CINQUE QUARTI D'ARANCIA, e altri sapori

pubblicato da: admin - 25 Agosto, 2010 @ 3:59 pm

La sottoscritta blogger è veramente contenta oggi dei commenti bellissimi e interessanti che si intrecciano sorridenti,  poetici e maliziosi al mio post 217°!

Grazie a Camilla, Cristina, Enza, Raffaella, Valentina , alla mia gemella Maria Teresa che sta ricamando lenzuolini per la nipotina in arrivo e a Riccardo naturalmente che mi ha già inviato un post che “imbucherò” domani, quando arriverà Stefania. E grazie a tutti coloro che leggono…

A differenza del solito rapporto libro-riflessioni, questa volta viaggio al contrario. I miei pensieri mi hanno portato a ricordare questo romanzo di Joanne Harris, l’autrice di “Chocolat.”  Non tanto per la storia drammatica che ci riporta all’occupazione nazista in Francia o per una tragedia infantile tornata alla luce dopo molti anni, ma soprattutto per i sapori e i colori delle estati di un paesino sulle rive  della Loira.

Leggendo di Cristina che si accinge oggi a fare le sue marmellate (delle quali noi Penelopi gratificheremo!) sentendo i profumi delle marmellate e delle conserve dei vicini che mi stanno praticamente nutrendo con pomodori, fagiolini, zucchini del loro orto e,ieri, con  una grande ciotola di pèsche rosa ancora calde del sapore del sole, ho pensato alla campagna francese e a questo romanzo.

Johanne Harris ama parlare di cibo, non solo nel famoso”Chocolat”, ma anche  in “Vino, patate e mele rosse” e dell’importanza che esso ha nei rapporti tra persone e tra esseri  viventi e natura. Mi piace leggere o scrivere di fiori, frutta, pane fresco, vino…i sapori della nostra linfa vitale.

 “Odorava di caramelle e violette, e portava il rossetto scuro…raccoglieva le fragole con la fretta garbata di un coniglio”, questa è la descrizione di Cassis, personaggio importante di “Cinque quarti d’arancia“.

Tantissimni anni fa, da ragazzina già cinefila, vidi un film in bianco e nero che si svolgeva proprio nella campagna francese. Ricordo soltanto la fine: la protagonista delusa sentimentalmente si ritrova in mezzo ad alberi di pèsche mature tra ombra e sole luminosi. Mi sembrò una valida consolazione.

Era un’immagine di piena estate, quella che si può vivere soltanto nel silenzio della natura che assorbe il sole e tutti i profumi della terra. Anche oggi è una giornata così, piena di azzurro limpido, caldo asciutto e verde argentato. Sono fiorite le dalie rosso cupo, stanno maturando le arance selvatiche,  la salvia e la lavanda ondeggiano con gli ultimi voli delle farfalle.

Mimilla sta guardando tutto questo…forse capisce che sono gli ultimi giorni da trascorrere nel giardinetto volante?

Ora uscirò anch’io sulla terrazza e mi tufferò nella sospensione che prelude ai cambiamenti.

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DOPPIO SOGNO, di Arthur Schnitzler

pubblicato da: admin - 24 Agosto, 2010 @ 3:34 pm

Il mistero, la maschera, le allusività. In questo racconto una giovane  coppia chiusa in un'”ovattata felicità domestica” cerca in una sera particolare di festa, un pericoloso respiro di avventura e libertà entrando, senza saperlo, in uno spericolato intreccio speculare.

Per il marito, l’affascinante medico, sarà un avvenimento  surreale quanto violento che si dilata in una Vienna di porte segrete, inquietanti personaggi, giudici feroci e un cadavere di una sconosciuta a farlo infine cadere stremato e in lacrime accanto al letto. “…il corpo che giaceva alle sue spalle ” si rende conto “non poteva rappresentare ormai, che il cadavere pallido della notte passata, destinato irrevocabilmente alla decomposizione.”

Anche per Albertine, la bella moglie, la notte riserva incontri ed emozioni tanto inverosimili da sembrare onirici, ma di una fascinazione  voluttuosamente cercata.

Si può usare l’ossimoro oscura lucidità per questo incantato e psicoanalitico scritto di Schnitzler. Già abbozzato nel 1907, ma pubblicato nel 1931 “Doppio sogno” attrae il lettore per la tematica onirico-reale-surreale.

Ho già scritto precedentemente che Freud vedeva nello scrittore austriaco “il suo sosia” per la finezza e profondità di analisi dell’animo umano e dei suoi più inconfessabili desideri e sensazioni.

