IL CAPPOTTO, o "un sorriso fra le lagrime"
pubblicato da: admin - 14 Novembre, 2010 @ 8:25 pmCome non pensare a questa straordinaria novella di Nikolay Gogol in questi giorni in cui incontro tante persone russe e non, con e senza cappotto?
G. una paffuta e bionda signora armena cinquantottenne  arriva spesso in classe con una valigia. Non oso chiederle come mai, ma le chiedo se ha dormito bene. E lei invariabilmente risponde “Quattro ore perchè ho troppe preoccupazioni”. Ma sorride e mi parla dei suoi desideri: vorrebbe una collana d’oro e riuscire a tornare dai suoi figli a Yerevan. Scherza molto Con Y. e con  il signor S., uno moscovita, l’altro georgiano, che riescono nonostante le difficoltà a ridere e a far ridere. Il signor S. è minuto,  ha un giacchino di finto montone e un berretto sulla testa semicalva. Ha una voce bassa e gradevole, parla con amore della moglie ed è l’unico che non ha voluto “accettare” un caffè offerto da me. E’ lui che me l’ha offerto.
E po c’è A. che ha solo una giacchina di cotone bianco. Lui è somalo. “Hai freddo?” Gli ho chiesto l’altro giorno. “Un po’, ma questa giacca è così bella!”. E’ semianalfabeta ma ha una grandissima voglia di imparare l’italiano. E’ educatissimo e dolcissimo.
Chissà se possiede un cappotto per combattere il nostro inverno. O come Akà kii Akà kievic patirà il freddo.
“Il cappotto” esce nel 1842, sulle prime passa inosservato, ma poco tempo dopo, mentre il suo autore “stava levando il tragico stormo delle anime morte”, viene amato con rispetto filiale. Ogni vero scrittore russo vi si riconosce, vi ritrova qualcosa di atavico. “Noi siamo tutti usciti dal cappotto di Gogol” dirà Dostoièvskij.
Che cosa ci racconta questa operetta? La vita di un un modesto impiegatuccio che già dal nome sembra un soccombente, un ingenuo, un semplice : Akà kii Akà kievic. L’etimologia può essere ricondotta al greco a-kakos, innocente, ignaro del male. Lavora nel “dicastero di…” a San Pietroburgo. La mansione destinatagli è ricopiare. Sempre. Un “invariabile impiegato che ricopiava; tanto da radicarsi in seguito l’opinione ch’egli fosse venuto al mondo matematicamente già bell’e pronto, così, con la bassa uniforme e la sua giusta calvizie in testa.”
Ma non è il passivo Bartleby che non ha possibilità di salvezza. Al contrario Akà kii Akà kievic trova nel ricopiare la sua ragione di vita. Egli si esprime in tutto ciò che fa: il suo lavoro è umile, anonimo, ma ardente come l’amore originario. “Attende al suo lavoro di volta in volta come un vegetale tende alla luce per rigenerarsi.” spiega Clemente Rebora  nella postfazione di questo libretto.
Si rifugia tra le sue righe ricopiate. Cerca un angolino caldo in cui stare tranquillo. Non si concede nessuna distrazione. Ma nulla può contro l’ennesimo inverno incipiente. “C’è a Pietroburgo un aspro nemico di tutti coloro che riscuotono suppergiù quattrocento rubli l’anno: alludo al nostro gelo nordico…”
Dopo l’impossibilità ormai di rammendare il vecchio e liso cappotto Akaà kii Akà kievic si permette il lusso di “innamorarsi” dell’idea di farsene uno nuovo, caldo e comodo. L’attesa, pur piena di ulteriori sacrifici, lo riempie di gioia. Si sente meno solo. Vive con rinnovata energia la sua vita che agli occhi degli altri appare umile e meschina.
Farsi un cappotto, spiega Rebora, assume ai suoi occhi l’importanza di un fatto spirituale supremo, gli fornisce un nuovo mezzo per farsi valere.
E’ un progetto che per lui diventa quasi la riprova e  il coronamento della propria vita.
Quando infine avrà materialmente la calda presenza del cappotto ecco che lo stesso comincerà a perdere di valore. “Una cosa ottenuta è una cosa perduta”. Gli sembra di aver esaurito il suo compito, si sente più indifeso e presto cadrà nelle mani di coloro che gli ruberanno il cappotto. Protesta presso l’alto funzionario, ma viene deriso e umiliato. Si ammala e muore. Akakii Akakievic è uno strumento impersonale sfruttato dall’ordigno sociale che dall’alto lo tratta con brutalità . Â
Ma Gogol non si sbarazza del suo personaggio. Il suo esempio di bontà dovrà essere d’esempio, perciò ci fa assistere agli effetti morali e soprannaturali della sua anima. “Chi ha saputo ospitare la luce non va perduto nelle tenebre”.
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UNA VITA A PARTE, una "Brookner experience"
pubblicato da: admin - 13 Novembre, 2010 @ 8:14 pmRiprendo con gioia la “penna” in mano. Sento la mancanza dello scrivere quasi esso fosse una parte vitale di me. Scrivere è parlare con me e con immaginari interlocutori che, grazie a questo blog, diventano reali e corrispondenti. Si sciolgono nodi, si sedimentano vecchi pensieri, si accolgono e sistemano le nuove esperienze. Queste ultime modificano sempre un po’ il nostro ricordo dell’ieri e la nostra prospettiva verso il domani,  nell’eterno gioco di riflessi di altri sguardi che danno e prendono.
Monologhi interiori, dunque, come sistemazione del flusso di coscienza e incoscienza.
Anita Brookner con il suo romanzo “Una vita a parte” mi ha accompagnato in questo ultimo lavoro forte e impegnativo.
