TRENTO E I SUOI DEPORTATI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 20 Aprile, 2013 @ 7:31 am

Detto altrimenti: ricordare il passato, un dovere verso chi ci ha preceduto e  per costruire un futuro migliore

Il Presidente del Consiglio Provinciale, Bruno Dorigatti

Trento, 19 aprile 2013, ore 17,00. La Presidenza del consiglio Provinciale, nella persona del Presidente Bruno Dorigatti, ha organizzato la presentazione del libro “Almeno i nomi”, curato dal Laboratorio di Storia di Rovereto, per la ricostruzione della sorte dei deportati trentini ad opera del nazifascismo.

Io vivo in Trentino da 25 anni. Sono nato a Genova il 3 febbraio 1944 nella frazione montana della Doria, dove i miei erano sfollati. Ho inaugurato il locale fonte battesimale. Sono ovviamente samp-doriano. Tempo di guerra. Mio fratello Beppe, Genova 1942, era stato trasferito da Genova presso i miei genitori ai nonni paterni, a S. Angelo in Colle (SI), un paese frazioncina del Comune di Montalcino. Nel 1949 nascerà, sempre a Genova, il terzo figlio, Alberto. Babbo, Dario, classe 1912, era carabiniere a Genova dopo essere stato per anni in Trentino (Vermiglio, nel cui Comune, dopo tanti anni, ho lavorato come Presidente delle società impiantistiche del Tonale per conto dell’azionista ISA di cui ero Direttore sotto il Presidente Sen. Bruno Kessler!)  Palù di S. Orsola (su la Fersena, dove io, dopo tanti anni, a Trento, abito! Che dire? Era destino …) e in Alto Adige, a Bolzano, dove aveva conosciuto mamma (che era stata l’insegnante dell’On. Alcide Berloffa) e che poi aveva sposato a Genova.

Mamma, all’Alpe di Siusi, fotografata dall’allora fidanzato Dario

Da Genova, negli anni 60, pur avendo la moglie insegnante, un figlio a scuola e due all’Università in quella stessa città, venne ritrasferito in Trentino, a Cles (all’epoca, era sindaco Giacomo Dusini) dal generale De Lorenzo, nell’ambito del progetto di “sparpagliare” sul territorio nazionale tutti i “marescialloni” al fine di …. ma la cosa per fortuna non gli riuscì, al generale, intendo …no, il trasferimento gli riusci, è quell’altra cosa che non gli riuscì … Dopo due anni, da Cles, babbo si pre-concedò e rientrò in famiglia a Genova.

Ma torniamo al 1944. Anni dopo mamma mi raccontava che non riusciva a farmi addormentare fra le sue braccia, perchè io “ero abituato a quelle del babbo” che non c’era più: infatti babbo non aveva “firmato” ed era stato deportato in Germania.

Dario Lucatti, Maresciallo a Genova, prima del trasferimento a Cles

Fu fortunato. Tornò a casa dopo due anni. Babbo conosceva un po’ di tedesco (appreso in Alto Adige dalla sua insegnante privata, mamma), aveva un buon carattere, era un bravo cuoco. Forse per questo si è salvato. Raccontava: “Una volta mi diedero un mastello di marmellata con la muffa, perchè lo buttassi via. Noi Italiani si tolse lo strato di muffa e se ne fece un’indigestione! Un’altra volta fummo incaricati di caricare per il giorno dopo un grosso motore d’aereo su di un camion e ci furono minacciate pene severe in caso d’insuccesso. Noi non s’aveva alcuna gru. Ebbi un’idea: scavammo una buca, ci facemmo scendere il camion a retromarcia e con alcuni pali facemmo rotolare il motore nel cassone del mezzo. Nessuno di noi fu punito”. Ricordo che raccontava che lo mandavano a lavorare nelle fattorie vicine al campo e che veniva retribuito. A noi bambini i miei dieder poi  le banconote da “miliardi di marchi” con le quali era stato pagato il suo lavoro. Purtroppo eravamo troppo piccoli per capire il valore di quei “cimeli” e non le abbiamo conservate. Babbo fu liberato dagli americani, i quali “…per forza hanno vinto: a noi in Italia mancava la benzina per i carrarmati e loro avevano fusti pieni di benzina avio per … smacchiare le loro divise! E poi loro si meravigliavano che noi Italiani si facesse incetta delle lamette da barba che mettevano a nostra disposizione in quantità illimitata … ma per noi era oro puro, dopo tanta miseria”. Cos’altro riportò dalla Germania il mio babbo? Quell’ “Auf!” imperioso con il quale ci dava la sveglia alla mattina, per mandarci a scuola: “Aufstehen, aber schnell auch”, alzarsi, e di corsa anche!