Occorre leggere questo libretto con lentezza perchè la struttura compositiva scandisce le alterne e tormentate fasi di una coppia in crisi, una coppia, due individui che con sgomento scoprono l’instabilità enigmatica della realtà accettata e vissuta con un sentimento di  pseudofelicità. I turbamenti di Fridolin e Albertine vanno di pari passo, tanto da giustificare il titolo apposto da Schnitzler “Doppelnovelle”.

L’ondeggiare angoscioso della comprensione-incomprensione dei due personaggi ci fanno partecipare con tensione al loro trauma interiore. Il loro progressivo allontanarsi affettivo e il successivo ricongiungersi dopo la crisi ci sottolinea quella condizione psicologica così cara a Schnitzler “quella specie di territorio intermedio fluttuante fra conscio e inconscio”.

Come i sogni del mattino che stanno in equilibrio tra l’abbandono notturno e il rapido avvicinarsi della realtà.

E’ così sorprendente la nostra vita psichica che non si finisce mai di scoprire ciò che siamo. E gli altri, poi, prima di capirli o di essere capiti, che dico, conosciuti…troppe maschere …

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I BUCANIERI, di Edith Wharton

pubblicato da: admin - 23 Agosto, 2010 @ 6:18 pm

Ero certissima che Camilla avrebbe commentato la visione pessimistica della vecchiata da parte di Svevo (uomo!). E sono d’accordo con lei nel credere che noi donne viviamo molto meglio questo momento delicato, ricco, …”di vendemmia”?

E le altre visitatrici del blog che ne pensano? O sono tutte in vacanza?

Ma proprio nel libro che presento oggi, una lettura per me confortante, bella, dilettevole, la signora St.George, signora di mezza età ha un approccio meno drammatico  sia verso la vita che verso la vecchiaia incalzante. 

Non è certo un esempio di grandi vecchie come la Yourcenar, la Pivano, coccolata in un giorno di pioggia da Camilla.( MA PERCHE’, CARA CAMILLA, NON MI SCRIVI QUALCHE POST PERMETTONDOMI DI AVERE QUALCHE POMERIGGIO LIBERO? con questo pc sono veramente sull’orlo di una crisi di nervi. Ciò che normalmente posso scrivere in un’oretta, qui mi prende due o tre ore!!!)

Infatti i  pensieri della signora St. George ( Ricordate che ho anche il tasto della G mobile) sono presi soprattutto dalla  sue due figlie in età da marito e “trascorreva molte ore della sua giornata a catalogare e valutare mentalmente gli attributi delle signorine che affiancavano le sue figlie”.  Ne teme la rivalità. All’apparenza la signora St. George sembra superficiale ; spesso si sofferma sulla moda femminile “Che cosa, per esempio, poteva essere più grazioso ed appropriato per una signora di una gonna di alpaca nera, drappeggiata ad arte sopra una sottogonna di serge scarlatto…ecc.ecc.?”, ma non per questo non analizza con acume la sua vita. Sa che il marito la tradisce e la delude, ma lei riesce a reagire occupandosi dell’avvenire di Virina e Nan.

Siamo negli Stati Uniti di fine Ottocento, tra i nuovi ricchi che come “bucanieri” prenderanno d’assalto i tesori d’arte e la cultura dell’Europa, nella fattispecie dell’Inghilterra. E’ un vero arrembaggio, come quello lanciato della cinque giovani protagoniste principali, tra cui le figlie della signora St.George.

Anche in questo suo ultimo capolavoro Edith Wharton è impietosamente ironica verso le convenzioni, l’ipocrita perbenismo (Ricordate “L’età dell’innocenza?”). il cinico opportunismo. Ma questa volta abbiamo un happy end sentimentale.

E’ un ritratto d’epoca straordinario offertoci con una grande capacità narrativa.

Lo sto rileggendo con sommo piacere. Lo acquistai nel 1999 e lo lessi in  mansarda nel giugno dello stesso anno. E fra le pagine ho trovato una ricetta. Anche voi infilate nei vostri libri cartoline, biglietti, ritagli di giornale come se il libro fosse uno scrigno di ampio respiro e fermasse nel momento magico della lettura altre suggestioni collaterali.

Una ricetta di un’insalata fatta con i pertali di rose rosa. Oltre l’indivia belga, i gamberetti, fragole mature, limone, olio, sale, pepe rosa anche 50 petali di rose rosa. Non ricordo se la facemmo. Ricordo invece l’insalatina condita con i fiori azzurri di borragina. Mio marito ne fu così orgoglioso!

