LA FUGA DELL'AMORE, una geografia del sentimento
pubblicato da: admin - 4 Dicembre, 2010 @ 7:57 pmEd ecco César Antonio Molina, nato a La Coruna nel 1952, direttore dell’Istituto Cervantes e del Circolo delle Belle Arti di Madrid, per due anni ministro della Cultura, saggista, romanziere e grande poeta che ci offre una personalissima mappa dell’Amore. Immagini, ricordi di incontri fugaci e relazioni amorose platoniche con tante donne da lui incontrate nei suoi viaggi. Egli stesso si definisce un “pellegrino del desiderio”e in queste sue pagine può con la serenità del distacco, rivivere a tutto tondo il suo “viaggio”nella terra dell’Amore.
Venti quadri per tratteggiare donne diversissime l’una dall’altra, ma capaci di accendere dello stesso fuoco l’animo del protagonista.
E’ interessante leggere di luoghi lontani, di descrizioni artistiche, di riflessioni culturali e di squarci di tante altre vite. Ogni nuovo incontro evoca  in Molina versi di poeti, egli stesso ne scrive, affiorano analogie lontane, domande esistenziali.
Andiamo in Bolivia, in Cile, in Argentina e in Italia e ancora in Francia e  a Corfù,  e nel raccontarci ogni suo viaggio o lungo soggiorno, Molina riesce a catturarci completamente estendendo a raggiera il suo approccio con la vita.
Incontra Maud in cerca di documentazione relativa alla pittura angelica barocca per la tesi. Si trovano entrambi a Cuzco e i giorni trascorsi insieme sono intrecciati agli sfondi dorati della pittura del luogo. Condivisione estetica, culturale, piacere dello stare insieme e scoprire insieme  il Machu Picchu. Â
 Ci parla poi di  Lola, una ragazza che lo accudisce da piccolo quando i  genitori sono lontani.  Molina e la sorella si trovano Caldebarcos, in una casa di pietra con galllerie pensili che davano sulla strada e sulla spiaggia. Lola, giovane, bella rossa e determinata  si è appena sposata con Estratis, un marinaio greco che presto se ne andrà per sempre. Lola abbandonata, si sente vedova, e i suoi protetti cercano di consolarla. “Per questo il monte Pindo e le colline di Muros divennero le nostre mete abituali…Ci avventurammo su per la montagna attraverso quelle rupi. Ho sempre pensato che questo paesaggio non sia poi così diverso da quello del Purgatorio descritto da Dante nella Divina Commedia.”
 Molina va a Perugia per seguire l’amica Queta che segue un corso di etruscologia. Ma lei è impegnata e lui passa le giornate ad ammirare l’arco etrusco o se ne sta adagiato sugli scalini della cattedrale, dinanzi alla Fontana Maggiore. Una sera va a vedere “Amarcord” da solo, perchè Queta nel frattempo si è innamorata di un altro…E’ complicato questo rapporto ed alla fine Molina si ritrova a Irùn e  per consolarsi rilegge tutto il Sentimento del tempo di Ungaretti.
Per chi è goloso di vita, di emozioni, di nuovi incontri le occasioni ci sono. Occorre guardare con attenzione intorno a noi. E viaggiare.Â
 In quei giorni sarei andato ovunque. Non avevo niente da fare e niente a cui pensare. Mi succedeva come a Massimiliano d’Asburgo “Vivo, e non so quanto/ muoio, e non so quanto/ vado, e non so dove/ mi meraviglio di essere così felice.”
Città , ancora città . Ogni città un ricordo d’Amore.
Pagine interessantissime sia per i viaggi esterni che per quello interiore. Mi piace il suo “collezionare” persone care, persone che gli hanno svelato qualcosa d’altro, che gli hanno aperto sguardi più ampi e gli hanno dato risposte a mille interrogativi.
Provo anch’io a ripensare agli incontri con ragazzi, uomini che mi hanno “accompagnato” o affascinato per alcuni tratti della vita. Ci metto un po’ di tempo.
Intanto provate a pensarci anche voi.
Senz’altro il caro amico Vincenzo, vicino di casa, primo amore, ma non solo. Compagno di chiacchierate vicino al muretto che divideva i nostri cortili, appassionato come me delle figurine degli animali. L’introvabile opossum fu una gioia grandissima quando uno di noi riuscì ad averlo.
E poi Titta che mi fece ridere e scoprire come ci si poteva divertire anche  soltanto parlando .
Se volessi troverei anch’io una “mappa” – se non proprio e sempre dell’Amore –  , delle consonanze di simpatia e stima verso gli uomini.
 A Londra l’amico Mauro, romano, voleva proteggere me e le amiche dai Turchi “Attente a li Turchi” ci ammoniva…soprattutto perchè io mi ero interessata a un ragazzo di Istanbul, un certo Sel, che si dava molte aria da intellettuale, e parlava di teatro guardando per aria e fumando…
In Germania Bernhard,  il doce ragazzo di Hannover, non sapeva nè inglese, nè italiano ed io non ancora il tedesco… Ma in un Fashing party eravamo bellissimi: io vestita da zingara e lui da Robin Hood.
E sulle navi… beh, è meglio che mi fermi!
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LE COSE, una poesia di Jorge Luis Borges
pubblicato da: admin - 3 Dicembre, 2010 @ 8:40 pm
Le monete, il bastone, il portachiavi,
la pronta serratura, i tardi appunti
che non potranno leggere i miei scarsi
giorni, le carte da gioco e gli scacchi,
un libro e tra le pagine appassita
la viola, monumento d’una sera
di certo inobliabile e obliata,
il rosso specchio a occidente in cui arde
illusoria un’aurora. Quante cose,
atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
ci servono come taciti schiavi,
senza sguardo, stranamente segrete!
