio si limiti a questa citazione. Ascoltavo Stefania a occhi chiusi e vedevo il “mondo di Beethoven†attento a godere di quella musica eseguita su quello strumento, l’unico disponibile all’epoca. Le note più “corteâ€, la diversa funzione del pedale (nel fortepiano non ancora tale), una scrittura ed una esecuzione che ereditano dal passato, vivono il presente e si proiettano nel futuro (musicale). E ci fanno sognare.
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Infatti la Musica (la maiuscola non è utilizzata a caso) è “animaâ€, ovvero una entità piena di sentimenti, passioni e emozioni, sentimenti ed emozioni che poi suscita e regala a chi la ascolta. La Musica, una entità complicatissima e splendida per chi voglia anche solo ascoltarla anche senza (purtroppo come me!) averla “studiataâ€. Per me è poi anche una vera e propria “lingua†a fianco dell’italiano, del tedesco etc. Tuttavia una lingua universale, assai più diffusa, parlata e comprensibile da parte di chiunque di qualsiasi altra. Basta dedicarle attenzione e tempo, atteggiamenti che presto si tramutano in amore. E Stefania è un’ottima “insegnante di lingueâ€! Grazie, Stefania!
Un avviso: le “Note al programma†che trovate qui di seguito sono il secondo concerto al quale accennavo! Imperdibile al pari del primo!
Firmato: il vostro blogger Riccardo
Programma di sala
 Giacomo Gotifredo Ferrari (1763-1842)
Caprice Op. 8 do minore (180?)
Sonata Op. 10/1 Do maggiore (1795)
- Allegro spiritoso
- Andantino con espressione
- Scherzando
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Sonata “Quasi una Fantasia†Op. 27/2 do# minore (1801)
- Adagio sostenuto
- Allegretto
- Presto agitato
Ludwig van Beethoven
Sonata Op. 2/3 Do maggiore (1795)
- Allegro con brio
- Adagio
- Scherzo: Allegro
- Allegro assai
Bis:Â W. A. Mozart, Fantasia in re minore.
NOTE A PROGRAMMAÂ
“Ferrari, Beethoven e l’Europa pianistica fra Settecento e Ottocento”
Per chi non conoscesse l’opera pianistica di Giacomo Gotifredo Ferrari (Rovereto 1763 – Londra 1842), l’ascolto dei suoi brani potrebbe creare una certa confusione. Stilisticamente infatti, essi presentano una sintesi delle correnti estetiche circolanti in Europa – quella continentale e l’Inghilterra – fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento.
La passione del musicista roveretano per W. A. Mozart e per un classicismo formale non ancora peraltro completamente declinato, ma comunque quasi interamente a-problematico, si colora del particolare gusto melodico dello stile galante e operistico mediterraneo e soprattutto si anima delle novità più squisitamente tecniche del repertorio pianistico. Accanto alla sua cospicua produzione operistica, Ferrari coltiva assiduamente la composizione di Sonate per cembalo o pianoforte (con altri strumenti ad libitum o obbligati) e di altri generi piuttosto comuni e diffusi fra i musicisti dilettanti della nobiltà terriera e dell’alta borghesia commerciale.
Nel 1801 Muzio Clementi pubblica il suo Metodo pel pianoforte e, proprio a cavallo dei due secoli arriva – forse per primo – a coniare un nuovo linguaggio pianistico, un idioma nettamente più “muscolare†e istrionico dello stile tardo-barocco e del primo Classicismo per tastiera, uno stile che Beethoven accoglierà preparando il terreno ai primi virtuosi dell’era romantica.
Pur esaltando Mozart e criticando lo stile pieno di prolissità e stravaganze di Beethoven, Ferrari accoglie nei suoi brani pianistici – soprattutto nelle Sonate per pianoforte solo – il primo idioma clementino che aggiungeva a un impianto classico elementi spiccatamente virtuosistici (anche spesso desunti dalla letteratura clavicembalistica italiana) come scale, arpeggi, ottave, terze e tutto ciò che poteva rendere l’esecuzione pianistica estroversa e avventurosa.
Questi aspetti risaltano indubbiamente nelle Sonate Op. 10 dedicate a M.me Pauline de Meternich, pubblicate a Londra attorno al 1795 ma possibilmente più tarde.
Il Capriccio Op. 8 – che mostra numero d’opera incerto (Op. 7 nel RISM) e anno di composizione non pervenuto – pur esibendo la doppia destinazione pour le clavecin ou le pianoforte sembra alludere alla potenza e varietà dinamiche del pianoforte. L’introduzione a carattere grave e con note lunghe necessita indubbiamente del sostegno sonoro dello strumento a corde percosse mentre la parte seguente, più libera e “a capriccio†richiede la ricchezza dell’effetto del pedale di risonanza per rendere al meglio i cambi di colore armonico. Il finale sospeso sulla dominante Sol rientra nello stile usuale di brani “a fantasia†o “a capriccio,†spesso semplicemente “canovacci improvvisativi†da usare come introduzione a brani maggiormente strutturati. In questo caso si farà seguire a questo Capriccio introduttivo la Sonata in Do maggiore Op. 10/1, in modo da creare un effetto di “preludio†a una Sonata.
