L'ULTIMO INVERNO di Paul Harding

pubblicato da: admin - 20 Aprile, 2011 @ 8:52 pm

scansione0005Neri Pozza Editore

E ‘difficile riassumere questo romanzo, premio Pulitzer 2010, colmo com’è  di suggestioni, emozioni, descrizioni che vanno e vengono, pensieri e personaggi che  fluttuano  come i personaggi di Chagall.

Si raccontano le ultime ore di vita di George  Crosby che cerca ancora di capire il  padre Howard, padre che l’aveva abbandonato per sfuggire al ricovero coatto in una clinica per malattie mentali.

Leggiamo con trepidazione e commozione sia pezzi della vita di George che quelli del padre, un venditore di pentole e altre mercanzie racchiuse in tanti cassetti  riposti sul suo carro trainato da un cavallo, ma anche tuttofare che riesce ad essere barbiere, dentista,  sa costruire piccole cose che hanno a che fare con il mondo della natura.

Sapete come si costruisce un nido? Prendete piccole lamine e sulle vostre dita provate a costruire due parti di un becco per poter cogliere un po’ alla volta, come fanno gli uccelli, i fili giusti d’erba o i pezzetti di legno. C’è la precisa descrizione a pag.164. 

Incantevoli le passeggiate di Howard nei boschi , questo filosofo naturalista che spesso vede il mondo capovolto,  mentre  ammira la vita intorno a lui e lascia fluire i suoi pensieri. Howard soffre di epilessia che spesso lo stordisce come “il fulmine colpisce il bosco”. George ne rimane impressionato la prima volta che lo vede cadere e quando per aiutare la madre Katleeen gli mette la mano in bocca per non farlo soffocare e il padre gli morde le dita.  Dopo questo episodio la moglie fredda, poco amorevole lo vuole fare internare.

Howard fugge e si rifa una vita.

George rimane dunque con il sapore amaro dell’abbandono e con il desiderio di comprendere quell’uomo misterioso e affascinante. Lo rivedrà infine da grande ed, ora, sul letto di morte sta ricomponendo il puzzle delle loro vite che sembrano unite dal ticchettio degli orologi che George ama.

Nella stanza dove aspetta la morte gli orologi vengono fermati dagli amorevoli figli e nipoti, quasi  una prefigurazione della vita che sta per finire. Ma George li rivuole sentire e prega di ricaricarli.

Ci sono paginette tratte da “L’orologiaio ben temperato del Rev. Kenner Davenport, 1783.” Il tic tac degli orologi lo rassicurano; come tutti gli ingranaggi sono utili per far funzionare un orologio  così – pensa George -ogni elemento naturale o umano è necessario e confortante.

Così tra sogni, pensieri suoi che si intrecciano con quelli del padre si compie la vita di George Crosby . E l’ultima cosa che immagina è la cena di Natale del 1953 quando rivede finalmente suo padre.

Non è un libro triste, è una storia immaginifica, commovente e in alcune pagine divertentissima. Era tanto tempo che non ridevo così di gusto tanto che Mimilla che dormiva sulla mia pancia ha protestato perchè sussultavo.

Insomma c’è l’episodio di quando Howard toglie il dente a Gilbert il solitario vagabondo che vive nei boschi che dice di aver conosciuto Hawthorne (Avrà 120 anni pensa Howard) . Egli è sempre seguito da un nugolo di mosche che diventano attrici nel momento dell’estrazione del dente, dei successivi svenimenti di Gilbert della consegna di una lercia pelle di volpe come ricompensa… infatti esse si spostano, si allontanano, ritornano, fremono e partecipano …

E’ il primo romanzo di Paul Harding.

L’avete letto?

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L'AVVOCATO DI STRADA di John Grisham

pubblicato da: admin - 17 Aprile, 2011 @ 9:45 pm

             Finalmente un’altra voce maschile – Gianfranco - partecipa al nostro salotto letterario virtuale proponendoci  un’ avvincente lettura che  farà  riflettere .

                                                               51Dg2Sp556L._SL500_AA240_[1]   Michael Brock è un avvocato americano che lavora per un importante studio legale.