Dureranno piú in là del nostro oblio;
non sapran mai che ce ne siamo andati.
L’ispirazione oggi mi viene da Jorge Luis Borges il grande scrittore e poeta argentino che si proclamava “sì, cieco
e ignorante, ma che intuiva che ci sono molte altre strade.” Soy ciego y nada sè, pero preveo que son mà s los caminos.
Nei suoi splendidi e rapaci racconti fantastici c’è  la sua filosofia: la tematica del doppio, le realtà parallele al sogno, gli slittamenti temporali e il suo pensiero, ormai proclamato “borgesiano”, sulla concezione della vita che altro non è che fiction.
Un po’ come Calderòn de La Barca che  nel suo dramma seicentesco “La vida es sueno” fa dire a Sigismondo che ormai non riesce a distinguere tra il sogno e la realtà  “Que toda la vida es sueno y los suenos, suenos son”.
Siamo forse pedine predestinate? Tutto ha un suo disegno tracciato? Noi…, ma forse anche gli oggetti che ci sopravvivranno hanno un loro percorso?
Quante cose elenca Borges nella sua poesia, non manca naturalmente  lo specchio che insieme ai libri e ai sogni sono i temi ricorrenti dei suoi scritti.
Il suo primo libro di poesie “Fervore di Buenos Aires” viene pubblicato nel 1923. Bellissimi versi in cui perdersi e fermarsi.
Ma è “Le cose” che oggi mi intriga. Cose che ci “servono come taciti schiavi” e “stranamente segrete“, ma che mi convincono che esse hanno vita propria e un cammino preciso.
Da sempre ho provato insofferenza verso le cose, anzi spesso sono io che mi sono sentita “schiava” di esse. Ogni oggetto con la sua storia e i ricordi incollati addosso o racchiusi nel profondo mi hanno sempre dato una sensazione di soffocamento, di prigionia. Eppure, come un contrappasso, sono stata destinata dai membri della mia famiglia a diventare come  Tony Buddenbrook, una sorta di depositaria dei ricordi della nostra famiglia. Forse perchè ho sempre scritto il diario?
Ed ecco che in tempi diversi mi sono giunte  le lettere, le foto, gli oggetti che le persone che se ne andavano si  lasciavano dietro. Borzonasca divenne  presto il “centro di raccolta” di tantissime cose : quelle di  nipoti, figliocce, persone che care se ne andavano per sempre o  prendevano altre strade.
 Quando morì mio padre però non avevamo ancora ristrutturato la casa di Borzonasca ed io ricordo che non avevo spazio e dato il mio scarso attaccamento alle cose ero già pronta a disfarmi di tutto. L’ho fatto in gran parte, ma alcuni parenti hanno voluto prendere mobili, servizi, ecc. Ne fui felice. E dimenticai.
Ma sapete che  cosa sta succedendo ora che in sostanza siamo rimaste io e Stefania che  dobbiamo assolutamente sistemare tutto ciò che l’estate scorsa abbiamo trovato nella soffitta della casa ligure? E cioè scatoloni sigillati, libri, oggetti vari spostati da una regione all’altra, da una casa all’altra Beh, questi …arrivano, non si sa perchè,  sempre ed ancora qui, vicino a me!
La settimana scorsa Stefania  arriva per portarmi i cachi maturi del nostro albero e… alcune scatole chiuse. “Dobbiamo sistemare anche queste cose” mi dice.”Ma non ho avuto il tempo di controllare”. Troviamo un ennesimo  servizio da caffè, specchi, borsette, soprammobili e cinque bicchieri da vino e tre da cognac, sfaccettati, eleganti…ma di chi sono?…non so dove metterli…eppure li ho già visti….come mai erano a Borzonasca? Ed allora ricordo…sono i bicchieri di Carpi, quelli che usava ancora mio padre e che non so per quale misteriosa strada furono prelevati da un parente e poi “ricondotti” al centro…cio a me!!! Che non sono attaccata ad essi!!! E questo andare e venire per vie tortuose delle “cose ” che hanno sicuramente una vita propria sembra non finire. E’ come se degli innamorati respinti continuassero ossessivamente a corteggiare chi non li vuole.
Non oso aprire bauli, armadi e cercare, perchè sono certa che le “cose” sono là che mi aspettano forse trepidanti e in attesa di farmi rivivere pezzetti di passato, emozioni sopite. Eppure io riesco a farlo anche senza di loro! E fra l’altro non rompo mai nulla! Soltanto qualche volta qualcosa cade giù dalla finestra mentre scuoto il copridivano o la tovaglia. Recentemente infatti è caduto sulla tettoia a vetri del ristorante dabbasso un tagliacarte d’argento. Non si può andare a recuperalo, occorre aspettare l’impresa di pulizie. Il tagliacarte però ci occhieggia dal basso e vibra di luce metallica. Ed ieri sera, mentre la neve gelata, picchietava sui vetri Stefania ha mormorato ” Che bello essere tutti in casa…però il tagliacarte è giù, al freddo!”
Sono riuscita a convincerla a non andare con la scala sulla tettoia scivolosa con il rischio di precipitare all’interno del ristorante. Ma il suo sguardo era triste.
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L'ULTIMO DEI ROMANTICI, di Andrea Bianchi
pubblicato da: admin - 2 Dicembre, 2010 @ 9:19 pmL’ultimo dei romantici – Vita e ideali di Spiro Dalla Porta Xydias di Andrea Bianchi
 Nuovi Sentieri Editore – Belluno (2006).
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E’ stato un fatto lento, per cui sono arrivato fino a ieri prima di pensare di avere concluso la mia ricerca del perche’ ho arrampicato, del significato dell’arrampicata. Sono passato per tante cose.
Primo momento, il piacere fisico.
