CARLA CARLONI MOCAVERO, “La donna che uccise il generale” – Ibiskos Ed. Risolo, Collana Le protagoniste, 2012

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 14 Febbraio, 2014 @ 2:22 pm
L’uditorio

Detto altrimenti: una donna che sfida la storia, una data, un episodio storico, un libro, una riunione, tante riflessioni. (post 1380)

Martedì 11 febbraio 2014. L’Associazione “Dante Alighieri” in Trento ha organizzato la presentazione del libro della Carloni Mocavero. Sala piena, molti in piedi. Copie del libro, esaurite prima della conferenza. Uditorio attentissimo. Sull’Autrice, sul libro e sulla protagonista dei fatti ivi documentati trovate molte notizie in internet. Ma allora, perchè questo post?

La presentatrice Luciana Grilllo (a dx nella foto) e l’Autrice

Maria Pasquinelli (Firenze, 16 marzo 1913 – Bergamo, 3 luglio 2013) è stata un’insegnante italiana, aderente al Partito Nazionale Fascista. Laureata in pedagogia ed insegnante, uccise a rivolverate il trentottenne generale inglese Robin W. M. de Winton a Pola, massima autorità alleata nella città, la mattina del 10 febbraio 1947, il giorno in cui a Parigi veniva sancito il passaggio dall’Italia alla Jugoslavia di Fiume, Zara, le isole Lagosta e Pelagosa, l’alta valle dell’Isonzo, gran parte del Carso triestino-goriziano e dell’Istria. La data del trattato è stata assunta come giorno della memoria per le popolazioni italiane esiliate o uccise nelle foibe.

La cronaca

Lunedì 10 febbraio 1947a Pola nevischia e tira una brutta bora. La città è ormai abbandonata, le saracinesche abbassate, le insegne spente, solo qualche gruppo di esuli con i loro carretti colmi di masserizie si avvia verso la motonave che li porterà non sanno neanche loro dove. Anche i sacerdoti e le suore e solo in ultimo il loro Vescono lasciano la città.

Occorre indicare le antiche vestigia romane, l’arena, i  monumenti veneziani con i loro leoni marciani, l’ampio e possente arsenale costruito dagli Asburgo,  quando Pola era la sede della loro marina militare, mettendo in rilievo l’incredibile degrado della città in quegli anni. 

Come sempre alle otto la nave Toscana si stacca dal molo per portare il carico di esuli verso Trieste: le masserizie, i bauli sono già sul molo sopra la fanghiglia di neve, un vecchio prima di salire si ferma a baciare la terra, mentre le sue spalle sussultano per i singhiozzi. A salutarli, anche questa mattina, una giovane donna, Maria Pasquinelli nel suo cappotto rosso scuro. Ha gli occhi rossi di chi non ha dormito e la mano destra chiusa nella manica. Saluta i suoi amici, il giornalista Guido Miglio e l’architetto Gino Pavan.

Il primo aveva diretto il giornale “L’arena di Pola” e si accingeva a raggiungere la moglie che insieme alla figlioletta l’aspettava a Trieste; aveva deciso di lasciare la città quando uno slavo aveva sputato sul lenzuolino di sua figlia che dormiva nella carrozzina.

Il secondo, Gino Pavan, aveva partecipato al restauro del tempio di Augusto lesionato dai bombardamenti e Maria era intervenuta come madrina alla cerimonia quando il capitello era stato ricollocato al suo posto. Avevano passato piacevoli momenti insieme, qualche bagno al mare, una mangiata di calamari in trattoria, la messa ogni domenica dove lei faceva sempre la comunione. Nel salutarla l’architetto Pavan che diventerà professore universitario e soprintendente ai Beni Culturali del F.V.G.  non poteva certo immaginare quello che da lì a qualche ora  lei avrebbe fatto.  