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NOVELLE, di Italo Svevo

pubblicato da: admin - 22 Agosto, 2010 @ 5:42 pm

Mi sento un po’ segregata in questo paese; soprattutto mi mancano le vetrine delle librerie:vedere i nuovi titoli, le copertine lucide,  sentire quell’imperativo desiderio di possesso e curiosità per qualcosa che potrebbe essere a me congeniale.

Mi accontento perciò di frugare nei libri accumulati in questa casa, estate dopo estate, non solo da me e dai miei familiari, ma anche dalle persone ospitate. Ed ecco che ho trovato “Le novelle” di Italo Svevo nelle edizioni dell’Orsa Maggiore che devo dire sono tipograficamente  poco accurate. Tantissime errori, da non imputare a Svevo perchè ne ho trovato parecchi anche in altri autori. Non ricordo chi ha lasciato questo libro, ma c’è la data di quando è stato letto. Aprile 1990.

 Di Italo Svevo ho già presentato “La coscienza di Zeno”, romanzo da me molto amato per la sua introspezione  psicologica. Naturalmente posseggo anche “Senilità“, “Una vita”.

Non  ricordavo queste “Novelle”, sapevo soltanto del lungo racconto “L’assassinio di via Belpoggio”, pubblicato nel 1890 su un giornale triestino. E’ la storia di un facchino che uccide a coltellate un compagno di sbornie. Rientriamo nei canoni del Naturalismo di Zola, ma Svevo , da subito, scava in modo implacabile nei sentimenti più oscuri e contradditori dell’animo umano.

E naturalmente “Il vecchione”, celeberrime prime pagine del romanzo che Svevo si era accinto a scrivere nell’estate del 1928.

Ciò che colpisce nelle sue storie è l’attenzione  proprio alla vecchiaia. In queste Novelle quasi tutti i protagonisti sono uomini anziani,( appena sessantenni!!!) protetti da mogli affettuose ma percepite come soffocanti.

Già nella prima “Vino generoso”ci sono tutti i sentimenti di rancore, astio, verso moglie e figli che impediscono al protagonista narrante di bere in libertà ad una festa. E il rimpianto per le donne giovani!

Ma la novella più interessante e amaramente divertente è “Corto viaggio sentimentale”. Qui il signor Aghios si trova alla stazione di Milano in procinto di partire per Trieste dove deve concludere un affare. Deve consegnare denaro contante a pagamento di un vecchio debito.

La moglie preoccupata lo ha accompagnato alla stazione, ma qui egli non vede l’ora di salire sul treno per ricercare e ritrovare quella solitaria libertà ormai perduta da tempo.

“Doveva fingere una tristezza che non sentiva, quando era pieno di gioia e di speranza e non vedeva l’ora di essere lasciato tranquillo a goderne…tanto più che sapeva di fare un piacere anche a lei.”

Il signor Aghios osserva di sottecchi sua moglie considerando che si sentiva vecchio accanto a una donna   che sembrava vecchia (anche se più giovane di lui). Il malessere che spesso sentiva, era certo, gli proveniva dalla famiglia dove la monotonia lo faceva “irrugginire”. “Persino la sicurezza di cui si gode in famiglia addormenta, irrigidisce e avvia alla paralisi”. Medita corrucciato che “La famiglia era come un velo dietro al quale ci si riparava per vivere sicuri e dimentichi di tutto.”

Ha bisogno di vita e perciò viaggiava solo. Svevo racconta minuziosamente tutto ciò che accade nel viaggio, dal treno che arriva sbuffando, dal saluto della moglie, che da lontano, mentre il treno partiva,  sembra ancora giovane, ai vari comnpagni di viaggio, ma soprattutto  si sofferma su ogni pensiero recondito che passa per la mente del nostro protagonista.

Più mi allontano da lei e più la amo” constata Aghios e il rancore sembra dissolversi. Osserva tutto intorno  a lui, il paesaggio, la bella ragazza dalle scarpine lucide e il grande cappello e gode della bellezza dell’inizio viaggio “Per un istante si respirava liberi“.

Fa conoscenza con gli altri viaggiatori che cominciano a parlare di sè. “…bastava la compagnia prolungata di un solo uomo per togliergli la grande libertà del viaggio.”

Insomma il viaggio non si rivela quell’esperimento di libertà che desiderava. Alla fine poi,  anche perchè derubato di metà del suo denaro, rimpiange la compagnia della saggia moglie.

