LA FIGLIA DEL REVERENDO, di Flora M.Mayor

pubblicato da: admin - 14 Marzo, 2011 @ 7:50 pm

roma marzo 2011 008roma marzo 2011 004Mai libro è stato così adatto come questo romanzo ambientato nella quieta Inghilterra durante il mio intenso e ricco viaggio a Roma. Innanzitutto  mi ha fatto una gradevolissima compagnia durante il viaggio in treno (e Cinzia sa che amica potente è la lettura quando si viaggia), ma mi ha anche calmato prima di dormire dopo tutte le emozioni provate .

La prima in assoluto ed anche in ordine cronologico è stato l’incontro con Miki, la nostra Miki!

Che emozione nell’attesa nel mio albergo – (e  purtroppo preda di un raffreddore fastidioso ). - Che rabbia -  mi dicevo – non sono nella mia forma migliore. E poi mi chiedevo – Ci piaceremo come ci piacciamo quando scriviamo? –

Ebbene sì. Anzi, per me Miki è stata ancor di più di come me l’aspettavo. Intanto più alta, bella, con un sorriso che sgorga dal profondo. Non voglio esagerare per non dare adito a G. di criticarci per i troppi complimenti, ma veramente la “scintilla” della simpatia si è confermata appieno. E non solo fra noi due, ma anche con la mia amica Renata di Recco e soprattutto con Stefania. Immediatamente il “canale” empatico già aperto dal Blog ha iniziato a spumeggiare. Tra un libro e l’altro ricevuti in dono “La notte ha cambiato rumore ” ( da Michela) e  “Lo zen del gatto” (da Renata) abbiamo parlato tantissimo. Mi sono accorta che non abbiamo neppure bevuto un caffè tutte prese dalle confidenze, dai sorrisi, dalle affinità.

Splendida Miki che mi ha dato la spinta energetica e amichevole per affrontare la magnifica, ma caotica Roma.

Ed ecco che “La figlia del reverendo” è riuscito a calmare la mia eccitazione, la mia gioia, la mia troppa ansia golosa di “assaggiare” tutto. Dopo le meraviglie dell’Ara Pacis con la mostra di Chagall, il Caravaggio, piazza Navona, il Pantheon e la tomba di Raffaello e l’allegria vitale dei Romani, dopo la pasta cacio e pepe, il buon vinello rosso e tutta la vita colorata di Roma…- “Eh” diceva Stefania ” sembra che qui nel centro si racchiuda e si senta il nostro più ampio spirito italiano” -  “entravo” in una canonica inglese in un quieto villaggio dal nome significativo Dedmayne e partecipavo alla vita scialba, noiosa di Mary che passava “inosservata come i biancospini in un aiuola“.

Figlia devota del reverendo Jocelyn, stimato e colto uomo di chiesa, Mary sta avviandosi con naturalezza verso quello zitellaggio tipico di certi villaggi inglesi la cui vita si ravviva soltanto accanto alla parrocchia. Sembra di essere in un romanzo della Austen , ma poi improvvisamente ci accorgiamo che siamo all’inizio del Novecento e in una delle poche visite a Londra ci inoltriamo in un salotto colorato, moderno, tipico della Bloomsbury di Virginia Woolf.

Il romanzo viene infatti pubblicato per la prima volta da Leonard e Virginia Woolf nel 1924 e conosce subito un grande successo. Siamo negli anni a cavallo delle due guerre , un periodo che ancora si aggancia al tema della “donna superflua”, le varie figle nubili dedite al padre o dolci istitutrici alla Jane Eyre.

C’è un mondo nel tranquillo villaggio che ricorda anche la Pym, i vari lavoretti per la chiesa, i tè, gli aiuti ai poveri. Ma improvvisamente la narrazione diventa qualcos’altro. Intanto c’è un improvviso innamoramento di Mary per Mr. Herbert, un vicario che sembra condividere con lei  lo stesso amore per la poesia, la stessa passione per il clima mutevole inglese, per le passeggiate nei boschi soffusi di bruma. E poi appaiono altri personaggi che sembrano distaccarsi dallo scenario deprimente, ma rassicurante di Dedmayne. Arriva la bellissima Kathy che toglierà Mr. Herbert a Mary, ma che poi insoddisfatta se ne andrà a Montecarlo nell’ambiente che richiama la Belle époque.

Mr.Herbert deluso si rinnamora di Mary e la bacerà.  Poi per imprevisti accadimenti tornerà con la moglie.

Mary soffre, ma vuole vivere, vuole trovare una sua felicità, ha pensieri forti e delicati alla Emily Dickinson, dimostra coraggio.

Flora M.Mayor scrive  questa storia in modo accurato,  con improvvisi e inaspettati cambi di scena che  ci riportano al fascino del  racconto orale  quando impazienti  si vuole sapere  subito ciò che succederà poi.

Questo romanzo è ora al centro di una rinnovata attenzione della critica, che non esita a porlo tra i libri più importanti della narrativa inglese del Novecento.

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LA MOGLIE CHE DORME, di Catherine Dunne

pubblicato da: admin - 11 Marzo, 2011 @ 9:37 pm

cop[2]DEVO RINGRAZIARE CINZIA CHE CI HA SPEDITO  UN INTERESSANTE POST SU UNA SUA RECENTE LETTURA . (E CHE MI LASCIA COSI’ IL TEMPO DI SEDIMENTARE IL MIO SOGGIORNO ROMANO E L’INCONTRO CON MIKI).

TROVO INOLTRE CHE I QUESITI CHE CINZIA SI PONE E …CI PONE SIANO FONDAMENTALI PER TUTTI NOI.