Di che cosa parla il suo libro? Di un romantico deluso, ormai oltre la settantina, che sente prepotente il senso della solitudine familiare. Non è sposato, non ha figli, nè fratelli, nè parenti prossimi.
 ” Sturgis aveva sempre saputo di essere destinato a morire in mezzo agli estranei.” “Aveva letto da qualche parte che Stendhal era caduto riverso per strada e poi era stato portato a casa di un cugino, dove in seguito era spirato”.
Cerca dunque di coltivare seppur con fatica e noia un rapporto sporadico con l’unica parente acquisita, Helena, la vedova di un suo cugino. Gli piace, nelle rare domeniche pomeriggio in cui la va a trovare, farsi servire una tazza di tè, invece che prepararsela da solo come sempre. Percepisce però, da acuto osservatore solitario, che l’accoglienza è doverosa, formale e frettolosa.
Quando si ritrova  nel suo piccolo appartamento londinese più forte diventa la consapevolezza della sua solitudine, del suo lento  staccarsi dalle vecchie amicizie e dai colleghi di lavoro, ripensa con nostalgia alla casa dell’infanzia nonostante i genitori l’avessero resa fredda e cupa. Prima del sonno ama ritornarvi, risalire le vecchie scale, fermarsi nella grande cucina e, come Proust, riviverne appieno le sensazioni.
Non ama più il piccolo appartamento dove abita che al momento dell’acquisto e dell’affrancamento dai genitori rappresentava ai suoi  occhi e a quello degli altri una “bella sistemazione”. Lo sente non-casa e ricorda che esiste un eccellente termine freudiano per definire la sua sensazione: unheimlich.
Tenta di legarsi a una nuova persona incontrata a Venezia, la signora Gardner, una vivace cinquantenne, ma di lei dice, come Swann diceva di Odette, che non “è il suo tipo“. Ritrova per caso Sara, una sua vecchia fiamma, malandata fisicamente e che non ha voglia di riallacciare nessuna relazione se non per un rapporto utilitaristico.
In realtà anche  Sturgis vorrebbe avere qualcuno vicino per motivi di opportunismo, per non morire solo, per essere aiutato in caso di malattia. Da tutti i suoi pensieri emerge invece quanto la solitudine gli faccia assaporare più intensamente ogni istante.
Ama passeggiare, leggere i suoi giornali, pranzare fuori. Si compatisce un po’, ma  ogni qualvolta si trova in compagnia di qualcuno non vede l’ora di tornare nel suo guscio per sviscerare la vita in ogni suo aspetto.
Anche se “Una vita a parte” viene presentato come una “ feroce analisi della solitudine assoluta della condizione umana” e “uno scongiuro contro la notte incombente” il ripegamento su se stesso di Sturgis, vuoi per vecchiezza vuoi per indole introspettiva, non mi ha rattristato. Secondo me il vero solitario è colui che non vuole rimanere solo per non parlare con se stesso. Spesso non ci parliamo per non soccombere all’angoscia o alle verità scomode.
Le sue giornate lente e riflessive, i suoi momenti di angoscia,  i suoi tentativi per uscirne ed infine  la soluzione trovata, mi hanno reso comprensibile e amico questo personaggio.
Che decide?
Che andrà ad abitare in un piccolo albergo dove sentirà il rumore della vita degli altri attorno a sè, dove  la sua solitudine sarà protetta, ma dove ci sarà qualcuno in caso di necessità .
Pensa che “L’albergo rappresentava il simbolo di un’esistenza transitoria e dunque realistica“
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GOMORRA, un pugno nello stomaco
pubblicato da: admin - 12 Novembre, 2010 @ 7:46 pm                                                                   La parola a Stefania:
Cari lettori, ho scelto per oggi un volume famosissimo, criticatissimo ed esaltatissimo allo stesso tempo, un reportage crudo e sconvolgente di quello che accade dietro la porta di casa di noi Italiani.
So che sara’ una scelta criticata ma mi interessa stimolare un’eventuale discussione che esuli dal libro stesso e proceda sulle strade della cronaca, dell’etica, del rifiuto del “non parlare.” Mi interessa anche riflettere con voi sul confine – labilissimo – fra estetica e realta’ di morte e violenza; ovvero se e’ lecito fare estetica su sparatorie, smistamento di cadaveri e reclutamento di baby-corrieri. Fin dove possiamo spingerci a “creare” usando la materia della morte e dei soprusi? E in che cosa la cronaca e’ diversa dalla scrittura creativa in questa attivita’?
Una volta, dopo aver visto il film di Milcho Manchevski “Before the rain,” ne parlai con un amico filosofo. Mi ricordo l’entusiasmo mio e di mamma verso quest’opera esteticamente meravigliosa che si svolgeva peraltro in Macedonia, durante la recente guerra di Bosnia. Il mio amico mi smonto’ richiamando la mia attenzione sul problema: ma e’ giusto romanzare sulla morte di qualcuno quando si sa che questa e’ o e’ stata reale? A voi la parola su questo.
Senz’altro “Gomorra” va letto. Conosco tante persone che non l’hanno aperto, qualcuno per paura di leggere di stragi, altri per dubbi, ma i piu’ per la paura di provare rabbia. E certo rabbia ce n’e’ da provare tanta, di fronte al Sistema economico ben oliato della camorra che si infiltra negli spazi del sistema legale e lo fa scoppiare dall’interno. L’abuso dei giovani senza prospettive legittime e con molte prospettive di fare “carriera” nei ranghi del criminalita’ organizzata, l’abuso delle minoranze etniche per scopi disumanamente solo economici come la confezione di abiti griffati a costo quasi nullo, l’abuso del terreno della nostra Italia per riempirla di spazzatura a prezzo d’oro e per sommergerla di cemento fino a farla collassare.
