L'ARTE DELLA CONVERSAZIONE, di Peter Burke

pubblicato da: admin - 5 Ottobre, 2010 @ 5:53 pm

“E’ come invitare un tedesco a bere una birra” direbbe mia madre a proposito dell’argomento conversazione  che mi intriga e mi sollecita a parlarne,  sia grazie alla divertente disavventura della  chat letteraria raccontata da Camilla sia perchè ripenso  ancora con piacere al meeting allargato  di domenica mattina.

Ricordo anni fa di aver notato  questo saggio di Peter Burke, devo averlo sfogliato, ma non lo comprai. Però so che parla proprio delle regole sociali antiche ed attuali, delle buone maniere che si dovrebbero adottare quando ci ritrova con gli altri, proprio per far diventare la conversazione un’arte, come direbbe  Oscar Wilde.

  Si parte  dalle regole del parlar cortese del Cinquecento, passando per le esagerazioni delle  Précieuses ridicules sino ai consigli  recenti per padroneggiare la base del nostro stare insieme. E per aiutare i più timidi.

 Sono andata a cercare su Internet qualcosa di più e ho trovato un esaustivo  elenco di passaggi per padroneggiare quest’arte! C’è anche un elenco di  Cose che serviranno per non sentirsi inadeguati. .. tra queste lucidità, delle espressioni facciali appropriate…e qualcuno con cui parlare!

Il primo passaggio è “Dimenticare se stessi”. Centrare gli interessi dell’altra persona e fare domande.

Terribile sarebbero  i  monologhi (che potrebbero addormentare o far vagare la mente dell’interlocutore) come lo sarebbe esclamare “Ma basta parlare di me. Parliamo di te. Tu, come mi vedi?”

Credo sia una frase di Woody Allen.

 Anche la gestualità ha la sua importanza, come la hanno certi silenzi o finta distrazione che denunciano  poca attenzione  o addirittura ostilità.

D’altra parte conversare in accordo pieno o disaccordo gentile e propositivo non sembra facile. Molto spesso noi mediamo,  non diciamo sempre esattamente o completamente ciò che pensiamo. Da questo lato è molto più sincera la conversazione virtuale. Scrivi e non sei  condizionato dall’altro. Ti senti più sicuro, puoi sviscerare fino in fondo l’argomento che ti sta a cuore. A me senz’altro viene più facile scrivere lettere, e-mail, blog perchè lascio fluire dalla mia mente e dal mio cuore ogni sentimento senza essere bloccata dal timore di ferire l’altro, o di essere troppo esuberante bloccando qualcun altro più timido o riservato.

Nella conversazione a tu per tu, gradevolissima, spontanea, viva, talvolta non si riesce ad essere se stessi al 100%.  Quando accade però si  prova un grande piacere.

Le conversazioni che più mi annoiano sono le formali, quelle in cui non si  parla di niente…E’ un mio difetto, sono impaziente… perchè anche il famoso parlare del tempo, come fanno gli inglesi, è sempre un approccio di simpatia.  Ma questo va  bene per l’incontro fugace non per ore ed ore..

Purtroppo ho ricordi di riunioni esteticamente deliziose, dove per riservatezza, educazione borghese d’altri tempi, si doveva rimanere sulle generali: pizzi e centrini, la “donna” delle pulizie, l’abbigliamento, le tappe obbligatorie della donna: fidanzamento, corredo, matrimonio, figli, garbati pettegolezzi chiamati però con un altro nome .

 Noia mortale, benchè abbia sempre apprezzato la gentilezza, le deliziose preziose tazzine da tè e i dolcetti cucinati superbamente. Ma il mio pensiero se ne andava . Io volevo parlare di libri, di arte, di vita, di sentimenti intimi,di gioie, di dolori,  di quello  di cui parlo  adesso attraverso  il blog o vis à vis  con le persone con le quali ho affinità elettive.

Insomma si può dire,  come ha scritto Camilla, che  anche l’uso di Internet può essere arricchente.

E a questo proposito anticipo già un delizioso libro basato sulla reale corrispondenza virtuale di due persone…

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IL GIOCO DEGLI OCCHI , di Elias Canetti

pubblicato da: admin - 4 Ottobre, 2010 @ 6:21 pm

cop[7]  Oggi vi faccio conoscere una Lettrice appassionata ed entusiasta: Maria Rosa che ci presenta uno dei suoi ultimi libri letti. Prima vorrei dirvi però che Maria Rosa non può seguire il nostro blog perchè non ha il PC, ma ugualmente ne sente parlare da me e da Camilla. I nostri incontri sostanzialmente sono basati sui libri e su quello che ci regalano in fatto di emozioni e illuminazioni. Sulla vita dunque. Maria Rosa legge con ardore, si siede al tavolo della cucina e con amore “beve” e si appropria di  ogni riga del libro scelto. Sottolinea, scrive brevi appunti a margine. Il suo incontro con il libro mi ricorda quello di  Machiavelli quando a  sera egli  tornava dalla campagna dopo aver controllato il lavoro della sua tenuta ed entrava nello studio per leggere e studiare. Indossava rispettosamente  un abito di velluto e si sedeva al tavolo in  attesa trepidante della conoscenza, dell’arte, del pensiero…

Ricopio parola per parola il manoscritto di Maria Rosa:

“Mai direi ad un’amica o a qualsiasi altra persona :”Leggi questo libro”. Ognuno ha le proprie esigenze e preferenze.

