GRAECIA CAPTA FERUM VICTOREM CEPIT
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 7 Ottobre, 2014 @ 3:11 pm
Detto altrimenti: (in italiano) “La Grecia, conquistata (dai Romani), a sua volta conquistò il feroce vincitore con la sua cultura e la sua arte  (post 1676).
Ovvero: open blog, blog aperto al contributo di ogni lettore. Ed ecco quindi quello di Fulvio Maiello: resoconto di un viaggio in Grecia dal 26 settembre al 1 Ottobre 2014 effettuato in compagnia del suo genero Alberto Lorenzini e della sua nipote Camilla Lorenzini.
INIZIA
 Ena
Un paio di ore di volo e siamo all’aeroporto di Atene. Noleggiamo un’automobile e ci mettiamo subito in viaggio verso capo Sounion. Vogliamo visitare il grande tempio di Poseidone che domina il mare Egeo.
In nemmeno un’ora di viaggio su una strada molto scorrevole, arriviamo alla punta estrema di un promontorio di arenaria rossastra, che si spinge nelle acque azzurre del Mar Mediterraneo. E’ tutto un susseguirsi di curve che seguono obbedienti la conformazione del terreno, tra fitti boschi di pino mediterraneo e macchie di lentisco.
Sulla spianata sommitale del promontorio, circondato da una cerchia di mura ciclopiche costruite con grossi blocchi della pietra del posto, si innalza verso il cielo il tempio di Poseidone. Sono rimaste solo 19 colonne di candido marmo pentelico in puro stile dorico con le classiche scanalature verticali. Il primo sentimento che il tempio ispira è un misto di stupore e orgoglio insieme.
Il tempio fu edificato nei primi anni del V° secolo a.c. circa e se pensiamo che in quel tempo gli Ateniesi che ne furono gli autori e i Greci più in generale non erano che piccole società frammentate costituite da pastori che vivevano le loro giornate all’aria aperta tra le balze scoscese e pietrose di una natura estremamente aspra seguendo le loro greggi ecco che il nostro stupore trova la sua giustificazione: come non pensare che tali uomini, per realizzare le opere arrivate fino ai nostri giorni non abbiano richiesto un aiuto divino? L’armonia e la semplice bellezza delle forme portano l’impronta della divinità .
L’orgoglio trasuda dall’imponenza del tempio che dalla tribuna naturale in cui è posto sembra voler gridare al mondo intero la soddisfazione dell’autore nel contemplare la sua opera portata a compimento. E’ la sfida lanciata dagli Ateniesi dopo la vittoria di Salamina contro l’aggressione dei Persiani dalle terre orientali e la decadente potenza dei faraoni egiziani del sud. “Adesso ci siamo noi!”  è il messaggio che le possenti colonne scrivono contro l’azzurro del cielo.
Duo
Delfi : il racconto della storia e religiosità dei Greci. Tutto il fianco di una montagna, il monte Parnaso, è un insieme di fotogrammi, che, come in un giornale a fumetti, ci fanno comprendere la vita e i comportamenti degli antichi Greci. Il Parnaso era il monte consacrato al dio Apollo, che in esso dimorava assieme alle nove Muse del sapere e delle arti.
Da qui hanno origine tutte le arti e la poesia e, se noi siamo arrivati allo sviluppo tecnologico e culturale odierno, lo dobbiamo alle credenze e alla religiosità da sempre imperanti e rispettate in questi luoghi. Dai quattro angoli del mondo arrivavano a queste balze pellegrini o messi dei regnanti per invocare il responso della Pitia, l’oracolo femminile che, in trance, svelava ai postulanti la risposta del dio Apollo a tutte le richieste. Se, dopo avere visitato il locale museo che raccoglie opere straordinarie, quali il famoso Auriga di Delfi, statua bronzea commissionata da un tiranno siciliano per celebrare una vittoria di carri nei giochi pitici del 478 a.c. chiudiamo gli occhi, possiamo vedere, nell’ombra della grande fessura che taglia la montagna, là dove si apriva l’antro della Pitia, delle strane figure danzanti mentre l’aria si riempie di dolci melodie. Sono le Muse che fanno i loro esercizi mattutini.
Tria
Oggi ci accompagnano due sentimenti ben precisi: il disappunto e la malinconia. Iniziamo dal Museo Archeologico di Olimpia. Fu realizzato per raccogliere i reperti provenienti dagli scavi archeologici, tuttora in corso che sono la testimonianza visibile dell’attività esistente nel passato in questi luoghi tra i templi, le palestre e le officine. Le ceramiche, gli oggetti votivi, gli attrezzi di lavoro degli scultori, ceramisti e scalpellini realizzati in bronzo rinvenuti, hanno permesso agli archeologi di farci comprendere come quegli antichi artisti abbiano realizzato le loro opere immortali.