Secondo, poteva essere il ritorno alla natura.
Terzo, il fatto dell’esplorazione.
Quarto, puo’ essere stato anche il fatto artistico.
E quinto, oggi, il senso metafisico.
Ho conosciuto Spiro Dalla Porta Xydias il 29 ottobre al Centro Yoga Sattva. Per l’anniversario dei 25 anni dalla nascita del centro ero stata invitata a scegliere una musica adatta ai vari momenti della serata e a suonarla al pianoforte. Spiro era stato invitato a leggere poesie Sufi.
Andrea Bianchi – allievo “storico†del Centro – era anch’egli là .
Mirna ha parlato recentemente di lui come creatore di Trento Blog (www.trentoblog.it), sito “ospite†del blog “Un libro al giorno.†Così le strade si intrecciano e producono contatti e riflessioni. Avrei voluto scrivere di questo libro, biografia di Andrea su Spiro Dalla Porta Xydias, tempo fa, appena dopo l’evento al Centro Sattva, ma solo ora trovo ispirazione (e con l’ispirazione, il tempo). Mi trovo tuttavia in una posizione complessa, non voglio “scrivere†troppo ma solo dare qualche spunto già “scritto†per appassionare alla lettura di questo libro denso e profondo.
Spiro è difatti non solo scalatore – o meglio, alpinista – ma anche uomo di teatro e scrittore prolifico. Il pudore di parlare di una persona – uno scrittore – ritratta da un altro scrittore – Andrea – mi detta la forma di questo piccolo post. La magia delle parole di Spiro e le acute riflessioni di Andrea mi convincono a riportarle a voi cari amici, intonse.
 Scrive Spiro: Non esiste passato – siamo anche quello che siamo stati. Non esiste futuro – è già tale, nel continuo divenire del presente. Le cime superate, I passaggi superati si compendiano in una sola, grande parete, che culmina in un’unica vetta. Più alta di tutte. Dove possiamo finalmente sostare. Sentire sotto di noi le ascese finalmente compiute. E guardare in alto. Intuire la dimensione dell’Infinito (da Oh come è bello…., ed. Nuovi Sentieri, Belluno 1985).
 Spiro è un alpinista metafisico, una persona che aspira all’infinito e all’ “oltre.†La sua vita, fatta di grandi conquiste alpinistiche, esistenziali e artistiche è puntellata da eventi drammatici, legati anche alla sua grande passione. Particolarmente toccante il suo volo – raccontato da Andrea – dalla Torre Cordai (Monte Civetta):
 Improvvisamente un grido dall’alto (…) un grande masso scivola lento, poi precipita verso il basso. Spiro è subito sotto. Nel camino. Non ha spazio. Si butta a destra, si afferra spasmodicamente alla roccia. Il suo unico pensiero diventa quello di resistere al colpo imminente. Il colpo è violento, insostenibile (…)
 “Sono per aria. Volo. La fine. (…) Sono in un altro spazio (…)â€
 Le mani si aggrappano ferocemente a qualche sporgenza. Fino ad arrestare il corpo. Fermo (…) Il respiro rantolante.
 “Non posso respirare, non ce la faccio. Soffoco (…) Muoio.†(da La montagna per me).
Per Spiro l’arrampicata non è uno sport, ma un modo di vita, una scelta esistenziale che unisce etica ad estetica.
 Nella pittoresca biografia di Andrea Bianchi, Spiro emerge come una figura mitica, un uomo a tutto tondo – complici anche le rievocative fotografie – un campione di vita. La decisione di scrivere questo libro nasce ovviamente dal rapporto personale che si instaura presto fra Andrea e Spiro quando quest’ultimo legge in pubblico il racconto premiato di Andrea al concorso nazionale “Putia†per la letteratura di montagna. Scrive Andrea:
 Quello che accadde poi nel mio animo non posso tutt’ora esprimerlo a parole, per quanto forti furono le emozioni che mi suscitò l’ascoltare quello parole scritte da me, ma lette con una forza evocative e una capacità di immedesimazione che potevano derivare solo – lo avrei capito anni dopo – da una vita intera vissuta come un’unica “scalata all’Infinito†(14-15).
 In piccolo, vicino alle informazioni tecniche del libro nel retro copertina, Andrea ha incluso una nota interessante e che mi tocca in particolar modo:
 Questa biografia è stata scritta ascoltando Beethoven, concerti per pianoforte n. 4 e 5 e W. A. Mozart, sonate per pianoforte K.333, K. 545, K. 475 (Fantasia) e K. 457.
 Come dire, le vette e gli abissi improntano tutte le meravigliose attività dell’uomo.
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Stefania Neonato
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EPISTOLARIO RILKE -SALOME' 1897-1926
pubblicato da: admin - 1 Dicembre, 2010 @ 8:19 pmDurante l’inverno 2002 – 2003 trascorsi parecchi pomeriggi in compagnia di Rainer Maria Rilke e Lou Andreas Salomè. Ricordo la luce soffusa dell’abat-jour accanto al mio divano azzurro, la tazza di tè fumante e un sottile piacere che mi prendeva quando mi accostavo alle lettura della corrispondenza fra un mio amato poeta e una donna speciale e straordinaria ( e di cui vi ho già parlato).
Lou Salomè nasce nel 1861 a Pietroburgo. Si trasferisce in Svizzera dove studia filosofia, filologia, religione comparata, storia dell’arte. Conosce Paul Rée e Nieztsche con i quali coabita per un po’ di tempo. Sia Nietzche che Rée si inamorano di lei  e le propongono il matrimonio. Lei rifiuta.
Si sposerà invece con F.Carl Andreas, studioso delle lingue orientali, di quindici anni più vecchio di lei. Lou impone però un “matrimonio in bianco” ed esige per sè la più ampia libertà di movimento nonchè l’impegno ch’egli non interferisca nella sua vita sentimentale.
