RESTA CON ME, di Elizabeth Strout

pubblicato da: admin - 25 Settembre, 2010 @ 6:55 pm

scansione0016Oh, saranno passati anni ormai, ma una volta un ministro del culto viveva con la figlioletta in una cittadina del nord…dove il fiume è stretto e gli inverni erano particolarmente lunghi“. Già dall’incipit di questo romanzo della Strout, narratrice ammaliatrice, sappiamo già che vorremo conoscere tutta la storia. 

Quell'”Oh”, iniziale ci fa accomodare  in attesa intorno alla narratrice. E chissà  quali eventi succederanno  durante i lunghi inverni  in una parrocchia americana.  E’ il secondo romanzo che leggo, anzi che sto  leggendo, della Strout. Il primo è stato “Olive Kitteridge”, vincitore del Premio Pulitzer del 2009.

Ho urgenza di scrivere nonostante non sappia ancora come finirà la vicenda del reverendo Tyler Caskey , bell’uomo, dolce , mite sempre con la parola giusta per tutti. Parole per lo più tratte dai Salmi e dai libri sacri. Il suo conforto, la sua gioia, la sua ricerca è sempre Dio, il suo più grande desiderio è che Dio resti sempre con lui.  “Abide with me””Dimora dentro di me”. Il suo più grande terrore  è di non provare più  quella  Sensazione  di “quando ogni scintilla di luce che toccava i rami di un salice piangente immersi nell’acqua, ogni alito di brezza che piegava gli steli d’erba verso i filari di meli, ogni cascata di foglie gialle del ginkgo che cadeva al suolo con una dolcezza così tenera e diretta riempivano il reverendo  della profonda e incrollabile consapevolezza della presenza di Dio. “

Ogni suo sermone incanta i parrocchiani, specialmente le signore un po’ tutte “innamorate” di lui.

Ma Tyler ha sposato una bellissima donna, guardata con sospetto, ma accettata in quanto compagna dell’amato reverendo. Nascono anche due bambine.

Ma improvvisamente la giovane signora Caskey muore e questo evento drammatico travolgerà non solo il reverendo e la figlia più grandicella, Katherine, ma l’intera comunità.  Tyler chiuso nel dolore non riesce a ritrovare quell’intenso conforto nella religione,  non trova neppure le parole adatte per i suoi sermoni che diventano aridi, ripetitivi e distanti.

Anche la piccola Katherine è entrata nel tunnel buio del lutto rifiutandosi di parlare e comportandosi in modo aggressivo verso tutti.

Siamo nel Maine degli anni Cinquanta, i comportamenti non conformisti alle consuete regole suscitano diffidenza, pettegolezzi, maldicenze.

Spesso troviamo il reverendo  seduto nel suo studio, dopo che Katherine è andata a scuola, nell’ora dedicata alla preghiera e alla meditazione “Al mattino ascolta la mia voce”. Ma in un particolare giorno, dopo che ha saputo del terribile comportamento della figlioletta  durante l’ora di catechesi, mentre si sente ormai inadeguato come pastore d’anime, immerso com’è nel dolore e nella nostalgia, ricorda frasi di un sermone di Kierkegaard “Non c’è stato forse un tempo in cui, gioioso e senza un pensiero al mondo, eri lieto tra la gente lieta?”

Ricorda che aveva sottolineato a sua moglie Lauren, quand’ella scalpitava nell’angusta vita parrocchiale, che Kierkegaard significava “giardino della chiesa”, e  che lei aveva ribattuto  seccamente che più adatto  sarebbe stato   dire “cimitero della chiesa”.

Ora Tyler  prova  scontentezza amara, solitudine, incomunicabilità.  Soltanto con la domestica Connie Hatch c’è un intendimento. Una sorta di affinità, di riconoscimento,  di “vertigine”come ha scritto Stefania in un commento.

Quando incontrò lo sguardo della domestica, ebbe uno di quegli istanti sorprendenti che si verificano a volte, quando si prova un fugace senso di riconoscimento, quando in meno di mezzo secondo, si ha la sensazione di aver intravisto l’anima dell’altro, e si condivide un frammento di autentica comprensione.”

Come finirà questa storia? Troverò l’imperscrutabile salvezza che è promessa nella presentazione del romanzo? Per ora sono arrivata al dialogo fra due persone sole, deluse: Connie che si è sempre sentita  come un’esile traccia di matita e Tyler che ha subito una perdita tale da rivoluzionare la sua vita.  Egli pensa di andarsene, Connie replica che sentirà la sua mancanza.  Subito alla mente di Tyler le parole di Matteo 12,34 “ La bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.”

Elizabeth Strout ci porta con sensibilità estrema nelle pieghe più intime dell’animo umano, della vita in generale e di tutti noi che viviamo gli uni accanto agli altri.