 

Approfittando di una splendida giornata a Venezia con Andrea e il suo migliore amico Francesco, e del fatto che abbiamo trascorso quasi sei ore in treno, ho iniziato martedì mattina, e terminato ieri, la lettura del romanzo di Catherine DunneLa moglie che dorme“. Nel blog si è già parlato della Dunne a proposito dei suoi due romanzi forse più conosciuti, “La metà di niente” e “Donna alla finestra” ( che io non ho letto)

Il titolo originale inglese è “A Name for Himself“, e la traduzione italiana mal rispecchia la tormentata e tragica vicenda del protagonista. Vincent, Vinny o Farrell? E’ appunto sull’impossibilità di questo “troppo alto” quarantenne di darsi un nome definitivo e quindi, in sostanza, di definire il suo essere uomo e adulto, che si dipana la drammatica vicenda di questo romanzo. Si seguono tre piani: i ricordi di Vinny bambino, la sua vita da giovane condotta nel tentativo di rinnegare il suo vero nome, Vincent come il padre, e la sua esistenza con il nome che si sceglie, Farrell, accanto a Grace, la donna di cui si innamora e che gli starà vicino, anzi, più vicino di quanto lui stesso possa credere o immaginare.

Vinny è un bambino di nove anni che le circostanze di famiglia, cioè un padre violento e una mamma dolce, amorevole ma spaventata e sottomessa al marito, costringono a crescere in fretta e con responsabilità troppo grandi per lui. Si prende cura amorevolmente dei tre fratellini e della sorellina finchè non vengono separati a causa della morte prematura della mamma. Il rapporto con il padre è, come si può bene immaginare, segnato dall’odio e dal risentimento. Questa relazione distorta segna Vinny per sempre: cresce “troppo” di statura ma nel suo “piccolo” io resta annidato per sempre il tarlo della sua inadeguatezza, della sua insicurezza di fronte a tutto e a tutti. Il suo tarlo cresce, a dismisura, si espande nel suo intimo fino a compromettere per sempre la sua capacità di relazione con gli altri, specialmente con la sua amata Grace: inevitabile che la paura di Vinny/Farrell di perderla, nonostante lei continui a dimostrargli il suo amore sincero e riconoscente, venga alla fine vissuto da lei come irrazionale, inutile e pesante gelosia. La mente di Farrell diventa un tunnel oscuro pieno di sospetti, teme e vede ovunque intrighi orditi contro di lui e la sua tanto agognata felicità. Che è lì, basterebbe che lui accettasse di essere amato per quello che è, che credesse all’evidenza dell’amore di Grace. E invece…..

Questo libro offre molti spunti di riflessione. Quanta importanza ha il nostro passato quando tessiamo la nostra vita futura?. Non si cresce chiudendo le porte, anche se siamo “fortunati” ci sono momenti in cui qualche lato oscuro fa capolino dentro di noi. E’ vero per tutti? Per Grace, che sembra avere avuto tutto dalla famiglia e dal padre P. J., non è così…..

Quanto possono essere influenzati (o plagiati?) i giovani (i nostri figli, i nostri alunni….) dalle convinzioni (o costrizioni?) di noi adulti, anche se proposte (imposte?) a fin di bene. Cosa significa rispettare la loro libertà di crescere? Quanto è giusto lasciarli sbagliare e soprattutto fino a che punto si può stare a guardare?n Personalmente, non posso fare a meno di pormi queste domande, come mamma di un post- e di un pre- adolescente e come “prof” di tanti ragazzi che vedo sempre più disorientati…..

Quanto “possediamo” gli altri, anche le persone più care? Quanto possono entrare nel nostro io, anche incosapevolmente, figure di genitori forti, o troppo deboli fino a far prendere strade “obbligate”‘?

Non sono esperta in psicanalisi nè particolarmente ferrata in introspezione psicologica ma questo libro mi ha fatto molto riflettere sui legami fra le persone, in positivo e in negativo, sulla libertà, sulla manipolazione della mente, sulle menzogne che si insinuano nei rapporti e che possono perfino sostenerli, fino a un certo punto. E poi?

Avviso per Camilla: se non conosci questo libro, non leggerlo! Da quanto dici, non è proprio il momento adatto. A me ha lasciato una grande tristezza dentro….perchè sono donna?!?!

Cinzia

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LA SPECIALISTA DEL CUORE, di Claire Holden Rothman

pubblicato da: admin - 5 Marzo, 2011 @ 8:43 pm

cop[1]Penelopi carnevale 2011 002Donne, donne, donne. Stiamo avvicinandoci all’ 8 marzo, festa di mimose,  di incipiente primavera e per recente tradizione di attenzione a Noi Donne. Il libro scelto è senz’altro pertinente a questa ricorrenza perchè racconta la vita di una donna speciale, antesignana di quelle donne forti, decise, che sanno quello che vogliono …che dovremmo essere noi. Lo siamo diventate?

La specialista del cuore” trae ispirazione dall’opera e dalla vita professionale di uno dei primi medici donna di Montreal, la dottoressa Maude Elizabeth Seymour Abbott (1869 – 1940), ma si snoda tra personaggi ed avvenimenti probabili e  in gran parte immaginati.

La protagonista narrante si chiama Agnes, si sente bruttina e goffa, ma ha due grandi priorità nella vita: ritrovare il padre medico patologo che l’ha abbandonata  e diventare essa stessa un medico patologo, specializzata nello studio delle cardiopatie.

Quanto un genitore amato e “sfuggente” può influenzare la scelta di vita di una persona? Per Agnes i vasetti contenenti i vari particolari cuori conservati in formaldeide sono tesori. Riuscirà, grazie ad una governanate illuminata, Miss Skarry , a perseguire la sua meta. Ma quante difficoltà! Siamo alla fine dell’Ottocento e occorre essere veramente speciali per riuscire ad ottenere qualche riconoscimento.