In questi racconti le mille riflessioni di Svevo e l’accurata analisi di se stesso, con la sua tendenza all’ozio, il pensiero della morte, con la malinconica rassegnazione alla vecchiaia. Proprio  ne”Il vecchione” le ultime parole sono”…ricordati di non lagnarti troppo della vecchiaia in queste annotazioni…Ma sarà difficile non parlarne…Essere vecchio il giorno intero, senza un momento di sosta! E invecchiare ad ogni istante! M’abituo con fatica ad essere come sono oggi, e domani ho da sottopormi alla stessa fatica per rimettermi nel sedile che s’è fatto più incomodo ancora. Chi può togliermi il diritto di parlare, gridare, protestare? Tanto più che la protesta è la via più breve alla rassegnazione.”

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L'AMORE NECESSARIO, di Nadia Fusini

pubblicato da: admin - 21 Agosto, 2010 @ 5:11 pm

E’ Maria Teresa che oggi, con mia grande gioia, ci parla di:

Nadia Fusini: “L’AMORE NECESSARIO” – ed. Mondadori

 

In questi giorni di precoce fine estate, perché le piogge non hanno risparmiato nemmeno il Ferragosto, le mie comunicazioni con la carissima Mirna erano intrise di allusioni a maltempo, umidità, nebbioline… e allora mi è venuto in mente di parlare di questo bel libro che proprio Mirna mi ha regalato l’anno scorso per il mio compleanno e che evoca così l’inizio di un amore:

“Un pomeriggio umido… ancora estate, anche se verso la fine.

Camminavamo nella campagna come in una molle onda scura… l’umidore ci avvolgeva di grigio, ci bagnava i capelli e la faccia…

Scivolavamo nello spazio, bucavamo una massa ovattata di grigio…“

“L’amore necessario” di Nadia Fusini è una lunga lettera sull’amore, che una donna scrive all’uomo amato. È un libro che non si può raccontare, non perché non vi si trovino accadimenti, ma perché i fatti che sono riportati non hanno mai una funzione narrativa, come del resto non ci sono descrizioni oggettive, ma sempre evocazioni in un’atmosfera spesso onirica, anche quando l’autrice non parla di sogni, che pure qua e là riferisce.

È dunque un discorso introspettivo, adatto a momenti di meditazione, è uno studio approfondito sull’argomento amore, sviscerato e scrutato in tutte le sue pieghe, i suoi particolari e le sue manifestazioni, ovviamente dal punto di vista di chi scrive.

È un libro di pensieri in cui ci si addentra sempre più, catturati -noi lettori- non certo da una suspence di contenuti narrativi, ma dalle atmosfere e dalla raffinata capacità di selezione e combinazione delle parole.

Amore necessario: è l‘amore come elemento imprescindibile dal vivere, ma non semplicemente perché tutti hanno bisogno di amare e di essere amati. Qui credo che il concetto di necessità sia quello che gli antichi Greci attribuivano all’anànche, il fato per i Latini, ossia quella forza ineluttabile a cui nessuno poteva sottrarsi, nemmeno Zeus che era il padre degli dei e degli uomini! 

Dunque nessuno può sottrarsi all’amore, dice la donna che scrive la lettera. L’amore è tutto e talora è personificato, se non addirittura deificato e allora è citato con la A maiuscola: Amore. L’amore è un’entità che supera tutto, persino le differenze tra i sessi, ed allora ecco anche quello tra due uomini o tra due donne.

L’amore si presenta in tante forme diverse: unione perfetta, violenza, tradimento, dolore, tenerezza e molto, molto altro. Ma se tanti possono essere i volti dell’amore, dice la protagonista narratrice, c’è un aspetto comune a tutti ed è la follia: in amore siamo tutti ciechi, folli e… un amore senza follia che amore è?

È un libro breve, breve come una lunga lettera. Ma nella sua brevità è una ricchissima fonte di spunti di riflessione, offerti con un linguaggio sempre prezioso, spesso poetico.

Condivido pienamente alcuni pensieri che la protagonista narratrice esprime, come quello con cui si apre il libro:

“Un luogo estraneo può portarci dentro di noi”

Sì, a volte quando ci distacchiamo dal nostro quotidiano vediamo dentro il nostro io con maggiore chiarezza, con una lente diversa, rispetto a quel che ci succede rimanendo in spazi a noi consueti.

Ma di questo libro trovo bellissime molte espressioni assai suggestive e mi fa piacere citarne alcune:

“Partisti e da allora hai continuato a partire, ma sempre per tornare. Questo è il nostro sempre.”

“Cerco nella borsa il telefono… Ascolto il suono lungo, vuoto, desolato, di quando non ci sei.”

“Mi possiedi con la tua assenza.”

