TERRONI, di Pino Aprile

pubblicato da: admin - 4 Novembre, 2010 @ 7:58 pm

So0no grata a Riccardo che ci offre un post interessantissimo…

 Tutto quello che è stata (mis – n.d.r.) fatto perché gli Italiani del Sud diventassero meridionali

PIEMME Ed. 2010

Pagine 303, €17,50

 

E’ strano. Subito dopo “Eva dorme” (Francesca Melandri, ed. Mondadori) che mi ha indotto a riflettere sulla storia dell’Alto Adige, ecco che mi sono imbattuto in un libro che induce a riflettere sul nostro meridione.

E lo faccio da italiano, visto che mamma era agrigentina (1904), babbo (1912) Toscano anzi Senese anzi Montalcinese anzi Santangiolese, loro si sono fidanzati a Bolzano, io sono nato a Genova (1944) ed ho vissuto e lavorato a Genova, Reggio Emilia, Monza, Torino, Carrara, Pisa, Teheran, Beyrouth, Roma, Milano (con qualche puntata a Palermo), Trento, Riva del Garda.

Non sono un revisionista. Solo amo completare le lacune che di cui la storia che mi è stata somministrata ha “casualmente” architettato un “bel tacer” che, come ci insegna Dante, “non fu mai scritto”. Forse è per quello che … Ma tirem innas …

Ho cominciato con i nuovi film western, che finalmente spiegavano come gli in Indiani d’America non fossero “i cattivi” che ci avevano propinato i filmetti dei cinema parrocchiali, i quali oscuravano la scena di un bacio fra due fidanzati ma esaltavano l’arrivo dei “nostri” a sciabolare pastori e cacciatori nomadi che cercavano solo di difendersi dalla “conquista” delle loro terre e dalla distruzione della loro cultura.

Ho proseguito con Boris Pahor, sloveno triestino, che mi ha raccontato cosa fecero i fascisti all’etnia slovena. E ancora, con Gianpaolo Pansa quanto alla guerra civile “di fatto” la quale ha sfregiato il nostro ultimo dopoguerra.

Per puro caso poi, mi sono arricchito di una rilettura dei rapporti fra L’Alto Adige Sud Tyrol e l’Italia di lingua italiana (Eva dorme, op. cit., scritto da una autrice romana).

E infine (infine sino ad oggi, s’intende) eccomi qui con i Terroni.

Il mi’ babbo, un po’ per celia e un po’ per … (lasciamo perdere per cosa) si dichiarava nostalgico del Granducato di Toscana e dello Stato Pontificio, regionalista ante litteram, ma si sa … questi Toscani, linguacce “maledette” (Curzio Malaparte docet).

Ma la conoscenza del problema meridionale di cui ancora oggi siamo nutriti per endovena mediatica è assai vaga, unilaterale, imprecisa anzi fuorviante. Figuriamoci quale poteva essere – cinquant’anni fa – quella di un maresciallo dei carabinieri, il mi’ babbo appunto, della Legione Territoriale di Genova Ufficio Matricola, trasferito in Trentino (Cles) negli anni sessanta dal generale De Lorenzo, potenziale tassello come tanti altri dei suoi (di De Lorenzo) particolarissimi “progetti”.

In realtà, caro babbo, ci sarebbe ben stata la convenienza nella non riunificazione del sud al nord, ma a vantaggio del sud, non del nord. Questo il succo dello studio di Aprile. Ed io comincio a crederci …

 

E questo è solo l’inizio.

 

Pino Aprile (non Primo Aprile, non è uno scherzo!) è un Velista. Come me. E’ stato direttore della rivista “Fare vela”. Io no. Chiarito questo … tutto inizia dall’esame di come era il meridione ante 1860. Regno ricco, all’avanguardia europea per cultura, agricoltura, commercio, assistenza sociale e – udite udite – finanza e industria. In poche parole: quello era il Nord, mentre il Regno di Sardegna era sull’orlo della bancarotta finanziaria.

“Poi” (rectius: “Pertanto”) sono “arrivati (al Sud) i nostri”: “Cavalli bianchi, poncho, sciabole puntate verso il sole, occhi azzurri, capelli biondi”. Stragi (peggio che alle Ardeatine) violenze (stile pulizia etnica), distruzioni (peggio che a Marzabotto), furti (stile napoleonico con particolare attenzione alle riserve auree del regno borbonico), distruzione della CCIAA: Cultura, Commercio, Industria, Artigianato, Agricoltura. Per portare tutto al Nord, Nord che poi rimprovera al Sud di non essere quello che il Nord stesso aveva distrutto.

Ciò determinò, negli anni, fra le altre sciagure, una emigrazione biblica (si tratta di milioni di persone), sia interna che estera: la Francia ricevette Algerini e Tunisini; la Germania, Italiani e Turchi; l’Italia (del nord) i Meridionali.

La cronaca, testimoniata da precisi riscontri storici e documentali. parte dal 1860, è completata da precisi e numerosi riferimenti alla politica del nostro ieri ed oggi, (e qui viene il bello!) con nome e cognome dei responsabili delle decisioni più attuali.

Ne risulta una realtà completamente ribaltata rispetto alla comune accezione dell’attuale modo di leggere il rapporto nord-sud ed il suo stesso modo di essere.