Nonostante l’intelligenza, i meriti, i voti altissimi ad Agnes come massimo onore sarà assegnata la cura del piccolo museo di anatomopatologia dell’Università. Spazzare, etichettare, pulire…

Ma che felicità per questa donna piena di passione per questo lavoro! E poi qualche cosa, ma non troppo , cambierà.

 La storia romanzata è avvincente: il padre è stato costretto a fuggire per un’accusa di omicidio, la madre ne muore poco dopo aver dato alla luce la secondogentita, Laure, fragile ragazza, deliziosa e  bella come un soprammobile  e  che come tale si frantumerà presto.

Ma la nostra Agnes pur tra difficoltà terribili, povertà, clima gelido canadese, solitudine, ostilità varie dei colleghi maschi riuscirà a proseguire nel suo cammino trovando persino l’amore  verso i 50 anni, e ritrovando un padre deludente senza però lasciarsene trafiggere! Che donna!

Chissà se Elisabetta e Miki, ricordano la storia della vera dottoressa di Montreal.

All’inizio della lettura speravo fosse veramente una biografia, ma tuffandomi nella trama romanzata sono stata catturata da personaggi ben costruiti, credibili che ci portano a capire le difficoltà che il nostro sesso ha sempre dovuto affrontare per raggiunegere i proprii sogni e ancor più per poter capire quali fossero.

Ma anche noi Penelopi non siamo Donne da poco! Come d’abitudine Cristina ha aperto la sua calda casa per  Carnevale e noi Penelopi “vecchie” e “nuove” ci siamo lanciate in mille travestimenti (grazie proprio ai costumi creati da Cristina , sorelle e mamma) . Così Cinzia è apparsa come uno splemdido Cardinale, Stefania, naturalmente, come un giovane Mozart, Cristina, bellissima e divertente come la ballerina russa “Galina Cocimelova” che piangeva la morte del cigno-cugino. Giovanna ha cantato superbamente Il Clarinetto di Arbore ed io e la mia “gemella”?

L’anno scorso eravamo le Kessler, quest’anno, ormai stigmatizzate come le Twin sisters abbiamo oltrepassato la “frontiera” di ogni cabaret….ci siamo “immedesimate” in Milly e Lelio Luttazzi. Sorvoliamo sul poco spazio per i nostri passi di danza e lasciamo perdere le parole dimenticate e le risate, perchè…come sempre abbiamo avuto un grande successo. O no?

Viva le Donne!

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BOBO NOVECENTO di Sergio Staino

pubblicato da: admin - 28 Febbraio, 2011 @ 11:35 am

250px-Sergio_Staino[1] Trovo che pensare un po’ alla politica in questo nostro Blog eterogeneo ogni tanto  occorra. “Basta poco per divertire gli intellettuali” recita il sottotitolo del libro letto e presentato da Riccardo.

Tutti noi vorremmo veramente un mondo migliore.

Che ne dite?

I Classici del fumetto di Repubblica

2005, 380 pagine

 

Turati, Gramsci, Togliatti, Berlinguer, Natta, Occhetto, Craxi, D’Alema, Veltroni, Fassino, riletti attraverso gli occhi di Bobo, un “borghese piccolo piccolo”, anzi un proletario, uno spirito ribelle e democratico, con un grande coraggio che possiede “a sua insaputa” e che forse proprio per questo ogni volta gli fa “perdere sempre il treno”. Perdere il treno di una vittoria solo apparentemente definitiva, ma non quello della vittoria su se stesso, sul mantenimento della speranza, sulla volontà di continuare a lottare, nel senso che egli non rinuncia alle sue idee, combatte anche quando sa di perdere (“ma almeno ci sto provando”) e porta il suo piccolo mattone alla costruzione di un mondo diverso anche se probabilmente ha capito che non arriverà a vedere. Per questo, ai miei occhi egli è un vincente. E vince nella considerazione della sua famiglia, nel rispetto verso se stesso che, malgrado mille dubbi e incertezze egli riesce a mettere a fuoco, sia pure attraverso un faticoso e complesso percorso di auto identificazione e verifica morale.

Staino, toscano anzi senese (come il mi’ babbo!) rivive la storia sociale e politica della sinistra italiana, dal 1904 al 2004, i suoi pensieri, le mode, i miti, i traumi … e la lente attraverso la quale ingrandiamo i singoli passaggi è quella delle persone comuni dell’Italia del (l’ultimo) fascismo, dell’immediato (secondo) dopogerra e del primo post fascismo, delle prime gite fuori porta della famigliola. Ad esempio in Toscana, ove gli “indigeni” sono stati sostituiti da “padroni” brianzoli, inglesi e americani e i contadini sono ormai tutti extracomunitari Nella vicenda trova spazio anche la scoperta del “sesso liberato”. Non vi spaventate! Solo qualche timido turbamento del sonno … fantasie innocenti, di sempre, del resto a noi maschietti ci hanno fatto così, eventualmente prendetevela con il Programmatore ….

Ultimo fascismo, si diceva, la piccola fabbrica artigianale dei cappelli di paglia in Firenze, le prime rivendicazioni sindacali femminili delle donne che realizzavano le treccine di paglia (le famose “trecciarole”) e tanto altro.

E poi la ripresa di alcuni importanti passaggi storici, assolutamente preveggenti. Il Processo di Verona? Eccolo! Personaggi ed interpreti: Mussolini, Silvio Berlusconi; Hitler, Umberto Bossi; Pavolini, Sandro Bondi; Ciano, Gianfranco Fini; Edda, Maurizio Gasparri; il boia, Roberto Castelli; il confessore, Gianni Baget Bozzo. Stralci di guerra partigiana nelle valli toscane, E che dire degli “arresti temporanei preventivi” dei “malpensanti” eseguiti in previsione della visita di Sua Eccellenza il Capo del Governo Cavaliere (Cavaliere anche lui … ma insomma!) Benito Mussolini’, rievocati recentemente da taluno? E pensare che questo libro è del 2004 …

E poi, fra le altre rievocazioni, l’orazione di … Antonio alla morte di … D’Alema: “Amici, compagni, uomini del centro sinistra, io vengo per seppellire … non per elogiare …”., insomma, tanta, tanta cultura …anche Shakespeare è stato chiamato in causa! Che si può volere di più?