 

Sono davvero tante le considerazioni che si possono fare intorno a questo libro che, torno a dire, è fatto per i momenti di meditazione. Ma ora voglio chiudere riportando un breve brano che mi ha fatto subito pensare alla mia amica Mirna! La protagonista narratrice ha appena comprato un libro:

“… lo infilo veloce in borsa; e d’improvviso non mi sento più sola… Languidamente mi infilo nelle lenzuola come nelle pagine e prendo il largo nell’avventura..”

 

Ciao Mirna carissima, anche tu ti riconosci in queste frasi?

Grazie per avermi regalato “L’amore necessario”!

Maria Teresa Lucatti

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BONJOUR TRISTESSE, di Francoise Sagan

pubblicato da: admin - 20 Agosto, 2010 @ 6:54 pm

Agosto sta lentamente sfibrandosi in mattinate  di pioggerella fine o di umido sole. Una sottile tristezza mi prende stamane. Le cose che finiscono, le persone che sono cambiate. Ripenso alla cara cugina toscana rivista ieri dopo sei anni, i  miei cambiamenti degli anni che passano rifllessi in lei. I ricordi dolci del passato, i sorrisi della gioia dell’incontro, in me sempre mitigati dalla  malinconica consapevolezza che non si può fermare nulla, che si deve andare avanti. Scriveva Werfel “Si corre unicamente perchè la corsa è l’unica forma di vita, e rimanere fermi sarebbe impossibile a chiunque.”

Che libro ho cercato dunque per crogiolarmi in sensazioni languide, quasi autunnali? “Bonjour tristesse“, comprato nel 1958 , a soli 14 anni, e sulla cui prima pagina scrissi: “Buongiorno tristezza, anch’io ti ho conosciuta”.

Romanzo di grande successo, che fu di moda per alcuni anni, come una canzonetta orecchiabile. Francoise Sagan, giovane scrittrice, divenne famosissima. In quell’anno anche un’altra giovanissima francese divenne popolare: parlo della poetessa Minou Drouet. Chi se la ricorda?

Anni in cui le adolescenti diventano protagoniste, non più bambine in attesa di essere adulte, ma persone che decidono del proprio e dell’altrui destino. Proprio come in questo racconto.

Siamo in un’altra estate del Mediterraneo e la protagonista narratrice vive allegramente con il padre, un vedovo un po’ libertino, che nella figlia trova soprattutto un’amica complice.

Quando il padre conosce Anna, una persona di validi principi, onesta, chiara, e vuole sposarla per la ragazzina viziata e diseducata è il dramma: “Non arrivavo a capire:mio padre così ostinatamente contrario al matrimonio, alle catene, in una notte aveva deciso…Così tutta la nostra vita sarebbe stata cambiata. Perdevamo la nostra indipendenza…”

Riuscirà questa difficile adolescente a ideare un macchinoso complotto con l’ex- amante del padre per far fuggire Anna lontano da loro. Ma questo si rivelerà una spinta al suicidio di quest’ultima. La morte di Anna graverà per sempre sulla coscienza della protagonista :rimorso e grande tristezza.

E la famosa conclusione del libro, letto e commentato da noi adolescenti che amavamo essere talvolta tristi predica “Soltanto quando sono a letto, all’alba, quando in Parigi v’è solo il rumore delle vetture, qualche volta la memoria mi tradisce: l’estate torna con tutti i suoi ricordi…Allora qualcosa si leva in me che io accolgo col suo nome, a occhi chiusi:buon giorno, tristezza.”

Ma, grazie al cielo, la gioia ritorna sempre. Ricordo un romanzo  molto amato di Betty Smith “Al mattino viene la gioia”.

E poi ripensiamo al bellissmo saggio di Lorenzo Gobbi che proprio qualche giorno fa ha risposto al mio post e ai vostri commenti.

Commento:
Cara Mirna, leggo per caso questo post, e te ne ringrazio. “Lessico della
gioia “
ha significato molto per me, e sono felice che venga letto così –
non sai quanto! Ne è uscita di recente una nuova edizione, presso le
Edizioni Servitium. Sul mio blog www.lattenzione.blogspot.com trovi la mia
e.mail.

Ringrazio te e tutti coloro che così hanno letto: è un dono
davvero straordinario.
Un caro saluto
Lorenzo Gobbi

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IL FIUME AL CENTRO DEL MONDO, di Simon Winchester

pubblicato da: admin - 19 Agosto, 2010 @ 6:27 pm

Nuovamente lascio la parola a Riccardo che mi ha permesso di dedicare una giornata alla  cugina toscana venuta in visita con i nipoti. Non cugina Bette, nè cugina Rachele, bensì Neva, sì come il fiume di San Pietroburgo. Suo padre, lo zio Ugo, esule in Francia per alcuni anni con un gruppo di antifascisti, tra cui Benedetto Croce, amava la Russia. Anni dopo chiamò la sua mini-villetta “La Dacia”.