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Non erano artisti di poco conto se pensiamo che tra di esse lavorava a Olimpia un certo Fidia che vi lavorava in una officina che ancora oggi porta il suo nome. Il salone centrale del museo è occupato dalla ricostruzione plastica dei due frontoni, frontone est ed ovest, del tempio di Zeus con una sequenza di scene con statue a grandezza naturale raffiguranti episodi tratti dalla mitologia greca. Il disappunto cui si accennava all’inizio si materializza quando si scopre che la grande statua crisoelefantina di Zeus, alta dieci metri, attorno alla quale era stato costruito il tempio fu trafugata dai bizantini nel 400 d.c. e rifusa per ricavarne l’oro. Di tale grande opera realizzata da Fidia oggi abbiamo solo l’immagine realizzata sulla base delle notizie tramandate dai cronisti del tempo.
La malinconia arriva la sera quando arriviamo a Monemvasia. Si tratta di un grosso isolotto, collegato alla terraferma solo da una strada artificiale appoggiata sopra rocce riportate. E’ alto circa 300 metri con pareti verticali su tutta la sua circonferenza e senza possibilità di accesso alla spianata sommitale sulla quale si trova un monastero oggi deserto. Solo sulla falesia posta ad est si possono notare i tagli nella roccia di una gradinata a zig-zag che era l’unico accesso. Tutto il pianoro è circondato da una muraglia protettiva così che il risultato è quello di una rocca fortificata utilizzata dagli ottomani durante il periodo della loro dominazione che durò fino al 1821. L’impronta della lunga dominazione turca sopravvive nella abilità levantina degli abitanti del paese, posto nell’adiacente terraferma, di sfruttare la località per uso turistico. Sul versante est dell’isolotto, sul pendio ripido sotto la falesia, nel passato era stato costruito un piccolo gruppo di case, probabilmente destinate ad accogliere truppe e oggi trasformate in strutture turistiche. Oggi ci sono parecchi hotel la cui reception é costituita da una piccola camera all’ingresso dell’unico accesso all’isola e le camere sono sparse qua e là tra le altre case del paese costruite, in un grande disordine edilizio, le une sulle altre con stretti passaggi e scalinate impossibili. Nel paese di conseguenza ci sono solo hotel, ristoranti, bar e negozietti per la vendita di souvenir turistici. In compenso ci sono due chiese copte ma non si vedono in giro animali tranne i gatti, nè servizi sociali. Si capisce che l’isolotto è abitato durante il giorno dai locali e dai visitatori, durante la notte solo dai turisti perché i locali, chiusi i loro esercizi commerciali, vanno a dormire nella loro casa sulla terraferma. E’ l’apoteosi delle moderna globalizzazione che subordina qualsiasi attività all’unico scopo di trarne il massimo utile possibile con il minimo di spesa. A Delfi avevamo visto l’Onphalos, la pietra che rappresenta l’ombelico del mondo qui osserviamo il disprezzo delle regole civili in nome del profitto.
 Tessera
Dopo una notte tormentata da violente folate di vento e il rumoreggiare del mare sulla scogliera inizia con aspettative diverse un nuovo giorno. Ci mettiamo in viaggio, dopo una buona colazione, diretti a Micene. Andiamo a visitare quello che resta di un regno più antico di circa un millennio rispetto alle testimonianze della Grecia di Pericle e ci aspettiamo molto per potere in fretta dimenticare le tracce del dominio turco. Abbiamo bisogno di un bagno purificatore nella semplicità e poesia dei greci autentici. In effetti la sensazione è immediata. Passiamo sotto la Porta dei leoni ed iniziamo una facile salita verso la rocca del palazzo reale. Tutta una collina è disseminata dei resti di abitazioni e tutto intorno ad esse corre una cinta di mura ciclopiche. Si tratta di grossi massi, grossolanamente squadrati, assemblati senza malta. Pesano ognuno dai sei agli otto quintali e da questo fatto si originò la leggenda che le mura furono edificate dai giganti.