Un giorno viene sequestrato assieme ad altri suoi colleghi da un (homeless) senza tetto che si fa chiamare Mister. Quest’ultimo non chiarisce il motivo del suo gesto, solo chiede di sapere chi si occupa degli sfratti prima che un cecchino della polizia lo uccida. Michael, sconvolto da questa esperienza, si sente sempre più insofferente alla sua vita di sempre fatta di ottanta ore a settimana di lavoro e da un matrimonio che non funziona perché l’ufficio assorbe tutto il suo tempo e l’ospedale quello della moglie chirurgo. Allora inizia ad avvicinarsi a un avvocato di colore impegnato nel sociale, e una notte si reca in una casa di accoglienza per i senza tetto a fare del volontariato. Lì viene in contatto con una giovane madre tossicodipendente con 4 figli che vive in una macchina. Il giorno dopo scopre che la donna e i suoi figli erano morti durante la notte intossicati dai gas di scarico della macchina lasciata accesa nel tentativo di difendersi da una bufera di neve. Così decide di indagare sul caso e su quello di Mister e scopre che il suo studio si era reso colpevole di una grave violazione, in quanto aveva sfrattato senza preavviso dei senza tetto che vivevano in un immobile comprato da un loro cliente, una società immobiliare. Gli occupanti erano gente di strada, ma pagavano regolarmente un affitto, anche se in nero, così avrebbero dovuto ricevere un preavviso di due settimane. Michael decide così di lasciare lo studio e sottrae il fascicolo riguardante questi eventi. Si unisce allo studio di Mordecai (l’avvocato di colore) rinunciando ad una valanga di dollari, e venendo per questo lasciato dalla moglie Claire. Però alla fine riuscirà a trascinare il suo potente studio in tribunale e a ottenere un risarcimento esemplare per i suoi indigenti.

La storia ,infatti, non passa inosservata: il debole contro il sistema; i barboni contro il colosso degli studi legali. Ma non solo, è anche la storia di chi, avvocato, lascia tutto per sostenere la causa degli homeless. Un esempio di generosità, altruità, umiltà che oggi non guastano, ormai indifferenti e presi da tutti altri valori.

Interessanti le descrizioni del mondo degli homeless: l’autore stesso in una nota a fine libro, ci racconta come si sia recato alla Washington legal clinic for the homeless per conoscere meglio l’argomento. Inoltre è molto ben descritto il mondo degli avvocati che lavorano nei grandi studi, che l’autore conosce bene in quanto avvocato di medio successo, fatto di una vita dedicata al lavoro nella ricerca maniacale del successo e del denaro.

Da segnalare che in Italia nel 2001, sulla scia del libro di Grisham, è nato un progetto di volontariato che porta lo stesso nome del libro. Presso lo sportello legale le persone senza dimora che hanno bisogno di un aiuto legale, vengono ricevuti da avvocati e laureati in giurisprudenza che forniscono gratuitamente consulenza e assistenza legale. Il progetto “Avvocato di strada” in breve tempo si è affermato per la sua utilità sociale, ed è riuscito ad esportare il proprio modello in molte altre città italiane, al fine di rendere più capillare l’aiuto a quante più persone possibili.

 Gianfranco

 

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A PICCOLI COLPI DI REMO di Alberto Cavanna

pubblicato da: admin - 14 Aprile, 2011 @ 11:10 pm

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 Arte Navale 2011

DA RICCARDO:

Alberto Cavanna, Savonese naturalizzato Spezzino, ama definirsi ‘shipwriter and talebuilder’ e cioè ‘narratore di navi e costruttore di storie’. Operaio, impiegato e poi dirigente in importanti cantieri navali ha legato la sua vita lavorativa prima e letteraria poi al mare. Ha esordito con ‘”Storie di navi, di viaggi e di relitti” Mursia 2001. Fra gli altri ha poi pubblicato “Bacicio do Tin”, Mursia 2004, secondo classificato al Premio Bancarella 2004, di cui al mio post del 20 giugno 2010; “Da bosco e da riviera”, Rizzoli 2009, Premio Marincovich 2009, Premio Casinò di Sanremo – Libro del Mare 2010, di cui al mio post dell’11 agosto 2010.