Incontro denso di ritessitura  di ricordi familiari, preziosi, ora che il tempo sembra fuggire così lesto.

Grazie, dunque, carissimo Riccardo che ci proponi sempre letture particolari ed interessanti.

 

Quando ne leggi tanti, di libri, va finire che poi di alcuni ti rimane solo il ricordo che erano belli, mentre i singoli contenuti sfumano … ed allora ecco che sei portato a rileggerli. Così mi è capitato per questo.

Winchester è inglese, reporter di fama internazionale che vive a New York. Dopo avere soggiornato a lungo a Hong Kong, in Africa ed in India ha pensato di scrivere – fra gli altri – questo libro sul Grande Fiume Yangtze che, scendendo da nord, scontrandosi con la catena dell’Himalaya, “vira” a sinistra verso est e va a formare quell’enorme delta che è la Cina.

Il libro “risale” il Fiume da Shangai su per le pianure centrali fino alle pendici himalayane e ripercorre a ritroso la millenaria storia cinese. Nelle sue pagine ritroviamo gli anni dei difficili rapporti fra le compagnie commerciali europee e i mandarini Manchu, l’atmosfera peccaminosa della Shanghai dominata dai gangster, lo stupro di Nanchino (il massacro giapponese del 1937), le lotte interne al partito Comunista Centrale durante la rivoluzione culturale, la nuotata di Mao nel fiume e molto, molto altro.

Si tratta di un libro che appassiona ma soprattutto arricchisce il lettore. Infatti, se talvolta i “romanzi storici” – purché ben scritti e fedeli alla realtà nei passaggi essenziali – aiutano a capire la storia, questo “viaggio storico – attuale” a maggior ragione raggiunge uguale scopo.

D’altra parte il lavoro è stato moto apprezzato dal principale concorrente di Winchester quanto ad “Asia”, cioè da Tiziano Terzani, che di Asia se ne intende!

Buona lettura a tutti!

Riccardo Lucatti

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TENERA E' LA NOTTE, di Francis Scott Fitzegerald

pubblicato da: admin - 18 Agosto, 2010 @ 3:52 pm

Dal lungomare di Chiavari ieri mattina, sotto un sole chiaro, spaziavo con lo sguardo da levante a ponente. Vedevo Portofino come una prua di una nave pronta a salpare ed oltre il suo promontorio immaginavo la strada verso la Francia, la Cote d’Azur così vicina a noi.. Mentone dove soggiornò Katherine Mansfield in cerca del clima mite per vincere la sua malattia ai polmoni, Nice con la celeberrima Promenade des Anglais, ed infine la spiaggia di Anbtibes che ci riporta  al gruppo di americani di “Tenera è la notte”.

Siamo nel mitico decennio degli Stati Uniti, chiamato l’età del jazz, cha va dalla fine della prima guerra mondiale al crollo della borsa di Wall Street del 1929. E’ il decennio del proibizionismo, del suffragio femminile, del dilagare delle automobili e della radio, anni del boom capitalistico e della “grande paura rossa”, gli anni dell'”americanismo ad oltranza…il decennio di tutte le proteste e di tutte le rivolte, delle utopie più ottimistiche e delle delusioni più spietate. “ Così la grande Fernanda Pivano, dal largo viso di eterna ragazza curiosa e tollerante, scrive nell’introduzione a questo romanzo che ho ripreso e stretto a me con ardore.

E’ l’epoca delle “flappers”, le maschiette, le ragazze che indossano calze di rayon color carne, vestiti di raso senza maniche con le cinture abbassate sui fianchi. Le circonda un’aria di scandalo insieme alle sigarette fumate con lunghi bocchini. Prosperità e benessere sembravano assicurati e perchè dunque non andare in Francia per le vacanze estive?

Fitzgerald con la moglie Zelda andò al Cap d’Antibes nell’agosto del 1925 quando sulla spiaggia vi si incontravano le celebrità della letteratura e del cinema come Doss Passos, Rodolfo Valentino, Mistinguette…E’ questa lambientazione del romanzo che fa da cornice dorata ad una storia di amore e di disastri esistenziali. Una giovane e promettente attrice del cinema, Rosemary “ che aveva una magia  nelle rosee palme, e guance accese in una bella fiamma, come il trepido rossore dei bimbi dopo il bagno freddo serale.”…incontra nell’albergo di lusso sul mare tanti personaggi fra cui  lo psichiatra affascinante Dick Diver . “Lo guardò e per un momento lei visse nel luminoso mondo azzurro degli occhi di lui, con curiosità e fiducia. “

 E se ne innamora.