Lou viaggerà , scriverà , incontrerà Freud del quale seguirà ed eserciterà  il metodo psicoanalitico.
E poi nel 1897 a Monaco incontra il ventiduenne Rilke. E’ proprio lei, figura importante, maestra di vita, che gli cambierà il nome da René in Rainer. Diventano amanti, vivono insieme per quattro anni e compiono viaggi importantissimi in Russia.
Per Rilke lei rappresenta la “madre”, il faro, l’equilibrio interiore, la saggezza. Appena conosciuta le scrive che lei ha espresso “con magistrale chiarezza ciò che le mie fantasie epiche riportano in visioni….Vede, gentilissima Signora, grazie a questa inflessibile essenzialità , grazie all’incredibile forza delle Sue parole, la mia opera ha avuto nel mio animo una consacrazione, una sanzione.”
Pensa a lei; ogni  paseggiata nell’Englisher Garten di Muenchen è occasione per dedicarle versi su versi : “Ho trovato le rose / sui sentieri lontani. / Io ti vorrei incontare / col ramoscello / che appena so tenere./ E’ come ti cercassi insieme / a errabondi pallidi fanciulli, / e tu saresti madre / alle mie povere rose.
Ed ancora “Ciò che mi fa essere, – sei tu.”
Lou Salomè cerca di guidare con il suo buon senso, la sua estrema positività questo giovane poeta pieno di ansie e timori, ancora non consapevole del proprio talento.
Gli scrive nel febbraio 1901 in risposta ad un ‘ennesima lettera piena di panico ed incertezze: “Puoi capire la mia angoscia e la mia violenza quando sei rimasto di nuovo vittima di questi attacchi e io ho riveduto di nuovo una volontà paralizzata e contemporaneamente sussulti nervosi e subitanei che dilaniavano la tua unità organica, ubbidivano volubilmente alle suggestioni e non si immergevano nella pienezza del passato per assimilare in modo sano, per elaborare, per costruirsi delle fondamenta!”
Se Lou sente che il rapporto figlio-amante sta diventando debilitante e costrittivo, il sentimento di natura unica che lega i due non viene mai meno per un quarto di secolo. E’ sempre a Lou che Rilke scrive da Duino, luogo privilegiato per la composizione delle sue splendide Elegie. Ed è sempre a lei che il poeta sul letto di morte indirizzerà le ultime parole, memore della promessa della sua mentore di essergli vicino nell'”ora peggiore”.
“Cara, vedi, era dunque questo cui da tre anni mi preparava, mi preavvertiva la mia vigile natura: che ora deve lottare duramente, duramente, per farcela…E ora, Lou, non riesco a contare gli inferni, tu sai che ho collocato il dolore, quello fisico, quello veramente grande, tra le mie gerarchie…E ora. Mi copre. Mi subentra. Giorno e notte. Da dove trarre coraggio?. Cara, cara Lou…Addio mia cara”
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Leggevo questo libro… e aprivo le Elegie Duinesi. Che momenti bellissimi! Centellinavo parola per parola, entravo nelle loro lettere,  aperta ad ogni suggestione e piena di aspettative mai deluse. Ripensavo intanto alla passeggiata Rilke da me fatta parecchie volte , quella che da Sistiana va verso Duino e termina con il castello dove venne appunto ospitato il poeta.
La mia piccola foto del blog è scattata proprio a Duino.
E a proposito del blog. Oggi ho parlato con Andrea, il creatore di Trentoblog. Tutti gli spam che mi arrivano , ha detto, sono la prova di un’ampia visibilità !
Insomma vuol dire che i posts, Â i commenti vengono letti da moltissime persone.
L'UOMO CHE AMAVA LA CINA, di Simon Winchester
pubblicato da: admin - 30 Novembre, 2010 @ 8:02 pmRiccardo ci presenta un altro interessantissimo libro, per amanti della storia e dei viaggi, ma non solo…
 Adelphi, 2010
Pag. 350, €30,00
Passeggiavo in libreria (e dove altro, sennò?). L’angolo Adelphi mi attrae sempre. Scorgo il nome di Simon Winchester. Sarà che Winchester era la marca della carabina dei cow boys ed anche quella della carabina in mia dotazione quando ero allievo ufficiale …
Già una volta Winchester mi aveva catturato, quando lessi il suo “Il fiume al centro del mondo†(già oggetto di un mio post) cioè lo Yangtze, che nasce tra le montagne ai margini del Tibet e percorre circa 6300 chilometri di terra cinese prima di sfociare nelle acque del Mar Cinese Orientale. Quel libro ci narra gli eventi accaduti sulle sue sponde: gli anni dei difficili rapporti tra le compagnie commerciali europee e mandarini Manchu, l’atmosfera peccaminosa della Shanghai dominata dai gangster, lo stupro giapponese di Nanchino del 1937, le feroci lotte all’interno del Partito Comunista durante la Rivoluzione Culturale, la straordinaria caccia ai baiji (i delfini del fiume), la lotta immane per arginare le grandi piene estive, il tentativo di dominare lo Yangtze erigendo una nuova Grande Muraglia sulle sue acque, etc..
 Visto che ormai “la Cina è vicina†ho comperato anche questo suo libro, che sembra scritto dal personaggio di cui l’autore descrive vita e opere, cioè da Joseph Terence Montgomery Needham (Londra, 9 dicembre 1900 – 24 marzo 1995), storico della scienza, biochimico e orientalista inglese, eletto membro della Royal Society e della British Academy, conosciuto come autorità preminente nella storia della scienza e tecnologia in Cina.