“Trentinamente scoperto” da me per caso, mentre passeggiavo fra gli scaffali della libreria Il Papiro di Trento, inserito nei nostri post, ci ha telefonato ringraziandoci per l’apprezzamento mostrato nei suoi confronti e noi ne abbiamo subito approfittato, invitandolo in Trentino: infatti la sera del 2 maggio Alberto sarà ospite dell’Accademia delle Muse, a Trento, presso la casa della Presidente Cristina, ad ore 20,15, per rinfrescare i titoli “vecchi” e presentarci l’ultimo nato, finalista al Bancarella 2011: “A piccoli colpi di remo”, disponibile presso Il Papiro ed anche nella serata di presentazione, libro di cui è stato scritto:

“Gli uomini, le loro vicende, i loro sentimenti e il mare in trenta racconti scritti nell’arco di molti anni. Alcuni di essi sono diventati romanzi: “Viribus Unitis” ha ispirato “Da bosco e da riviera”; “Un corsaro” ha ispirato “Bacicio do Tin”. “Calipso” e “L’orco” stanno per ispirarne altri. Sin tratta di bozzetti, immagini, situazioni aventi tutte una carica emotiva di fronte alla quale è difficile restare insensibili. Il Mare, è il grande sfondo su cui i vari personaggi si muovono, con pochi punti fermi di riferimento: le Navi, i viaggi, la terraferma. In Mare aperto i punti cardinali sono un’entità relativa, un’idea astratta che ha riscontro solo nell’ago della bussola; il tempo stesso è un succedersi di eventi ritmati come albe e tramonti che scandiscono l’unica attività possibile:il navigare. Il resto è vento, nuvole, cielo e acqua. La sola certezza l’unico appiglio cui la sopravvivenza di ognuno si aggrappa, é la Nave, solitaria testimonianza umana in un ambiente semplice e ostile, scenario del viaggio. I secoli passano ma solo le Navi cambiano: gli uomini in viaggio, i loro pensieri, le loro paure restano sempre le stesse. I personaggi di Alberto Cavanna, colti in un attimo preciso della vita, appaiono in tutta la loro bruciante umanità, quasi liberati dal fardello di un’identità, di una provenienza, delle convenzioni della società cui appartengono e questo proprio in virtù dello spazio speciale in cui la loro semplice azione si svolge. Essi, colti in un momento emblematico della loro vita, una sorta di ‘final cut’, si liberano di ogni ipocrisia e narrano una breve vicenda, a volte solamenteuna situazione liberatoria, degna di essere rappresentata come l’epigramma di un’intera esistenza.”

Che altro dire? Ad Alberto, grazie per i tuoi lavori e grazie per avere accettato il nostro invito. A tutti noi del blog, … interveniamo alla serata! Buon vento e buona lettura a tutti

Riccardo

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I RISORTI di Michael Collins

pubblicato da: admin - 8 Aprile, 2011 @ 3:53 pm

scansione0004Neri Pozza Editore, 2003

Non è facile in un pomeriggio quasi estivo  parlare di un romanzo così intenso ed impegnativo dove gran parte della storia si svolge durante un gelido inverno del Michigan, metafora di una zona infernale dell’anima in cui il protagonista si trova intrappolato.

Frank Cassidy è un uomo che conduce una vita ai margini, una vita disperata che risente sia  del peso di un oscuro passato irrisolto e che lo ha portato, adolescente, nel baratro della follia, sia del malessere della vita politica americana del dopo Vietnam e del recentissimo dopo Nixon.

Accanto a lui la moglie Honey che di dolce sembra avere solo in nome tutta tesa a sopportare l’imminente condanna a morte del primo marito e a proteggere pur in modo severamente primitivo Robert Lee il figlio avuto da quest’ultimo.  Fortunatamente c’è Ernie il piccolo di Frank ed Honey che rappresenta l’innocenza che forse li aiuterà a risorgere dal loro inferno. E  che  sarà la loro lavagna pulita da cui ricominciare.

I loro sogni non sono stati realizzati, la loro vita si svolge parallela a quella della televisione sempre accesa tanto da portare  talvolta confusione tra la vita reale e quella dei personaggi dei telefilm, dei quiz. Sempre voci mediatiche si sovrappongono ai loro pensieri, repliche e repliche Tv  del Watergate, di sit comedies, polizieschi,  canzoni famose..

Andavamo incontro” pensa Frank” a un mondo in cui non ci sarebbe stato più nulla di reale, anzi verso una nuova definizione della realtà, dove la rappresentazione delle cose sarebbe stata più reale delle cose stesse, poichè queste ultime avrebbero smesso di esistere.”

E per Frank, che ha rimosso dolorosi ricordi neppure affiorati da adolescente durante il ricovero nella clinica psichiatrica, la vita sembra proprio sdoppiata.

Il viaggio dal New Jersey verso il Michigan dopo aver saputo della morte dello zio Ward è un viaggio verso il passato “Avevo trascorso lì insieme a lui quasi metà della mia vita. Nella mia mente quello era il luogo da cui scaturiva ogni cosa. …Ciò che compone la nostra vita è determinante durante l’infanzia dai luoghi e dalle persone che ci stanno intorno, così in qualche modo la solitaria caparbietà, l’attaccamento alle cose di mio zio avevano impresso nella mia anima un tetro marchio di follia. La vita con lui era soltanto sopravvivenza e duro lavoro.”