Dick è  sposato a Nicole, sua ex paziente miliardaria, che ha però ancora ricadute. Quando quest’ultima  si sentirà  guarita completamente divorzia da Dick lasciandolo alla deriva. Il disastro del protagonista personale e professionale si può attribuire all’egoismo miliardario del  mondo della moglie che avevav esplicitato  chiaramente “l’acquisto in famiglia” di un medico in grado di curare un suo membro.

La malata, guarita, si ricostruisce una vita inversamente proporzionale a  quella del suo medico-marito  che si autodistruggerà.

C’è molto di autobiografico. Sappiamo della malattia mentale di Zelda e dell’alcoolismo di Fitzgerald.

Un romanzo da rileggere anche per la scrittura poetica dell’autore ” si sedette…dove gli alberi creavano un crepuscolo verde sui tavoli e un’orchestra corteggiava un pubblico immaginario…”

L’abbandonarsi sensuale all’estate mediterranea, ai sentimenti istantanei, al piacere e alla musica della vita senza pensare alle conseguenze “tornare…con un mare dai colori misteriosi come le agate e i cornioli dell’infanzia, verde come un latte verde, azzurro come acqua di lavanda, scuro come vino.”

“Tenera è la notte” scelse Fitzgerald come titolo per questa storia rifacendosi a un verso dell”Ode all’usignolo” di John Keats : “Tender is the Night”

 

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IL SARI ROSSO, e i profumi colorati dell’India

pubblicato da: admin - 17 Agosto, 2010 @ 5:55 pm

 

 Anche oggi ospito un membro della famiglia Lucatti che mi sta aiutanto nel mio periodo borzonaschino dove il PC funziona malissimo.

E’ la bella Valentina che stasera ci propone una lettura molto interessante.Grazie.

Javier Moro,

 Il sari rosso

 

“Il sari rosso” ripercorre la storia della famiglia Nehru-Gandhi e della sua influenza nel governo dell’India, dalla conquista dell’indipendenza dall’Inghilterra ad oggi.

Ma non è pura cronaca storica: la narrazione si sviluppa sempre su due piani paralleli.

Da un lato vi è il racconto (mai pesante) dei fatti storici, personalmente molto istruttivo per me, che – confesso – ricordavo ben poco. L’India viene descritta a pennellate nelle sue stagioni, religioni e tradizioni, nei suoi colori e nei suoi profumi, nelle sue infinite povertà e nelle sue grandi potenzialità.

Un ulteriore piano della narrazione, più intimo e personalmente ancora più affascinante, prende spunto dall’incontro a Cambridge di Sonia Maino con Rajiv Gandhi e racconta la loro tenace ed intensa storia d’amore, che porterà “l’italiana” a sposarsi e a vivere a Nuova Delhi, nella stessa casa in cui vive tutta la famiglia del marito, come vuole la tradizione.

Sonia entra in quella casa e noi possiamo vedere Indira Gandhi che si incontra con Nixon, e subito dopo torna a casa di corsa per stare con i suoi familiari; possiamo conoscere molti aspetti della loro vita privata ed il rapporto speciale che sempre legherà Sonia alla suocera Indira; possiamo apprezzare la tempra e l’umanità di Sonia, dalla nascita nel piccolo paesino di Lusiana sull’altipiano di Asiago, al trasferimento ad Orbassano con la famiglia, fino alla ascesa a leader del Partito del Congresso.

Scopriamo (almeno, io non lo sapevo!) che Sonia in realtà si chiama Antonia, e che il cognome Gandhi è solo una omonimia con il Mahatma Gandhi: Sonia prende questo cognome dal marito perché la suocera Indira sposa un Gandhi, il quale non ha alcuna parentela con il Mahatma, ma una semplice omonimia – il legame con il Gandhi che tutti conosciamo è comunque fortissimo, perché il padre di Indira, Nehru, aveva con lui una amicizia profonda.

Sonia, l’italiana arrivata in India per amore, assiste da una posizione assolutamente particolare ai più grandi eventi del suo paese di adozione, fino a sentirsi veramente indiana e quasi costretta, come già avvenuto per altri suoi familiari, ad assumere personalmente un ruolo attivo nella politica dell’India. L’amore per Rajiv, che viene ucciso in un attentato, la spinge a questo passo, che Sonia compie per tenerne viva la memoria; questo amore, ma anche la dolce tenacia di Sonia, la accompagnano sempre, e la spingono prima a lottare contro ogni ostacolo per realizzare il suo sogno di vivere con Rajiv, e poi ad accettare con serenità e forza un destino ed una storia pericolosi, e completamente diversi dai suoi sogni di bambina.