Non vedo l’ora di rituffarmi tra le sue pagine…

Come immagine ho deciso di mettere la Basilica di Knechtsteden, Germania, dove Stefania ha tenuto recentemente il suo concerto.  Mi ha mostrato la foto poco fa…e mi è sembrata adattissima al post. Anche le vie del blog sono varie e imprevedibili…

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LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI, invalicabile ostacolo

pubblicato da: admin - 24 Settembre, 2010 @ 6:49 pm

cop[1]Intrigante parlare di questo romanzo del giovanissimo Paolo Giordano, vincitore del Premio Strega, perchè mi vengono sollecitate  nella mente  quelle  poche nozioni che conosco sulla misteriosa matematica ed alcune  nozioni di fisica, per me magiche.

 Abbiamo appena visto, quasi tutte,  il film, bello, duro, forte, angosciante, che ci comunica una lievissima speranza, ma non del tutto.  Ritorno qundi al romanzo con in mente all’improvviso un saggio sull'”entropia“ che non ho ancora letto, anzi che  “si è nascosto” da qualche parte.

Non so perchè collego la solitudine a questo primo principio della termodinamica (copiata, non me la ricordo certamente) : nulla si crea, tutto si distrugge e tutto si trasforma: L’energia è eterna? L’entropia è la misura del caos, è una direzione verso un maggiore disordine dove vi sono urti casuali di molecole. “E’ un concetto limite, usato anche in sociologia, in un mondo che per quanto grande è sempre un sistema chiuso, destinato a volgere verso un accumulo costante di entropia…”

Insomma quando si legge un romanzo affiorano le tue conoscenze, le tue sensazioni , il tuo vissuto e la tua visione del mondo conscia ed inconscia.

La storia di Alice e Mattia mi ha raggelata. Eppure quante situazioni di angoscia  Paolo Giordano è riuscito a presentarci. Innanzitutto le colpe irreversibili dei genitori. Il padre ambizioso che costringe Alice a diventare la più brava sugli sci, i genitori di Mattia  che gli addossano una tremenda responsabilità verso la sorellina ritardata mentale e che come “aguzzini” li relegano in un mondo solitario e invalicabile. Il bullismo scolastico. Un tremendo mondo adolescenziale.

E queste due creature , succubi di una situazione che non riescono a trasformare diventeranno, per difesa e obbligo  numeri primi, divisibili solo per se stessi senza mai riuscire, mai, a rapportarsi  con altri numeri.  Ottimo il titolo trovato dall’editore Mondadori, sebbene , ho appena letto, Giordano avrebbe preferito “Dentro e fuori dell’acqua”. Preferisco anch’io quest’ultimo, mi mettono a disagio i romanzi, i titoli che devono attirare i lettori-acquirenti.

Acqua, ventre materno, indistino da cui nasciamo ed a cui ritorneremo.  Storia che è un “pugno nello stomaco”, storia che deve farci riflettere come genitori, educatori, “grandi”. Anoressia, masochismo, solitudine estrema dove neppure gli “urti casuali di molecole”  riescono a far avvicinare due vite raggelate. Meglio un caos?

Troppo giovane il nostro bravissimo scrittore Paolo Giordano? Ha solo osservato e non provato? Oppure con la lucidità innocente  della giovinezza è riuscito a radiografare le nefandezze della nostra opulenta società che crede  in valori che non si trasformano, ma distruggono?

Camilla, ci ha scritto che lo ha conosciuto a Mantova, quindi aspetto la sua e la vostra opinione.

Sono gratificata dal “mondo” che entra in questo blog. Come dicevo a Donatella “occorre sempre uscire, anche virtulamente,   e il mondo ti verrà incontro”.

Magari incontrarsi a Roma, Miki, e perchè no anche a  Trento, in questa dolce stagione di uva, colori del vino e gioie colorate dell’amicizia.

Questa mia poesia di alcuni anni fa mi sembra appropriata al post odierno:

Parallele

Cerco di copiare dalle linee parallele di neve

la pace.

Corrono dritte tra i meli secchi dell’inverno

con sicurezza e candida fiducia.

Io non sono lineare, sono a spirale

e vortico, con la gola stretta,

dentro di me.

I merli volano e si cercano

tra i cespugli intirizziti. Mi fa male

il loro gioioso intendimento.

Li sento chiamarsi con fischi e chioccolii

e sembrano graffiarmi il cuore

confinato tra i fili spinati

dell’incomunicabile.

Dovrei calzare gli stivali delle sette leghe

e procedere senza pensare verso

l’impossibile congiungimento.

 

(Mirna Moretti)

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LE AFFINITA' ELETTIVE, e l'intimo riconoscersi

pubblicato da: admin - 23 Settembre, 2010 @ 7:56 pm

scansione0015Quando possiamo parlare di affinità elettive? Quando andiamo d’accordo su tutto oppure su alcune cose che noi reputiamo le più  importanti della vita? Oppure quando ci troviamo bene con qualcuno su un piano formale, ludico o intellettuale , nonostante  intime discordanze?  Certo che abbiamo abusato di questo concetto usandolo spesso con leggerezza. Ma ripensando al rapporto di complicità fra sorelle o amiche, come ci dice Raffaella, e leggendo i diversi pensieri  di Miki e  di Cinzia, si può provare a soffermarci sul grande romanzo di J.Wolfgang Goethe.