Lentamente il mistero della morte dei genitori di Frank, del presunto assassinio di Ward, dell’incendio della fattoria e di un uomo in coma legato a queste vicende del passato si risolverà con dolore e fatica.

Michael Collins riesce in ogni pagina a darci emozioni intense, spunti di riflessione esistenziale raccontandoci come un vecchio “giovane Holden” l’amarezza e la delusione di quella parte di America che meno ci piace, quella della pena di morte, quella dei poveracci, quella in cui l’onnipresente televisione accesa  diventa un surrogato di vita anche per i bambini che hanno come amici gli eroi del piccolo schermo.

E sembra che i momenti cruciali della storia siano commentati da ciò che viene trasmesso in TV. Bellissimo leggere di un momento di disperazione senza speranza e senza senso  e “veder scorrere” le immagini  più cruente degli “Uccelli” di Hitchcok.

Ma si può risorgere dalla desolazione, dai ricordi tristi, si può finalmente ricordare ed elaborare, diventare insomma consapevoli e più forti. Il lungo inverno finirà, l’inverno che uno dei protagonisti ricorda  –  ancora come  un  vecchio “giovane Holden” – in questo modo  “le centinaia di oche che  nel lago all’arrivo improvviso del freddo sbattevano le ali divincolandosi fra la neve, cercando di sfuggire alla morsa del ghiaccio che le aveva intrappolate.”

Non bisogna rimuovere i tristi ricordi, sembra dirci questa storia, ma affrontarli. Accettare ciò che la vita ci offre di buono o di cattivo.

Sia Honey  che io siamo laureati adesso. La cerimonia ebbe luogo, come usava da quelle parti, sul campo da football, e ciscuno dei partecipanti scagliò in aria un topolino bianco in segno di giubilo. Credo che gesto più crudele non si potrebbe associare a un giorno così bello e importante…”

Ah, America, America … dalle mille contraddizioni…ah, Mondo intero…

Michael Collins è nato nel 1964 a Limerick. Ha conseguito il titolo di Doctor of Philosophy presso l’Università dell’Illinois a Chicago. Ora vive a Seattle. Con “L’altra verità” è stato finalista al Booker Prize.

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LA VITA ACCANTO di Mariapia Veladiano

pubblicato da: admin - 5 Aprile, 2011 @ 12:28 am

scansione0003Un bravo scrittore deve essere un grande, grandissimo lettore.

 E la Veladiano ce ne dà conferma in questo suo romanzo vincitore del Premio Calvino 2010.

E i lettori accaniti se ne rendono gioiosamente conto ed entrano nella sua storia con complice attesa senza rimanerne delusi.

Appena iniziato a leggere di questa bambina bruttissima, quasi un “mostro” ho ricordato “L’homme qui rit” di Victor Hugo dove si racconta di Gwinplan, un bambino rapito  e mutilato  in modo che sul suo viso apparisse un eterno ghigno. Deriso da tutti è  da giovane adulto amato da Dea, la fanciulla cieca che “vede” la sua bellezza interiore.

E così è per Rebecca costretta a stare perlopiù nascosta in casa per non suscitare orrore e scherno ed amata solo da pochissime persone: una cara amica delle elementari, anch’essa “diversa” perchè grassissima, dalla sua tata, forse da suo padre assente, ma  –  pensa lei - non dalla madre che appena dopo il parto  entra in una grande depressione e non parla più. Della madre Rebecca non conosce persino il suo odore, mentre invece è circondata dagli effluvi di alghe e gallinelle in cova del fiume Retrone che circonda la sua casa.

Il suo affacciarsi nel mondo dopo le elementari è doloroso. Qualcosa di terribile le accade e la Veladiano è abile nel dosarci questo evento.  Ma ci fa sentire quanto terribile sia ciò che prova il diverso che sente il peso del disgusto degli altri. 

 “Avevo imparato il mio posto. Stavo seduta come una statua…una bambina brutta è grata a tutti per il bene che le vogliono, sta al suo posto…una bambina brutta è figlia del caso, della fatalità, del destino, di uno scherzo della natura…”

Ma il destino le ha riservato come compensazione un grande talento musicale riconosciuto da il Maestro De Lellis che la porterà anche nella sua grande casa a conoscere la madre, un tempo famosissima concertista.