Siamo nel regno di Atreo che generò Agamennone, Menelao e altri quattro figli. Non sopportando la tirannia del padre,  Agamennone – con l’aiuto dei fratelli –  lo spodestò del trono e prese il suo posto. Sono gli eroi le cui gesta ci racconta Omero a proposito della guerra di Troia. Siamo nel XII° secolo a.c. quando le schiere greche distrussero la potente Troia posta sulla costa dell’odierna Turchia la cui esistenza fu provata dagli scavi dell’archeologo autodidatta tedesco Heinrich Schlieman, lo stesso che, scavando a Micene, quando trovò una maschera realizzata in foglia d’oro si dice che, guardandola, abbia esclamato “ Ho visto il volto di Agamennoneâ€. Ma si sbagliava perchè il ritrovamento faceva parte degli oggetti rinvenuti in una sepoltura micenea datata al XIV° secolo, quindi, un paio di secoli prima di quando visse Agamennone. Eschilo con l’Orestea, triade di tragedie, rappresentò le vicende di questa famiglia infelice. Con il tradimento della sposa Clitennestra che, in combutta con l’amante Egisto, uccise il marito rimanendo poi, a sua volta uccisa dalla furia vendicatrice del figlio Oreste. La nostra compassione è rinforzata dal constatare come queste antiche vicende siano uguali ad altre di cui leggiamo le cronache sui giornali del nostro tempo.
 Penta
Oggi è il giorno di Pericle. Si inizia con la visita al Partenone e all’Agorà . E’ tutto un trionfo di scorci architettonici, colonne doriche maestose ma, nello stesso tempo, svettanti e armoniose. Nell’aria pare di sentire una musica dolce che scende nell’anima. E’ la poesia degli antichi Greci che conquista le genti di tutti i continenti. Torme di giapponesi e orientali in genere si arrampicano ordinatamente sui rampe dell’Acropoli per certificare, al loro ritorno in patria, ai loro connazionali di essere stati al cospetto del Partenone di Atene, il tempio che celebra, più di ogni altra costruzione umana, la civiltà umana. Il fatto sarà certificato dalle foto di ultratecnologiche macchine fotografiche che tutti portano al collo. L’ Agorà di Atene è impressionante per la sua vastità : essa era il centro della vita politica della Polis e in essa si discutevano tutte le questioni riguardanti la vita della nazione.
Pericle, siamo nel IV° secolo a. C., con il suo governo illuminato fece grande Atene ma ebbe la fortuna di avere il supporto di collaboratori del calibro di Temistocle quale stratega militare, Fidia quale maestro delle arti scultoree, Eschilo come cantore epico e letterato, Socrate famoso filosofo e molti altri uomini illustri. Dopo di lui, nessuno più al mondo ha avuto la fortuna di avere uno staff di così alti ingegni e perciò si può tranquillamente affermare, sulla base delle cronache storiografiche e dei reperti archeologici riferibili alla sua epoca che Pericle è stato il più grande uomo politico e governante che sia mai esistito.
 Esa
Ultimo giorno di permanenza in Grecia. Al Museo Nazionale, posto al centro della città di Atene, facciamo un veloce ripasso del nostro viaggio. Sembra di entrare in una grande basilica dove tutto è sistemato al suo posto e si offre al cuore e alla mente del visitatore in una luce calda e soffusa. Anche se non fosse espressamente vietato credo che a nessuno verrebbe in mente di usare i flash elettronici. Sarebbe necessario un mese di tempo per vedere tutti i reperti ma noi ci accontentiamo di una visita veloce che possiamo paragonare al sorvolo di una grande regione guardandola dall’aereo.
Ciò malgrado l’emozione è forte come tutto ciò che riguarda la storia e la cultura di questa gente.
Una distinzione netta si avverte al passaggio dai reperti dell’età arcaica e fino al periodo classico all’età ellenistica, contaminata dai primi influssi romani. Dai resti micenei si riceve il messaggio di un’arte forse più grossolana ma più in armonia con gli uomini del tempo mentre l’arte ellenistica ha forme e contorni più morbidi, più belli dal punto di vista dell’estetica pura ma, tuttavia, prive del calore e del pathos che le opere del periodo miceneo immediatamente trasmettono. Stiamo parlando dei reperti architettonici e delle opere scultoree.
La visita ha termine con una visione commovente nella sua semplicità e credo molto significativa. Sdraiati per terra sul pavimento marmoreo una quindicina di ragazzini sui sette/otto anni; ognuno con un foglio da disegno e una matita in mano si esercitano nel riprodurre le fattezze di una grande statua bronzea di Zeus, posta su un piedistallo al centro della sala. Due giovani ragazze, suppongo le insegnanti, esercitano una sorveglianza discreta e ad esse rivolgo, senza parole, un sorriso spontaneo che arriva dal profondo del cuore.
 Il viaggio termina con un dubbio: se si sia trattato di una escursione turistica oppure di un sogno. Io sono per il sogno ma il lettore farà la sua scelta.
 Inno ad Atene
Tante vele bianche
su un mare di cobalto:
sono le case abbaglianti di Atene
viste dal Partenone.
E’ un posto magico
dove dimorano le Muse
e le parole scorrono veloci
senza alcun impedimento.
Storie di famiglie e dinastie
si intrecciano sfrigolando
e narrano di tensioni e guerre feroci
scritte sulle pietre calcinate dal sole.