Ho letto questo libro con la matita in mano, di volata, in un solo giorno. Mi sono “crocettato” decine e decine di passaggi ognuno dei quali da solo è sufficiente ad indurre una lettura, anzi, un attento studio dell’opera. Scoprite anche voi, direttamente, questi passaggi.

Di qualunque parte voi siate, “nordisti”, “suddisti” o “indifferenti”, dovere leggere questo libro. Dopo ne possiamo, anzi ne dobbiamo discutere. Solo dopo.

 

Riccardo Lucatti

 

 

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LA MENNULARA, di Simonetta Agnello Hornby

pubblicato da: admin - 3 Novembre, 2010 @ 7:34 pm

Sono grata ad Enza che ci presenta questa storia interessante e che mi viene in aiuto in occasione di un’altra giornata particolarmente intensa. Aspetto sempre anche nuovi posts da tutti voi, non solo per “alleggerire” il mio novembre impegnativo ma anche per rafforzare la nostra rete di rapporti letterari ed umani.

 Qualche anno fa mi ha incuriosito la biografia di un’autrice che fino a quel momento aveva svolto attività giuridica e cioè Simonetta Agnello Hornby.

Leggevo infatti che era nata a Palermo nel 1945, che dopo il dottorato in giurisprudenza, conseguito nel 1967, aveva sposato un inglese dal quale aveva avuto due figli, che, lasciata la Sicilia, aveva iniziato a vivere negli USA e in seguito in Zambia e che nel 1970 si era stabilita definitivamente a Londra, dove più tardi aveva fondato uno studio di avvocati dal nome Hornby e Levy specializzato nel diritto di famiglia e nel diritto dei minori. Le sue conoscenze giuridiche l’avevano portata verso l’insegnamento universitario. All’università di Leicester infatti ha insegnato diritto dei minori e per otto anni ha ricoperto anche la carica di presidente del Special Educational Needs and Disability Tribunal. Inizia a scrivere romanzi solo nel 2000 e nel 2002 scrive il suo romanzo d’esordio “La Mennulara”.

La storia si svolge in Sicilia e inizia il 23 settembre 1963, con la morte di Rosalia Inzerillo, detta la Mennulara, per essere stata in gioventù raccoglitrice di mandorle.

La Mennulara, domestica a servizio della famiglia Alfallipe fin dall’età di 13 anni, aveva ricoperto un ruolo ben più importante di quello di cameriera, in quanto, grazie alla sua brillante intelligenza, era stata anche l’amministratrice di tutti i beni della famiglia. Infatti, nonostante non fosse in grado di scrivere ma solo di leggere, la Mennulara era diventata il cardine centrale della famiglia Alfallipe sia dal punto di vista affettivo che da quello economico: le sue capacità nel gestire i beni della famiglia Alfallipe avevano consentito ad ogni componente della famiglia di continuare a fare ciò che ognuno preferiva, senza preoccupazioni materiali. Allo stesso tempo, l’intelligenza e la caparbietà della Mennulara erano riuscite nel tempo a sfruttare le non-occasioni della sua vita, trasformando in elementi positivi e a suo favore tutte le grandissime disgrazie incorsele fin dalla fanciullezza, che avevano fatto sì che fosse circondata da una cappa di apparente freddezza che incuteva timore e rispetto reverenziale. Tutti in paese parlavano di lei, favoleggiando sulla ricchezza che avrebbe accumulato in modo non chiaro, forse addirittura grazie ai suoi rapporti con un mafioso.

Il racconto è vivacizzato attraverso una lingua molto ricca, in cui la Sicilia, e in particolare il paese di Roccacolomba, è forse la protagonista più vera. La lingua è utilizzata anche per esaltare l’humour che permea tutto il romanzo, che è molto divertente e al contempo amaro e si legge tutto d’un fiato.

Attraverso gli abitanti del paese, il racconto si sviluppa di capitolo in capitolo e si svolge attraverso un diverso io narrante, in cui la figura della Mennulara emerge al di sopra degli altri personaggi. Le passioni, la violenza, la malattia, le amanti, la vita e la morte ma anche il pettegolezzo, che tutto porta e tutto trasforma, impregnano il romanzo leggermente e vivacemente. Non manca la successione di colpi di scena che sempre più trasformano la figura della protagonista da carnefice a vittima.

“La chiamavano “la mennulara” perché da bambina era velocissima a raccogliere le mandorle, con quelle ditina sottili.”

Enza

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TROVIAMO LE PAROLE, lettere tra Bachmann e Celan

pubblicato da: admin - 2 Novembre, 2010 @ 8:27 pm

scansione0001E’ sempre un cercare la parola che definisca un sentimento o un incontro o scontro con l’altro da sè. Che cosa di più vero che le parole scritte ?

Verba volant, scripta manent era l’intestatzione di un pacco di carta da lettere regalatami da Santo Versace…ma vi racconterò  come mai  nel mio prossimo blog …

Per questo adoro leggere gli epistolari soprattutto quelli di vita vera.  Le lettere tra Ingeborg Bachmann e Paul Celan scambiate dal 1948 al 1970 sono la testimonianza non solo del loro particolare  amore intenso, perso e ritrovato, ma della loro “vita senza pelle“, straziati,abbagliati dalla loro graffiante sensibilità  e dal loro doloroso passato che forse non sono riusciti, come il Pietro di “Ogni promessa”, a sconfiggere.