La rabbia, Saviano l’ha provata in loco e canalizzata altrove. Si e’ fatto da testimone a reporter ed ha accettato di vivere sotto scorta e nell’anonimato piu’ stretto fin dalla giovane eta’. Pochi giovani d’oggi l’avrebbero fatto. Con tutte le critiche che gli si possono fare, questo certo salta all’occhio e spezza molte lance a suo favore.
E tuttavia, Saviano non ha semplicemente ritratto per punti l’operato della camorra in Italia e all’estero. Ne ha tratto passi di autentica poesia, una poesia naturalmente amara, deflagrante, urlante se vogliamo, ma portatrice di piccole “contemplazioni” estetiche, a prescindere dalla nostra  intenzione di autorizzar(ce)le o meno. Almeno cosi’ per me e’ stato.
Ci sono due passi che voglio citare. Il primo in apertura, ritrae il porto di Napoli nella sua grandezza perversa:
Tutto quello che esiste passa di qui. Qui, dal porto di Napoli. Non v’e’ manufatto, stoffa, pezzo di plastica, giocattolo, pantalone, trapano, orologio che non passi per il porto. Il porto di Napoli e’ una ferita. Larga. Punto finale dei viaggi interminabili delle merci. Le navi arrivano, si immettono nel golfo avvicinandosi alla darsena come cuccioli a mammelle, solo che loro non devono succhiare , ma al contrario essere munte. Il porto di Napoli e’ il buco nel mappamondo da dove esce quello che si produce in Cina, Estremo Oriente come ancora i cronisti si divertono a definirlo. Estremo. Lontanissimo. Quasi inimmaginabile. (…) Qui l’Oriente non ha nulla di estremo. Il vicinissimo Oriente, il minimo Oriente dovrebbe esser definito. Tutto quello che si produce in Cina viene sversato qui. Come un secchiello pieno d’acqua girato in una buca di sabbia che con il solo suo rovesciarsi erode ancora di piu’, allarga, scende in profondita’. (…) E’ una stranezza complicata da comprendere, pero’ le merci portano con se’ magie rare, riescono a essere non essendoci, ad arrivare pur non giungendo mai, a essere costose al cliente pur essendo scadenti, a risultare di poco valore al fisco pur essendo preziose. (…) Nel silenzio del buco nero del porto la struttura molecolare delle cose sembra scomporsi, per poi riaggregarsi una volta uscita dal perimetro della costa. La merce del porto deve uscire subito. Tutto avviene talmente velocemente che mentre si sta svolgendo, scompare. Come se nulla fosse avvenuto, come se tutto fosse stato solo un gesto, Un viaggio inesistente, un approdo falso, una nave fantasma, un carico evanescente. Come se non ci fosse mai stato. Un’evaporazione.
E poi la descrizione della fine del ciclo produttivo, gli appalti tramite stakeholder (“scommettirori”) per smaltire la spazzatura (p.320):
Col tempo ho imparato a vedere con gli occhi degli stakeholder. Uno sguardo diverso da quello del costruttore. Un costruttore vede lo spazio vuoto come qualcosa da riempire, cerca di mettere il pieno nel vuoto; gli stakeholder pensano invece a come trovare il vuoto nel pieno. Franco, quando camminava, non osservava il paesaggio, ma pensava a come poterci ficcare qualcosa dentro. Come vedere tutto l’esistente a mo’ di grande tappeto e cercare nelle montagne, ai lati delle campagne, il lembo da sollevare per spazzarci sotto tutto quanto e’ possibile. Una volta, mentre camminavamo, Franco noto’ la piazzola abbandonata di una pompa di benzina, e penso’ immediatamente che i serbatoi sotterranei avrebbero potuto ospitare decine di piccoli fusti di rifiuti chimici. Una tomba perfetta. E cosi’ era la sua vita, una continua ricerca di vuoto.
Stefania
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IL MIO QUADERNO DI POESIA
pubblicato da: admin - 11 Novembre, 2010 @ 7:58 pmUna pausa poetica tra due libri impegnativi come quello di Grossman e quello di cui domani ci parlerà Stefania (ma che non anticipo!) .
 Deliziosi i libri-quaderno di cui ci racconta Daniela!
 Mi piace leggere del suo lavoro con i bambini stranieri. Ne ricordo anch’io la soddisfazione. Ora sto vivendo un’ esperienza analoga  con gli adulti; vi racconterò. Per ora posso anticipare che è come fare un grande viaggio tra sete orientali, spezie e pensieri ricchi…
 Ciao Mirna,
non so se può servirti comunque ecco qui.
Ti ricordi la mitica IIID? Bene, venerdì ho ripreso in mano un piccolo
libro viola usato già con i nostri cinesini. Le dimensioni sono
esattamente quelle di un quaderno, etichetta incollata sulla copertina
tipo quelle che gli scolari (quelli bravi ed ordinati) mettono sui
quaderni per indicare la materia. Sull’etichetta c’è scritto “Il mio
quaderno di poesia – dell’alunno Vittorio Caratozzolo” …. (Adesso
avrai già capito in che occasione avrò utilizzato questo libro. Avevi
letto in classe “X Agosto” e nel gruppo dovevo riprendere l’argomento
con i ragazzi). … Ma a dissipare i dubbi c’ è l’ndicazione
“Kellermann editore”. Il libro si presenta proprio come un quaderno di
1^ o 2^ elementare. La prima pagina riporta anche l’indicazione
dell’anno scolastico! C’è, dopo una breve introduzione, l’elenco
delle poesie con l’indicazione del relativo autore il tutto scritto in
Bella Calligrafia. E poi ci sono le poesie: quelle che da bambini, poi
da adolescenti, quindi da adulti, “ci sono passate sotto gli occhi
innumerevoli volte”:Â Il sabato del villaggio, Pianto antico, A
Zacinto, X Agosto, Meriggio, Alle fronde dei salici, I pastori,
Natale, La fontana malata, Cantico delle creature. Quelle poesie ,
insomma, che fanno parte della nostra memoria comune. Ogni poesia è
ricopiata in “bella calligrafia”, ognuna ha il titolo circondato
dalla sua bella “cornicetta”, ognuna è accompagnata da una serie di
disegni nati, secondo l’autore, da una domanda fatta al suo Io-bimbo
“cosa vedi?”. Sono disegni che mi richiamano alla mente quelli che
chiudevano le pagine del mio quaderno delle elementari. Solo che
questi si allargano, invadono i bordi delle pagine per spiegare e
illustrare ciò che le parole significano.