Dice Staino: “E’ l’emozione che fa vivere Bobo, che gli fa sperare in un mondo migliore e che lo indigna per tutte le ingiustizie che ancora oggi si commettono”.

 

Riccardo

 

P.S.: avevo iniziato a leggere “La versione di Barney” di Mordecai Richler. Arrivato a pagina 100 ho deciso di smettere. Non mi piace il continuo ricorso a citazioni di nomi, situazioni e fatti dati assolutamente per scontati ma a me assolutamente sconosciuti, per cui non riesco ad “entrare” nel racconto e nei suoi personaggi, bensì potrei solo “subirli” il che non mi va. Mi vorranno scusare gli estimatori di questo libro.

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PERSEPOLIS ovvero, storia di un'infanzia

pubblicato da: admin - 24 Febbraio, 2011 @ 12:50 pm

112[1] di MARJANE SATRAPI 

I CLASSICI DEL FUMETTO DI REPUBBLICA, 2005

Prima pubblicazione nel 2000

350 pagine

Mi fa piacere lasciare la parola a Riccardo che ci porge un genere di lettura diverso, ma in un certo senso attualissimo sia per i contenuti storici, politici e sociali  che per la fruizione immediata che l’immagine suscita. Inoltre, se leggiamo con attenzione, troveremo mille e mille spunti per riflessioni, dibattiti, confronti.

Trentasei anni fa, per lavoro, ho trascorso alcuni periodi a Teheran, la città dello

شاه شاهان cioè dello Scian Scia, del re dei re, cioè di Reza Palhavi.

In quell’occasione mi piace ricordare che feci amicizia con Michele Cazzato, basso buffo che si esibì ne L’elisir d’Amore, lui che era anche Direttore del Teatro e del Coro Imperiale e con Luciana Serra, soprano oggi famosa, entrambi liguri come me. Chiusa la parentesi.

I miei partners locali, ebrei, al tempo concedevano ancora solo cinque anni al regime prima che esso, a loro giudizio, fosse schiacciato da una rivoluzione islamica che prevedevano con una sconcertante certezza.

Da parte mia osservavo aspetti molto superficiali ma significativi. Ad esempio, che per far fronte all’enorme sviluppo edilizio, erano state fatte arrivare dall’intero paese maestranze di base, operai e muratori, che poi la notte dormivano all’aperto, su cartoni, adagiati sul fondo dello scavo che stavano eseguendo, nel pieno frastuono del traffico che circondava il quartiere, mentre uno di loro, a turno, faceva la guardia per impedire che taluno, “per scherzo” tirasse sassolini ai dormienti, svegliandoli.

Il Ministero dell’Agricoltura, poi, era un grattacielo di trenta piani, letteralmente ripieno di apparecchiature elettroniche (ometto di citare il nome della più importante casa produttrice mondiale di tali apparecchiature) d’ogni tipo, perfettamente imballate, che nessuno stava usando né avrebbe mai usato. Quanto visto, mi bastava a comprendere la previsione di cui vi accennavo.

Questa è l’anteprima.

Ora, dopo tanti anni, ho letto “Prigioniera di Teheran “ di Marina Nemat (Cairoeditore) e “Mai senza mia figlia” di Betty Mahmoody e William Hofer (Sperling & Kupfer, v. sul blog, ottobre 2010) oltre il volume che sto presentando. Questi solo fumetti, che però hanno “vinto” molti premi internazionali e che esprimono tanta, veramente tanta forza!

Tutto inizia nel 1980 quando le donne in Iran sono obbligate ad indossare il foulard. L’autrice all’epoca ha solo dieci anni. Poi, cresciuta, emigra a Vienna, poi in Francia, poi rientra nella sua patria. Molti sono i piani sui quali l’azione si svolge: familiare, amicale, politico, bellico, studentesco, religioso, di costume, etc. e fortissimo è il contrasto fra di essi, fra i diversi luoghi e tempi. Lo stile dei disegni, in bianco e nero, con figure essenziali, stilizzate, lascia spazio alla riflessione sull’essenziale del messaggio che dobbiamo cogliere … si … dobbiamo … per un dovere morale verso chi ha sofferto quelle vicende e per un senso di rispetto verso tutti coloro che ancora oggi le stanno soffrendo, verso le donne in particolare, che in una “buona” (sarebbe meglio scrivere “cattiva”) parte del mondo ancòra oggi soffrono di soprusi, violenze e discriminazioni d’ogni sorta.

Altra parte fondamentale del libro è la testimonianza della crescita e della maturazione della ragazza, che deve sintetizzare la cultura familiare e sociale d’origine con la cultura (e le prassi) dei luoghi europei della sua emigrazione. Devo dire che la testimonianza sarebbe stata importante anche senza il fatto dell’emigrazione e della fuga dalla dittatura iraniana!

Infine, colpisce come quel regime (iraniano, non libico, ma il discorso si può ripeter anche in questo caso), assoluto, super organizzato, ricco di denaro e di amicizie internazionali, sia poi crollato sotto la pressione delle masse. Corsi e ricorsi di una storia ai quali taluno, anche oggi, sembra non voler mai credere …

Fumetti, si diceva, …

Riccardo

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INSIEME, COSI' FELICI, ovvero illusione? utopia?

pubblicato da: admin - 21 Febbraio, 2011 @ 3:31 pm

scansione0004Ecco un’altra autrice americana, ben diversa dall’amara e grande Oates, ma con un suo particolare fascino. Parlo di Maryann McFadden che ha auto- pubblicato il suo primo romanzo “Da quando sei partita”, divenuto presto un best seller nelle librerie indipendenti americane.