Needham, mente enciclopedica, uomo di sinistra (fu definito “comunista buonoâ€), conoscitore di molte lingue fra cui il cinese, grande amatore (perché no?), attraverso il proprio contributo personale elargito in viaggi estremamente avventurosi e pericolosi attraverso la Cina assalita dai giapponesi, si impegnò per evitare la distruzione del sistema universitario e della ricerca cinese da parte dell’invasore.
A seguito di ciò, s’innamorò oltre che di una bella cinesina, la quale fu legata da una sincera reciproca amicizia con la consapevole moglie dell’autore, s’innamorò – dicevamo – anche soprattutto della storia della scienza, della scienza stessa e della cultura cinese, traducendo il tutto in un’opera enciclopedica: “Scienza e Civiltà in Cinaâ€.
Nella parte seconda del settimo volume di tale “panonto†egli elenca, datandole, le principali scoperte ed invenzioni cinesi, con il che ci dimostra come molti degli “inventori†occidentali in realtà fossero stati preceduti di anni, decenni e secoli da oscuri inventori cinesi. Ve ne cito alcune:
Deriva mobile (per barche a vela) 751 d.C.
Anemometro III° sec. d.C.
Armonica a bocca IX° sec. a.C.
Bussola magnetica per navigazione 1111 d.C.
Camera oscura 1086 d.C.
Contachilometri (carro a tamburo, che segna la
distanza percorsa) 110 a.C.
Cartamoneta IX° sec. d.C.
Coordinate polari-equatoriali I° sec a.C.
Cuscinetti a sfera II° sec. a.C.
Declinazione magnetica 1040 d.C.
Fiammiferi 577 d.C.
Gioco degli scacchi IV° sec. a.C.
Imbarcazioni con ruote a pale 418 d.C.
Libro a stampa 847 d.C.
Mappe topografiche III sec. a.C.
Composizione di melodie 475 d.C.
Mulinello per canne da pesca III sec. d.C.
Operazioni con numeri negativi I sec. d.C.
Orologio astronomico 120 d.C.
Paracadute VIII sec. d.C.
Spaghetti (!!) 100 d.C.
Pastorizzazione del vino 1117 d.C.
Razzi a due stadi 1360 d.C.
Rotore da elicottero 320 d.C.
Filatura della seta 2850 a. C.
Spazzolino da denti IX sec d. C.
Tè (bevanda) II sec d.C.
Timone assiale per la navigazione I sec d.C.
Niente male, non vi pare?
Ed ora, per finire, brani di un colloquio fra Mao Zedong e Needham:
Mao. “Lei è l’unico occidentale che io conosca al quale possa chiedere se permettere al popolo cinese di motorizzarsi o se per loro non sia meglio la biciclettaâ€
Needham: “Signor Presidente, se devo essere sincero, trovo che lassù, a Cambridge, dove vivo, la mia vecchia bicicletta soddisfa perfettamente quasi tutte le mie esigenzeâ€
Mao: “D’accordo, allora. Bicicletta sia!â€.
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Ebbene si, lo confesso, sono un appassionato ciclista!
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Riccardo Lucatti
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RACCONTO PER UN AMICO, o l'amore per la vita
pubblicato da: admin - 29 Novembre, 2010 @ 8:41 pmStamattina ho sentito per radio che stanno curando una nuova edizione de “La montagna incantata” di Thomas Mann, forse tradotta con il titolo “La montagna magica”. Un libro che segna la vita del Lettore che viene portato di peso nel mondo claustrofobico del sanatorio, metafora del malessere della civiltà occidentale dalla quale sembra non poter fuggire. Dovrei rileggerlo. Per ora è Stefania che si cimenta con quest’opera.
Il sanatorio, teatro della sofferenza umana, appare in moltissima narrativa sia come luogo  descritto da lontano, sia come esperienza vissuta.
Halina Poswiatowska l’autrice di queste pagine bellissime ne è stata testimone diretta. Vi soggiornò per parecchi mesi per curare il cuore indebolito da un’angina mal curata in tempo di guerra.
Queste pagine sono lettere, impressioni, ricordi che Halina racconta a un caro amico cieco che è stato nei brevi anni della sua vita adulta, una presenza costante, protettrice ed ammonitrice.
Halina nata nel 1935 e morta a soli 32 anni in Polonia, era anche una poetessa, venerata dai giovani del suo paese.
La sua scrittura poetica, chiara, immaginifica ci ricorda sia la Woolf che la Bachmann, dicono i critici. A me ricorda soprattutto Katherine Mansfield sia per questo suo raccontare la vita, pur piena di sofferenza, come un luogo in cui essere felice “Fuori ogni cosa sembrava fatta d’oro. Gli alberi muoiono diversamente dalla gente, paiono quasi felici pdi morire. Forse perchè viene la primavera e rifioriscono…” sia per l’attaccamento caparbio alla vita che però soccombe  alla debolezza del corpo. Anche in Halina come in Katherine c’è un attaccamento sensuale, fisico, quasi biologico alla vita.
Ho riconosciuto un’amica in questa donna per la quale vita e scrittura sembrano indissolubili, per la quale ogni istante di vita è prezioso come una conquista perenne e come una nuova scoperta.
Halina ci descrive la sua infanzia, segnata dagli orrori della guerra, la scuola, gli amici, i primi amori, il tempo trascorso nei sanatori ad osservare la sofferenza altrui e a vincere la propria. Racconta del marito artista scomparso pochi anni dopo il matrimonio e del soggiorno negli USA  come ultima speranza per guarire. Ed infine del ritorno in Polonia, dettato da nostalgia, imquietudine e disillusione.