Goethe parla di affinità elettive per quanto riguarda la coppia, proprio nel momento in cui già anziano, si innamora della giovane Minna Herzlieb. Il suo romanzo che sembra attingere alla scienza per quanto riguarda l’attrazione quasi chimica di persone affini, è comunque tragico.

I suoi personaggi, Carlotta, Edoardo, il Capitano, Ottilia, l’azione stessa nell’ambiente  neoclassico diventano simboli spirituali e universali. Per Goethe il trapasso alla vecchiaia significò una crisi profonda, un’affievolirsi della sua titatnica, olimpica maturità raggiunta e questa sua opera sembra quasi un’operazione catartica alla sua improvvisa  ferita passionale.

Il suo amore per Minna, quasi un canto di distacco e di commiato, lo porta a confrontare il mondo del matrimonio –  quello dell’ordine e della morale – , con il mondo della forza naturale dei sentimenti, la forza elementare dell’amore. Infatti nel concetto dell’affinità elettiva, mutuato dalla terminologia chimica, si legittima qulla forza cosmica che spinge la vegetazione  a fecondarsi spontaneamente, il rapporto fra gli animali a soggiacere per necessità alla legge di natura. Egli vede riflessa, proprio nella sua improvvisa passione per Minna, quella forza cosmica che però negli uomini si attua in modo diverso da quello in cui si attua nel mondo della natura.

Più armonia nel mondo della natura perchè non si può scegliere, tra noi umani invece, nella scelta, un elemento di squilibrio che talvolta si rivela tragico.

Fra le quattro persone che vivono insieme già  in coppia grazie a una precedente armonia , prepotente sorge la forza della affinità elettiva che inesorabilmente faranno attrarre Carlotta e il Capitano, Edoardo (marito di Carlotta) e Ottilia.

Romanzo che suscitò grande scalpore nel 1808, qundo apparve. Goethe non voleva nè difendere il matrimonio, nè il libero amore, ma solamente rappresentare per simboli – e i personaggi vivono come simboli -, il comportarsi ed il reagire dell’uomo di fronte a quella “demonica forza della natura” che qui nel romanzo ha preso la sostanza ed il potere dell’amore fra i due sessi.

Chi ha letto la storia  saprà delle intime riflessioni dolorose dei quattro protagonisti, saprà che Carlotta concederà il divorzio ad Edoardo affinchè sposi Ottilia, ma anche che quest’ultima non riuscirà a conciliare amore e legge morale. E la tragedia suggellerà la storia.

Un  altro capolavoro da rileggere.

 E che oggi è stato lo spunto per riflettere su che cosa intendiamo  veramente per affinità elettive.

E tornando all’incipit del post, può una persona amica avere più affinità con noi che gli stessi consanguinei?

Con chi vi sentite “affini” e in quanta parte?

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IL CIECO, di Gianluigi De Marchi

pubblicato da: admin - 22 Settembre, 2010 @ 7:23 pm

070Bttesimo Pietro 008Una parentesi di nostalgia per le  nostre radici e  per il  nostro “mare” reale o metaforico. Siamo senza dubbio un popolo di navigatori, poeti e santi. E  Riccardo che è un navigatore, un poeta…e forse anche un santo? ci propone attraverso  la sua accattivante parola immaginifica un libro particolare che lui ama per consonanze, amicizia, cuore.  

 

Edizioni Demarketing

Pagg. 68, €10

richiedibile all’autore demarketing2008@libero.it

 

Mare d’amare, ovvero ritorno alle origini, cioè alla mia Liguria, dove sono nato!

Difficilmente IL CIECO farà parte della Storia della letteratura italiana, ma non sempre si scrive un libro per vincere il premio Nobel o per entrare nell’elenco dei grandi scrittori: lo si può fare anche solo per il piacere di scrivere qualcosa che appassiona.

E così pare che abbia fatto un mio vecchio amico Ligure, da anni emigrante ed emigrato a Torino, affermato scrittore di numerosi libri di finanza, il quale questa volta si è cimentato con una storia romanzata ambientata a Camogli, la città d’origine dei suoi antenati.

Il Cieco è un romanzo perfettamente ambientato nel suo contesto storico (l’ultimo decennio del XIX secolo), con precisi riferimenti a personaggi autentici come l’arcivescovo Salvatore Magnasco di Genova, Simone Schiaffino (l’eroico garibaldino morto a Calatafimi), il professor Olivari.

E’ la storia di un armatore camoglino, Francesco, il quale perde improvvisamente la vista per un fatto misterioso ed inizia un lungo percorso di riflessione interna e di riavvicinamento alla fede perduta. Inutili le cure di un luminare dell’oculistica, solo un miracolo potrà salvarlo. Il finale a sorpresa corona l’appassionante vicenda in maniera emozionante ed inaspettata.