Mi dà l’impressione che lei scriva ciò che vorrebbe leggere: una storia bella, piena di buoni sentimenti con un finale da tema scolastico. Non è una critica negativa, io l’ho letto con piacere. Sapere che mi aspettava sul comodino mi faceva andare a letto più velocemente.

Storia soprattutto di donne, a partire dalla protagonista Claire, di 45 anni che si ritrova donna “sandwich”, come  gli americani amano definire le donne di mezza età che si ritrovano a dover gestire i genitori anziani e i figli ancora giovani.

Claire è stata una ragazza madre, ha cresciuto la figlia Amy che non vede da alcuni anni dopo un  penoso litigio . Haincontrato Rick un uomo allegro e simpatico con il quale dovrà presto sposarsi e le è capitata la grande occasione della sua vita: un corso di fotografia con un grande Maestro a Cape Cod.

Ma…la figlia ritorna improvvisamente ed è   incinta, il padre, che ha il morbo di Parkinson, peggiora rapidamente. La madre Fanny è infelice. Rick non vuole pensieri nè preoccupazioni,nè tantomeno accollarsi una famiglia così numerosa e problematica.

Che fare? Claire sul momento rinuncia al suo sogno per stare vicino all’ombrosa figlia che non è sicura di voler tenere il bambino. Ma poi nasce Rose, una dolcissima bimba bionda e lentamente tutto si riassesta, almeno per Amy e Claire.

Si può persino riprendere in mano il progetto di Cape Cod. E qui le descrizioni di questo luogo particolare della costa atlantica sono incantevoli. E’ la luce il segreto della sua bellezza, la luce che squarcia il mare all’alba e al tamonto, che scivola sulle alte dune coperte di erica, che lambisce le balene, che vola con il vento.

Claire è riuscita a portare a Cape Cod figlia,nipotina e  i due vecchi genitori togliendoli dalla casa-ospizio dove si erano appena inseriti con grande angoscia. Li vuole insieme a lei, non può sopportare di vederli morire lentamente . E’ utopia? Il racconto ci fa sembrare tutto realizzabile. La giovane Amy impara dalla nonna a cucinare e troverà un lavoro da cuoca, la vecchia Fanny, arrabbiata  da tempo con il taciturno marito, sembra decisa a cambiare vita, a 77 anni. Qui il sogno americano che suggerisce che  basta volere per poter raggiungere la realizzazione di  qualcosa.  Persino il vecchio Joe ha un lavoretto nel parcheggio…

E Claire, travolta da eventi e sentimenti  suoi e dei familiari e che ci dà l’immagine della Donna forte, generosa e onesta , alla fine sarà premiata. Insieme, così felici anche perchè intanto è apparso un uomo più affascianante, uno scrittore che ama le balene, il mare, la sostanza…

Alla fine del corso quando Claire presenta le sue foto si sentirà dire da suo  Maestro “Qualunque cosa lei stesse cercando qui, signora Noble, è tutta lì. Il suo lavoro è eccezionale, sia il bianco e il nero sia il colore. Per quanto riguarda la luce…beh, non è solo quella luce bellissima per cui siamo famosi, è più una metafora per come si vedono le cose. E io credo che lei abbia catturato la luce, probabilmente più di quanto lei si renda conto in questo momento.”

Eh, sì è come si vedono le cose. Sta tutto dunque tutto in noi stessi…

E perchè non coltivare sogni, ideali, progetti che possono sembrare irrealizzabili? E perchè non provare a stare insieme, così felici?  Come ci suggerisce  la McFadden?

Ed ecco che faccio un secondo appello alle lettrici e ai Lettori del Blog che non scrivono mai : diteci quale libro state leggendo adesso, anche solo il titolo, se vi piace, se vi intriga o se vi delude, così potremmo trarne spunti e consigli e questa finestra letteraria si amplierebbe. Ci sentiremmo meno soli, potremmo condividere immagini, suggestioni, pensieri, rabbia, delusioni,  potremmo, almeno per un frammento piccolo e grande della nostra vita  sentirci “insieme, così felici …o no”, ma insieme.

E alla luce della lettera ricevuta domenica dalla visitatrice che critica i nostri eccessivi “complimenti, baci e bacetti“, “poesie e poesiole” credo proprio che sarebbero da valorizzare  soprattutto i messaggi essenziali dei libri e dei nostri sentimenti,  analizzare, solo se letti con la dovuta  attenzione, i grandi temi della letteratura e della vita  da cui essa si ispira.

Mi scrive ancora G. ,che io  ho definito un pizzico di peperoncino , una scossa elettrica al  nostro  delizioso “miele” che amerebbe più “essenzialità e approfondimento, qualche intemperanza, un dissidio“  e  continua “ se si parla del nostro vissuto che questo sia vero, forte, esemplare , e non edulcorato …che i consigli e le idee che potranno sorgere siano coraggiosi!”

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L'INVENZIONE DELLA SOLITUDINE, di Paul Auster

pubblicato da: admin - 16 Febbraio, 2011 @ 8:39 pm

scansione0003Lo stesso giorno in cui ho aperto questo libro ho visto in televisione un’ intervista a Paul Auster che  ancora non conoscevo. Ho scoperto così che oltre ad esere un  affermato scrittore è anche regista. Un libretto Einaudi questo, nel quale ci si tuffa e  vi si rimane immersi a lungo. Come si fa a non sentirsi coinvolti completamente  nel tentativo di un uomo che cerca di ritrarre attraverso tutto i meccanismi mnemonici  un padre inafferrabile, sconosciuto e  appena morto?