Nel 1951 Ingeborg scrive e Paul “…se oggi mi chiedi quali sono i miei desideri, i  miei veri desideri, mi è difficile trovare immediatamente una risposta, può anche darsi che sia arrivata alla convinzione che non spetta a noi desiderare, che a noi spetta soltanto un determinato lavoro, che qualunque cosa facciamo non serve a nulla...”

Dal canto suo il grande poeta Paul Celan, figlio di genitori ebrei-rumeni morti in un lager nazista e sopravvissuto lui stesso a un campo di lavoro e che non riuscirà a ritrovare la strada di sè tanto da suicidarsi nel 197o, le risponde  da Parigi  :”Triste ritorno a Parigi: ricerca di una stanza e di essere umani – deludenti l’una e l’altra. Solitudini piene di chiacchiere, liquefatto paesaggio di neve, segreti personali bisbigliati alla gente. In breve, un gioco divertente con ciò che è oscuro, al servizio, si capisce, della letteratura. Talvolta la poesia sembra essere una maschera, che esiste soltanto perchè gli altri di tanto in tanto hanno bisogno di qualcosa  dietro cui nascondere le proprie santificate smorfie quotidiane.”

Due persone eccezionali che hanno sofferto e dalla cui sofferenza riescono a trarre la spinta per la ricerca della propria identità spezzata nel  passato. Vivere di letteratuyra non è facile, le difficoltà economiche sono grandi, si devono accontentare di piccole cose, poche poesie pubblicate, qualche radio dramma, la felicità in un pacco dono per Natale, quasi sempre si tratta di libri o di un lume, o di fiori.

Due outsider nel dopoguerra europeo che non riescono a seguire la carreggiata, ma che si stringono accanto appassionatamente anche nella lontananza e  pur avendo altre storie amorose sono sempre avvinti  in un abbraccio di piene affinità elettive. “Tu sai anche: quando ti ho incontrato, eri per me l’una e l’altra cosa: il Senso e lo Spirito: Essi non si separano mai, Ingeborg…poter pronunziare e scrivere il tuo nome, senza prendermela con il brivido che mi assale – per me è, nonostante tutto, un’immensa gioia.” confida Paul in una lettera del 1957.

Da Vienna la Bacmann gli scrive: “La vanità delle aspirazioni – ma sono davvero tali? – intorno a noi, l’industria culturale, della quale adesso anch’io faccio parte, tutto questo disgustoso darsi da fare, i discorsi insolenti, la smania di piacere, l’oggi pieno di sè, – questo ogni giorno mi diventa più estraneo, io ci vivo in mezzo ed è ancora più impressionante vedere gli altri vorticare soddisfatti.”

Occorre sempre trovare le parole per definirci, per definire la nostra vita.

Ieri sera Stefania riordinando l’armadio dei diari e delle foto, ha trovato un mio vecchio quaderno del 1970, scritto a quattro mani da me e da Piero. L’abbiamo riletto insieme: i primi turbamenti, le sofferenze di una storia d’amore  dall’inizio travagliato, il mio desiderio di fuggire da una Carpi vuota, le giornate gioiose con le amiche di Londra, e sempre quella serpeggiante ansietà per trovare l’equilibrio sereno. Equilibrio che continuo a cercare.

Ho ripensato poi, a letto,  proprio a una frase della Bachmann ” Noi siamo sempre ora, quello che siamo stati.”

 

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OGNI PROMESSA, di Andrea Bajani

pubblicato da: admin - 1 Novembre, 2010 @ 8:40 pm

9788806200206g[1] Mi sembra adatto in questi giorni piovosi, grigi, malinconici proseguire con una storia dove non mancano le tenebre. Ma, fortunatamente, è una storia d’amore a lieto fine.

Camilla, con la sua particolare sensibilità ce la presenta:

 Ogni promessa di Andrea Bajani ed. Einaudi ottobre 2010

 

Pietro si chiama il protagonista, Pietro ci racconta, come una favola, con un ritmo musicale e magiche parole, ci racconta una storia di amore. E come tutte le storie di amore non possono mancare anche le tenebre. La paura, il dolore i sensi di colpa che si annidano nel passato col loro nero carico, sono tutti lì, come bestie rabbiose fanno soffrire sua madre, suo padre e lui stesso.

Pietro ha una giovane moglie, Sara, e la ama, Pietro è generoso di amore, chi gli passa vicino, anche il lettore, se ne sente illuminato.

Il nostro Pietro non può sopportare tutta quella sofferenza e decide di affrontare i draghi, di snidare il male. Vincerà su tutta la linea del fuoco, salvando tutti, lettori compresi.

Le vittime e i colpevoli sono nel passato, un orrendo passato, ma Pietro ( è un giovane molto alto e sorride molto, fa il maestro elementare, noi lettori comprendiamo immediatamente che quel maestro è il migliore e vorremmo tornare bambini pur di avere un maestro come lui, che capisce tutto dei bambini, capisce tutto).