Il libro vive soprattutto dell’atmosfera magica che sa creare intorno al protagonista, alla sua famiglia ed all’amico fraterno Prospero, rettore del Santuario del Boschetto scenario principale della narrazione.

La vicenda è di fantasia, ma la Camogli descritta è autentica: basta farle una visita per rendersene conto ed appezzarne l’autenticità senza le tante concessioni al turismo di massa che qui, almeno in parte, non ha fatto breccia.

Un testo scorrevole e piacevole, scritto con garbo che merita attenzione soprattutto per la spontaneità e la delicatezza del linguaggio.

Mi permetto di “illustrare” il bel libro di Gianluigi con una mia “foto – grafia”: la poesiola “Caruggio”, ovvero, dal dialetto ligure, “piccola ed antica strada incastonata fra le case, per il passaggio dei carri, e non solo”.

Caruggio 

La storia

è passata di qui.

Ha lasciato il suo umore

nelle pietre levigate

nelle ombre frequenti

negli stretti ritagli di cielo

nelle case addossate.

Ascolta la voce

di quello che vedi.

Sofferma il pensiero

su chi riempie di sé

la piccola via.

Persone diverse

che un antico crogiuolo

difende

dal moderno artiglio rapace,

confusa umanità

padrona di un mondo

che tu

passante distratto

puoi solo violare

oppure

cercar di capire

in silenzio

ed amare.

 

Riccardo Lucatti

Da: demarketing [mailto:demarketing2008@libero.it]
Inviato: giovedì 23 settembre 2010 18.03
A: Riccardo Lucatti
Oggetto: Re: IL CIECO x blog

 

questa sì che è camogli, l’altra foto sembra più sestri levante…

ciao, grazie per la bellissima recensione

gianluigi

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SORELLE E COMPLICI, e le relazioni privilegiate

pubblicato da: admin - 21 Settembre, 2010 @ 6:38 pm

scansione0013Questo stupendo libro di Jane Dunn che ci descrive l’esistenza di  Virginia Woolf   intimamente collegata con quella di sua sorella Vanessa Bell, doveva essere uno dei miei primi libri da presentare nel blog. Ma, come a volte capita, si tende a tenere “il boccone più gustoso” per ultimo, o almeno questo tendevo a fare…ora cerco di  non  farlo più…ora so che occorre afferrare subito il massimo…al presente…

Finalmente ne parlo. Perchè? Forse perchè stamattina, dorata mattinata di lieve autunno incipiente, incontro due coppie di sorelle che sembravano complici. Una coppia si è iscritta confabulando sommessamente ai corsi della Utetd (che invidia i loro sguardi sicuri, le decisioni concordate già prese! io indecisa tra tai chi, yoga, danze, ecc.); altre due sorelle tornavano invece soddisfatte dall’acquisto di camicie per i rispettivi mariti. Immagino i loro consigli reciproci, il confabulare. Io, da sola, invece mi sono comperata il cappottino nero. Mi starà bene? Mi nasconderà la ciccia? Non sarà troppo giovanile tanto da farmi apparire una nonna-fanciulla?

Ah, come vorrei avere una sorella! Una sorella complice, naturalmente. Come quelle dei racconti della Pym,  dove  entrambe si sostengono a vicenda,  si consolano o della vedovanza o della solitudine sentimentale perenne e sono un fronte unito contro l’imprevedibile.  Naturalmente non  come le sorelle-nemiche di altra letteratura di cui abbiamo già parlato, o come certi film dell’orrore. Chi ricorda “Che fine ha fatto Baby Jane?”.

 Sorelle che riescono a comprendere e  condividere la propria essenza e ricordare senza acredine il passato familiare comune.

Se poi le sorelle sono persone speciali, sono artiste come Virginia e Vanessa leggere della  loro vita diventa  un estremo piacere.  Fra loro poca differenza d’età, soltanto tre anni. Ma Vanessa , pittrice di talento  (suo il ritratto di Virginia nella copertina del libro) ha sempre avuto un rapporto di protezione materna verso la sorella sensisibilissima e  psicologicamente fragile.  Anche rivalità però, quella certa tensione di accesa attenzione l’una per l’altra, in ogni caso relazione singolare, ricca di intimi segreti incomunicabili agli altri, tanto da sentirsi sempre una”coppia” contro gli altri.

Dai tempi della loro difficile adolescenza nella famiglia ampia di fratellastri ambigui e sorellastre amate e perdute, all’ambiente intellettuale di Bloomsbury, territorio non più sotto il controllo dell’educazione vittoriana, ma trampolino per i primi disinvolti atteggiamenti liberi sia morali che sessuali.