Vorrei  tuttavia comunicare le mie emozioni suscitatemi da un libro letto nel mese di settembre. “Il gioco  degli occhi” di Elias Canetti.

E’ il terzo volume della sua autobiografia  che è preceduto da “La lingua salvata” e da  “Il frutto del fuoco”. Li ho letti tutti e tre e non potrei dire qual è il migliore.

Io sono affascinata dalla sua scrittura, dalla capacità di descrivere momenti apparentementi semplici  e trasformarli in un pensiero toccante, emozionante. 

Insegna ad osservare ogni persona o situazione che la vita può fare incontrare. Scrive in maniera tale che ti fa riconoscere quello che tu non sai ma vorresti  esprimere, ciò è il massimo che uno scrittore può darti.

Se qualcuno possedesse questo libro vorrei leggesse  a pag. 322 ciò che egli scrive sulle lucciole:

La loro moltitudine era inquietante come se le avesse inviate un misterioso potere, risoluto ad eliminare la notte.”

Basta questo per capire che tutte le 383 pagine sono delle pennellate di un grande scrittore.

Quando termino un libro che mi coinvolge, mi riesce difficile abbandonarlo e per diversi giorni lo devo tenere vicino per rileggere qualche pagina che ho sottolineato.”

Maria Rosa

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AVERE O ESSERE, titolo aperto…

pubblicato da: admin - 3 Ottobre, 2010 @ 6:18 pm

Oggi comincio a scrivere senza avere subito il libro di riferimento alle mie sensazioni. Lo troverò cammin facendo? E’ una grigia giornata ottobrina che prevede un pomeriggio casalingo tra maglie di lane da rinfrescare, riordino, e un  riassoporare la mattinata intensa  trascorsa con tante amiche al bar di piazza Duomo.

 All’aperto nonostante l’aria freddina  ci siamo ritrovate alla spicciolata in sette… ma tante vite, pensieri , racconti a confronto. Questi sono gli oggetti a cui tengo, le storie piccole e grandi della nostra vita.  Arriva Maria Rosa con il post scritto a mano che io ricopierò per lei e vi spedirò domani. Il suo Essere, così entusiasta ed azzurro, incontra subito Elisabetta, la radiologa  in pensione che vive tra Italia e Usa. Si accendono interesse, piccole curiosità, voglia di allargare la propria Weltanshauung e ci si riesce. Si parla naturalmente di letture, passeggiate sulle lunghe spiagge della Florida sotto la luna, del particolare desiderio di stare a volte da soli per gustare più intensamente le emozioni.

  Arrivano altre amiche con l’esigenza di comunicare il sentire del momento. Cambio degli armadi? Come fare il pane alle olive senza che le olive sfuggano all’impasto? Ma non solo…lentamente chi non si conosce ancora  entra in sintonia con l’altro. Accenni a vite avventurose e proprio, ricollegandomi a Homer e& Lingley, all’accumulo di oggetti. Elisabetta ci racconta la storia di un’amica cubana che ha perso per ben due volte tutto. La prima per fuggire “nuda e cruda” al regime dittatoriale  castrista sopravvenuto dopo che lei stessa aveva partecipato attivamente alla rivoluzione cubana.Gli ideali calpestati.  La seconda quando finalmente pensionata alle Isole Vergini incappa in un uragano  che le distrugge tutto. Ora questa signora  vive a Naples, in un piccolo appartamento con l’essenziale “Una sedia, un tavolo, un letto” ci racconta Elisabetta “ed è felicissima.”

Isabella interviene e parla della quasi centenaria zia Lucia che dovette  abbandonare l’Etiopia in tempo di guerra anche lei salvando soltanto gli abiti che indossava.

Riunione interessante, gradevole, arricchente che è riuscita a parlare di “qualcosa” che non sia le mera condizione metereologica o l’acciacco sempre in agguato.

Come avrete capito per me  è sempre intrigante la questione delle cose, quegli oggetti che ci possono rassicurare, confortare, far ricordare, ma che io sento tiranni e togli-respiro. La mia vicenda personale mi condurrà a un dover smantellare forse due case, piene di tante tante cose, e ritrovarmi in uno spazio più piccolo con l’essenziale. Ciò che mi sgomenta è la fatica, la scelta, il dover “ritornare” al passato mio, dei genitori attraverso gli oggetti. Eppure nel mio cuore e nel mio pensiero “nessuna croce  manca” come scriveva Ungaretti e neppure le rose e il profumo della felicità.

Cerco un libro adatto al post. Forsi mi occorrerebbe un Vangelo, quello che mi aveva dato il Don all’ospedale per non farmi leggere “Il piacere” di D’Annunzio, ma non lo trovo.

 Cerco naturalmente “Avere o essere” di Fromm, e qui mi fermo.

Proprio  l’altro ieri riscrivendo le parole di Ingeborg Bachmann abbiamo letto lo stesso pensiero. “Quel che abbiamo è nulla. Si è ricchi se si ha qualcosa che è più delle cose materiali.”

Erich Fromm compendia il suo pensiero nel breve enunciato che l’essere è sempre  amore e creatività contro l’avere smodato spesso sinonimo di egoismo o robotizzazione dell’individuo.

Ma noi sappiamo che nella misura sta la virtù.