Scrive al suo amico dal sanatorio:
“Ci sono notti, amico mio, in cui il mondo finisce. Il mondo se ne va, lasciandoci con gli occhi sbarrati e le braccia inerti. Dapprima è come la coscienza di una rigida legge matematica, la consapevolezza che domani il mondo non ci sarà più. Ma in questo momento, tante volte vissuto, in questo momento che cresce e matura dentro di noi, anzi, nell’attimo finale di questo momento, com’è il mondo? Com’è, quando c’è e non c’è nello stesso tempo, quando con il respiro e con il gesto tentiamo di fermare la parte di noi che fugge senza ritorno?”
Deve scrivere, comunicare Halina Poswiatowska , perchè” il silenzio divide più della distanza, il silenzio uccide persino i pensieri “. E scrive lettere, diari, poesie.
E nelle ultime pagine del racconto per il suo amico dice: “…chissà se mai lo leggerai. Guardo con diffidenza il fascio di fogli scritti: sapranno le parole difendermi meglio del silenzio? E’ ancora possibile esprimere qualcosa con le parole? Le ho cercate con fatica, riguardandole più volte una per una, confrontandole con il mio amore e con il mio dolore. Confrontavo il desiderio con la parola desiderio, e per il mio amore più grande -quello per la vita -cercavo le definizioni più belle. Amo la vita, amico mio, …amo guardare gli alberi piegati dal vento e lo scintillio lontano del faro. “
Scrive queste righe mentre sta tornando dagli Stati Uniti verso la Polonia, con il cuore irrimediabilmente malato. E’ sulla nave:
“Fuori di me sento il rombo dell’acqua schiumosa; dentro al petto sento pulsare, delicatissimo, il più sensibile degli strumenti che misurano il tempo: il cuore. E’ ancora debole, ma batte regolare e pompa, impavido, il sangue caldo.
Ascolta, amico mio: queste pagine non sono altro che il suo ritmo.”
IL SENSO DI SMILLA PER LA NEVE, di Peter Hoeg
pubblicato da: admin - 28 Novembre, 2010 @ 8:20 pm“La terre est blanche,/ le ciel est noir, /cloches carillonez gaiement“ ecco i versi che ho recitato  stamattina aprendo la finestra sui fiocchi leggeri di questo novembre trentino mentre mi arrivava il suono lieto delle campane dell’Abbazia di San Lorenzo.
L’insegnante di francese delle scuole media ce li aveva fatti studiare a memoria.
Subito mi viene in mente anche il libro per il post quotidiano. Un libro che parla di neve, ma quella “tosta”, quella della Danimarca e della Groenlandia dove ci sono più di dieci modi per dire “neve” a seconda della sua  corposità , del disegno del fiocco, della sua consistenza, ecc.
E’ un libro adatto a lunghe domeniche invernali quando ci si vuole raccogliere in qualcosa di avvincente e nello stesso tempo “viaggiare” sia nell’altrove geografico che nell’altrove di nuove visioni della vita.
Smilla (nome che mi piace) è una glaciologa indipendente, scontrosa, con ricordi brucianti dell’adorata mamma Inuit morta tragicamente mentre pescava con il suo kayak in Groenlandia,  e che deve  destreggiarsi in un rapporto conflittuale  con il padre residente a Copenaghen come lei.
 L’unico suo  intenso legame affettivo è con Esajas, figlio di una vicina Inuit.
Quando il bambino, una sera d’inverno, scivola da un tetto innevato e muore, Smilla si accorge che non è stato un incidente. E’ proprio il suo “senso per la neve” che le fa capire che le impronte lasciate da Esajas sul tetto sono sospette.
Raccontato in prima persona questo romanzo ci porta in un ambiente diverso, in un mondo a noi lontano denso di descrizioni di paesaggi affascinanti che ci condurranno da una prenatalizia Copenaghen alla calotta polare.
C’è un mistero intricato da risolvere in cui anche il piccolo Esajas è stato, suo malgrado, coinvolto. E Smilla comincia ad investigare. Si oppone, si ribella, com’è nella sua natura, al potere di certe istituzioni corrotte, allo sfruttamento delle risorse minerarie della Groenlandia. La sua curiosità , il suo senso di riportare giustizia, la fanno incorrere in seri pericoli.
Le autorità la minacciano, la incarcerano per una notte, cosa per lei tremenda. Il timore degli spazi chiusi per  lei,figlia delle grandi distese aperte di ghiaccio e neve, la fanno retrocedere. Ma verrà aiutata da un meccanico,  suo coinquilino,  a riprendere le indagini ed insieme infine  scopriranno un’incredibile (e un po’ confusa)  verità .
Thriller avvincente, in cui oltre la suspence c’è anche la storia di una persona che soffre, che si sente precipitare in un tunnel di depressione, una persona che si sente sradicata in un mondo di opportunismo, di clientelismo, di possesso di ricchezze come unico fine.
“Crescere in Groenlandia ha rovinato per sempre il mio rapporto con la ricchezza. Vedo che esiste. Ma non potrei mai lottare per raggiungerla. Nè rispettarla seriamente. Nè considerarla un obiettivo”
Mi piacciono qesti emergenti scrittori scandinavi, amo entrare nel loro mondo cupo e lontano.
Peter Hoeg è nato nel 1957. Nel 1988 venne salutato dalla critica come “il miglior narratore della sua generazione”.
Sono andata a leggere le opinioni dei lettori su Internet: ci sono estimatori osannanti il messaggio ecologico, di tolleranza che il romanzo ci trasmette, ci sono i tiepidi che lo accettano come diversivo durante l’influenza, ci sono alcuni che lo  detestano  insieme alla persona che l’ha loro regalato…!( non è pericoloso regalare un libro a qualcuno se non si conoscono perfettamente i suoi  gusti?).
Insomma è vero che ognuno di noi legge una storia a modo suo, ne diventa co -protagonista o ne rimane distaccato,  e lo ama o non lo ama a seconda del suo vissuto, dei suoi desideri, dei suoi vuoti da colmare, dalla sua consapevolezza.