Ai cinesini era piaciuto e avevano riempito la fotocopia con disegni
che integravano quelli copiati dalla lavagna (avevi utilizzato il
sistema anche tu?…).
Venerdì ero alle prese con il Cantico delle creature che mio nipote
doveva imparare (ne abbiamo studiato una/due strofe alla settimana) ed
eravamo difronte a frate focu bello et iocundo et robustoso et forte.
E il disegnino è stato gradito per fissare il tutto.
A proposito Caratozzolo è un nostro collega in servizio a Trento
Ciao
Daniela
VITA E DESTINO di Vasilij Grossman
pubblicato da: admin - 10 Novembre, 2010 @ 8:59 pm Ospite assiduo del mio blog è il vulcanico  Riccardo che oggi ci propone un’altra interessantissima lettura.Â
Sono contenta che scriva di un autore ucraino perchè proprio in questi giorni sto approfondendo la conoscenza con le persone straniere del mio corso… fra cui alcuni simpatici russi e una deliziosa  armena. Persone appassionate e socievoli. (Sono già stata invitata a mangiare una loro specialità  gastronomica: le foglie di cavolo ripiene di carne!)
  Vasilij Grossman (Ucraina 19905, Mosca 1964)
827 pagine, €34,00
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2010, centenario della morte di Leone Tolstoi.
Guerra e pace … famiglie russe durante la campagna napoleonica di Russia …
Vita e destino … famiglie russe durante la campagna nazista in Russia …
Ma non solo famiglie russe. Anche, di nazisti e di stalinisti, lager, apparati politici, sistemi militari, sistemi polizieschi, lavanderie dei cervelli, storie di donne e di uomini.
Grossman si è concesso molte pagine. Ben 827. Ne aveva bisogno per delineare caratteri, situazioni, processi di formazione mentale di ragionamenti morali, altruistici, umani, filosofici, culturali, politici, egoistici, militari (li elenco in ordine di merito decrescente, n.d.r.).
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Caratteristica della prima metà del XX secolo fu la remissività , afferma Grossman (pagg. 196-197). … per sopravvivere l’uomo scende patti con la sua coscienza … le forze che agiscono sono: istinto di conservazione, fascinazione delle teorie, paura di una violenza così grande da divenire essa stessa oggetto di culto.
Le assemblee umane hanno lo scopo di conquistare il diritto ad essere diversi …ma spesso dall’unione nasce paradossalmente la violazione del singolo uomo che “deve†essere uguale agli altri (pag. 211).
Majakovskij è lo Stato fatto carne, sacrifica l’uomo all’umanità ; per Dostoevskij l’uomo è tale anche quando è dentro lo Stato. Per lui in Russia gli uomini non sono tutti uguali; Tolstoj ha reso poetica la guerra del popolo, ha in mente Dio, non l’uomo; Cechov è un autentico democratico russo, vuole che Dio si faccia da parte per lasciare spazio all’uomo (pagg. 264 e sgg.)
La piaggeria … o un’audace, pericolosissima battuta: “Le leggi sulla gravitazione universale non sono di Newton ma di Stalin†(pag. 272).
La difficile soluzione di un complesso problema scientifico fu improvvisamente trovata dallo scienziato mentre egli non vi pensava, bensì mentre a guidare le sue parole su tutt’altri argomenti era solo libertà … (pag. 274).
Di fronte a più donne, automaticamente ogni uomo, nel suo intimo, è portato a fare la sua scelta …; instaurare con una donna un discorso che fa venire il brivido lungo la schiena, l’unica conversazione che conti fra un uomo ed una donna …; ogni volta gli sembrava la prima, l’esperienza non era diventata abitudine, da questo si riconoscono i veri dongiovanni; l’amore è come il carbone: scotta quando arde e sporca quando è freddo (pagg. 279 e sgg.) (e qui il discorso è di tipo completamente diverso, n.d.r..)
… occhi intelligenti come acqua fredda e torbida d primavera pag. 281).
La mostruosa disumanità di Stalin lo ha reso successore di Lenin (pag. 284).
Il bene e il male, da pagina 384 a pag. 390 …il bene è una bontà senza voce, istintiva, cieca, fino a quando non diventa strumento e mercanzia di predicatori … la storia degli uomini non è la lotta del bene che cerca di sconfiggere il male … è la lotta del grande male che cerca di macinare, senza riuscirvi, il piccolo seme dell’umanità .
A chi prendeva atto de propri successi di fronte ai propri superiori: â€Lei è come quel personaggio di Mark Twain che si vantava dei propri guadagni con un ispettore delle tasse†(molto, molto attuale, non credete? N.d.r.).