Una ricerca dunque quella di Paul Auster: la prima parte protesa a capire il padre attraverso ricordi, documenti,riflessioni, la seconda insistendo sulla solitudine dello scrittore che può evocare a tutto tondo  gli avvenimenti della sua vita, ma soprattutto sgomitolare quel filo tenace e fragile dell’essere figli e padri.

Ritratto di un uomo invisibile è il titolo della prima parte.  Suo padre è morto inaspettatamente  “Un giorno c’è la vita…poi d’improvviso, capita la morte” e lo scrittore si ritrova nella casa paterna a cercare il senso della vita di suo padre che, divorziato da tempo, ha vissuto distaccato dalla vita e dagli affetti. Ma “nella ricerca della verità” dice Eraclito “sii pronto a imbatterti nell’inatteso, poichè essa è difficile da trovare, e , una volta trovata, stupefacente.”

L’accorato sentimento di Paul Auster sta nel percepire un’assenza che già c’era. Trova tra i vari ricordi, nelle scatole nascoste, una strana foto  (quelle riportata sulla copertina del libro) in cui suo padre  è ritratto in cinque posizioni diverse seduto ad un tavolo ma sempre con lo sguardo altrove. Cinque immagini dello stesso uomo, mai centrato,  che proprio per questo sembra allontanarsi dal momento pregnante dell’esistenza. Per lui il mondo, pensa Auster,  era un luogo remoto dove non riuscì mai entrare completamente, e il figlio era …come un’ombra per lui. Era un uomo, suo padre, che non voleva guardarsi dentro. Non aveva accettato, per esempio, la malattia mentale della sorella, ma dimostrava una calma estrema che celava forse  un furore nascosto e come la sua casa, all’esterno in ordine  ma che si stava sgretolando lentamente all’interno, così anch’egli si consumava dentro.

 Lentamente i frammenti si riordinano, le tessere del puzzle danno alla fine un’immagine più completa , Auster  scopre la sua pazienza e la sua generosità anche in improvvisi ricordi di sè bambino quando provava l’immensa gioia dei rari giochi fatti  insieme.

Scopre persino le testimonianze di un lontano delitto.

La seconda parte Il libro della memoria, è in terza persona, ma è sempre l’autore che parla di sè e questa volta come padre. Sa che il suo intenso rapporto con il figlioletto Daniel  si stempererà e cambierà.  

La solitudine dello scrittore è inevitabile, ma non siamo tutti soli? E non è proprio la nostra solitudine quella che ci fa affiorare momenti intensi di appagamento vitale e di riordinamento dei fili della memoria e quindi del nostro Sè? Pensa a Emily Dickinson e alla sua stanza di Amherst, pensa alla camera  da letto dipinta da Van Gogh dove la solitudine appare  claustrofobica, ma ricorda anche le donne solitaroe di Vermeer, pacate e serene nella luce obliqua del nord.

La solitudine è distaccarsi dagli altri, è nel non guardare l’altro da sè, perchè la vita è da vivere, e nella felicità di essere vivi non c’è solitudine.

Ormai non so più se queste considerazioni sono mie o di Paul Auster, ma leggere non è anche interagire? E i nostri pensieri non sono statici, ma dinamici e volano, si intersecano e talvolta prendono altre traiettorie. L’importante è esistere e ricercare.

Che ne pensate? Anche voi, leggendo, oltrepassate la storia?

La completate o la modificate inconsapevolmente a seconda del vostro “sentire”?

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UN GIORNO TI PORTERO' LAGGIU, di Joyce Carol Oates

pubblicato da: admin - 11 Febbraio, 2011 @ 10:33 am

scansione0002Quando si affronta un romanzo della Oates occorre essere pronti, almeno in parte,  allo “sfaldamento” di sè.

 La sua scrittura penetrante, il suo scavare sincero e impietoso denudano il Lettore che si lascia trafiggere in una sorta di incantamento doloroso, ma necessario. E che a me piace.

In fondo la vita è così. Si è sempre alla ricerca di qualcosa o qualcuno nella speranza che ciò possa consolarti dal destino di umano mortale. Ed è proprio per questo che la vita è bella perchè nonostante questo lento  scivolare nell’indistinto ci teniamo saldi e vogliamo essere felici.

La storia narrata dalla Oates sembra in parte autobiografica. Anellia, la protagonista timidissima, insicura di sè, in cerca di una identità – il suo nome proprio apparirà a metà libro (nessuno infatti  riesce mai a ricordarselo) –  assomiglia fisicamente alla Oates: minuta, dal colorito pallido, i capelli crespi, non bella.  Inoltre è un’ intellettuale, amante della filosofia, vincitrice di borse di studio ed infine scrittrice.

Potrebbe essere un romanzo di formazione: si parte dal suo tenace desiderio di entrare a far parte di una Confraternita universitaria, di una “sorority” –  lei che si sente senza famiglia –  le mitiche e terribili Kappa Gamma Pi. Crede così, la nostra piccola Anellia, di colmare quella insoddisfazione congenita e quasi patologica che si porta dentro, di riempire la mancanza di amore parentale negato dalla morte della madre dopo la sua nascita e negatole dal padre che la colpevolizza e che è sempre lontano.

Siamo nello Stato di New York, a Syracuse, nella “snow belt”, dove il freddo, la neve, il gelo, la pioggia fanno da padroni fino a maggio. E il gelo lo ritroviamo intorno  e dentro anche ad Anellia, incompresa e disprezzata diciannovenne che si disprezza per prima.

Perchè Anellia vuole entrare ossessivamente  in questa crudele Confraternita dove sa che sarà umiliata,  e  dove si comporterà in modo da farsi alfine cacciare in una sorta di punitivo masochismo?