Io amo entrare in mondi nuovi, qui la Danimarca invernale, adoro entrare nelle pieghe intime delle persone, e qui Smilla, persona che ricerca la sua identità , mi ha catturato. Poi se il finale è un po’ confuso ed eccessivo, pazienza.
Durante la lettura ho avuto modo di fermarmi su molte pagine e riflettere.
 Che in fondo è, per me, lo scopo precipuo della lettura.
CONGETTURE SU APRIL, di John Banville
pubblicato da: admin - 27 Novembre, 2010 @ 6:16 pmNarrativa, l’evocatrice dell’altrove.
 Necessaria per aiutare a ripiegarci su noi stessi e ad aprirci verso gli altri. Tante vite che si snodano parallele, quelle reali, quelle dei personaggi letterari. Così mentre insieme a John Banville ricerco April Latimer e conosco il suo approccio verso la vita, mi addentro nel suo ambiente, una Dublino invernale costretta in un abbraccio nebbioso che ricorda una poesia di Eliot.Â
 Nel frattempo mi giungono i pezzi delle altre vite, quelle reali: dal cugino meranese, dall’amica lontana, da quelle vicine, messaggi, e-mails. Persone contente, soddisfatte, altre malinconiche, altre aperte, alcune reticenti, persone che mordono la vita, altre che l’assaggiano timidamente.
Sempre nel mescolare con intensità lettura e vita mi accorgo di fare paragoni con tipologie umane che ho incontrato e che incontro.
 Questo romanzo è definito “giallo”, sia per la scomparsa di April sia per un probabile omicidio, è in realtà  una ricerca delle verità nascoste, quelle che forse ogni giorno  ricerchiamo anche noi.
Phoebe, la più cara amica di April, sembra essere l’unica persona a preoccuparsi della sua prolungata assenza. Nessun altro la cerca, certamente non la sua famiglia, la madre, il  fratello, uno zio ministro, anzi questi sembrano non voler sentire parlare di lei definita in coro come “la pecora nera”.
 Phoebe, nella sua ansiosa ricerca,  si fa aiutare dal padre, l ‘anatomopatologo Quirke appena uscito da una clinica di riabilitazione per alcolisti.
Ogni ricerca di qualcuno o di qualcosa mette in discussione parti di noi, così Phebe si interrogherà se ama Patrick, il bellissimo ragazzo africano, forse amante di April; il dottor Quirke combatterà strenuamente contro la tentazione di bere e in questa sua battaglia cederà a capricci estrosi come quello di acquistare un’auto sportiva che non sa guidare. Rafforzerà invece il suo fragile rapporto con la figlia.
La Verità è sempre multiforme, l’animo umano sfaccettato come un caleidoscopio, le maschere si sfaldano e ciò che sembrava vero risulterà  falso. Persino nel gruppo di amici Phoebe scopre rivalità  profonde, segreti e bugie.
John Banville con la “sua scrittura limpida e tagliente come una lama” ci porta attraverso una ostile e fredda Dublino alla scoperta di un’impietosa verità , ma soprattutto ci induce con forza a leggere l’anima degli uomini.
Ecco il vero”giallo”, scoprire la nostra e l’altrui verità . Che fascino osservare i vari comportamenti umani ed intuire da che cosa sono dettati. Che delusione se si scoprono meschinità , ma che gioia la rivelazione di bontà , altruismo, attenzione vera verso gli altri…
Attenzione ed interesse. Tempo fa una persona sosteneva che non chiedeva mai niente agli altri per “educazione borghese”, per riservatezza, per non sembrare curiosi…io ho ribadito che l’impressione che invece dà  è quella che degli altri a lei non  interessi niente… impressione di gelo.
Non vi capita di incontrare persone che parlano, parlano di sè, e non vi  chiedono mai niente? E se per caso sfugge loro una domanda su di voi … poi non vi ascoltano?
IL FUOCO NEL MARE , di Leonardo Sciascia
pubblicato da: admin - 26 Novembre, 2010 @ 8:02 pmÂ
Il libro che ci presenta Riccardo è affascinante.
 Leggere “tessere” varie  del pensiero di un autore come Sciascia non può che arricchire il nostro essere, sia di Lettori che di  Persone.Â
Testi sparsi, racconti dispersi, pubblicati dal 1949 al 1975
Biblioteca Adelphi 557
Pagine 179, €18
Sciascia, Racalmuto 1921 – Palermo 1989. Sciascia, tutti conoscono questo nome, come Pirandello, del resto, chi non ne conosce il nome? Sciascia, Il giorno della civetta, Todo modo, chi non li ha visti al cinema o in TV? Ma, Sciascia, chi lo conosce veramente? Andate in internet (Wikipedia) e potrete vedere come sia già un’ottima lettura leggere “l’indice†della sua vita, quasi come leggere – cercando di capirlo – l’indice di un’opera letteraria complessa e soprattutto “l’indice†di un uomo . Ricordo che da giovane studente, a Genova, il professore di filosofia del diritto, tale Luigi Bagolini, nell’interrogarmi, mi chiese: “Mi esponga l’indice del Kelsen (Hans Kelsen, Austriaco, filosofo del diritto). Cioè mi chiedeva che io gli esponessi l’indice del volume di filosofia del diritto posto a base dell’esame. Infatti, avere compreso quell’â€ordine†significava avere studiato e avere assimilato i contenuti della materia. Perdonate la divagazione, ma io so resistere a tutto tranne che alle tentazioni. E questa era fortissima.