Aggrappato alla roccia della memoria, Pietro inizia la sua scalata : i luoghi dei delitti, tutti gli indizi le persone informate dei fatti. La vita continua nel frattempo, Sara e Pietro desiderano ardentemente un figlio che non arriva, mese dopo mese, il dolore di Sara sembra incontenibile, la delusione, la poca stima di sé, un segreto ancora nascosto, Sara se ne va di casa. Intanto arriva l’estate, la scuola finisce e Pietro ha tutto il tempo per la sua indagine. Le tenebre si annidano, principalmente, nella storia di Mario, il nonno materno: vittima della 2^ guerra mondiale, il nonno era tornato dalla Russia impazzito. Un nonno di cui Pietro ha poche notizie, un nonno nascosto, di cui non si deve parlare.Il nonno Mario, proprio nei giorni dolorosi della fuga di Sara, muore, come muoiono coloro che non sono più vivi da troppi anni. Pietro andrà fino in Russia, sui luoghi dei massacri, il suo viaggio ha un significato simbolico ed epico, un significato catartico: parte attorniato dall’amore dei suoi genitori, a cui ha già dato una serenità nuova , stracciando i neri veli stesi sulla vita di Mario, parte con il viatico di Olmo, un alter ego del nonno Mario, un personaggio indimenticabile. Riuscirà a lasciare il segno della sua irresistibile mitezza, che chi lo incontra accoglie come un dono, anche sulle rive del Don, dove chi è rimasto a ricordare lo accoglie tra le sue galline impazzite (e la descrizione di queste galline non si potrà che rileggersela, nei momenti di malinconia), e persino una ragazza Olga, che gli ha fatto da guida nella sua indagine russa, con la sua bimba Saska , lo vedrà partire con tanto, troppo dispiacere. Pietro , il nostro principe della favola magnifica, torna a casa e ad abbracciarlo all’aeroporto, ci sarà la fragile Sara.

Scrittura originale e poetica, essenziale e immaginifica. Un romanzo magnifico.

Camilla

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FIABE INGLESI DI SPETTRI E MAGIE

pubblicato da: admin - 31 Ottobre, 2010 @ 8:09 pm

scansione0016scansione0017Pomeriggio buio e pioggia fredda che cade nella incipiente notte di Halloween. Che piacere stare nel salotto caldo con luci soffuse, foglie arancioni attaccate alla finestra, bere il tè con mia figlia e parlare un po’ di fantasmi. Ho trovato questo libro di fiabe inglesi dai titoli “invitanti” e adatti a questa vigilia .

Halloween festa anglosassone,  secoli fa si chiamava Hallowmas (messa in onore dei santi), poi il nome si tramutò in All Hallows Eve fino a diventare Halloween. So che Raffaella potrebbe raccontarci bene la leggenda di Jack-o’lanterns e del perchè le zucche sono diventate i simboli di questa notte di “paura”.

Dai druidi, dai celti, alla nostra antica civiltà contadina le origini di questa ricorrenza? Per noi Ognissanti e la commemorazione dei defunti sono vicine e so che in molte regioni italiane c’è la tradizione di festeggiare i morti, i fantasmi, i santi, insomma tutto ciò che sta al confine tra la vita e la morte.

In questo libro curato da Lorenzo Carrara viene citato il pensiero di Plutarco : egli pensava che le anime degli illuminati, dei saggi tornassero sulla terra per fare da guida ai vivi. E le fiabe popolari possono essere ritenute degli spiriti guida che ci indicano verità riposte e dimenticate. La nostra epoca che vuole far chiaro su ogni aspetto non è però riuscita a far svanire i dubbi, le inquietudini e le paure che da sempre si nascondono in noi. Nel mondo incantato delle fiabe riusciamo a chiamare per nome  tutto ciò  che si aggira in quel territorio magico e misterioso nel quale non vorremmo  mai entrare.

Anche oggi  il genere soprannaturale, horror, vampiresco attira moltitudini di giovani, quasi esistesse la necessità di provare brividi ed emozioni paurose  per esorcizzare  la paura stessa.

L’ Inghilterra è sempre stata patria di presenze magiche, fossero esse elfi, folletti e fate dei boschi o spettri, spiriti e fantasmi. La storia e la letteratura inglese sono piene di racconti riguardanti fantasmi di ogni tipo. Alcune famiglie ospitano fantasmi che vengono trattati con familiarità…la mia amica Janette che viveva in una casa vittoriana a Notting Hill mi assicurava che con lei viveva il fantasma di una  gentile signora la quale aveva però  un pessimo rapporto con il gatto di casa.

E poi streghe, magie e sortilegi. Non abbiamo appena parlato di Shakespeare? Ricordiamoci le streghe che  Macbeth  incontra nella paurosa brughiera scozzese.

In questo volumetto dall’innocente copertina bianca ci sono storie che fanno rabbrividire:  “Il fantasma di Lady Hobby” ci racconta di una dama bella e orgogliosa che viveva a Bisham ai tempi della regina Elisabetta I.  Era ambiziosa, altera e voleva che tutto ciò che le apparteneva fosse perfetto. Capitò che il suo giovane figlio non eccellesse nello studio. Ciò feriva il suo orgoglio di madre che ad un certo punto, visto l’insuccesso di svariati isitutori, decise di educarlo ed istruirlo personalmente convinta che la sua severità lo avrebbe fatto divenire meno svogliato. Punizioni durissime, ore e ore di compiti e vergate erano all’ordine del giorno fino a che avvenne che il povero bambino  un’ultima volta colpito stramazzò al suolo  privo di vita. La madre capì con orrore ciò che aveva fatto e molto presto anch’essa morì. Ma il suo spirito non trovò mai pace, nè sollievo, nè perdono e vaga tuttora inquieto per quella antica casa soffermandosi più a lungo dove il piccolo Hobby era stato picchiato a morte.  Molte sono le persone che hanno testimoniato di aver visto il fantasma della crudele madre, uno spirito orribile e severo che scivola lungo i corridoi. La sua vista fa gelare il sangue nelle vene, perchè la stoffa del vestito emana una pallida e spettrale luminosità, mentre il viso e le mani sono neri come l’inchiostro, come la macchia d’inchiostro fatta dal suo bambino sul quaderno, quella che scatenò l’ultimo  fatale eccesso di collera violenta. Ella protende in avanti le mani per raggiungere  un catino d’acqua che fluttua a mezz’aria poco più avanti, nel quale vorrebbe  immergerle per poterle lavare. Ma non ci riesce mai!