E qui nella vecchia, ma non troppo, signora De Lellis che si veste solo di bianco come durante i suoi  passati concerti, ritroviamo un altro rimando letterario, anzi due: Miss Havisham di “Grandi speranze“, la mancata sposa che rimane per tutta la vita con l’abito nuziale dentro la sua casa preparata inutilmente per il banchetto di nozze e “La donna in bianco” un feuilleton del 1859 di Wilkie Collins, romanzo pieno di mistero e di annegamenti, di solitudine, di follia …come ne “La vita accanto“.

Rebecca dunque scoprirà misteri e segreti sia sulla signora De Lellis che su sua madre.

Un romanzo-gioiellino che sembra attuale nei rimandi all’ambientazione ma che rimane sospeso in una particolare dimensione come la nebbia che sale dal fiume onnipresente.

Un piccolo classico rivisitato.

Non racconto tutto perchè scopo del Blog è quello di sollecitare a leggere, leggere, leggere…

Posso solo dirvi che Rebecca sentirà finalmente il profumo della madre ormai morta perchè esso sarà liberato dalla boccetta della sua essenza preferita: lavanda e vaniglia.

Ciò mi ha particolarmente commossa e mi ha fatto ripensare a mia madre che profumava di geranio. Indimenticabile.

E  vostra madre?

 

P.S.

Sono andata a leggere il commento di Cristina V.  E’ interessante vedere quante diverse sensazioni un libro suscita nelle persone. Ed è proprio il bello di questo nostro confronto. Grazie Cristina.

 Ed ora aspettiamo  te, carissima Raffaella.

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DA QUALCHE PARTE VERSO LA FINE di Diana Athill

pubblicato da: admin - 1 Aprile, 2011 @ 4:26 pm

Dopo la divertente e amara lettura del libro “Questa casa non è un ospizio”  dove si parla di estrema vecchiaia sono stata spinta a leggere ancora qualcosa a proposito. Il tempo fugge velocemente ed in alcuni momenti giunge la prospettiva del nostro futuro. Timori? Panico? Serena accettazione? Giorno per giorno ci siamo costruiti ed ancora “i lavori sono in corso”. Ben vengano perciò racconti di esperienze autobiografiche.

E Diana Athill, classe 1917, ci offre  con garbo deciso e senza troppa retorica sulla bellezza della vecchiaia, sede di saggezza e illuminazione, questo libretto autobiografico premiato nel 2009.

Trovo le sue pagine quasi un “manuale” pieno di spunti e riflessioni obiettive. Diana Athill lo scrive a 89 anni iniziando con realismo sorridente  a dire che sarebbe inutile prendere dei cagnolini che senz’altro le sopravvivrebbero o l’amata felce arborea che forse non riuscirà  a veder crescere. Non ha preso i cani, ma ha deciso ugualmente di piantare una felce arborea e nel post scriptum  sappiamo che essa ha già  nove fronde di trenta centimetri l’una.

 “Avevo ragione quando dicevo che non la vedrò mai diventare una pianta di grandi dimensioni, ma non credevo che avrei provato tanta gioia nell’osservarla per quello che è ora, una semplice felce. E’ valsa la pena comprarla.”

Ecco gran parte della sua filosofia, del suo affrontare e godere giorno dopo giorno il dono della vita. Prende ad esempio da Jean Rhis che evitava il pensiero della vecchiaia  per non entrare nel panico e che teneva una scorta di sonniferi come eventuale kit del suicidio…ma che non usa.

“Altrettanto esemplare è stato Elias Canetti il cui sprezzo per la morte era più assurdo dello sgomento di Jean.” Ne parla con l’ amante del grande scittore ,  Marie Louise Motesizky, leggiadra ottantenne che dipinge meravigliosamente la quale dice che il diprezzo di Canetti verso la morte l’aveva quasi convinta che forse lui sarebbe riuscito a non morire!

Poi Diana Athill ci parla di lei, della sua gratitudine di discendere da una famiglia longeva e sana e dalla”morte veloce”,  analizza i suoi anni passati e presenti con la lucidità  di un chirurgo. Sembra sezionare con  il bisturi ogni aspetto o passaggio della sua vita. Come una scienziata parla della sua vita sessuale e quando  essa è¨ finita spiegando che è¨ inutuile sentirsi frustrati per  qualcosa che ormai non si desidera più.

