LETTURA DEI CLASSICI NELLA BIBLIOTECA DI TRENTO (“Ippolito” di Euripide)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 14 Aprile, 2015 @ 4:12 pm

Detto altrimenti: Gruppo di lettura della Prof (“Prof” = sostantivo maschile e femminile a seconda dei casi, non puntato)  Maria Lia Guardini       (post 2010)

 Post 2010, anno 2010 – La crisi c’è anche se qualcuno diceva di no.

Ci siamo ritrovati alle 10,00, a destra, nella sala prima della Sala degli Affreschi, al primo piano della Biblioteca Comunale di Trento. La sala degli Affreschi è molto bella. E’ anche utile perché vi si accede superando tre scalini: infatti, poiché dal piano hanno eliminato quelle poche poltroncine “d’attesa” che prima erano a disposizione degli “aspettanti”, se arrivi un po’ prima puoi sempre sederti su quegli scalini. Vi sono sì alcune cassa-panche, ma un cartello avvisa che “è vietato appoggiare oggetti”. Figuramoci  il nostro lato “B”!

Ippolito. Una tragedia di Euripide, che scrive in un’epoca di “passaggio”, di “transizione”. lo sono tutte, di transizione, direte voi, Evvabbè, ma quella greca lo fu in modo particolare. Da poco era passata la peste, da poco a causa sua lo stesso Pericle aveva perso due figli, da poco si stava transitando da “un re giovane sostituisce il re vecchio” ad una società totalmente diversa.

thWR3TFZ9OLa trama. Ippolito è figlio di Teseo re di Atene e di una amazzone. Teseo ha sposato la cretese Fedra. Teseo è in viaggio. Fedra si innamora di Ippolito. La nutrice di Fedra cerca di parlare ad Ippolito  che, super scandalizzato  “non ci sta”. Fedra si impicca lasciando una lettera nella quale accusa Ippolito di averla violentata. Teseo crede alla lettera ed esilia Ippolito, che parte. Ippolito ha un incidente stradale e sta morendo, anzi poi muore. Una dea rivela a Teseo la verità. Teseo si addolora. Fine.

Direte … banale … un fumettone  .. e invece no. Innanzi tutto l’opera – dopo una prima “versione- insucesso” nella quale Fedra era una spudorata (tipo la Fedra dannunziana),  fu riscritta e per questo è un unicum letterario (anche per la presenza di un doppio coro, di donne l’uno e di cacciatori l’altro).

Poi l’opera è piena di riferimenti etici, e quindi ci fa capire l’etica del tempo, fino ad anticipare la catarsi aristotelica. Inoltre ci svela il valore delle parole, almeno quanto elevato fosse il valore che Euripide vi riconduceva: la parola persuade, la persuasione può essere giusta e onesta ma anche ingiusta. La parola … i passaggi che personalmente ho maggiormente apperzzato sono i seguenti:

  • thKKABPBN4… la prolissa ciancia … (le vuote, inutili, lunghe chiacchere) ovvero “la calunnia è un venticello”
  • il troppo favellare che distrugge le famiglie
  • le vergognose ciance
  • quanti hanno fra i saggi minor pregio, tanto più costoro eccellono a parlar fra le turbe (1);

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Che dire poi di

  • “non si è contenti di ciò che si ha e cose assai più belle ti appaiono cose lontane che non possiedi”;
  • “curare e condividere il dolore altrui è doppio tormento”;
  • “non bisogna esagerare, occorre non accettare il concetto che non si fa mai abbastanza per gli altri”;
  • “se una persona di alto livello è turpe, presto anche le persone “piccole” lo diventano” (1);
  • “molti uomini assennati vedono la vergogna in casa propria ma la tacciono all’esterno;
  • la “banca del seme” auspicata da  Ippolito che non gradisce le donne (io non condivido, n.d.r.);
  • Ippolito: La donna? Che la tasa, la piasa e che la staga in casa; la donna da letto e basta” (io non condivido, n,.d.r.).

Ho infine creduto di rilevare analogie indotte in opere successive, o almeno così alcuni passaggi della tragedia hanno richiamato alla mia mente:

  • Quale pena infliggere al reo? Cesare Beccaria, “Dei delitti e delle pene”
  • “Addio terra amata …” mi ricorda l’ “Addio montI” del Manzoni e l’ “Adieu adieu my native shores” di Byron.
  • Fedra si lamenta: “Lasciate che i miei riccioli s’ondeggino sulla spalle” mi richiama Ermengarda “sparse le trecce morbide su l’affannoso petto”.
  • Fedra innamorata: amor che a nullo amato amar perdona …

Infine Euripide ci mostra una società proba nelle quattro virtù cardinali temperanza, fortezza, saggezza e giustizia, ma “improba” nella propria rigidità nel confrontarsi con l’  “alterità”. Nel senso: la classe dei nobili, degli agazoi, è dotata delle quattro virtù, ma non ha saputo dialogare per trasfonderle alle classi meno nobili. La tragedia quindi è anche un messaggio etico-politico.

Prossimo appuntamento: martedì 28 aprile, stesso luogo ed ora, per il commento della “Fedra” di Seneca – Ingresso libero.

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(1) Ecco i due passaggi che io reputo maggiormente attuali: i cianciatori del secolo scorso (tali Benito e Adolfo, ottimi arringatori di folle) e quelli di oggi (i loro nomi? Fateli voi!). E poi il cattivo esempio, la corruzione ai livelli alti che indice amoralità nella gente, nel senso del “così fan tutti, a cominciare dai livelli più alti …”. I Napoletani dicono che “o pesce fete da capa” …