Circa cento anni fa , nell’antica dimora vennero fatte delle riparazioni. Nella stanza in cui l’infelice scolaro aveva trascorso tante giornate piangendo davanti alle lezioni che avrebbe dovuto apprendere si dovette rimuovere un’imposta della finestra…Infilati tra l’imposta e il muro gli artigiani trovarono diversi quaderni del tipo usato durante il periodo elisabettiano. Tra questi uno pieno di macchie, ditate , schizzi d’inchiostro e righe scritte  lavate dalle lacrime.

Vi sono venuti i brividi? Spero solo che una madre così crudele non sia esistita, ma posso tentare di credere a qualche spettro che gironzola qua e là.

 

P.S. La foto è stata scattata da Stefania lo scorso Halloween negli Stati Uniti.

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STORIA DI IQBAL, per non dimenticare la speranza

pubblicato da: admin - 30 Ottobre, 2010 @ 8:57 pm

scansione0015Ho pensato a questo libro appena entrata nella mia “nuova ” classe di adulti stranieri. Quattordici persone gentili e motivate , di tutte le nazionalità. Tutte in regola, ma per il momento disoccupate. Molte signore dell’Est europeo, un serio autista russo, un georgiano, alcuni ragazzi  del nord Africa, due dolcissime signore pakistane avvolte in colorati scialli e veli e un ragazzo del Bangladesh che ho subito nominato mio “assistente”,  nel senso che mi dovrà aiutare a non fare confusione fra i registri, i libri, le mie due paia di occhiali, le penne che mi cadono spesso, insomma un aiuto nella gestione del mio modo un po’ confusionario di rapportarmi con gli oggetti.

Si chiama Amu e ha accettato  questo incarico con orgoglio ed efficienza. I Bengalesi sono persone d’indole mite e poetica. Ricordo un mio alunno del Bangladesh, Yousuf,  arrivato nella nostra scuola senza sapere una parola d’italiano e che è riuscito nelle mie ore di “Guida alla composizione poetica” a scrivere  con gioia dei versi bellissimi. So che ora con serietà e impegno frequenta un Istituto Professionale, vuole fare il meccanico. Mi aveva confidato: “Qui in Italia ci sono tante automobili, riuscirò a trovare lavoro!”

Iqbal Masih invece non è stato così fortunato. Nato nel 1983 in Pakistan venne venduto a quatro anni dalla sua famiglia poverissima a un mercante di tappeti, a “saldo”  di un debito. Costretto come uno schiavo, insieme ad altri bambini, a tessere tappeti dalla mattina alla sera,  veniva spesso incatenato al telaio.  Il suo guadagno era di una rupia al giorno, 3 centesimi di Euro. Per qualsiasi piccola mancanza i bambini venivano rinchiusi in fosse profonde  e lasciati senza cibo. La polizia scoprì questo orrore ed Iqbal ebbe  il coraggio di raccontare e denunciare le  atrocità subite. Aiutato da Associazioni  umanitarie, divenne presto il simbolo della ribellione e della libertà. Venne intervistato, andò persino  negli Stati Uniti, ma qundo tornò  a Lahore nel 1995 ,  fu assassinato  da sicari della mafia dei tappeti.

Lo scrittore Francesco d’Adamo ci racconta la sua storia attraverso le parole di  Maria,  un’immaginaria sua compagna di sventura, la quale  racconta la loro vita di schiavi,  ricorda avvenimenti, i loro dialoghi,  ci parla del carattere di Iqbal, della sua intelligenza, del suo coraggio e della sua speranza. Un libro che noi insegnanti abbiamo fatto leggere a tutti i nostri alunni, ma che anche gli adulti possono leggere per capire la disperazione di certe popolazioni sfortunate.

Per questo a scuola  mi sono spesso offerta per alfabetizzare i ragazzini stranieri. Adesso ho l’opportunità di insegnare agli adulti, persone  che con tenacia, impegno, fatica sperano in una vita migliore. La padronanza della lingua italiana sarà senz’altro  uno strumento vantaggioso.

Ieri in classe, a  un marocchino si sono illuminati gli occhi quando ho nominato la bellissima piazza Jama’a el -Fnaa di Marrakesh , da me  visitata molte volte, ma mi sono dispiaciuta nell’accorgermi che lui non conosce il nostro alfabeto…finge di non aver voglia di scrivere e cerca di supplire il suo vuoto con  qualche parola di francese.