Un Russo ad un subalterno che lo aveva criticato: Tu quoque Brute, fili mi? (pag. 439). (E noi aboliamo il latino dalle scuole … vergogna … questo libro è stato scritto nel 1960, da un Russo! N.d.r.).
Il dirigente arriva prima degli altri ed esce per ultimo … ciò gli procura rispetto … ma maggior rispetto ha chi in due settimane si fa vedere solo una mezz’oretta (sic, pag. 441) (Quanta saggezza attuale! N.d.r.).
Gli scienziati si dividono in classi alimentari, a secondo del tipo di razione di cibo cui hanno diritto (pag. 442).
Non potendo essere sempre nobili, si è spesso meschini (pag. 443).
Secondo un commissario delle SS i capi si dividono in quattro categorie:1) Uomini tutti d’un pezzo che si rifanno tout court ai comandi di Hitler, senza i quali non sono nulla. Tenore di vita modesto. 2) Cinici intelligenti, Spiritosi, critici, credevano nell’esistenza della bacchetta magica. Tenore di vita elevato. 3) Gruppi da sette a ventisette persone, l’empireo, niente ideali, solo numeri per uomini potenti e spietati. 4) Gli esecutori, privi di qualsiasi capacità analitica (pagg. 458-459).
L’antisemitismo? Da pagina 460 in poi.
Il terrore? Una moglie che non denuncia il marito è condannata a 10 anni di galera (pag. 504).
Il partito? Mi sottometto alla decisione comune, obbedisco la partito di cui sono membro (sempre, n.d.r.) (pag. 506).
Persone in passato assolutamente normali gestivano le camere a gas, con assoluta indifferenza (pagg. 509-510) (in modo normale, d’altra parte, non trovate che fossero coerenti? N.d.r.).
Esiste il giudizio divino ed esiste il giudizio dello Stato e della società ma esiste anche un giudizio supremo: quello di u peccatore su un altro peccatore … (pag. 511).
Il destino prende per mano l’uomo, ma è l’uomo che decide di seguirlo … pag. 512).
La moglie? Poco prima del forno crematorio …come soffocare il ricordo di una moglie che ti mette in mano un involto con la fede,qualche zolletta d zucchero e un pezzo d pane duro (pag. 516).
Le camere a gas (pag. 524).
Pag. 542: campagna d fedeltà al partito in ambito scientifico? Basta prendere il migliore scienziato e dargli addosso: Cosa di meglio di un simile capro espiatorio? (Attuale anche questa, in diversi ambiti, n.d.r.).
Pag. 558: nella vita chi a ragione non sempre sa come comportarsi: è irascibile, indelicato, impreca,è intransigente e di solito si vede accusare d ogni colpa. Chi ha torto è logico, posato, ha tatto e sembra sempre avere la ragione dalla sua (attualissimo, n.d.r.).
Pag. 606: dicesi colpevole colui per il quale è stato spiccato un mandato d’arresto. Chiunque, in pratica.
Pag. 660, nazismo come stalinismo.
Pag. 698, la sconfitta di Stalingrado fa tornare normali le belve umane.
Pag. 720: le fasi della programmazione: entusiasmo, perplessità , ritorno alla realtà , ricerca del colpevole, punizione dell’innocente, lode ad estranei. Il “colpevole†viene isolato, emarginato, privato del lavoro. Ma serve ancora, quindi na telefonata diStalin lo riporta a galla ….
…quindi da pagina 794 in poi l’ex colpevole scende a compromessi con se stesso e firma certe carte, vergognandosene.
Pag. 801 Il potente emana ordini crudeli e quando taluno glie ne chiede conto, egli accusa i propri incaricati: “Ma cosa avete fatto, birichini? Ora vi castigo ioâ€. Firmato Stalin. (Anche questa è attuale, non credete? N.d.r.)
Pag. 803 e sgg.: la teoria del lager dentro il lager e del lager fuori del lager: due entità destinate a fondersi.
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Fine
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E’ un libro che impegna e che merita.
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Riccardo Lucatti
GUARDATEMI, di Anita Brookner
pubblicato da: admin - 9 Novembre, 2010 @ 8:21 pm Sono contenta che Enza ci presenti questa  scrittrice perchè sto leggendo anch’io uno dei suoi ultimi romanzi …che  mi prende, mi trafigge, mi piace.
Questa è la storia della solitudine di una donna, raccontata da Anita Brookner, nata nel 1928 e vivente a Londra, scrittrice, critica d’arte e saggista.
In Inghilterra per dire del senso di solitudine e di desiderio infinito infuso nei suoi romanzi, hanno coniato l’espressione ‘Brookner Experience’: un viaggio interiore nell’isolamento, nella perdita delle emozioni, nella difficoltà di misurarsi con la società .
Il romanzo s’intitola “Guardatemi†del 1983 e suona come un’invocazione sconfinata che si sente ad ogni pagina.
Troviamo atmosfere d’attesa e solitudine, che rendono evidente un personaggio, che pur formato da un’educazione impeccabile ne è nello stesso tempo impacciato.
La protagonista, Frances Hinton, – io narrante – è una bibliotecaria che racconta la sua vita. La biblioteca ne occupa una gran parte – e una parte importante – per cui ritorna molto spesso nella narrazione.
Il suo è un lavoro di routine, che svolge con lo stesso rigore con cui affronta il resto della vita, anche se ogni tanto deve lottare per tenere lontano da sé un certo sconforto.
A volte vorrebbe essere diversa da com’è, diventare irresistibilmente bella, pigra e viziata, una di quelle persone, che si distinguono per garbo, disinvoltura, avvenenza e buone conoscenze, qualità che assicurano immancabilmente il successo.