“Nella mente non vi è alcuna volontà assoluta ossia libera; ma la mente è determinata a volere questo o quello da una causa che è anch’essa determinata da un’altra, e questa a sua volta da un’altra, e così all’infinito.”  dice Spinoza nella sua Etica.

Che cosa l’ha spinta ad entare nella sorority se non la necessita di provare la sua esistenza proprio nel desiderio di provare qualcosa di forte, di sentirsi deflagrare, “sfaldare”?  Non tragga in inganno dunque la sua autodistruzione in questo frangente perchè ciò diventerà un coraggioso e forte atto di accusa verso la superficiale e arida esistenza della Confraternita.

Bellissime le descrizioni dei desolati paesaggi invernali “Dune di neve spazzate dal vento. Olmi morenti e spogli in continuo contorto movimentoEravamo giovani…Le più deboli barcollavano e cadevano e venivano dimenticate” che rispecchiano il suo annientamento. Come i colori degli edifici che sono lo scenario della sue vita: grigio carne, color strutto, verde amaro…

Lasciate le Kappa Gamma Pi, Anellia si innamora di uno studente nero, grande intellettuale, Vernor Matheus, dal quale si lascia  volutamente umiliare.

Intanto però, pur nella sua fragilità di vetro dei vent’anni, Anellia studia, studia, fino a  quando ormai ventitrenne , riceve la notizia che il padre ritenuto morto perchè scomparso anni prima senza lasciare tracce, è ancora in vita pur se malato terminale.

 Viene richiesta la sua presenza dalla donna compagna del padre. Con la sua scassata Wolkswagen Anellia intraprende un viaggio lunghissimo che dall’Est la porterà verso l’Ovest,verso  lo Utah, per rivedere il padre morente. Ed ancora una volta il paesaggio è recepito come un organismo vivente, “il paesaggio è vitale; entra attraverso gli occhi e ti respira dentro; nell’Ovest non potevo più essere la giovane donna che ero stata all’Est; a Crescent, Utah, luogo a me sconosciuto, mi aspettava una giovane donna che ero io, ma diversa; a Crescent, Utah, sarei stata quella giovane donna, era deciso. La figlia di mio padre:”

E così attraverso lo spazio e il tempo si dirimano alcuni nodi e tra questi il più importante, quello dell’appartenenza e dell’accettazione.

Romanzo sublime.

Edizione Mondadori 2004. Preso in prestito dalla Biblioteca di via Roma.

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EVA DORME, di Francesca Melandri

pubblicato da: admin - 7 Febbraio, 2011 @ 8:33 pm

In previsione  dell’incontro a casa di Cristina con gli amici “accademici” ho letto anch’io “Eva dorme“, libro del  quale si parlerà stasera. Riccardo  ha già scritto le sue imprtessioni in un post di alcuni mesi fa. Cercatelo nell’archivio. Stasera si confronteranno gli  “sguardi” di Lettori diversi  così che dell’opera della Melandri avremo  una visione a tutto tondo.

Pagine forti e interessantissime queste di “Eva dorme“. La storia recente dell’Alto Adige è veramente quasi  sconosciuta a molti italiani che vedono questa regione soltanto come un delizioso luogo turistico. Persino a me, che ci sono nata e che ho trascorso intere estati della mia giovinezza a Merano, mancava una conoscenza approfondita del cammino politico che ha portato al famoso “Pacchetto”di Silvius Magnago. Ma sapevo benissimo degli attentati; proprio nel 1961 la mia famiglia aveva deciso di tornare a vivere a Merano, mio padre aveva già trovato un appartamento, ma poi per paura della tensione, delle bombe, dei tralicci saltati non se ne fece più nulla e rimanemmo a Carpi.

Ho letto questo libro con amore, nostalgia, attenzione.

La vita di Gerda racchiude la durezza della vita di un popolo che si è sentito staccarsi dalla patria, dalla Heimat. E non è un caso che tutta la storia è la ricerca di questo legame primigenio di patria, madre, padre.

Heimat per tutti, madre inafferrabile e padre assente per Eva , madre e solo madre-Heimat per il triste padre di Gerda.

Eva, che spesso dorme  nei momenti cruciali, per  difesa,  per desiderio di assoluta protezione in un involucro di non-decisioni, come fosse in una sorta di sospensione tra vita e non-vita , o per incoscienza o fuga, deve ad un certo punto “risvegliarsi” e prendere atto sia della sua vita che di quella della sua terra. E nel viaggio verticale che farà in treno percorrendo la penisola italiana ripercorre in orizzontale, cronologicamente, tutti gli avvenimenti della sua famiglia e del suo Alto Adige, Sud Tirol.

 Nel punto di “intersezione” quando incontrerà Vito, il “padre” tanto desiderato e  l’anello d’equilibrio delle tensioni italo-tedesche,  Eva lascerà dormire finalmente la sua vecchia madre stanca.

Leggendo della vita durissima di Gerda in un casa “vuota di parola” , di quel suo padre dallo sguardo buio ho ripensato a Ethan Frome, alla storia sanguigna di povertà materiale e psicologica che porta al masochismo, all’autodistruzione.  Ed anche la morte di Ulli ricorda questo romanzo.  Per narrare quegli anni durissimi  per molti altoatesini, quelli che vanno  dal 1919 agli anni Settanta, Francesca Melandri usa parole e pensieri duri  e precisi come pezzetti di porfido.

Anche per gli Italiani mandati a “colonizzare” quel pezzo di terra bellissimo non è stato facile. Tangibile il rancore anche fra ragazzini. A Maia Alta, dove trascorrevo le estati dagli zii - zia italiana, zio tedesco - e i cuginetti , c’erano nostri coetanei  Tedeschi. Si cercava di giocare insieme, ma il più delle volte si finiva a sassate e una volta persino con del sangue. Il ferito era mio cugino che era stato legato ad un albero e preso di mira con canne appuntite di bambù.