Credo che presto porterò loro la poesia del mio caro  ex-alunno Yousuf, del quale vi mostro la foto. Ormai avrà 18 anni. E spero proprio lavori in qualche officina. Lo farà con senso di responsabilità  e serenità  come ha fatto sempre tutto a scuola.

Come  in Amu, il mio “assistente “, in lui c’era  però la nostalgia della sua terra, e soprattutto degli alberi di mango e dei campi di riso che ondeggiavano “come una mare verde.”

Oggi è primavera: / il cielo è azzurro / e bianco come un vaso girato. / Nel cielo ci sono gli uccellini che volano / come piccoli aerei che vanno verso un altro paese / pieno di miele.

Il sole è caldo /come un sorriso di fiori. / Ricordo che in Bangladesh io giocavo / felice sull’erba morbida./

Intorno a me  tanti alberi di mango profumato / . Vedevo grandi campo di riso ondeggianti / come un mare verde. /

Ho voglia di volare nel vento. “

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DI VITA SI MUORE, di Nadia Fusini

pubblicato da: admin - 29 Ottobre, 2010 @ 8:22 pm

Ringrazio Raffaella che ci scrive un intenso post su un  bellissimo saggio. Da  Shakespeare non ci si stanca mai di imparare. 

“Di vita si muore” di Nadia Fusini ( Mondadori, 2010) è un grande saggio sulle passioni nel teatro di Shakespeare , un libro che mi ha subito catturato. Primo, per il profondo ossimoro del suo titolo e in secondo luogo e soprattutto perché amo il Grande Bardo che trovo sempre molto attuale. Sulla Fusini, eccezionale anglista, Mirna ha già scritto un post. Mi piace citare questa grande traduttrice, scrittrice, saggista quando scrive “ Shakespeare è un genio drammatico. Il che non significa che si debba vederlo soltanto a teatro. No, Shakespeare ,lo si può leggere con enorme diletto, come la Bibbia tenerselo sul comodino, e finire ogni sera e aprire ogni mattina in sua compagnia. Leggere e rileggere Shakespeare, mandarne a memoria dei versi, incontrare ancora e di nuovo i suoi personaggi, quasi fossero amici con cui condividere segreti e pensieri, i più audaci, i più inconfessabili : è questo che faccio da anni. Vivo la mia vita con Shakespeare per amico. Confidente”.

La struttura del saggio è perfetta ; il libro è suddiviso , come in una tragedia shakespeariana, in cinque atti-capitoli dedicati ognuno ad un dramma , Giulio Cesare, Amleto, Otello, Lear , Macbeth, preceduti da un Prologo e pausati tra il II ed il III atto da un Intermezzo ( Misura per Misura), e chiusi infine da un Congedo.

Cinque atti sulle cinque forme della passione, la passione della ragione, Bruto nel Giulio Cesare, la passione del dolore di Amleto, passione della lussuria e dell’odio incarnati da Otello e Iago, l’ira in Lear per giungere alla paura, la passione di Macbeth.

C’è un problema di fondo, storico-filosofico, che si impone nell’età elisabettiana e che l’autrice analizza nelle sue sfaccettature. Shakespeare scopre infatti un uomo fragile, in preda all’hybris, che si cerca come individuo e si scopre diviso, sconosciuto a se stesso, per la prima volta lontano da Dio. L’uomo, scrive la Fusini, “ non coglie più il suo volto nella preghiera, che lo avvicinava a Dio, bensì nell’azione. E così si scopre in quanto possibile, in quanto intenzione. Ma non un’intenzione pura, rivolta a Dio, al Bene; più spesso un’intenzione sospesa sull’abisso del Male. Ecco il nuovo mistero mondano, secolare del teatro shakesperiano”.

Se Lear rimane la mia tragedia preferita, ho riscoperto grazie al saggio della Fusini, Otello.

Otello è l’uomo geloso per eccellenza ma a ben vedere egli è , prima che geloso, nobile amante. Il grande geloso del dramma è Iago, il villain ,la gelosia essendo in lui una sfumatura dell’invidia, la passione che lo rode. Iago, come Edmund in Lear, difende la libertà di azione, sovvertendo tutte le regole di una società preordinata, è un “uomo moderno”, inietta il sospetto in Otello, l’ingenuità il peccato di quest’ultimo,ed escogita diaboliche macchinazioni.Otello è tragicamente vulnerabile, quando si accorge del suo fatale errore, si pente ma non riesce a perdonare se stesse e si uccide , la sua catarsi sta nel pugnalare il criminale che è in lui, che è lui. Muore baciando il cadavere di Desdemona, “la perla più ricca di tutta la tribu’”.E’ uno spettacolo che avvelena la vista e Shaskespeare lascia all’immaginazione dello spettatore il tempo e il modo della tortura riservate al regista di queste tragedia, l’infernale Iago.E’ quasi come, scrive la Fusini, Shakespeare“ non se la sentisse di competere con lui”.

Ho dato solo un assaggio di questo splendido libro che consiglio a tutti gli amanti della letteratura inglese e non solo, perché Shakespeare rimane per me uno scrittore e un drammaturgo che raggiunge vertici poetici ineffabili.

Raffaella

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DOPO DI LEI, di Jonathan Tropper

pubblicato da: admin - 28 Ottobre, 2010 @ 7:24 pm

scansione0014Un romanzo che mi ha fatto ridere e piangere. Piangere perchè si parla di una elaborazione del lutto, ed io so che strada feroce sia percorrerla.  Ridere perche Jonathan Tropper riesce a smussare con la sua ironia e senso dell’umorismo certe situazioni  drammatiche, paradossali, inconsuete.