Vite intrecciate in ogni caso anche dopo i rispettivi matrimoni. Si parla di un flirt fugace di Virginia con  il marito di Vanessa, si raccontano momenti di incomprensioni e rancori. Una competizione quasi cosmica sembra dividerle: Vanessa fertile e domestica, Virginia sterile e intellettuale, ma la complicità promordiale che le attorciglia non riesce ad allontanarle. Vite congiunte, diverse, complementari quasi allo spasimo. Le loro biografie distinte le possiamo rileggere con interesse. Ma per tracciare la reciprocità della natura di queste due sorelle occorre accostarle.  Troppo impastate l’una con l’altra. Scrive Jane Dunn:

“Basta prendere un qualunque brano di Virginia, aprire a caso i diari , o le lettere, o anche la narrativa, ed ecco emergere Vanessa. D’altro canto, quando Vanessa si trovava ad affrontare gli abissi della disperazione e a dubitare della sua stessa esistenza, è a Virginia che si rivolgeva.”

Il loro è un rapporto molto stretto, una sorta di “respiro unico”, pur nella lotta di essere ed essere percepite come persone diverse,perchè  ci sono il desiderio e la necessità di essere una cosa sola.

Dopo la turbolenta vita sentimentale di Vanessa, dopo i grandi romanzi di Virginia e le sue ricadute nella “follia”, eccole ancora più vicine, negli ultimi anni prima del suicidio di Virginia.

E’ vero che fra sorelle si può creare il più intimo e duraturo dei rapporti personali?

Chi ne sa qualcosa?

 

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PORTAMI A CASA, e la ricerca di un nuovo equilibrio

pubblicato da: admin - 19 Settembre, 2010 @ 7:31 pm

E’ il secondo libro di Jonathan Tropper che leggo, il primo è “Tutto può cambiare” ed entrambi si focalizzano sulla ricerca di “amalgamare”, come scrive Cinzia” i vari ingredienti della vita”. Riordinare con calma il disordine .

Sempre la famiglia al centro di tutti noi, quella d’origine, quella che abbiamo o non abbiamo creato… Questo microcosmo, cellula vitale della nostra società, può essere  terreno di perfetta, vera o presunta, armonia o terreno di rapporti conflittuali irrisolvibili. Nonostante tutto, con pazienza, prendendo un “ingrediente” alla volta si può capire, tollerare, perdonare o recidere, ma trovare alla fine un nuovo equilibrio.

In questo romanzo, ormai bestseller negli States, troviamo una famiglia in frantumi costretta a ritrovarsi nella casa paterna  per celebrare la Shiv’à, ultima volontà del capofamiglia defunto. La Schiv’à è il periodo di lutto prescritto dalla religione ebraica: per sette giorni consecutivi tutta la famiglia dovrà riunirsi sotto lo stesso tetto e ricevere le visite di condoglianze e ricordare episodi della vita dello scomparso.

Quattro figl, tre maschi e una femmina ritornano dalla madre in lutto, una famosa psicologa autrice di libri di consigli per l’infanzia. Una donna appena over 60 che mostra con orgoglio il suo seno rifatto, le gambe ancora belle e che  cerca di riagganciare  i fili spinosi, contorti, usurati dei rapporti fra i  fratelli.

Il racconto, scritto con acume, calore, realismo e umorismo graffiante  fa vivere anche a noi lettori  questi sette giorni di obbligata convivenza in cui riaffiorano vecchi rancori irrisolti, passioni ancora vive, segreti inconfessabili. Sembra di essere seduti su una polveriera.

Judd è il protagonista narrante, è lui che sta vivendo una drammatica separazione dalla moglie, ma è lui che ricorda gli avvenimenti che hanno disgregato la sua famiglia. Il lontano ricordo del rottweiler che ha dilaniato il braccio del fratello maggiore Paul, il preferito del padre, lo sportivo vincitore di borse di studio gli aveva già  fatto capire  allora“…che fosse rimasto menomato il fratello sbagliato. All’epoca non lo sapevo, ma quella fu la notte in cui andammo in frantumi, e negli anni a venire i frammenti dai contorni irregolari di noi tutti avrebbreo continuato ad allontanarsi sempre più gli uni dagli altri, pezzettini essenziali che andavano persi qua e là, finchè non rimase la benchè minima speranza di poterci mai rimettere insieme.”

Ma la vita è piena di sorprese, “tutto può cambiare”. La moglie fedigrafa può riservare delle sorprese, antiche amicizie ritrovate si possono rivelare la spinta ad abbandonare la commiserazione, il perdono  regala imprevedibile forza,  sepolti ricordi fanno riaffiorare una tenerezza dimenticata.

E’ un racconto di un uomo, scritto da un uomo, che sembra  attingere alla nostra capacità femminile sottolineato da Cinzia, di “affrontare una cosa alla volta” di “aiutare lo zucchero ad amalgamarsi con il burro e il cioccolato…” di ritrovare la “nostra casa interiore.”