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HOMER E LANGLEY, di Edgar Doctorow

pubblicato da: admin - 2 Ottobre, 2010 @ 6:36 pm

cop[6] Oggi lo spazio- post è di Raffaella che ci racconta la sua ultima lettura consigliata  appassionatamente già da tempo  da Camilla. Trovo che questo scambio di entusiasmi letterari non sia soltanto informativo, ma formativo soprattutto per il nostro gruppo che si sta allargando di consigli, proposte, curiosità. I libri che leggiamo, le emozioni che ci procurano, i rimandi,  sono un collante importante e prezioso. Parlare dei libri recenti o di quelli amati nel passato di qualsiasi genere è un piacere grandissimo per me e sono certa per tutti coloro che visitano il blog. Perchè allora coloro che non hanno tempo di lasciare commenti lunghi non ci scrivono almeno un piccolo saluto?

   Carissima Mirna,

come te mi rivolgo spesso alla biblioteca perché pur amando possedere i libri più belli, si tratta proprio di una questione di spazio, “ o io o loro” ! E proprio in biblioteca trovo ed inizio a leggere, grazie ai preziosi consigli di Camilla, “Homer & Langley” ( ed. Mondadori 2010) di Doctorow che divoro in meno di una settimana. E l’argomento spazio, spazio fisico e mentale, spazio di ricordi e pensieri, è proprio il perno di questo libro ma non solo. Doctorow romanza la storia vera dei fratelli Homer e Langley Collyer. Figli di un medico benestante, vissero in una grande casa ad Harlem ai primi del Novecento. Dopo la morte dei genitori, i due gradualmente si sottrassero al mondo e cominciarono ad accumulare cose nella loro abitazione. Avevano ammassato 180 tonnellate di oggetti, spazzatura, e cose senza valore quando le autorità scoprirono i loro corpi nel 1947. Langley rimase travolto da una valanga di oggetti, lasciando Homer, cieco e dipendente dal fratello, a morire di fame.

Ma è Doctorow che riesce a fare di questa drammatica storia da scoop giornalistico un capolavoro. Già l’incipit , come suggeriva Camilla, è potente :” Sono Homer, il fratello cieco”. E’ lui l’io narrante, colui che nonostante il suo handicap, vede meglio di chiunque altro, riesce ad andare oltre, lui,Homer, vittima della “pazzia” del fratello tornato semifolle dalla Grande Guerra ma che riesce a sopravvivere e ad aiutarlo a sua volta. Fino al tragico epilogo.

Il libro però non è tragico né triste, anzi. Mentre altri scrittori si sono interrogati su come siano morti i fratelli Collier, Doctorow si chiede come abbiano vissuto queste due figure emblematiche del XX secolo, e dipinge un grande affresco del Novecento statunitense, in una escalation di tensione. Mentre il ciarpame si accumula in casa Collier, si accumulano al pari eventi epocali che si susseguono al di fuori delle mura della loro casa. E che loro vivono in piccola parte. L’epidemia di spagnola che toglie loro entrambi i genitori, la Grande Guerra, che lascia una profonda cicatrice su Langley, l’immigrazione ( la loro dolce governante),la piaga dei gangster a New York ( ne conoscono uno che poi si trasferirà in casa Collyer, con risvolti tragicomici), l’avvento dell’automobile su larga scala. E poi la musica, il jazz che risuona nella casa sulla Fifth Avenue, dove vengono organizzati dei veri e propri tè danzanti, e gli hippies, altri ospiti inattesi e non invitati che rallegrano le giornate dei due fratelli.Quando questi ultimi lasciano la casa e Homer scrive nel suo diario “ Volarono tutti fuori come uccelli da una gabbia”, inizia a rendersi visibile anche al cieco il vero e proprio declino,la rovina della casa. “ La casa a quel punto della nostra vita, era ormai un labirinto di viottoli pericolosi, pieno di ostacoli e vicoli ciechi. Se c’era luce a sufficienza era possibile farsi strada negli zigzaganti corridoi di balle di giornali, o trovare un varco infilandosi di traverso fra mucchi di oggetti vari… Ma occorreva il dono naturale di un cieco, quello di percepire la posizione degli oggetti dall’aria che li circondava per andare da una stanza all’altra senza ammazzarsi”.

Homer & Langley è un libro che vale davvero la pena leggere. I dialoghi tra i due fratelli sono di una semplicità ma allo stesso tempo di una profondità che sbalordisce. Chiudo con un esempio, una citazione della “Teoria dei rimpiazzi “ che inventa Langley ed espone al fratello.”Nella vita tutto viene rimpiazzato. Noi siamo il rimpiazzo dei nostri genitori, così come loro erano il rimpiazzo della generazione precedente…” “ Il progresso esiste ma non cambia mai niente. La gente costruisce le automobili, scopre le onde radio. E’ naturale… Ma il tempo è un’altra cosa. Avanza attraverso di noi mentre ci rimpiazziamo a vicenda per riempire i posti vuoti.” E quando Homer chiede al fratello se ci sia un posto anche per i ciechi, nonostante la risposta affermativa e rassicurante, Langley tace. “ Nei minuti successivi dovetti tendere l’orecchio per capire se Langley fosse ancora nella stanza, perché aveva smesso di parlare.Poi sentii la sua mano sulla spalla. A quel punto capii che la Teoria dei Rimpiazzi era il suo modo per definire l’amarezza, la disperazione della vita”.