Il libro è abbastanza corposo ma attrae perché avvincente, e si legge con facilità. Conquistano il susseguirsi dei fatti storici ed insieme il racconto della vita e dei sentimenti delle persone che ne sono protagoniste.

 

Valentina Lucatti

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LILA, LILA, di Martin Suter

pubblicato da: admin - 16 Agosto, 2010 @ 5:59 pm

E’ CON GRANDE GIOIA CHE LASCIO LA PAROLA A MARIA TERESA CHE INSIEME A MARITO,  FIGLIA, ED ALTRI CARI AMICI ED ESTIMATORI, MI E’ D’AIUTO  NEL MANTENERE ACCESO IL BLOG ANCHE IN AGOSTO

 Martin Suter, “Lila, Lila”, ed. I Canguri Feltrinelli

 

Mi riaffaccio con gioia al bellissimo blog di Mirna dopo le mie vacanze da Robinson, durante le quali ho fatto tante cose rilassanti, compreso leggere alcuni libri. Tra questi c’è “Lila, Lila”, di Martin Suter. Mi è stato regalato da un’amica che vive a Zurigo e che ha voluto portarmi il romanzo di uno scrittore di quella città. “Lila, Lila” mi ha colpito prima ancora di sfogliarlo per almeno un paio di motivi

Il primo: Zurigo è legata ad un momento molto intenso della mia vita. Nell’ospedale cantonale di quella città, quando ero giovane, mia mamma è stata sottoposta ad un’operazione chirurgica assai ardua. A Zurigo le hanno salvato la vita e due giorni fa ha compiuto 90 anni!

Il secondo motivo è il titolo, così misterioso. Mi chiedevo che cosa mai fosse “Lila Lila”: una filastrocca, il diminutivo di un nome, la lallazione di un bimbo? E a questo proposito mi è riaffiorato alla mente il fatto che, molto tempo ancora indietro, quando ero piccola, una mia cuginetta ancor più piccola di me mi chiamava “Lilla”. Chissà perché?

 

Mi piacerebbe sapere se anche altri sono stati incuriositi da un libro, prima ancora di aprirlo, solo perché qualcosa a prima vista sfiorava in qualche modo il loro vissuto.

 

Dunque uno strano titolo, ma non solo. Il primo capitolo, una sorta di prologo, introduce una sospensione che trova spiegazione solo nelle ultime pagine e tutto lo svolgersi degli avvenimenti è molto avvincente. L’interesse è tenuto desto sia da quel che succede, sia dai personaggi, che hanno un po’ tutti qualcosa di misterioso.

Il romanzo è la storia di un libro che cambia la vita di una persona, anzi di più persone. Altre volte ci si è chiesti se un libro abbia questo potere, ma qui la cosa è super super eclatante.

Non mi sento di dire che la scrittura abbia qualcosa di particolarmente pregevole, almeno dal mio punto di vista, ma ci sono notazioni descrittive assai azzeccate, talora spiritose, come quella dell’albergo

“aggrappato con le unghie e con i denti alla sua quarta stella”.

 

Mi capita sempre, nel leggere un libro, che qualche frase mi colpisca e mi resti impressa al punto che –non essendo io gran che creativa- poi mi piace utilizzarla quando parlo, citando ovviamente la fonte.

E a proposito di citazioni, in “Lila, Lila” ne ho trovato una gustosissima da Mark Twain sulla lingua tedesca. Non la conoscevo, mi è piaciuta moltissimo e l’ho subito diffusa perché nella mia vacanza da Robinson parlavo spesso nel mio tedesco un po’ stentato con persone di diversa nazionalità. La trascrivo qui di seguito, sicura che chi conosce almeno un po’ quella lingua la troverà azzeccatissima:

“Ogni volta che il tedesco letterario si immerge in una proposizione, scompare alla vista finché non risbuca dall’altra parte del suo Atlantico con il suo bravo verbo in bocca”.

 

“Lila, Lila” fa pensare intorno all’amore, al rapporto tra madre e figlia, al dire bugìe (qui ce ne sono di enormi). Fa conoscere i diversi mondi paralleli che vivono in una grande città. Svela anche particolari pratici del mondo dell’editoria. Se qualcuno di voi lo ha letto, mi piacerebbe sapere che cosa ne pensa. Io ne sono stata catturata, il che in vacanza è molto bello.

Un caro saluto a Mirna, che libri divora tutto l’anno, e a tutti i frequentatori del suo blog.

Maria Teresa

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