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VERGOGNA, di Taslima Nasreen

pubblicato da: admin - 18 Settembre, 2010 @ 6:11 pm
 Ho letto i commenti condivisibilissimi di Enza e Raffaella su Proust.
Ho chiesto a Donatella il permesso di trascrivere la sua e-mail perchè, oltre alle sue care e rassicuranti parole per il mio lavoro, c’è un commento sul libro presentato da Riccardo e un nuovo post dal titolo uguale a un romanzo presentato da Raffaella.
Una tematica da ampliare questa che ci propone Donatella, sorprendente, angosciante, da non dimenticare
 
 
Carissima Mirna,
devo proprio riconoscere che questo tuo blog mi prende tantissimo. Ogni giorno sono curiosa di accendere il pc per vedere cosa c’è di nuovo. Mi tenete tutti compagnia, una compagnia discreta, quasi confidenziale. Mi è piaciuto tantissimo vedere il parere delle persone sulle stagioni. Quello che io penso in proposito lo sai già, visto che ne abbiamo già parlato, ma ti dirò di più. Parlando di tazze di tè e dolci, mi hai fatto venire una voglia tremenda di fare torte. Era una cosa che amavo molto fare, proprio in questo periodo. Mi ero presa un sacco di ingredienti, sembrava che dovevo fare chissà quante torte… poi, quattro anni fa, la mia vita è drammaticamente cambiata da un giorno all’altro, quindi niente più torte. Gli ingredienti sono rimasti lì in fondo all’armadietto, non avendo il coraggio di riannodare quel filo del mio passato. Grazie al tuo blog l’altro giorno mi sono decisa a rimettere mano fra queste cose.Ho fatto una grande pulizia e ho ripreso gli ingredienti, pochi questa volta, per scaramanzia, solo lievito, zucchero a velo, cacao. Sono contenta di averlo fatto è stato un po’ come rimettere a posto la casa dei miei: con dolore, ma con la consapevolezza che rimettere ordine fa bene, sia fuori che dentro di noi. E adesso posso rimettermi a fare torte, GRAZIE MIRNA!
Ho letto il libro “Il mio vecchio e il mare” il libro in sè mi era piaciuto perchè molto avventuroso, ma la storia di Tiger, il gattino di bordo, mi ha lasciato l’amaro in bocca. Infatti ho ritrovato immediatamente quelle pagine:
“ieri notte Tiger è caduto fuoribordo e oggi la mia mente pullula di sue immagini. Ho questo vuoto dove prima c’era lui: niente miagolii nè fusa nè carezze, niente giochi. Tante cose racchiuse in quel batuffolo di pelo…”
… mi tormenta l’immagine di Tiger nel freddo oceano, mentre vede la Sparrow allontanarsi. Una sagoma nera nella notte, che non aveva mai visto da quella prospettiva. Per quanto tempo avrà nuotato? Avrà capito che cosa gli succedeva?” Ecco per una come me, un po’ chioccia, che adora gli animali questa scena mi ha fatto male e a distanza di anni me la sono ricordata.
Avete parlato anche in un libro intitolato “Vergogna“, che io non ho letto, ma ne ho letto uno con lo stesso titolo ed è della collana Voci di donne – testimonianze di vita al femminile. La scrittrice Taslima Nasreen, dopo avere scritto questo libro è stata costretta a vivere in esilio in Europa perchè minacciata di morte in quanto considerata infedele. La storia si svolge nel 1992, ma ad oggi niente è cambiato, vedi la storia di Sakineh che è proprio di questi giorni…  Questo è un romanzo verità in cui l’autrice narra come testimone le atrocità dell’integralismo religioso. In nome della diversità religiosa si massacrano gli innocenti, si spezzano antiche amicizie e si rinnegano i sentimenti più forti.
 
Mi è piaciuta tantissimo la tua poesia su Settembre: regalacene qualcuna un po’ più spesso! Mi fanno compagnia. Le ricopio su un foglietto che poi metto nello specchio della mia camera… così ti sento vicina.
A presto carissima
 
Donatella

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DALLA PARTE DI SWANN, e nostalgia del suo Tempo

pubblicato da: admin - 17 Settembre, 2010 @ 3:41 pm

cat,sp,colombia[1]scansione0009Quando piove sembra che il tempo si fermi. Passato e presente riuniti in un continuum. Non posso fare a meno di scrivere tutto ciò che la vita mi regala, mi sollecita, mi intriga. Come diceva Charlotte Bronte una giornata senza aver messo qualcosa di nero sul bianco di una pagina è una giornata persa.  Un vortice di impressioni, vibrazioni, piacevolezze, “intermittenze”, spingono i grafomani a esternare per iscritto il proprio vissuto per capire meglio e ampliare il proprio tempo. Schnitzler aggiungeva, forse, per un senso di solitudine. Parlare di noi, ma  anche degli altri, questi nostri vicini di viaggio che si  devono “leggere”come libri, con attenzione, interesse, empatia.  Prima di affondare nuovamente in  Proust è doveroso parlare dei commenti dei visitatori che ieri sono stati prodighi di sè. L’interesse per gli altri, non è curiosità, è un togliersi dall’autoreferenzialità, è un arricchimento prezioso, un aiuto reciproco.