Raffaella

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LA FOLLIA DELL'ASSOLUTO, vita di Ingeborg Bachmann

pubblicato da: admin - 1 Ottobre, 2010 @ 7:03 pm

scansione0020Non è semplice parlare di questo libro di Hans Hòller, insigne germanista che insegna all’Università di Salisburgo. E’ una biografia di Inge Bachmann? E’ un saggio sul potere dell’arte? E’ un compendio di brani di diario, riflessioni, poesie, filosofia ?E’ l’analisi di un malessere esistenziale estremo?

So per certo che è uno scritto impegnativo  e avvincente, che io sto leggendo quasi fosse un testo di studio. Se si può procedere con tranquillità tra i cenni biografici della nascita, della famiglia, degli studi di Inge  Bachmann, si deve però  rallentare parecchio  quando si entra nella sua concezione d’arte, di vita, di filosofia, di politica,  di ricerca della  verità assoluta. La grande scrittrice- poetessa stretta da tormenti esistenziali non riesce a trovare scampo quasi fosse stata segnata dai tragici eventi storici della sua prima giovinezza. 

 “C’è stato un momento preciso che ha distrutto la mia infanzia” racconta durante un’intervista “L’entrata delle truppe di Hitler a Klagenfurt. Fu qualcosa di così orrendo, che il mio ricordo inizia con questo giorno, con un dolore troppo precoce…Ma questa immensa  brutalità che si avvertiva, questo urlare, cantare e  marciare – il sorgere della mia prima angoscia di morte…” E’ il 12 marzo 1938 e Inge ha soltanto 12 anni.

Gli anni della guerra sono duri, il padre arruolato, i libri che il Nazismo aveva messo all’indice, nascosti nei solai e letti nei bunker. Comincia a scrivere drammi,  racconti, poesie.  Dopo il diploma si iscrive alla facoltà di filosofia dell’Università di Innsbruck. Quando si trasferisce a Vienna incontra Hans Weigel e il suo circolo letterario al Cafè Raimund.

Scrive e capisce che l’arte è il suo rifugio. “ Che devo fare? Spesso sono preda di una sconsolata depressione. Perdo ogni speranza e precipito in una disperazione senza limiti. Se solo potessi vedere ancora una volta il sole!…Mio unico amico,”l’arte è una padrona severa.”  Più tardi usando le parole di Proust parla di “legge crudele dell’arte” e poi dello scrivere come “costrizione,ossessione, maledizione e punizione.”

Necessità interiore di scrivere del dolore di lasciare la Carinzia, della sua intima disperata irrequietezza di “poter perdere la via, anzi di non trovarne nessuna“, della consapevolezza del problematico rapporto tra i sessi e della posizione del potere maschile che le fa vedere anche la la sua arte sottomessa ad esso. L’Io femminile  invece viene spesso rappresentato imparentato  con il sogno e senza difese, come in Malina dove  c’è  un padre che sembra volerle togliere la parola alla figlia, tagliandole la lingua.

Scrittrice complessa. Io ho sentito parlare di lei alla radio, grazie alla mitica Radio 3, ho letto alcune poesie, ma non sono ancora entrata a grandi passi nella sua opera. Ma, come sempre, rimango affascinata dalla vita delle persone particolari, tormentate, complesse e ricche.

Ha due importanti relazioni amorose una con Paul Celan, l’altra con Max Frisch; abuserà di alcool e farmaci, dai quali non trovo scampo neppure rifugiandosi in Italia. Morirà nel settembre 1973 per le gravissime ustioni riportate in un incendio.

E’ Paul Celan l’incontro determinante sia per la vita che per la poetica di Inge. Di lui scriverà, dopo la sua morte, “una delle frasi più grandi della letteratura tedesca dopo il 1945” “La mia vita finisce, perchè lui è annegato nel fiume durante la deportazione, era la mia vita. L’ho amato più della mia vita.”

La vita di Celan dopo l’uccisione dei genitori da parte dei nazisti e l’esperienza del campo di lavoro è una ricerca di qualcosa “che sia raggiungibile, ma abbastanza lontano”. Le sue poesie diventano presto famosissime tra cui “Fuga di morte”. In lui  sempre la ferita sanguinante  dell’annientamento di un popolo.Dell’olocausto.

Nonostante l’amore e l’intenso dialogo letterario, lo scambiarsi di sentimenti e immagini poetiche, Inge e Paul non riescono a vivere insieme. Scrive Inge in una lettera a Hans Wegel: “sembra che per ragioni demoniache …ci togliamo a vicenda l’aria per respirare.”

Libro impegnativo come dicevo e del quale si può parlare soltanto un po’ per non scrivere  una “tesina”. Dei tanti capitoletti in cui è diviso lo scritto, molti dei quali recano il titolo tratto dalle poesie di Inge, scelgo di finire con quello “Verrà un giorno la festa”che racconta del suo  soggiorno italiano . Dapprima a Ischia, poi a Roma dal 1953 al 1957.

I suoi pensieri, il suo sguardo sull’Italia e sulla società sono intensi. Che differenza dall’immagine  distorta nel bene e nel male che certi film stranieri danno del nostro paese e della vita in generale.