La sua solitudine viene brevemente interrotta dall’incontro con Nick ed Alix, miraggio di una nuova vita sociale fatta d’ilarità , leggerezza, e illuminata da un sogno d’amore, ma nell’istante in cui decide di abbandonare la sua riservatezza e aprirsi al mondo, va incontro alla più brutale delle umiliazioni.
Frances tornerà così nel suo primario isolamento, rifugio sicuro che l’intuizione le aveva consigliato di non abbandonare, perché ciò le avrebbe potuto comportare rischi con la conseguente perdita del proprio equilibrio. I suoi piedi torneranno là dove il cammino è già tracciato da un pezzo, senza sbalzi improvvisi, senza destabilizzanti sorprese con in più il disinganno che le ha tolto ogni speranza di provare emozioni. Tutto ciò che è avvenuto è solo un ricordo che forse un giorno non sarà più doloroso.
Un romanzo, dunque, sulla solitudine,. che si pensa sia una malattia moderna e nuova. Sicuramente la solitudine è antica, maschile e femminile, solo che le cause della solitudine di oggi non sono sempre evidenti e quindi comprensibili.
Quando si sa una cosa è impossibile non saperla. Si può solo dimenticare. Finché la si ricorda, vincendo il tempo, sarà a segnare il futuro. In ogni circostanza è più saggio dimenticare, coltivare l’arte dell’oblio. Ricordare è affrontare il nemico. La verità sta nel ricordo.
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Enza
"Teatro nel teatro" nei Sei personaggi in cerca d'autore di Pirandello
pubblicato da: admin - 8 Novembre, 2010 @ 8:08 pmLascio la parola a mia figlia Stefania che come consanguinea ha la precedenza nell’aiutare la neo-pensionata… di nuovo in pista. Ma con grande sollievo accumulo posts di Riccardo, il quale intanto fa divertire tantissimo Camilla e gli altri lettori amanti del dialetto piemontese.Â
Quando si avvicina l’inverno e l’autunno e’ in pieno svolgimento penso sempre al teatro. Fisicamente – il teatro con le sue poltrone comode imbottite e la sua intima atmosfera – e idealmente – luogo che fa emergere dal buio della scena storie e rappresentazioni su cui riflettere ognuno a suo modo. Ancor piu’ del teatro sono sempre stata affascinata dal “meta-teatro” e piu’ in generale dalla meta-arte, dove cioe’, appunto arte e teatro mettono in scena loro stessi, riflettono su problematiche estetiche ed etiche facendone l’oggetto del loro esistere.
Questo e’ il caso dei “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello, opera buia, cupa, ma di grande impatto emotivo ed intellettuale, una mia grande passione adolescenziale di cui vi parlero’ ora.
Nonostante siano tre le opere in cui Pirandello adotta la tecnica del “teatro nel teatro” (con i Sei personaggi, anche “Ciascuno a suo modo” del 1924 e “Questa sera si recita a soggetto” del 1929), quella di oggi e’ la prima opera – 1921 – a segnare la svolta decisiva verso questa nuova poetica. Costituisce la tipica situazione metateatrale con la rappresentazione di una vicenda con personaggi attori/gente di teatro e lo spazio per contenerne al suo interno un’altra. Precedenti di Pirandello, che sviluppa pero’ per primo l’aspetto quasi surreale di questa tecnica, sono Goldoni e Shakespeare.
La trama e’ abbastanza complessa e presenta moltissimi piani interpretativi, dato che anche il pubblico si trova di fronte ad un luogo scenico del tutto anomalo. Il palco e’ nudo e pronto ad accogliere le prove per la rappresentazione del Gioco delle parti dello stesso Pirandello, affidata ad una Compagnia di Attori. Gli Attori sono seduti in platea e con le prime battute fra macchinista, direttore di scena e capocomico su questioni tecniche, si ha l’impressione della piu’ “vera” realta’. La seconda rottura della “quarta parete” (la prima avviene con la presenza della Compagnia degli Attori in platea) sopraggiunge con l’entrata in ritardo della Prima Attrice dalla porta di fondo, ma costituisce di fatto un’innovazione parziale. Infatti, gli Attori ignorano completamente la presenza del pubblico seduto nella stessa platea e portano avanti una rappresentazione autonoma.
L’idea fondamentale del lavoro e’ quella di pensare che un autore abbia creato con la fantasia sei personaggi, legati in una vergognosa vicenda familiare, e che poi abbia impedito loro di vivere perche’, disprezzando il loro dramma, si sia persuaso a non scriverne il romanzo o la commedia. Nella Prefazione all’opera, nata con la necessita’ di chiarire al pubblico la genesi e la natura dell’operazione culturale ed artistica compiuta, Pirandello scrive:
Quale autore potra’ mai dire come e perche’ un personaggio gli sia nato nella fantasia? Il mistero della creazione artistica e’ il mistero stesso della nascita naturale. Cosi’ un artista, vivendo, accoglie in se’ tanti germi della vita e non puo’ mai dire come e perche’, a un certo momento, uno di questi germi vitali gli si inserisce nella fantasia per divenire anch’esso una creatura viva in un piano di vita superiore alla volubile esistenza quotidiana. Posso soltanto dire che, senza sapere d’averli punto cercati, mi trovai davanti, vivi da poterli toccare, vivi da poterne udire persino il respiro, quei sei personaggi che ora si vedono sulla scena. E attendevano li’ presenti, ciascuno col suo tormento segreto e tutti uniti dalla nascita e dal viluppo delle vicende reciproche, ch’io li facessi entrare nel mondo dell’arte, componendo delle loro persone, delle loro passioni e dei loro casi un romanzo, un dramma o almeno una novella. Nati vivi, volevano vivere.