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Sciascia, maestro elementare, romanziere, storico, saggista, commediografo, uomo politico, giornalista, sceneggiatore, uomo del sud. Personalità complessa? No, direi “riccaâ€, esuberante come la fioritura dei mandorli nella piana di Girgenti, il profumo delle zagare, la forza del vino siciliano, che mio nonno materno – l’unica volta che, bambino, “scesi†in Sicilia a trovarlo per accompagnare mia mamma, Agrigento classe 1904 – spillava dal fiasco “di paglia†mediante una pompetta applicata alla sua sommità , per evitare, lui così vecchio, lo sforzo di sollevare il peso di due litri di rame fuso alla temperatura di 18 gradi alcolici.
Sciascia poeta: “Sento la notte declinare nel passo profondo dei muli, nel fischio dei contadini che tra loro si chiamano …poi il silenzio raggiunge ancora i confini del sonno … il clemente naufragio dell’ora è penetrato dagli zoccoli petulanti delle donne, dal loro chiamarsi senza necessità , dal loro imprecare contro il maligno da fare che porta il giorno …
Cosa si può chiedere di più, ad uno “scrittore�
Mio figlio Edoardo, professionista della comunicazione, mi ha appena fatto notare che ogni libro “nasce†non quando viene scritto, ma quando viene letto … quando chi lo legge lo rapporta ai propri sentimenti, alla propria sensibilità , alla propria storia.
Ed allora, anche se certamente avrete letto molto di lui, leggete anche questa raccolta. Io vi ho riconosciuto Pirandello nei piccoli grandi frammenti di assurdità (non oso arrivare a Kafka) che qua e là affiorano, secondo una ricercata causalità ; Camilleri, nell’amore per la sua terra e nel poliziesco che improvvisamente conclude taluni racconti; Manzoni, per la sottile ironia che arricchisce le diverse situazioni; Shagall e Van Gogh, per l’intensità del tratto e la vivacità del colore della prosa; Richard Strauss e la sua Alpensinfonie per la ricchezza del caleidoscopio nel che consiste questa raccolta come del resto l’intera vita ed opera del suo autore.
Racconti brevi, alcuni favole pre moderne per adulti, altri quasi saggi storici, altri frammenti di costume, altri poesie, altri … fate voi, sennò vi racconto tutto, ed allora, come fate poi, voi, a “scriverla†– leggendola – questa raccolta?
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Riccardo Lucatti.
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LA FIGLIA DI JANE EYRE, soltanto per le appassionate
pubblicato da: admin - 25 Novembre, 2010 @ 6:58 pm“This is dedicated to the one I love” cantavano i Mamas & Papas. Potrei parafrasare i loro versi dicendo che questo libro è dedicato a coloro che amano Jane Eyre.
Quando l’ho visto in Biblioteca, nella nostra bellissima biblioteca di via Roma che presto metterà sul Bollettino anche il mio indirizzo blog, …non ho resistito.
Jane Eyre, la compagna della mia adolescenza e prima giovinezza, la ragazza che si riscatta con il suo lavoro, il suo spirito d’indipendenza, che mi ha fatto sognare e desiderare ( e incontrare) il mio Rochester, un uomo forte come la roccia, è una cara sorella letteraria.
Non mi stancavo mai di rileggere la sua storia, soprattutto la parte dell’incontro con Rochester e  i loro dialoghi così moderni che suggerivano un modo d’approccio fra di due sessi diverso, completo, appagante soprattutto per noi donne.
Avrei voluto leggere ancora di Jane, sapere della sua vita matrimoniale ed ecco che Elizabeth Newark ce lo racconta. La Newark ha scritto numerosi libri per bambini e saggi su Jane Austen e Charles Dickens ed ora si è dedicata al pastiche letterario.
Ed ecco che torniamo nell’amatissima brughiera dello Yorkshire e ritroviamo Jane e Edward con due figli: Oliver, il maggiore  e Janet di 15 anni che vivono a Thornfield ricostruita dopo l’incendio appiccato da Berthe, la prima moglie pazza di Rochester.
Temevo in una caduta letteraria, temevo di non ritrovare la mia Jane Eyre, invece Elizabeth Newark riesce a lasciare perlopiù intatta la figura psicologica di Jane, anche perchè la fa presto partire con il marito e il figlio più grande per la Giamaica, le terre dove Rochester ha ancora dei possedimenti.
La quindicenne Janet rimarrà invece a Londra per terminare gli studi protetta da due tutori amici dei genitori la cui assenza però  si protarrà  più del previsto…
Janet rimasta sola,  vivrà anni importanti; conoscerà l’amore avendo sempre in lei l’esempio del comportamento severo e indipendente della madre e l’ammirazione -amore  per il padre. Amore che le farà sempre cercare una figura maschile che assomigli a lui. Ed infatti la incontra…
Assicurato il romanticismo, le descrizioni deliziose dell’alternarsi delle stagioni nello Yorkshire, i preparativi per il Natale costellati da ricette di pudding e mulligatawny …
Tante  citazioni dello stesso libro della Brontè e de “Il giardino segreto”…personaggi misteriosi che si aggirano nell’ala abbandonata della residenza dove Janet è ospitata in attesa del ritorno dei genitori, giardini nascosti da muretti e  pieni di rose inglesi dai mille colori pastello…
Che goduria! Che vi devo dire, a me piace alternare letture impegnate a questo genere “extrememente feminine” che mi dà felicità e consolazione. Mi ritrovo spesso con un aperto sorriso stampato sule labbra!
Ma attenzione! Per le integraliste adoratrici di Jane Eyre questo pastiche può turbare…alla fine del racconto ritroviamo Jane, la nostra eroina, che torna cambiata dalla Giamaica, dove non solo nuotava e si arrampicava sugli alberi, ma aveva scoperto la parte più sensuale di sè.
Bravissima Elizabeth Newark, ma il suo tempo, il nostro tempo, è diverso da quello di Charlotte Bronte.