Doug, giovane vedovo da un anno, comincia a scuotersi dal suo dolore e torpore dovuto a grandi quantità di wisky, qualche battaglia persa contro i conigli del suo giardino e  cosmica autocommiserazione, quando  Russ il figliastro sedicenne - il figlio della sua defunta moglie - è finito in cattive acque. Non frequenta più la scuola, si droga, ruba, odia la nuova compagna del padre, anzi del suo vero padre vorrebbe fare volentieri a meno. Vorrebbe tornare a vivere con Doug, nella casa dove viveva prima della morte della madre.

Doug vorrebbe  invece continuare a soffrire perchè sente che il dolore  è l’ultimo legame che rimane con la sua amata moglie Hailey e lo scrive nella sua rubrica giornalistica che d’ora innanzi avrà un gran seguito: “…Avevo una moglie. Si chiamava Hailey. Ora se n’è andata. E io anche…Ma, per quanto la casa sia insidiosa, la lascio di rado. Perchè la sofferenza rappresenta il mio ultimo legame con Hailey, quindi per quanto possa essere doloroso, mi ci avvolgo come in una coperta…”

La sorella gemella Claire, dal matrimonio infelice ed in più in attesa di un bambino, gli confida che era gelosa del suo dolore “Eri infelice e solo e io ero fottutamente gelosa, perchè c’è qualcosa di bello nel dolore , vero? E’ come se il lutto fosse la tua crisalide e sai che, al momento opportuno, rinascerai in veste di splendida farfalla.”

Si ritroverà certamente la propria strada anche se non si saprà ancora dove andare, ma porre attenzione  anche agli altri che soffrono aiuta. Doug si accorge del dolore grandissimo di Russ, scopre con angoscia che si è fatto tatuare una cometa sul collo in memoria della mamma Hailey.

Doug  riesce a costruire un rapporto di reciproco aiuto con Russ,  mentre osserva la sua famiglia che allegramente andrà fuori di testa.  I familiari  descritti divertono moltissimo, sia nelle loro vicende quotidiane che negli avvenimenti inconsueti. Il padre lentamente si perde nella sua mente, la madre  ha sempre in mano un bicchiere di vino rosso che intercala con pilloline misteriose, ma è sempre pronta donare  saggi consigli, le sorelle dal linguaggio di scaricatori di porto sono piene di problemi sentimentali.

Ciò che mi piace di questo scrittore è l’assoluta onestà e trasparenza dell’umano sentire e sebbene data la diversità di sesso  c’è  qualche differenza di situazioni ed esigenze, io mi ritrovo pienamente nella sua assoluta sincerità.

Lettura avvincente, bella, completa.

*    *    * 

Mirella mi chiede notizie di un libro che io non ho letto “Il  coniglio bianco” di Nino Treusch.

Qualcuno di voi lo ha letto?  Potrebbe dirci qualcosa?

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Srimad Bhagavatam, "frutto maturo" della saggezza

pubblicato da: admin - 27 Ottobre, 2010 @ 6:46 pm

scansione0012scansione0013Oggi è la seconda volta che faccio yoga. Mi piace. Per tanto tempo ne ho sentito parlare, ma chissà perchè non mi è mai sembrato adatto a me che sono  sempre un po’ in ansia e impaziente. Invece è un’altra strada che mi si presenta da “assaggiare” e percorrere. Mi sono ricordata di aver ricevuto in un lontano Natale della mia vita di  quasi “figlia dei fiori” tre bellissimi volumi (non ancora letti , ahimé) sulla filosofia religiosa induista.  Li ho ripresi in mano: sono coloratissimi e  belli e leggo nell’introduzione che sono scritti per la ricerca di “un credo”. Lo Srimad Bhagavatam o Bhagavata Purana è considerato dai grandi saggi di tutti i tempi come il “frutto maturo di tutti i testi vedici”.

Ci sono capitoletti che raccontano leggende dai titoli magici e affascinanti comeIl flauto di Krsna affascina le gopì” (le pastorelle)  dove si legge: “Che felicità respirare l’atmosfera della foresta profumata di fiori sbocciati e vibrante del volo gioioso di calabroni e api, coi suoi uccelli, alberi e rami raggianti di contentezza”. o “La danza rasa“: “La danza rivela la bellezza meravigliosa dei corpi di Krsna e delle gopi: dai movimenti delle gambe e della mani, le une sulle altre, ai movimenti delle sopracciglia, ai sorrisi, all’ondulare dei seni delle gopi e all’ondeggiare dei loro vestiti, gli orecchini , le guance, i capelli cosparsi di fiori, nel brio della danza e del canto fanno l’effetto come di nuvole accompagnate da tuoni, neve, fulmini.”

Ma torniamo allo yoga che nel glossario di questi testi viene spiegato come unione con l’Assoluto, Dio.  Ed ancora: metodo che permette di controllare la mente e i sensi e di unire l’essere individuale all ‘Essere Supremo.

Da Wikipedia ricopio un significato posteriore: Lo Yoga è una tecnica ascetica o meditativa avente come scopo l’unione mistica con la Reltà ultima e tesa ad “aggiogare”, “controllare”, “governare” i “sensi” (indriya)” e i vissuti della coscienza (buddhi).