Accettare la vita nella sua crudezza e mistero. E Diana lo fa con consapevolezza, buon senso inglese ed elasticità  mentale per cui ci suggerisce, suo malgrado, di  rivolgersi a progetti che si possono realizzare mentre è¨ più saggio lasciar perdere ciò che non si riesce più¹ a fare.

Ha lavorato nel mondo dell’editoria ed è¨ andata in pensione a 75 anni. Ma il vuoto non è¨ mai “entrato” in lei. Eppure è¨ una donna senza fede, non è¨ mai stata sposata, non ha figli, ma nuove passioni le riempiono la vita. La scrittura autobiografica, anche come “sistemazione di s訔, autocoscienza ¨ una grande risorsa, le nascono  nuovi gusti letterari, ora meno romanzi, ma più¹ saggi, anche la rilettura dei libri preferiti, ed ancora  un po’ di giardinaggio, ceramica…da non dimenticare ovviamente buone ed affettuose relazioni sociali.

E’ anche una persona sensibile e calda.

Insomma la Athill  sembra dirci che occorre sa combattere contro il soma che invecchia , cambiare gusti, attività  , …darsi anche un po’ meno rossetto (verso i novanta forse)…ma è¨ anche e soprattutto sentirsi liberi di essere solo se stessi “Da giovani molto di ciò che si è¨ dipende da come ci vedono gli altri, e spesso si continua così¬ fino alla mezza età.” Ora finalmente si può² vivere più¹ liberamente e sinceramente.

La sua invidiabile sicurezza è¨ genetica o è¨ maturata con l’età?  A me è¨ simpatica e mi ha fatto sentire “giovanissima”ed ancora piena di progetti, grandi e piccoli.

Tutti ne abbiamo, non è¨ vero?

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IL CASO MAURIZIUS, di Jakob Wasserman

pubblicato da: admin - 30 Marzo, 2011 @ 8:44 am

cop[1]Fazi Editore, 2001

 Un libro scelto e commentato da un uomo, il nostro Riccardo. Interessante la linea dei colori che sottolineano questa lettura.

 

Wassermann. scrittore tedesco vissuto a cavallo dell’800 e del 900. Ho acquistato il libro pensando fosse un giallo.

 In realtà è anche un giallo, ma i colori prevalenti sono altri. Il rosa sfumato di un racconto d’amore che, se estrapolato, potrebbe essere quasi un romanzo rosa appunto ma che – non abbiate paura – non inquina gli altri colori. Il rosso della passione giovanile per la verità di un ragazzo che la ricerca a qualunque costo; il nero dell’autoritarismo del nobile Procuratore Generale tedesco, padre del “protagonista di fatto”; il grigio di una pretesa “eminenza grigia” a metà fra il politico, il filosofo, il faccendiere, l’amatore, una sorta di Sgarbi ante litteram; il vuoto di colore delle prigioni tedesche dell’epoca … il verde della speranza di un padre che crede nell’innocenza del figlio … Molta introspezione, forse troppa per un lettore come me, avido di sapere “come va a finire”. Per certi aspetti “manzoniana” nel senso che i protagonisti, sia pure titolari di nomi difficili da ricordare, li ricordate benissimo, pagina dopo pagina, per via di come sono analizzati dall’interno.

 Romanzo d’introspezione, dunque, soprattutto maschile (si, maschile, una volta tanto, in questo blog soprattutto al femminile!), introspezione profonda, cruda ma vera. Sono 500 pagine da leggere “a piccole dosi”. Scrive Henry Miller: “Ho meditato sul caso Maurizius più che su qualsiasi altro libro … La giustizia, separata dall’amore, diviene vendetta: Wassermann sviluppa il tema fino ad un livello da dargli la grandiosità di una tragedia greca”. Altri scrive:”Romanzo giallo e di formazione, romanzo filosofico e romanzo d’amore, Il caso Maurizius rappresenta una delle più appassionate denunce dell’ingiustizia e della crudeltà borghesi che il secolo scorso ci abbia lasciato”.

Buona lettura!

Riccardo

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LEGGERE, LEGGERE, LEGGERE…per stare meglio

pubblicato da: admin - 24 Marzo, 2011 @ 9:55 am

Oggi 24 marzo è la Giornata nazionale per la promozione della lettura.

Ma come si fa a non leggere? “Leggere è il cibo della mente”, la lettura consola, aiuta, ci fa vivere due , tre mille volte, ci arricchisce, ci insegna, ci unisce…

Oggi quindi eccederò e  parlerò di ben due ultimi libri letti.