Partita la nave che Maria P. salutò con la mano sinistra, visto che la destra era sempre chiusa nella manica, la donna si diresse verso la caserma dove si trovava il quartier generale dell’esercito inglese che allora reggeva la città di Pola, mentre tutto il resto dell’Istria era governato dal maresciallo Tito Pola e Trieste costitvano la zona A, retta dal governo militare alleato, il cui futuro era stato a lungo incerto, contesi dall’Italia e dalla Jugoslavia. Quest’ultima, sostenuta dall’URSS, aveva vinto la guerra a fianco degli alleati e rivendicava il suo diritto sull’Istria, la Dalmazia, la Venezia Giulia, mentre l’Italia rivendicava l’italianità di quelle terre che dovevano poter scegliere il loro destino come previsto dai trattati.

Dei 32.000 cittadini polesani 28.000 preferirono scegliere la via dell’esilio ricordando le violenze fatte durante il fascismo, le impiccagioni eseguite dal governo tedesco, i massacri nei quaranta giorni del potere titino e soprattutto la tragedia di Vergarolla, quando sulla spiaggia scoppiarono delle mine mentre si disputava una gara sul mare della sociatà Pietas Julia. Nessuno nell’ultimo periodo a difendere gli
italiani. E’ormai assodato che un patto segreto tra inglesi e il maresciallo Tito prevedeva la cessione di tutta la Venezia Giulia alla Jugoslavia, anche come tributo per il grande aiuto data dalle truppe jugoslave all’inizio della guerra contro i tedeschi che bombardavano Londra, mentre gli italiani avevamo domandato l’onore di  partecipare a quei bombardamenti.

E quel 10 febbraio 1947 a Parigi si firma la pace che affida  Pola agli jugoslavi.

 Il generale Robert de Winton (1908-1947) che avrebbe dovuto consegnare in settembre la città alla Jugoslavia giunge alle ore 9.10 in auto alla caserma per passare in rivista la sua guarnigione.

Scende con il suo cagnetto, ha appena salutato la moglie che con il bimbo di tre mesi l’ha da poco raggiunto a Pola. Ha partecipato allo sbarco in Sicilia,
allo sbarco in Normandia dove è stato ferito e dove si è guadagnato una bella
medaglia, pensa al ritorno a casa con la sua famiglia, ai giorni tranquilli da passare nella sua terra, anche se sente il dolore della città ormai abbandonata, e soprattutto quella bora lo disturba e lo turba. E non può non sapere che quel giorno si firma la pace, anche perché dai pochi presenti parte qualche fischio di disapprovazione.

Quando con la sua divisa e le sue medaglie il generale inizia la rivista alle truppe schierate, Maria Pasquinelli (di seguito nominata M.P.) esce dal portone della vicina casa dove si è nascosta, si avvicina alle spalle del generale e finalmente tira fuori dalla manica destra la mano con la pistola per sparare. De Winton si gira
meravigliato per capire chi lo sta colpendo, e solo al secondo sparo cerca rifugio all’interno della caserma. Troppo tardi, cade a terra. Parte un’ altra pallottola che ferisce lievemente un soldato.

La donna si era immaginata una pronta risposta dei soldati schierati, non sapendo non immaginando che le loro armi fossero scariche e anche lei meravigliata non sa più cosa fare.

Un soldato uscito dalla caserma imbracciando un fucile avanza con molta  circospezione e, solo quando Maria deposita  a terra la pistola, lui le si avvicina.

Le troveranno in tasca una lettera dove spiega di aver sparato a De Winton in quanto lui aveva la sfortuna di rappresentare i grandi che firmavano il Trattato di Parigi con il quale si consegnava l’Istria e la Dalmazia alla Jugoslavia. Sicura di essere uccisa
voleva avere la certezza che tutti conoscessero le motivazioni del suo atto.
Del resto quella stessa mattina aveva affidato a uno sconosciuto due lettere identiche da impostare a Trieste per le Associazioni degli Esuli. E’ molto probabile che uell’atto dovesse costituire parte di un progetto molto più grande che in realtà abortì come viene riportato in seguito.

Coprifuoco a Pola, le spoglie di De Winton attraversano l’Istria, passano la notte a Trieste e infine vengono trasferite dal Castello di Miramare e in fine al cimitero di Adagliacco, sempre scortate da un seguito di soldati con la fascia nera al braccio. Funerale con rappresentanti di tutti i paesi, anche italiani e una banda militare scozzese lo accompagna con la su musica alla tomba.