Chiederò maggiori informazioni all’Associazione Nazionale Deportati: alla Provincia di Trento chiederò se ritiene di donare anche a me, benchè babbo non sia stato un deportato trentino, una copia del volume presentato oggi.

Ma veniamo alla celebrazione odierna, perché di celebrazione si è trattato, e il 25 aprile è vicino!

Bruno Dorigatti: “Almeno i nomi” dei 202 deportati trentini, un libro, un saggio, molte schede biografiche di chi ha subito la violenza della storia. Sono pagine di memoria vera.

Viene data lettura di alcune lettere del deportato Simone Leonardelli, nato a Montagnana nel 1897. Soldato nell’esercito Austro Ungarico sul fronte galiziano. Tre figli. Maestro a Lavarone. Dice che la Germania perderà la guerra. Arrestato a scuola, in aula, di fronte ai suoi ragazzi, il 23 novembre 1944. Deportato. Nel 1952, grazie alla Croce Rossa Austriaca, si apprende che è morto a Mauthausen il 16 giugno 1945.

Tomazzoni, Dorigatti, Menegoni

Ing. Giovanni Tomazzoni, coordinatore del Laboratorio di Storia di Rovereto. Illustra il metodo della ricerca effettuata dal suo gruppo, che si è avvalso della collaborazione di parenti di deportati, di internet, dell’Archivio di Stato di Trento, dei fogli matricolari dei militari, del mega archivio tedesco della Croce Rossa Internazionale e delle schede perforate del maccanografico tedesco di allora, predisposte per essere lette da machine IBM (!). Si sofferma quindi sulla “burocrazia tragicomica dell’orrore” secondo la quale “Tizio è contadino ma sa leggere e scrivere” oppure quella che imponeva a chi stava per essere internato in un campo di concentramento di firmare una dichiarazione “di essere edotto delle conseguenze di dichiarazioni non veritiere”! Preannuncia l’intenzione di un libro analogo sugli internati nel campo di Via Resia in Bolzano, ancorchè non trasferiti oltre il Brennero. Fra questi, ve ne sono circa 150 ad oggi “dimenticati” e occorre render loro giustizia. Si cita una coppia, padre e figlio, rispettivamente Emilio ed Armando Sacchetti, Trentini, arrestati a Milano perché partigiani. Il figlio Armando, mutilato di una gamba, non venne trasferito da Bolzano in Germania. Il padre, abile al lavoro, si. E vi morì.

Ing. Tomazzoni
Ing. Tomazzoni

Dario Menegoni, Vicepresidente dell’Associazione Nazionale Deportati. Oltre 900.000 i deportati dopo l’8 settembre 1943. Sottolinea il “valore collettivo” del vissuto di ognuno, “del vostro familiare”, rivolgendosi ai parenti di ogni deportato. La memoria storica … di storia si vive se non sui dimentica (“Perdonare è da cristiani, dimenticare è da bischeri”, firmato Don Milani. N.d.r.). Suggerisce di costituire la Sezione Trentina dell’Associazione Nazionale Deportati. Una rivalutazione della resistenza, ma non solo o esclusivamente dei giovani armati di mitra sulle montagne, ma di tutto un popolo di persone umili e miti, che hanno pagato con la deportazione il non avere ceduto alla dittatura. La resistenza di tante donne e di tanti uomini che aspiravano alla liberazione dal giogo nazifascista ed anelavano alla democrazia. E che sono finiti, i più sfortunati, in campi nei quali non si faceva alcuna selezione in quanto tutti erano destinati ai forni, i più fortunati negli altri, nei quali la percentuale dei sopravvissuti “arrivò” al 30% – 40%! Quindi una sua certezza: che questo libro sarà catalizzatore di altri ritrovamenti di documenti e notizie circa altri deportati fino ad oggi “rimasti relegati nel nulla”.

Solo una piccola parte dell’uditorio …

Fra i tanti campi, se ne ricorda uno in particolare, “nuovo”, che non molti conoscono: D.O.R.A. Deutsche Organishen Reich Arbeit, nel quale si lavorava (da schiavi!) alle V1 e V2, agli ordini di due veri e propri aguzzini, Werner Von Braun e l’architetto Speer, e nel quale fu internato e trovò la morte il carabiniere ventenne Lino Rainotti di ALA di Trento. Di lui i familiari, dopo tante inutili ricerche, hanno avuto notizia solo per caso, dal libro “Gli schiavi di Hitler” (Ricciotti Lazzero, Mondadori, 1996). Alla sorella, Bruna Rainotti, viene consegnata copia del libro che poi sarà spedito a tutte le famiglie dei deportati citati nel libro stesso. Bruna, che racconta di essere stata a Dora e di avere appreso che i campi erano stati concimati con la cenere … con quale cenere …

Che altro dire? Per rendere giustizia. Per non dimenticare. Per non commettere di nuovo gli stessi errori. Per un futuro migliore.