“Tornare a galla” di Margaret Atwood, scrittrice canadese, classe 1939, vincitrice di molti premi letterari, mi ha stregato.

Storia un po’ visionaria e al di fuori da canoni ritenuti nella norma  c’è  però al suo interno qualcosa che può o potrebbe accadere in ognuno di noi: il desiderio primigenio di un ritorno alla Natura feroce ma onesta  per fuggire dalla vita falsa degli umani tra i quali  sembrano prevalere falsità e violenza gratuita.

Siamo in Canada e la protagonista, di cui non si conoscerà mai il nome, torna sull’isola semideserta dove ha trascorso la sua infanzia per cercare il padre dato per scomparso.

Vi torna con tre amici, il suo compagno che parla poco e che forse potrebbe in qualche modo essere accettato, e una coppia fasulla, insincera, alienata.

Ritorna nella sua casetta sul lago ed immediatamente riprende le abitudini della vita dura dell’isolamento. Ma la ricerca del padre è soprattutto la ricerca di sè, un sè che si sente emotivamente morto per una “grande colpa”. Le manca una parte che non riesce a estrapolare dall’agghiacciante silenzio interiore.

Si battono sentieri probabilmente percorsi dal padre, si incontra una natura selvaggia , ma soprattutto le tracce della violenza di alcuni cacciatori americani che si aggirano fuori e dentro il lago. Emblematico vedere l’airone impiccato  e causa scatenante di una deflagrazione interiore di cui la protagonista sentiva fortemente la necessità.  Anche la ricerca della pittura rupestre descritta in alcuni scritti dal padre diventerà uno sprofondare nel suo vissuto rimosso, un periodo in cui si era sentita tagliare in due. Scopriremo insieme a lei, mentre decide che la pittura dovrebbe trovarsi in una falesia sprofondata nelle acque, il dolore immenso dell’aborto compiuto per compiacere l’amante sposato.  “Verde pallido, poi oscurità, strato dopo strato, più in basso di prima, il fondo, sembrava che l’acqua fosse diventata più densa…C’era, ma non era una pittura, non era sulla roccia. Era sotto di me, sospinta verso di me dal livello ancora più profondo, dove non c’era vita, una scura sagoma ovale che trascinava con sè delle membra. Era indistinta, ma aveva occhi, occhi aperti, era qualcosa che conoscevo, una cosa morta , era morto.”

Si ricompone la nostra giovane donna dopo essere   riuscita a farsi mettere incinta, in una notte di luna, all’aperto tra l’erba, dal suo compagno occasionale, o no?  si vedrà.

Subito dopo lei  non vuole più nessuno intorno a sè e per alcuni giorni ritorna alla  Natura. Si ciba di bacche, fritto, funghi, dorme all’addiaccio, si libera degli abiti , sembra purificarsi. Catarsi.

Ma poi che succederà? Indossa nuovamente  gli abiti che aveva tagliato e rivede  il suo compagno taciturno. Ma lo terrà con sè?

Romanzo straordinario scritto nel 1973 in pieno clima femminista. Vi si respira una grande rivolta verso il patriarcato, verso l’uomo capitalista, tecnologico, innaturale.

Sfogliavo queste pagine ormai ingiallite e mi chiedevo se anche gli stati d’animo cambiano di moda. In questo mondo lacustre dove l’acqua sappiamo è il simbolo della nostra nascita e della nostra vita ho ritrovato l’albatros di Coleridge, il naturalismo di Lawrence, la cattiveria de “Il signore delle mosche” ed anche le pagine finali de “La crociera” di Virginia Woolf.

Che violente emozioni, che arricchimento!

Leggere, leggere, leggere….

Il secondo libro di cui voglio parlarvi è di tutt’altro genere, ma…contagioso, nel “bene e nel male”.

Questa casa non è un ospizio” è  di Meg Federico giornalista che collabora a diverse testate tra le quali il National post, dove tiene una rubrica umoristica. Vive in Canada.

E meno male che c’è la chiave umoristica perchè la vera storia della sua mamma ottantaduenne colpita da ictus che vive da pochi anni  con il secondo marito che soffre d’Alzheimer può essere letta, per non soccombere, anche in chiave umoristica. La ricca e viziata Attie appena ricoverata all’ospedale dopo la rovinosa caduta in strada  (forse per i troppi Martini a cui è adusa) reclama a gran voce “Voglio l’autopsia!” E Walter , il suo secondo marito, la chiama la sua Sposa dimendicando spesso l’amore che prova per lei per minacciarla. Insomma i rispettivi figli che vogliono consentire ai due anziani genitori la vita agiata a cui erano abituati fanno i salti mortali per procurare badanti di tutti i tipi e cercare di donare agli ultimi anni della loro vita  una parvenza di normalità. Persino sessuale!  Ci sono episodi veramente esilaranti intrecciati purtroppo all’amarezza  del decadimento.