Inge passeggia per Roma., osserva i suoi operai, guardo il Campo dei Fiori dove “Giordano Bruno continua ad essere bruciato. Ogni sababto, quando smantellano le bancarelle intorno a lui e restano solo le fioraie…gli uomini raccolgono sotto i suoi occhi i rifiuti che sono rimasti e danno fuoco al mucchio…”

La sua ricerca verso l’assoluto è faticosa e sofferta. Dopo aver letto, negli anni Sessanta un libro sull’integrazione europea  annota “…Perfino il mio stare con le mani in mano mi pare a volta una sorta di “consenso”, un’accettazione del male, un dire di sì a un mondo che non posso approvare….”

E in una dichiarazione per il documentario di Gerda Heller : Ingeborg Bachmann a Roma “In cerca di frasi vere”, 1973,  ci lascia queste ultime parole:

Quel che noi abbiamo è nulla. Si è ricchi se si ha qualcosa che è più delle cose materiali. E non credo a questo materialismo, a questa società dei consumi, a questo capitalismo, a questa mostruosità che qui si perpetra, a questo arricchimento della gente che non ha nessun diritto di arricchirsi alle nostre spalle. Credo veramente in qualcosa, e allora dico “verrà un giorno”. E un giorno verrà. Sì, probabilmente non verrà perchè ce lo hanno distrutto, sono tanti millenni che ce lo distruggono. Non verrà e ciononostante ci credo, perchè se non potessi più crederci, non potrei neanche più scrivere.”

  

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CON IL VENTO NEI CAPELLI, di Salwa Salem

pubblicato da: admin - 30 Settembre, 2010 @ 6:34 pm

product-342132[1]Ecco una delle ultime letture di Riccardo, una lettura che ci lascia sgomenti come sempre  davanti al  razzismo, all’intolleranza, alla violenza dilaganti lontano e vicino a noi.  Sembra che la Storia non sia stata magistra vitae.

 Una Palestinese racconta

Giunti Ed., 1993

181 pagine, €11,90

 

Salwa, nata in Palestina nel 1940, cacciata dalla sua casa nel 1948, emigrata in Kuwait (!959-1966) e a Damasco, sposa a 26 anni, tre figli, riemigrata in Austria (1966-1970) e in Italia. (1970-1992). Morta di malattia nel 1992, non prima di avere raccontato la sua storia ad un’altra donna, Laura Maritano, Torinese del 1965, che l’ha aiutata nella stesura del libro.

Una bambina, una ragazza, una madre … una Donna, la stessa persona, racconta.

Di quando in Palestina Palestinesi, Ebrei ed altre genti, in modo naturale e spontaneo, avevano impostato una pacifica convivenza … di quando lei aveva una casa, una famiglia, un giardino, tanti amichetti, una vita serena .. e poi, improvvisamente, di quando “Via, va via, questa casa non è più tua …”

Stragi, violenze … perchè?

Le mie annotazioni non vogliono essere “politiche”, ma leggere questa testimonianza richiama alla memoria la “caccia all’Ebreo” di nazista memoria o la strage degli Armeni …

Solo una Donna poteva descrivere tutto ciò con l’equilibrio usato da Salwa … solo una Donna forte come lei poteva reimpostare la sua vita, continuare a lottare per le sue idee e per la libertà di tutti i popoli, sempre impegnata a vivere “con il vento nei capelli”, sposarsi, avere tre figli, tenere conferenze fra cui una a Riva del Garda, solo una Donna come lei poteva sopravvivere a se stessa, attraverso la sua testimonianza.

La scrittura è lineare, incisiva, completa d’ogni dettaglio essenziale, senza fronzoli e autocommiserazioni e proprio per questo ancora più toccante. Non è un romanzo. E’ la storia di una Persona, di una Famiglia, di un Popolo vissuta sulla propria pelle.

Il libro ci fa riflettere su quanto “poco” basti sia per costruire che per distruggere “molto”.

 

Riccardo Lucatti

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IL DIARIO DI HELENE BERR

pubblicato da: admin - 29 Settembre, 2010 @ 5:17 pm

scansione0019Ancora un diario come mia scelta di lettura. Ed ancora le pagine scritte da una giovane parigina di religione ebraica durante l’occupazione nazista. In questo mio blog ho già presentato parecchi diari di ragazze ebree da Etty Hillesum ad Anna Frank, tuttavia  rimango sempre coinvolta e conquistata dai pensieri della giovinezza e dalla forza dimostrata da essa  in un terribile contesto storico che non dobbiamo dimenticare.

Anche per questa ventenne, Héléne Berr, lo scrivere di sè è una spinta necessaria per capirsi , ma soprattutto per salvarsi dalla ventata nefasta dei tempi. Il diario inizia nell’aprile del 1942  in una splendente mattinata in cui Helénè, studentessa alla Sorbonne, va a ritirare presso la portineria dove abita il poeta  Paul Valery, un libro richiesto con coraggio e grande desiderio e sul cui frontespizio  Valery ha scritto  “Copia per la signorina Héléne Berr. E un po’ più sotto “Al risveglio, così dolce, e così bello quest’azzurro vivo.”

C’è ancora armonia nella vita di questa giovane e bella ragazza, amante della musica, della letteratura, dei classici inglesi, ci sono ancora, come per Etty e per la giovanissima Anna Frank, amore e desiderio e ringraziamento per la vita. Vi è in tutte, in questo delicato mazzo di fiori freschi di giovinezza, la propensione alla felicità, la voglia di  scivolare entro le doti di sensibilità e intelligenza che la natura ha loro offerto. Desiderio di guardare con naturalezza e compiacimento la propria ombra nel sole.