 Piacevole dunque conoscere parti del passato di Cristina, ricordare  familiari intenti o no alla lettura, insomma condividere pezzi della nostra vita.

Che dire ancora di Proust? Per me è una necessità ricorrente. La sua Recherche, romanzo di memoria,  di filosofia, una ricerca della verità propria e degli altri, della forza costruttiva dell’arte è impastata con il mio essere Lettrice. Non solo l’analitico contenuto sul Tempo, su una società, sugli impulsi  positivi e negativi di noi essere umani, ma maestoso arazzo geometrico e musicale.

Leggere Proust  per me è ascoltare musica: bisogna essere un po’ preparati però  per addentrarsi nel vortice sinuoso dei suoi periodi che si attorcigliano, scendono e risalgono con fluidità fino a un punto che sembra un vicolo cieco , ma soltanto per accorgersi che invece  sono pronti per deflagrare con improvvisa fluidità nel compiuto. E con la placidità di un lago congiunzioni, parentesi, pronomi relativi si rincorrono, e sembrano vivi e formano in questa geometria grammaticale  un’intera società, un mondo intero, una sinfonia indimenticabile.

Torniamo a Combray, noi tutti, suoi amanti, riassaggiamo nei nostri pomeriggi piovosi e forse aridi per fraintendimenti, delusioni, la piccola madeleine intinta nel tè. E subito la consolazione del conosciuto, dell’intrecciarsi delle nostre  fasce nervose del cuore e dei sensi all’essenza stessa della nostra anima spiegataci mirabilmente da Marcel.

Ma come Marcel, solitario nel suoi ultimi anni nella stanza rivestita di sughero, dobbiamo toglierci le maschere per vederci veramente chi siamo, senza la impalcature superficiali che talvolta indossiamo per  sembrare chi vorremmo essere, dobbiamo ascoltare anche gli altri e non solo la Contessa di Guermantes , gli arricchiti Verdurin, Odette, ma proprio, come ci insegna Proust, la voce della cuoca “que vous impressionne agréablement parce que le bruit de voix c’est un chose qui est”.  Perchè “Les chose sont si belles d’etre ce qu’elles sont”!. E la verità nuda è bella e voluttuosa.

L’attesa del bacio materno del piccolo Marcel è un altro dei frammenti di questo primo libro, insieme ai ricordi dei turbamenti e delle inquietudini dell’adolescenza. E’ qui che si delineano i personaggi di Odette, di Charles, e si entra nei due mondi, quello dell’alta borghesia di Swann e quello dell’aristocrazia all’inizio della sua decadenza.

Sappiamo che la Recherce è la storia di una vita, che assomiglia molto a quella di Proust, ne viviamo trepidanti insieme al protagonista la vocazione per la scrittura che sembra non potersi realizzare, ma che infine lo sarà, come per un miracolo necessario,   ma non è un’autobiografia. E il Narratore non è Proust, come i suoi personaggi non sono mai esistiti. E’ il puntiglioso sguardo proustiano che riesce a staccarsi dal sè verso l’altro, verso l’intensa appassionata investigazione del mondo e della sua variegata popolazione. Tutti i suoi personaggi inventati hanno però corrispondenze con la vita reale. Insomma sembra tutto falso quando invece risulta tutto vero. Proust è un fine psicologo e sa  che l’uomo è complesso e molteplice, semplice e contradditorio. E che muta con il trascorrere del tempo. Il grande Tempo proustiano che rivive  e legittima la Realtà ricordandola. Perchè non entrare dunque, in questo pomeriggio piovoso, nel boudoir di Odette de Crécy vestita all’orientale, in attesa con finta trepidazione di Swann e delle sue orchidee Catlleya? O nel salotto di Madame Verdurin tra i suoi “fedeli” per ascoltare  un giovane violinista?

Proust sembra descrivere un’isola felice, una società che si autoesalta, si incensa, ma in realtà  ci svela con leggera tristezza  la visione pessimistica  e controversa  di questo mondo così attento alle apparenze e poco propenso alla comprensione.

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L'UOMO CHE SMISE DI FUMARE, di P.G.Wodehouse

pubblicato da: admin - 16 Settembre, 2010 @ 4:04 pm
uomo[1]Rimaniamo in Inghilterra anche oggi, ma con spirito più lieto, insieme ad uno scrittore che anch’io amo particolarmente. Mi piacciono le metafore con le quali Valentina, che oggi ci scrive il post, accosta la sua lettura ad ogni racconto di Wodehouse.
 Si ha bisogno anche degli spicchi lieti e dolci della vita e perchè no? di quelli che ci fanno sorridere e ridere. La gioia, così rara, occorre afferrarla in ogni sua manifestazione, sia nell’amore, sia nei piaceri materiali, sia nella lettura, questo Motore che ci unisce e ci fa parlare di noi e del mondo.
Inoltre se a farci conoscere un autore è una persona cara il piacere sarà raddoppiato. Anche di questo potremmo parlare.
Ti ringrazio carissima Valentina perchè il tuo post mi permette di andare a vedere il terzo film della saga di Millenium di Stieg Larsson…
 