Ulisse in lotta per anni
con gli dei avversi
che gli rendono aspro
il ritorno alla casa e alla sposa.
Clitennestra che uccide il marito
reduce da Troia
e che soccombe, a sua volta,
alla furia vendicatrice del figlio.
Leonida, fiero guerriero,
che al passo delle Termopili
sacrifica la vita
per la gloria di Atene.
Temistocle il grande stratega
che, ispirato dall’oracolo,
costruisce le mura di legno
che sbaragliarono a Salamina i persiani.
Sono queste storie
di uomini come noi
ma che nessuno al mondo
potrà mai eguagliare.
 Una riflessione finale
La storia dell’antica Grecia, per noi moderni, è importante perché ci può insegnare come comportarci di fronte a situazioni che ci sembrano difficili se non addirittura irrisolvibili. Ai nostri giorni assistiamo ad una immigrazione massiccia sul nostro territorio di centinaia di immigrati irregolari provenienti da paesi che noi chiamiamo del terzo mondo e che non riteniamo di potere accogliere. Ne scaturiscono tensioni sociali e movimenti politici che ci speculano sopra e alimentano la paura della popolazione per bassi scopi di bottega.
Se noi andiamo a rileggere le vicende degli antichi Greci vediamo che il fenomeno che oggi ci dà da pensare non è nuovo.
Intorno al 1400 a. C. la Grecia era occupata da un insieme di genti sparse in piccoli agglomerati formati da famiglie nomadi dedite alla pastorizia con pochissimi tentativi di insediamenti stabili.
In questa situazione si ebbe una massiccia immigrazione di popolazioni, anch’esse nomadi, provenienti dalle regioni più settentrionali. Erano popoli di razza indoariana provenienti dalle fredde regioni delle steppe euroasiatiche che si riversarono verso le coste del mediterraneo in cerca di un clima più mite e attirati dal benessere dei popoli che vivevano sulle coste del mare.
In quel tempo i Greci erano alle prese con uno dei primi grandi conflitti militare che la storia ricordi dopo le grandi campagne militari degli antichi egizi: la guerra di Troia.
Terminato il conflitto con la distruzione di Troia i Greci dovettero affrontare il problema di come comportarsi nei confronti dei loro immigrati. Anche allora ci furono tensioni tra chi voleva respingere con la forza l’invasione e chi invece si adoperava per una soluzione più logica e umana. Prevalse questa seconda scelta, grazie alla crescita culturale e al progresso delle arti, nel frattempo intervenuto, ed ebbe inizio una progressiva assimilazione dei nuovi residenti nel corpo sociale della nazione greca. Nacquero le Polis, le prime leggi e la democrazia oltre allo sviluppo di letteratura e arti in genere. Il nuovo sangue si mescolò a quello indigeno con evidenti progressi in campo politico e sociale.
Trascorsero cosi quasi mille anni di sviluppo che permisero nel 490 a. C. ai Greci di sconfiggere l’invasione da parte della grande potenza orientale dei Persiani. A Maratona i greci acquisirono per la prima volta la coscienza di essere uno stato unitario in grado di reagire a qualsiasi minaccia e di potere sconfiggere, se uniti, qualsiasi nemico.
Se oggi ammiriamo in tutti musei del mondo i reperti arrivati sino ai nostri tempi, se possiamo ancora emozionarci assistendo alle tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide, se rileggiamo sempre con interesse i dialoghi di Platone o le riflessioni di Aristotele e Talete o le poesie di Saffo e se rimaniamo incantati di fronte alla grandezza e armonia del Partenone, ebbene, allora ricordiamoci che tutto ciò si deve all’intelligenza dei Greci antichi che trasformarono l’afflusso disordinato delle genti immigrate in uno forza di sviluppo e crescita economica e sociale per tutti i Greci.
E’ possibile che noi cittadini del III° millennio dobbiamo ancora discutere su cosa fare con gli odierni immigrati?
 Fulvio Maiello, 2 ottobre 2014
FINISCE
Che altro  posso dire io se non che, avendo l’autore citato Omero, “Epta poleis marnanto sofen diarizein Omero: Smirne, Kios, Kolofon, Izache, Pilos, Argos,  Azinai”? O che mi ricordo ancora a memoria l’inizio delle Anabasi di Senofonte: Dareiu kai Parisatidos gignontai paides duo: presbuteros men Artaxerses, neoteros de Kuros. Epeidè Dareios eszenei kai upopteue teleutem tu biu, ebuleto to anfotero paide pareinai”. Mi perdonerà l’Autore del viaggio e dell’articolo, ma mi ha fatto ringiovanire di 55 anni (a 15 ero al ginnasio), e i giovani si sa, l’impulsività è il loro mestiere (anacoluto manzoniano).Â