Hélène studia Beowulf, poema epico anglosassone  dell’Alto Medioevo, legge tantissimo (abbiamo la lista dei suoi libri presi in prestito alla biblioteca della Sorbonne), “Alice nel paese delle meraviglie”, “Delitto e castigo”, romanzi di Gide, di Ibsen, poesie di Rilke, di Keats, Shakespeare, ecc.ecc. Forse sarebbe diventata una scrittrice delicatamente intensa come Katherine Mansfield.

Nelle prime cinquanta pagine del diario sembra che la guerra sia lontana, pochi sono gli accenni ai “tempi oscuri”, in cui sta vivendo.  Sembra relegare nel più profondo di sè la paura, l’angoscia. Passeggia con gli amici nei giardini del Lussemburgo,  prova i primi palpiti d’amore per Jean,  parla di letteratura e della sua passione per il violino.  Questi giovani studenti sembrano coltivare “il piacere di una egoistica magia“.

Ma il 29 maggio 1942 giunge l’obbligo per gli ebrei  di cucirsi una stella gialla di stoffa sugli abiti. “Sono tornata a casa dalla Sorbona completamente stordita..Non so più chi sono…Non volevo mettere quel contrassegno”  scrive Hélène “Lo consideravo un’infamia e una prova di obbedienza alle leggi tedesche. Stasera, è cambiato tutto di nuovo: trovo che è una vigliaccheria non farlo, nei confronti di chi lo farà“.

Da ora in avanti le sue pagine cambieranno, già il 6 luglio ci racconta che presto si farà reclutare come assistente sociale volontaria nella sede dell’UGIF ( Unione generale degli Israeliti in Francia) . Così ogni giorno sarà in contatto con famiglie smembrate dagli arresti e dalle deportazioni nei campi di Drancy e del Loret.  E’ coraggiosa, limpida, e sa di avere fatto una scelta fatale ” Viviamo ora per ora, non più settimana per settimana” Ed aggiunge più tardi “Avevo il desiderio di espiare, non so perchè“. Queste ultime frasi sembrano riportarci, spiega Patrick Mondiano curatore del libro, alla filosofia di Simone Weil.

La storia di Hélène Berr finisce tristemente, nello stesso modo in cui finisce la vita di Anna e  di Etty, ed anche  i suoi pensieri scritti diventano non solo preziosa, e mai ripetuta abbastanza , testimonianza, ma anche pagine di alto valore letterario.

*     *     * 

Ma molto presto Riccardo ci parlerà di una dolorosa storia  di un’altra donna, di una palestinese, per sottolinearci che la sofferenza non ha confini nè geografici nè ideologici.

E a proposito di Riccardo e del suo interessante commento sull’antipatia per l’uomo D’Annunzio.  Perchè non  riflettere su quali autori non stimati ci respingono pur apprezzando il loro valore letterario? O ancora…chi riesce a scindere nettamente l’uomo dall’artista?

Il blog si allergherebbe ancora di spunti e idee. Proprio pochi giorni fa ho saputo che Trento blog ha monitorato moltissimi visitatori al nostro “un libro al giorno”.

Contenta perciò di aver allargato anche alla fascia giovane l’invito di scrivere delle proprie letture, perchè LEGGERE, LEGGERE, LEGGERE è …vivere di più.

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HARRY POTTER e un po' di magia per tutti

pubblicato da: admin - 28 Settembre, 2010 @ 5:26 pm

wizarding-world-mini[1]ilcalicedifuoco03[1]Oggi un post speciale, quello di un mio giovane ex alunno, che ha appena iniziato le superiori e che adora Harry Potter e la scuola di magia di Hogwarts. Sono così contenta che ci abbia scritto, e così bene, che lo pubblico immediatamente, includendo anche la mail allegata.

Cara prof,
purtroppo la mail che mi ha inviato all’inzio di settembre l’ho letta solo ora,
quindi mi scuso del ritardo nel recapitarle il breve post che mi ha chiesto su Harry Potter.
Spero vada bene, tra l’inizio della scuola, gli impegni sportivi e famigliari, non ho avuto molto tempo per sfornare lo scritto.
Modifichi a sua piacimento tutto quello che stona o non va bene!
La ringrazio della proposta, augurandomi che il tutto di per sè le piaccia.
Ringrazio
le amiche “potteriane” che mi hanno dato una mano nel rivedere il tutto.
A presto,
                                                                                         Lucamaria
PS: la scuola mi piace molto, peccato sia davvero pesante!

Ho sempre fantasticato sul soprannaturale. La magia mi ha sempre affascinato sin dall’infanzia, e anche tuttora, nonostante io sia cresciuto, essa continua a colorare la mia fantasia.

Non so proprio come sarebbe stato senza questi libri, questi romanzi che traboccano magia e mistero pagina dopo pagina, stregando il lettore e portandolo in un universo parallelo, un universo al di là di un binario.

Joanne Kathleen Rowling è la scrittrice per ragazzi più famosa al mondo. Harry Potter, il maghetto con gli occhiali e la cicatrice a forma di saetta, è il più celebre mago della letteratura fantasy mondiale, creato durante un viaggio su un treno da Manchester a Londra, quando l’autrice fantasticò per lunghe ore il suo mondo.  Arrivata alla stazione di King’s Cross tutti i personaggi avevano già acquistato carattere. Zia Rowling, così mi piace chiamarla, ha incantato milioni di giovani ed adulti, facendo loro vivere una seconda vita.