Quante cose meravigliose  ancora da scoprire ed imparare!

Stamattina nella palestra soleggiata dell’UTETD ho provato nuovissime sensazioni piacevoli. Ci guidava la voce dolce di Elena Fiori e una musica che sembrava suonata da flauti lontani. Il respiro finalmente lento, rilassato, l’equilibrio ritrovato, una sensazione di palpitare all’unisono con il cosmo.

E quando alla fine, nei venti minuti di rilassamento, Elena ci ha guidato con l’immaginazione  dentro a un bosco autunnale e a cercare un nostro albero preferito, mi sono ritrovata  abbracciata ad un alberello caldo, tenero,  dalle foglie arancione e vinaccia,  che non  avrei voluto più lasciare. 

Chi di voi ha esperienze Yoga o  di meditazione?

Come ho detto per me è la prima volta.

 Non tragga in inganno la foto dei miei vent’anni quando a Londra  imitavo la “trascendental meditation” alla  Maharishi, sulle orme dei Beatles che si trovavano in  in India! In realtà poco dopo  io e le amiche  au-pair ci cucinammo finalmente  un piatto di pasta all’italiana!

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JOY IN THE MORNING, di Betty Smith

pubblicato da: admin - 26 Ottobre, 2010 @ 6:56 pm

14889[1]Sara 001Al mattino viene la gioia“  è un romanzo di Betty Smith ( l’autrice del più famoso “Un albero cresce a Brooklin”),  e che io non ho mai dimenticato. Sono proprio le parole del titolo che spesso mi  ripeto fra me e me al mattino, il momento più promettente della giornata, quando davanti a te hai una pagina bianca da riempire, sia se già tracciata sia se da inventare. E quale titolo migliore per dare il benvenuto alla piccola Sara che  è appena entrata nella vita? Sara è ora la gioia di Valentina e Daniele, di Maria Teresa e Riccardo e di noi tutti del blog che per darle il benvenuto mettiamo una sua prima immagine in questo post in cui si parla di gioia.

Ma ora lasciamo che Sara inizi il suo cammino e torniamo alle nostre vite: la mia, la vostra, quella dei personaggi letterari.

In “Joy in the morning” troviamo i giovanissimi Annie e Carl Brown che si sposano, nonostante tutti i familiari siano contrari,  e vanno a vivere nel College dove lui deve terminare gli studi. Lei ha 18 anni, lui 20.

Annie viene da Brooklin, da una famiglia dove si sentiva infelice. Il patrigno aveva ambigue e morbose attenzioni nei suoi confronti, la madre non la ascoltava.

La vita al College è piuttosto dura: è difficile conciliare lo studio e la famiglia, i soldi sono pochi, ma Annie è una ragazza spontanea e gioiosa e riesce a superare ogni ostacolo con ottimismo e forza. Ogni giornata che inizia la riempie di aspettative, riesce a farsi tante amicizie, lavora per rendere gradevole il loro angusto appartamento. In ogni piccolo avvenimento riesce a trovarvi la gioia.

Mi è rimasto impresso quando Annie decide di tagliarsi i lunghi capelli (non ricordo perchè) , ma la sensazione di sentire la nuova pettinatura ondeggiare e rimbalzare ai lati del viso me la sono “rubata”. E ripenso sempre a lei quando mi capita di farmi una morbida messa in piega; mi immedesimo in lei e scuoto la testa per sentire rimbalzare i capelli!

E poi…Annie rimane incinta: tutti  criticano i due sposini, troppo giovani, Carl non ha finito gli studi, ci sono pochi soldi…ma Annie darà ancora una volta prova della sua forza fattiva, insegnandoci che l’amore e l’ottimismo  possono  vincere tutto.

*    *    *  

Bene sono arrivata al 281 esimo post. La mia sfida continua e finirà in gennaio. Nel frattempo ne ho accettata un’altra…ed ecco che finalmente posso appagare la curiosità di Camilla e Raffaella.

Ieri ho accettao di insegnare per un mese ad adulti stranieri. Ne sono contenta, ma la sfida è che avrò giornate di 8 ore consecutive…ce la farò? I miei colleghi sono tutti baldi giovanotti…io no!

E’ per questo che ho chiesto e chiederò qualche vostro post per alleggerire le  mie giornate più pesanti.

Sono elettrizzata della nuova possibilità di reinserimi  nel mondo del lavoro, mi piace molto insegnare l’italiano agli stranieri, sono curiosa di conoscere pakistani, tunisine, qualche signora con il chador. A scuola avevo il mio pacchetto-ore per i bambini di altre nazioni. Ora avrò adulti. Incontrerò nuovamente persone di altri paesi, persone più sfortunate di noi  che  desidero  aiutare  come so,, dai vostri commenti e dalle vostre letture anche voi siete inclini a fare. So anche  che in cambio avrò qualcosa di prezioso  anch’io, come sempre mi è accaduto nel rapporto con i miei alunni delle varie parti del mondo.

Sono tuttavia in ansia perchè mi chiedo “Ce la farò?” ” Sarò all’altezza? ” “Ce la farò fisicamente? “.

Ma siete così anche voi  quando avete davanti un nuovo impegno? Siete lineari o a spirale?

Ma domani è un altro giorno….e al mattino viene la gioia.

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