Trasferimento della M.P. a Trieste in nave. Detenzione  a Trieste e suo diario di Spalato dove dissotterra i resti dei suoi colleghi docenti nella scuola locale  e delle sue avventure in Africa quando da crocerossina si traveste da uomo per raggiungere i soldati al fronte.

Il processo, le pressioni dei governi alleati sulla decisione della corte per evitarle la morte. Carcere a Perugia e poi a Firenze Processo Borghese   Legami con i partigiani della “Osoppo”.

La grazia

La sua vita e il suo silenzio a Brescia e poi a Bergamo dove si ritira con la sorella Tina e dove le allieve della scuola di Milano la andavano spesso a trovare

Maria Pasquinelli è morta in aprile 2013 all’età di cento anni, sempre ricordata dagli esuli.  Forse usciranno altre carte, tanto più che tra i documenti recentemente  resi
pubblici  in Inghilterra  e riportati nel saggio si trova la lettera di una  spia italiana nella quale si comunica agli alleati  che la Pasquinelli si stava esercitando nella
palestra della scuola di Pola per uccidere il loro generale. Ma nessuno se ne preoccupò.

Molto probabilmente il suo non è l’atto i un’ invasata ma parte di un piano non portato a termine. Il silenzio che ha ircondato tutti questi avvenimenti è stato voluto per evitare quella guerra ivile che in Italia era molto probabile.

 

La Lettrice Postal e l’Autrice

Perché un libro su questo episodio? L’intenzione è dichiarata in apertura, e riguarda proprio la possibilità di guardare da un punto di vista diverso un’azione che è condannabile, come qualsiasi omicidio, ma che in altre occasioni ha suscitato anche condivisione, tanto da restare impressa quale gesto eroico nella memoria collettiva.

Ma allora, perché questo post su un “saggio” scritto da una donna sulla vita di una donna? Non certo per fare del revisionismo ma per trarre una conclusione: la Storia va esaminata da tutti i punti di vista e la guerra non risolve nulla.

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Una donna … sola? Con precise idee politiche che però dopo la condanna a morte convertita in ergastolo, poi liberata dopo 15 anni, non ha mai più propugnato alcuna fede politica.
Una donna, sola? Che ha “trovato” la pistola a Milano, che si è esercitata d usarla all’interno di una palestra … tutto da sola?

Molte le considerazioni emerse nella discussione seguita alla presentazione dell’opera:

il silenzio postumo della Storia ufficiale sul momento storico.
Il rischio che “scoppiata la pace”, scoppiasse una guerra civile.
L’obbligo morale, sollecitato all’epoca da Gaetano Salvemini, di non ratificare un accordo internazionale così umiliante.
Il ritardo nella effettuazione del plebiscito.
Le pre-violenze fasciste e le successive violenze dei “Titini”.
L’indifferenza USA.
Il cinismo GB.
La mancanza di una interscambiabilità fra la perdita dell’Istria-Dalmazia e la eventuale cessione dell’Alto Adige (ma questa è un’altra storia).
L’etichettatura (italiana) di “fascisti” per tutti i profughi sopravvissuti alla stragi titine …

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Molti i libri citati dal pubblico a supporto delle tesi sostenute nel corso degli interventi:

Dichiarazioni, articoli e saggi di Gaetano Salvemini.
“Con il vento nei capelli Vita di una donna palestinese”, di Salem Salwa a testimonianza del comportamento inglese contro i palestinesi.
“I conti con la Storia”, di Paolo Mieli, per una conoscenza della storia da tutti i punti di vista.
“Le origini del fascismo” in Italia, lezioni di Harward, di Gaetano Salvemini.
“Il rogo nel porto di Boris Pahor”, circa le violenze fasciste a danno della popolazione slava.

L’Autrice ha lavorato otto anni alla stesura del saggio. Non è un grosso libro, no, non è big, bensì it is a great book! Un importante saggio storico, su un frammento significativo e poco conosciuto della nostra Storia. Non per fare revisionismo, No, per conoscerla tutta.