Cara Mirna,
ho appena finito di leggere ‘L’uomo che smise di fumare’ di P.G. Wodehouse.
In realtà forse non si discosta molto da altre raccolte di racconti di questo secondo me grande scrittore, ma ugualmente vorrei parlarne. Sarà che lo ho conosciuto perché lo leggeva il nonno Furio, di cui ho un ricordo meraviglioso. Ma sta di fatto che lo adoro. Leggere Wodehuse per me è come avere freddo e mettersi un maglione caldo, è qualcuno che passa con un vassoio di dolcetti e mi càpita di pescare il più buono, insomma è sempre quello di cui ho bisogno. Fa ridere senza essere volgare, è raffinato, prende in giro i suoi personaggi e i loro crucci dando a tutto una ridimensionata ed una soluzione sempre sorridenti. E poi mi sembra di essere in Inghilterra, e di sorseggiare un tè… e secondo me non è poco, grazie ad un libro, sorridere, e pensare che anche se il proprio “cruccio” del momento non è precisamente un cilindro ammaccato, forse ad esso molto si avvicina per reale importanza. Mi fanno impazzire questi lord che si proclamano innamorati pazzi della splendida fanciulla di turno per poi scordarla ed anzi giustamente detestarla non appena costei li molla al cinema con due cugini mocciosi e se la squaglia con una amica. Ma loro non si abbattono! Se ne vanno al club, o partono per Montecarlo, magari con un cilindro nuovo in valigia.
Un bacione,
 
Valentina

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UNA LEZIONE DI STILE, di Marta Morazzoni

pubblicato da: admin - 15 Settembre, 2010 @ 6:22 pm

Dopo l’intermezzo gattesco che ha suscitato commenti, poesie e riflessioni  divertenti e interessanti (il mondo futuro non sarà dei gatti e dei cani come paventa la mia cara amica Renata?) ritorno alla narrativa degli umani. La settimana scorsa decido che è ora di leggere un romanzo italiano. In biblioteca  vedo un libro dalla bella  copertina blu, un titolo accattivante, un’autricre vincitrice di un premio Campiello,  Marta Morazzoni .

E’ ora, mi dico, di lasciare la mia amata Inghilterra per il nostro paese…ma non è così! Perchè ” Una lezione di stile” si svolge in Inghilterra, nei pressi di Londra, precisamente nel maniero di Lord e Lady Blands.

Non l’ho fatto apposta. Ma entrare di nuovo in una casa dell’aristocrazia terriera inglese, fra ritratti di antenati, giardino e parco con gloriette,  riti per il tè, ecc. mi piace. Attenzione però, qui non c’è la descrizione serena e invidiabile alla Jane Austen o quella simpatica e divertente alla Wodehouse. Qui ci sono vicende drammatiche vissute soprattutto dall’io narrante, colui che si sente alle dipendenze del signore-padrone di Ashbery House.

E’ una strana storia, talvolta mi sono chiesta perchè è stata scritta, perchè la scelta di una così particolare vicenda. Che cosa spinge gli scrittori a soffermarsi su alcune tematiche peculiari? Necessità di autobiografismo, invenzione, spinta alla pubblicazione?

 Ciononostante, sebbene sentivo delle forzature, la storia mi ha avvinto. E’ il protagonista, insegnante senza più scuola, in fuga da se stesso che si rintana, grazie a un lavoro di precettore per la figlioletta muta di Lord  Blands, nell’isolamento della campagna  di  Asbery House, che incuriosisce e intriga.

Egli si sente vivere in “seconda fila” e da masochista spia, invidia, si immedesima nella vita del gentiluomo di campagna la cui vita non è in ogni caso idilliaca. Moglie gelida e lontana, figlia muta, lui che ama tanto la musica anche nel suono delle voci, madre odiata  al manicomio. Ma egli risulta ugualmente vincente, ha un’amante deliziosa, la modista Rose ed è circondato dalla sicurezza economica e di rango che lo consola degli avvenimenti negativi. 

Non così per il nostro precettore sempre in bilico dal vorrei e non posso.  Vorrebbe entrare nella vita di Lord Blands, essere assimilato nella sua famiglia, godere della facilità della ricchezza, del rispetto servile, avere un pubblico sempre pronto ad approvare.

Egli si sente invece attore e pubblico di se stesso, insignificante, solo. Ma soprattutto spettatore e non interprete.

 Ancora in evidenza le distanze sociali: il mondo dei  privilegiati per nascita e ricchezza e il mondo degli altri. Qualche tentativo di comunicazione, ma alla fine risultano mondi distanti e incomprensibili l’uno all’altro.

E’ così non è vero, ovunque?

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