Il brano in questione rappresenta lo stile pianistico maturo di Ferrari, impensabile senza la familiarità con lo stile inglese e con i compositori Haydn e Clementi, attivi a Londra in quegli anni. La pienezza degli accordi e degli accompagnamenti – con veri e propri effetti orchestrali – risponde all’evoluzione dello strumento e soprattutto alla diversa concezione costruttiva della scuola inglese: suono pieno, più lungo e meno “penetrante†del suono dei pianoforti viennesi; più cantabile e potente, adatto ai sempre più diffusi e ampi spazi dei concerti pubblici.
Il cantabile ispirato a Clementi si dispiega nell’Andantino con espressione, dove le pause e la gestione drammatica dei diversi caratteri musicali danno l’idea di una vera e propria “scena teatrale,†come nelle Sonate mature del compositore romano, naturalizzato inglese. Il Rondo finale Scherzando riporta a una certa leggera brillantezza le vette espressive toccate nei primi due movimenti.
In dialogo con la Sonata Op. 10/1 di Ferrari, la Sonata in Do maggiore Op. 2/3 presenta uno stile spiccatamente virtuosistico, a testimonianza della necessità di Beethoven di affermarsi nei suoi primi anni a Vienna come pianista prima ancora che come compositore. Ispirata chiaramente allo stile “atletico†di Clementi, questo brano, con le altre due Sonate della stessa opera, è dedicato a Joseph Haydn, modello indiscusso per la struttura formale e per il gesto retorico classico. I primi tre movimenti della Sonata presentano contrasti spiccati, come se nel primo stile di Beethoven fossero già presenti in sintesi tutti gli elementi di sviluppo verso l’estetica pianistica più tarda. Nell’Allegro con brio forti contrasti si susseguono fra il primo tema maggiore, agile e staccato e il secondo tema minore, cantabile e legato, e ancora fra il primo tema e il vicino ponte modulante, a ottave spezzate e a carattere orchestrale. In generale, il contrasto fra zone più sobrie e “asciutte†e quelle più ricche di sonorità o comunque più piene e cantabili è una cifra ricorrente nell’Allegro iniziale, nell’Adagio, fra tema maggiore e sezione in minore, fra lo Scherzo e il Trio. Questa tensione fra scritture diverse – da un lato quella retorica più articolata di matrice haydniana e dall’altro quella densa e orchestrale inaugurata da Clementi e dalla scuola inglese – e in un’epoca in cui Beethoven ancora non specificava un particolare uso degli smorzatori suggerisce all’interprete “storicamente informato†un uso mirato ma ampio del pedale di risonanza, come un vero e proprio “registro†a effetto (su questo strumento ancora come leva “a ginocchioâ€).
L’uso prolungato della risonanza dello strumento sembra ormai irrinunciabile anche per il primo tempo della “Sonata Quasi una Fantasiaâ€, altrimenti nota come “Chiaro di lunaâ€. In questo spettrale Adagio a terzine, apparentemente ispirato all’Andante della morte del Commendatore dal Don Giovanni mozartiano e forse a sua volta modello per il Capriccio di Ferrari, la melodia emerge più come effetto che come frase compiuta. Beethoven raccomanda Sempre pianissimo e senza sordino, dove sordino sta per smorzatori e l’indicazione sempre pianissimo suggerisce probabilmente l’uso del registro di moderatore, un panno di lana che, frapposto fra le corde e i martelli crea una sonorità molto attutita, quasi immateriale. In questa sede, con una sala non troppo grande e uno strumento adatto, è forte la tentazione di interpretare questa indicazione come il consiglio di mantenere la barra degli smorzatori sollevata per tutta la durata dell’Adagio, espediente che aiuta a cogliere la novità del mondo sonoro ed estetico di Beethoven e l’unicità di questo brano.
Il carattere “di fantasia†di questa Sonata si concentra indubbiamente nell’originale Adagio, quasi un’introduzione ai successivi Allegretto e Presto agitato, da eseguirsi senza interruzioni. Beethoven sperimenta qui con il genere e il contenuto nella direzione di una forma nuova che, dalla tradizionale struttura di sonata in tre o quattro tempi, sembra voglia arrivare a un discorso più flessibile e continuo. L’elemento improvvisativo, sempre caratterizzante lo stile pianistico beethoveniano – si noti ad esempio la cadenza scritta nell’Allegro con brio della Sonata Op. 2/3 – e tuttavia ancora inglobato in una forma netta, diventerà la norma nelle sonate a partire dal 1800, arrivando a coniare lo stile di “sonata-fantasia†dell’ultima stagione del compositore di Bonn.
Lo strumento utilizzato per questo concerto è la copia di un pianoforte di scuola viennese firmato da Anton Walter del 1804 e realizzata da Paul McNulty nel 2008. L’estensione della tastiera è di cinque ottave e mezza e sono presenti tre registri “a ginocchieraâ€: smorzatori, moderatore e una corda.
 Firmato: Stefania Neonato
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