Cosi’, questi sei personaggi, il Padre, la Madre, il Figlio, la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina si presentano nello stesso teatro dove quella Compagnia degli Attori provava per rappresentare Il Gioco delle parti e chiedono che il loro dramma sia rappresentato dagli Attori, in modo che essi raggiungano la completa esistenza di personaggi. Dapprima la proposta viene accolta ironicamente, ma anche con curiosita’ e sgomento, finche’ la Compagnia accetta, non senza perplessita’, di vivere la nuova esperienza. A questo punto si sviluppa una situazione totalmente innaturale, poiche’ i “legittimi” Attori diventano spettatori di fronte ad altri “attori” che non recitano su copione, ma cercano di rappresentare la parte della loro vita. La vicenda e’ in parte raccontata e rappresentata con anticipazioni e flashback, con salti di tempo che la scompongono ed attraverso le confessioni e le analisi dei Personaggi stessi che, entrando nel teatro, sconvolgono questa “finzione della realta’” creata dagli Attori.
Non vi raccontero’ della storia che, pur appassionante e tragica, e’ incidentale. Accanto ad un apparente affondo di Pirandello alla borghesia del suo tempo , si celano almeno tre pilastri ideologici:
1. l’inganno della comprensione reciproca fondato irrimediabilmente sulla vuota astrazione delle parole;
2. la molteplice personalita’ d’ognuno secondo tutte le possibilita’ d’essere che si trovano in ciascuno di noi;
3. il tragico conflitto immanente tra la vita che di continuo si muove e cambia e la forma che la fissa, immutabile.
Molte riflessioni quindi e, pur con il distacco dell’autore, un vago senso di commozione nel vedere questi sei personaggi orfani che cercano il loro posto nel palcoscenico della vita. Non apparteniamo forse anche noi a questa categoria?
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Stefania
GAS ESILARANTE perchè ridere fa bene alla salute!
pubblicato da: admin - 7 Novembre, 2010 @ 8:16 pmAvevo in mente di presentare il bellissimo libro sulla solitudine  che sto terminando, ma…dopo aver letto le righe divertite di Camilla in risposta a quelle divertenti di Riccardo ( Maria Teresa…attenta a quei due!) ho pensato di continuare …allegramente. Star bene, ridere, sorridere, sbellicarsi come starà ancora facendo Camilla sollevata di essere guarita dall’influenza .
Wodehouse ed altri scrittori ci aiutano in questo senso. In Bliblioteca c’è un settore dedicato alla letteratura comica, la mia amica di Aquileia predilige spesso questo tipo di letture e mi suggerisce titoli su titoli.
Gas esilarante è delizioso perchè vi è uno scambio d’identità tra due persone  in una improbabile “quarta dimensione”, mentre entrambe si trovano in uno studio dentistico  sotto l’effetto anestetizzante del gas esilarante. Parliamo di  Lord Reginald Havershot appena arrivato dall’Inghilterra negli Stati Uniti  con il compito di ricondurre sulla retta via il cugino ubriacone e un giovane attore di Hollywood, dai riccioli d’oro, che stanco della vita frivola del mondo cinematografico desidera  soltanto tornare dalla sua  mamma nell’Ohio.Â
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Altri ameni personaggi si insinuano nellla storia come una diva ambiziosa in cerca di gentiluomini blasonati, attoruncoli da strapazzo, ubriaconi. Una lettura di completa evasione.
Ci sono altri autori che riescono a divertirmi ancora; come non nominare Jerome K. Jerome e i suoi “Tre uomini in barca” “Tre uomini a zonzo” ecc. e spesso anche in libri ritenuti seri vi sono delle situazioni che sollecitano la mia ilarità .
Ma che cos’è che ci  fa ridere? Non tutti hanno lo stesso senso dell’umorismo. Io mi ritrovo a ridere, spesso a sbellicarmi dalle risate con mia figlia, con Giuliana, con Renata e qualche altra persona; ridiamo di piccole cose inconsuete, prendiamo in giro noi stesse e gli avvenimenti particolari.
Siamo molto ironiche ed autoironiche.
 Ma per sapere di più sulla differenza tra atteggiamento umoristico e quello ironico si dovrebbe rileggere il magnifico saggio sul L’umorismo di Luigi Pirandello. Mia figlia dovrebbe aggiungere qualcosa, mi sembra di ricordare che l’abbia studiato per un suo esame di Letteratura.
Si ride per l’inadeguatezza di un comportamento, quando ne avvertiamo il contrario…se uno inciampa ci fa ridere perchè succede qualcosa che non dovrebbe succedere. Se uno si comporta diversamente dal suo “ruolo” predefinito socialmente ne ridiamo. Ridendo condanniamo perciò le apparenze che si difformano dal vero.
Pirandello prende in prestito dalla letteratura due grandi poemi : L’Orlando furioso di Ariosto e il Don Chisciotte di Cervantes.  Ci guida all’analisi del comportamento di questi due personaggi che portano inevitabilmente al riso, anche se talvolta amaro come in Don Chisciotte.
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Incollo il commento di Loredana al post su  Chatwin “In Patagonia e il respiro della libertà “. Naturalmente le auguro uno splendido viaggio!
Sto per partire per la Patagonia. un viaggio sognato da anni proprio per il sentimento si liberta’ che mi ispira. Anch’io ho un po’ di difficolta’ ad eliminare oggetti perche’ mi ricordano spesso persone e†pezzi†della mia vita.
Loredana
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UN MONDO D'AMORE, di Elizabeth Bowen
pubblicato da: admin - 6 Novembre, 2010 @ 8:02 pmMi rituffo con più tempo nel mio blog e quale libro poteva essere “onda” per me?