La magia non è l’unico aspetto predominante dei suoi libri, è solo la sfumatura che attira a leggerli. Harry Potter, con i suoi amici Ron ed Hermione, cresce insieme al lettore, il quale si identifica con i personaggi. Anch’essi, nonostante una bacchetta che al minimo tocco risolve molti problemi, si trovano a combattere contro le difficoltà della società giovanile di oggi, come la scuola, l’amicizia e gli amori, le gioie e i dissapori della vita. Nella scuola dove i personaggi dei quadri vanno a zonzo, i mantelli rendono invisibili, gli sport vengono giocati a cavallo di scope volanti e la posta viene recapitata dai gufi, Harry studia le diverse branche della magia per diventare un mago a tutti gli effetti. E il suo cammino nei sette libri della saga si fa sempre più emozionante e difficile, via via che gli anni passano e l’Oscuro signore Lord Voldemort, colui-che-non-deve-essere-nominato, torna a pieno regime.

Quanti ragazzi sognano di ricevere una lettera da Hogwarts per imparare a lanciare incantesimi, fabbricare pozioni, trasfigurare gli oggetti e prevedere il futuro attraverso una sfera di cristallo? Anche io, all’età di undici anni ci speravo. Peccato, non arrivò mai!

Ho trovato un rifugio, un aiuto nei momenti tristi e in quelli felici, in questa storia. Un luogo, incantato, dove anche le piccole cose, sono fonte di grandi emozioni. E non solo: un luogo che dà l’opportunità di vedere la realtà in modo diverso, non dove nascondersi e non riemergere più.

Non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere, conferma Albus Silente, il preside della scuola di magia.

Infine, consiglio a chiunque, sia grande che piccolo, di leggere questi capolavori, sperando che come me, li gusti lietamente.

Lucamaria Casagrande

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VITA DI GABRIELE D'ANNUNZIO, di Piero Chiara

pubblicato da: admin - 27 Settembre, 2010 @ 7:18 pm

scansione0018Sono contenta che Camilla abbia ricordato i gusti letterari della sua Mamma, la  loro simpatica diatriba sugli autori di testa o di cuore e il suo apprezzamento per Gabriele D’Annunzio. Mi è sorto così l’input per il post odierno.

 Posseggo da più di trent’anni una simpatica, esaustiva, interessante biografia del nostro Vate abruzzese scritta da Piero Chiara.

A quel tempo ero iscritta al Club degli Editori per cui non credo che questa edizione con un dipinto di Tamara de Lempicka in copertina  sia ancora in circolazione. So soltanto che lessi questo libro con gusto, sottolineando periodi interi  che mi sono serviti sia per i miei esami universitari che per il mio piacere di Lettrice. Ricordo, e  ne rido sempre ,  che a  un certo punto Piero Chiara scrive che  D’Annunzio si ritirò a vita “monastica”… nel senso veneto della parola.

Autore di cuore senz’altro soprattutto per la sua prorompente carica emotviva, ma anche di testa per l’intenso sperimentalismo che presiede tutta la sua opera, Gabriele D’Annunzio si cimenta in un gran numero di generi letterari pur recando sempre nel suo cuore e nella sua mente il desiderio fremente di rinnovamento. Golosità di arte e di vita?  Essere sempre à la page?

Estimatori  o no di D’Annunzio nessuno può negargli l’eccezionale originalità creativa e una formidabile padronanza di mezzi espressivi.

La Mamma di Camilla avrebbe apprezzato questa biografia? O forse l’avrà letta?

Il mio primo d’Annunzio fu impegnativo, nientemeno che “La figlia di Iorio”, regalo di un ammiratore, per cui, un po’ per curiosità, un po’ per compiacere il suddetto corteggiatore lo imparai quasi a memoria. Avevo diciasette anni. Mi piaceva tanto il nome Mila di Codra ed ero orgogliosa che Mirna  avesse una vaga assonanza con esso.  Recitavo reggendo il libretto color burro in mano “”Non mi toccare! Peccato fai / contro la legge del focolare, / tu fai peccato grande mortale /…Io su la pietra…/il vino verso che mi fu dato / da una sorella della tua carne/…Popolo giusto ti do/ nelle mani  / Mila di Codra,/ la figlia di Iorio.      Il tutto si conclude  con Mila in mezzo alla turba che esclama: “La fiamma è bella! La fiamma è bella”

Dopo  l’approccio pilotato verso questa sensuale tragedia pastorale dimenticai D’Annunzio per alcuni anni, fino alla scoperta dei suoi romanzi e di Andrea Sperelli! “Il piacere” fu il romanzo divorato in ospedale appena operata d’appendicectomia. Avevo 20 anni. Ne fui conquistata, avvolta, ammaliata, il suo decadentismo mi affascinava, la sua prosa psicologica mi intrigava. Insomma non facevo altro che “entrare” ne “Il piacere” e ne “Il fuoco”. A quei tempi io lavoravo come  impiegata precaria proprio presso l’economato di quell’ospedale, quindi mi conoscevano tutti, anche il cappellano, un’anima lunga lunga, pallida, nera, il quale  durante le sue visite consolatrici, si accorse  un giorno delle mie letture non adatte a una signorinetta! Mi fece una severa “predica”  e mi portò subito  un piccolo vangelo che  io sostituivo al mio D’Annunzio  (nascosto)  soltanto quando sapevo dell’arrivo del Don!