Ma ho altri bellissimi ricordi: il rapporto simpaticissimo di mia nonna e certi contadini che le vendavano generi di prima necessità. Lei parlava in dialetto emiliano, loro in dialetto tirolese e –  nonna raccontava -, si capivano perfettamente e ridevano, ridevano…

E che struggente malinconia nelle notti chiare di giugno, quando sulle colline ardevano  i fuochi, sentire cantare gli jodel…

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IMPERO, un viaggio nell'antica Roma

pubblicato da: admin - 3 Febbraio, 2011 @ 10:03 pm

E’ interessante sapere che cosa leggono i giovani,  quali generi preferiscono, come si avvicinano al testo.

 Il nostro Luigi, ormai iscritto all’Università, ci manda le sue impressioni sull’ultimo libro letto. Sappiamo che la storia è una sua passione per cui questo suo post ci fa moltissimo piacere. 

 2802708[1]IMPERO: VIAGGIO NELL’IMPERO DI ROMA SEGUENDO UNA MONETA, Alberto Angela

Già la dedica del libro mi piace, e mi fa pregustare un eccellente lavoro, che merita di essere letto: “A Monica, Riccardo, Edoardo e Alessandro. Perché il viaggio più bello lo faccio ogni giorno nei vostri occhi…”. Già per questo motivo leggo il libro, perché il suo autore è sì uno studioso, che ne sa in materia (mi viene in mente l’aggettivo inglese fond of per far capire cosa voglio dire), ma che nonostante questo non si pone ai lettori come tale.

Come dice lo stesso autore, questo libro è la chiara continuazione del suo primo lavoro, Una giornata nell’antica Roma, libro che naturalmente non ho potuto non leggere. Dopo aver scoperto quindi la giornata-tipo di un romano dell’epoca dell’imperatore Traiano (siamo quindi nei primi anni del II secolo d.C.) in cui l’impero raggiunge la sua massima espansione, stavolta andiamo oltre confine in un viaggio tutto nuovo per scoprire, sempre nello stesso lasso di tempo, le varie circostanze che caratterizzavano l’intero impero di Roma, seguendo “di mano in mano” una semplice moneta, un sesterzio.

L’ipotetico viaggio parte ovviamente da Roma, dai forni della zecca, per poi toccare Londra, Parigi, Treviri, oltre il Reno, Milano, Reggio Emilia, Rimini, il Tevere, Roma, il Circo Massimo, Ostia, la Spagna, la Provenza, Baia, il Mediterraneo, l’Africa, l’Egitto, l’India, la Mesopotamia, Efeso, quindi di nuovo Roma (vedasi cartina).

Sembra incredibile che all’epoca i Romani abbiano creato e tenuto insieme un impero così grande: la “moderna” globalizzazione qui è messa tutta in gioco. Leggendo il libro infatti, si scopre che benché l’Impero sia stato molto vasto, con molti problemi anche interni, non vi siano stati problemi che al giorno d’oggi riterremo inevitabili. Per certi versi, i Romani erano molto più all’avanguardia di noi…

Il fil rouge del libro può essere così sintetizzato (cito le parole dell’autore nell’introduzione del libro): “Come si viveva? Che tipo di gente avremmo incontrato nelle sue città? Come sono riusciti i romani a creare un impero così grande, unendo popolazioni e luoghi così diversi? Lo scopo di questo lavoro è proprio quello di farvi fare un grande viaggio nell’Impero romano, cercando di rispondere a tali domande”.

Prosegue: “Il viaggio, ovviamente, è ipotetico ma del tutto verosimile. I personaggi che incontrerete sono, con poche eccezioni, realmente vissuti in quel periodo e quasi sempre in quei luoghi. I loro nomi sono veri e svolgevano effettivamente quel mestiere. È il frutto di un lungo lavoro di ricerca su stele tombali, iscrizioni e testi antichi. Di molti di loro conosciamo addirittura il volto”. Questo grazie all’eccezionale ritrovamento dei cosiddetti “ritratti del Faiyum” in un’area dell’Egitto. Erano ritratti di persone comuni che venivano appesi in casa e applicati, dopo la morte, sulle mummie.

Essenzialmente, con questo libro scopriamo il “dietro le quinte” dell’Impero romano. Continua Angela nell’introduzione: “Vedrete quanto il mondo dei Romani, in fondo, fosse molto simile al nostro. Sono stati in grado di realizzare la prima grande globalizzazione della storia. In tutto l’Impero si pagava con una stessa moneta, c’era una sola lingua ufficiale, quasi tutti sapevano leggere, scrivere e far di conto, c’era lo stesso corpo di leggi e c’era una libera circolazione delle merci. […] Colpisce la sua “eccezionalità” storica: nessun’altra cultura o civiltà seppe fare altrettanto, fino all’epoca moderna. Possiamo chiederci se fossero troppo in anticipo loro o troppo in ritardo noi…”.

Ciò che mi ha colpito, oltre ovviamente l’argomento, è la passione che l’autore mette nel libro. Come diceva Hegel, “nel mondo niente è stato fatto senza passione”. Ed è più che mai vero… potremmo considerarla come il secondo motore del mondo (naturalmente dopo l’amore dantesco che fa muovere il sole e le altre stelle!). E’ un libro di facile e comoda lettura, che “corre via” veloce, ma che ciononostante lascia qualcosa in chi lo legge. Una sorta di libro di storia monotematico, che aumenta la nostra cultura e conoscenza in materia, ma che va anche oltre… E che per questo merita di essere comprato e letto.

Buon viaggio! Vale.

 

 

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