 Una bellissima storia di una narratrice anglo-irlandese. Siamo a Montefort, una elegante casa di campagna nel verde dell’Irlanda dove insieme alle passioni presenti  vivono ancora i ricordi di quelle passate. Un mondo d’amore avvolge strettamente la casa nel cui cuore, a testimonianza di ciò, si ritrovano le solite lettere nascoste in un vecchio abito di mussola. Ritorna alla ribalta  Guy, un ragazzo morto durante la guerra del ’15-18 in Francia e che aveva lasciato una promessa sposa senza futuro  e Montefort in eredità  alla cugina Antonia.
Legami sottili di parentela, piccoli accadimenti, amori impossibili, vita quotidiana da gestire con prosaico buon senso, questi gli ingredienti che creano un’atmosfera suggestiva e godibile.
Non è un romanzo rosa.
 A monte una estenuante  tessitura narrativa che la Bowen aveva già  sperimentato cercando forme di romanzo modernista come fece  nel 1935 con “La casa di Parigi”, modellato come un duplice viaggio, al largo e nel profondo cella coscienza.
Il motore segreto di “Un mondo d’amore” è proprio costituito dal pacchetto di lettere, forma letteraria per eccellenza, che avvia nel testo la catena di riferimenti “metaromanzeschi”. ” Da lì, dove era stato in qualche modo infilato, cadde il pacchetto di lettere; caddero ai suoi piedi, avendo loro trovato lei, anzichè lei loro.”
Da grafomane convinta adoro il tema della lettere dove si trova scrittura d’amore e…amore della scrittura. Il mondo d’amore primario per lo scrittore è dunque l’atto della scrittura. La parola della Bowen in questo romanzo  evoca le  lettere rubate di Poe, i carteggi di James e si arricchisce anche  di echi di altri generi come il saggio critico e la memoria autobiografica…
Una piccola chicca per i lettori tanto più che si viene coinvolti insieme ai sei protagonisti in un confronto continuo con la nostra pulsione di scrivere e di leggere.
Nella prefazione ci viene fatto notare la compattezza dell’azione scandita su rigide coordinate spazio- temporali ( L’Irlanda, tre giorni, una sola big-house) che consente l’emergere di un’unica crisi: il ritrovamento di un “oscuro” oggetto, le lettere, che lentamente accenderà lo sviluppo romanzesco.
Se avessi il tempo lo rileggerei!
Ma come sapete sono nella full immersion dell’insegnamento agli adulti stranieri. Un mondo particolare, se non ancora d’amore, di rispetto reciproco, di interesse e motivazioni. La conoscenza di  tante persone diverse mi fa “viaggiare” lontano…imparo così anch’io tantissimo.
Ringrazio gli amici che scrivono post, ne ho già due di Riccardo che “andranno in onda” la prossima settimana quando sarò talmente stanca da essere appena in grado di accendere il PC  (avrò giornate di 8 ore, su due sedi!). Attendo  ansiosamente  anche  quello di Raffaella dopo l’incontro con il suo amico Affinati, poi ancora Enza e Camilla…a proposito mi piace molto leggere le “conversazioni virtuali” di Camilla e Riccardo!
EÂ … last but not least mia figlia, naturalmente.
Grazie a tutti che fate sopravvivere questo blog!
HANNO TUTTI RAGIONE e altri assaggi di lettura
pubblicato da: admin - 5 Novembre, 2010 @ 7:42 pm La mia gentile e simpaticissima collega Daniela S., interpellata urgentemente per il solito “sostegno” al mio insegnamento agli stranieri, mi ha scritto delle sue ultime letture. “Ecco un nuovo post!” mi sono detta in questi giorni di lavoro intensissimo. Daniela ci parla di libri ricevuti con varie e interessanti motivazioni o in regalo dal marito e  dalla figlia o perchè consigliato dalla zia.Â
 Io non li conosco ancora, ma sono andata velocemente a cercare su Internet “Hanno tutti ragione” del regista Paolo Sorrentino, candidato al Premio Strega.
Chissà se Camilla l’ha letto e che cosa ne pensa!
Ho visto moltisimi commenti circa questo romanzo che racconta di un cantante melodico napoletano che ritorna dall’America a Napoili, (tanto per restare nel Sud)  e ciò che è emerso e la cotradddizione enorme tra  giudizi critici  di grandissima ammirazione e altri invece di altrettanto grande delusione. Forse proprio per questo sarò un libro da leggere?
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Ciao Mirna!!
 …..  sono in fase di ripresa dopo una settimana di malattia (incominciano i malanni di stagione!) e domani rientrerò a scuola. Ne ho approfittato per leggere: “Hanno tutti ragione” di Paolo Sorrentino. Era l’ultimo di tre libri che Serena e Vittorio mi avevano regalato per il compleanno.
Il primo era “Mutandine di chiffon” di Fruttero (bello e divertente, e riesce a rendere periodi, ambienti e personaggi in modo semplice, immediato e affettuosamente ironico) scelto perchè Fruttero è simpatico e “vorrei arrivare anch’io alla sua età e con la sua lucidità ” (questa è la motivazione di Vittorio).
 Il secondo era “Il tempo invecchia in fretta” di Tabucchi (qualche pagina sì, qualche pagina … faticosa e densa, insomma non una lettura da mare..) scelto perchè “la copertina poteva rientrare tra quelle che ti incuriosiscono” (questa è la motivazione data da Serena).
 E infine Sorrentino scelto perchè consigliato dalla zia lettrice. Non so se la lettura sia stata influenzata dal mio non stare bene ma alla fine del libro ….. mi è rimasto un po’ di amaro in bocca e non per il mondo dello spettacolo a cui si rimanda ma per il quadro del mondo politico che viene suggerito e che normalmente viene visto come “normale.
Daniela S.