E poi D’Annunzio poeta….e le sue parole musicali, anche quelle   inventate come  il” meriggiare”  o assorbite da Dante ” il tremolar della marina”. E il gusto della vita  e della bellezza.

Troppo ci sarebbe da dire, lascio a voi la parola per ampliare…

Oggi, giornata piovosa, non si può far a meno di desiderare di essere ancora in grado di passeggiare in una pineta e ascoltare, guardare, assaporare ogni singolo sussulto della pioggia tra gli alberi.

“Or s’ode su tutta la fronda/ crosciare / l’argentea pioggia / che monda /, il croscio che varia / secondo la fronda / più folta men folta./

…Piove su le tue ciglia nere / sì che par tu pianga / ma di piacere; non bianca / ma quasi fatta virente, / par da scorza tu esca. / E tutta la vita è in noi fresca / aulente, /il cuor nel petto è come pèsca / intatta, / …E andiam di fratta in fratta, /or congiunti or disciolti/ (e il verde vigor rude / ci allaccia i malleoli ( c’intrica i ginocchi) / chi sa dove, chi sa dove!/

E piove su i nostri volti silvani…”

Eh no, dovreste finirla di recitare voi! La conosciamo tutti, non è vero?  Consigliavo persino agli alunni di terza di uscire in primavera quando la pioggerella è leggera e di  passeggiare nel verde per gustare e capire la dolcezza dell’unione con la natura! Recitando naturalmente alcuni versi della poesia.

Perchè non scrivete del vostro d’Annunzio?

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MARCOVALDO, e la ricerca della natura perduta

pubblicato da: admin - 26 Settembre, 2010 @ 7:23 pm

Durante la bellissima passeggiata pomeridiana attorno al lago di Caldonazzo, dalle parti di Tenna e di Ischia ho ripensato a Marcovaldo, Cittadino per antonomasia, divenuto parte integrante di cemento, asfalto, ciminiere tanto da fraintendere spesso gli ultimi scorci che la  Natura irraggiungibile gli offre.  Personaggio buffo e malinconico, ingenuo ed eroe suo malgrado, Marcovaldo è il protagonista di  una serie di favole moderne in cui Italo Calvino ha potuto con impareggiabile maestria sottolineare la vita di una grande città ormai distante dalla Natura. Chi è Marcovaldo? Un povero manovale con una famiglia numerosa che non si lascia abbattere da disavventure imprevedibili ed incredibili. Egli vuole ancora la Natura dei suoi lontani ricordi, della sua immaginazione ma si trova a fare i conti con una Natura dispettosa e compromessa dalla vita artificiale.

Così i suoi figli per cercare legna da ardere tagliano cartelloni pubblicitari pensando che essi siano gli alberi di cui tanto il padre parla.

E la luna che si vede nelle notti cittadine è il satellite o  è parte della luminosa insegna pubblicitaria GNAC, della Spaak-Cognac?

E nel susseguirsi delle stagioni troviamo i funghi nelle aiuole del parco cittadino raccolti da Marcovaldo e altre persone,  che poi finiranno in ospedale; leggeremo dell’avventura della cattura delle vespe (tanto fanno bene ai reumatici) per curare in casa i malati.Finale disastroso. Come un futuro Fantozzi.

In questi venti raccontini che Italo Calvino ha raccolto dapprima in un suo block notes e poi pubblicato,  emergono le pulsazioni di una grande città, come Milano, come Torino,ormai avvolte da tutto ciò che caratterizza il consumismo e il nuovo miracolo economico italiano; e abitata da personaggi fragili, ingenui, che devono combattere ugualmente una strenua battaglia per la sopravvivenza.

Che faranno Marcovaldo e famiglia al Supermercato? Come gli altri: riempiranno a più non posso i carrelli come presi da un’incontenibile frenesia . E con i carrelli tra i banchi del Supermarket eccoli sfrecciare, ognuno con il suo carrello colmo dei prodotti sognati, Domitilla la moglie, Filippetto e tutti gli altri figli “Qui ci chiedono un conto da un milione” sussurra Marcovaldo sgomento. Il supermarket era grande e intricato come un labirinto: ci si poteva girare ore ed ore. Con tante provviste a disposizione, Marcovaldo e familiari avrebbero potuto passarci l’intero inverno senza uscire. Ma presto gli altoparlanti gracchiarono: Siete pregati di affrettarvi alla cassa.”

Disfarsi del carico senza averlo neppure assaporato? Che fare? Su e giù per scale rotanti, avanti e indietro come bestie in gabbia. Un buco in un muro, un’impalcatura all’aperto… ma ecco  una bocca enorme, senza denti, che s’apriva protendendosi verso di loro, una gru. Calava e si fermava su di loro, la ganascia inferiore contro il bordo dell’impalcatura, Marcovaldo inclinò il carrello, rovesciò la merce nelle fauci di ferro…e così fecero Domitilla e tutti  i bambini. La gru richiuse le fauci con tutto il loro bottino. …Sotto s’accendevano e ruotavano le scritte luminose multicolori che invitavano a comprare i prodotti in vendita nel grande supermarket.”

Storielle non solo per l’infanzia queste di Calvino, ma spunti satirici ed amari sulla nostra società consumistica.

 Natura che diventa quasi una  sconosciuta e difficoltà eterne  per quelli che non riescono ad entrare con grinta nell’oliato meccanismo della società industriale.

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