Ma vogliamo nascondere la testa come gli struzzi? Ad Attie e Walter, tutto sommato, è andata bene, grazie al denaro e a dei figli amorevoli.

Meg Federico con amore, “un po’ per celia e un po’ per non morir” ci racconta gli ultimi anni della sua mamma che, nonostante certi gravi difetti, è per lei “la stella polare” e ci commuove con  il suo amore tenero ormai diventato materno.

State leggendo, vero? Quanto tempo al giorno?

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PRIMAVERA E POESIA, "La presenza di Orfeo"

pubblicato da: admin - 21 Marzo, 2011 @ 9:32 am

cop[1]E’ la giornata mondiale della Poesia. Obbligatorio parlarne ed  io lo faccio come se volassi , tanto la poesia volteggia intorno a me.  E ricopio il post scritto l’anno scorso, lo stesso giorno.

Come non parlare di Alda Merini, nata il ventuno di marzo?

 Scomparsa nel 2009, ora di lei sappiamo quasi tutto. Ce n’è voluto del tempo prima che tornasse alla ribalta. Il suo primo libro di versi fu proprio questo: “La presenza di Orfeo” pubblicato nel 1953.

Non avete veduto le farfalle / con che leggera grazia / sfiorano le corolle in primavera?scriveva allora.

In giovinezza la poesia è proprio una farfalla che ci trascina in voli densi di profumi misteriosi ed Orfeo, con il suo canto, è  desiderato e necessario.

Orfeo novello amico dell’assenza, / modulerai di nuovo dalla cetra / la figura nascente di me stessa.

Nata a Milano nel 1931, apprezzata da Pasolini, Giorgio Manganelli, Luciano Erba (il mio docente di letteratura francese!), Davide Turoldo, entra presto nell’oscurità editoriale per la sua malattia mentale.  Proprio con il 1965 inizia il terribile  periodo di internamento in manicomio  che durerà fino al 1972, con parziali rientri in famiglia dal marito e la prima figlia Emanuela. Durante queste pause nascono incredibilmente altre tre figlie, tra cui l’amatissima Barbara.

Nella sua poesia fantasmi che ritornano dai luoghi frequentati dalla follia, ma  anche lucidità speciale e poetica. Quando scrive può vincere i suoi terrori e la sua diversità.  L’ultima raccolta, prima dei vent’anni di silenzio, è intitolato “Tu sei Pietro” in cui si fondono gli impulsi religiosi con quelli cristiani e pagani.

Morto il primo marito si risposa con un poeta tarantino e si trasferisce al sud. Anche qui le ombre della mente non le danno tregua, è ricoverata in un ospedale psichiatrico. Poi nel 1986 ritorna al nord dove inizia una cura con la psichiatra Marcella Rizzo alla quale vengono dedicate molte liriche:

Tu, anima / a volte mi sospingi in avanti / ancora perchè io cammini da sola, / come un bimbo che esiti a partire, / e io cigolo come l’onda…

E finalmente la notorietà, anche se non remunerativa,  degli anni Novanta. Abitava a Milano, in via Porta Ticinese 53. Conosco l’indirizzo perchè Stefania, incantata dai suoi versi, voleva andarla a trovare ed aveva trascritto l’indirizzo sull’agenda di casa.

Sono nata il ventuno a primavera / ma non sapevo che nascere folle, / aprire le zolle / potesse scatenare la tempesta…” scrive nel 1982

La poesia ti scava nel profondo, se ti inabissi in essa puoi trovare pericoli e mostri, ma essa ti può trascinare ad altezze sconosciute.

Scrivere poesie è spesso doloroso, ma la conoscenza passa attraverso siepi spinose e baratri.

Se qualcuno cercasse di capire il tuo sguardo/ Poeta difenditi con ferocia / il tuo sguardo sono cento sguardi che ahimè ti hanno / guardato tremando.” Sono i primi versi  di “Vuoto d’amore” di Alda Merini

 Emily Dickinson ,   di cui ho letto  una ennesima splendida biografia (che piacere entrare nel suo mondo !) sa lucidamente che “maneggiare” la poesia è come tenere una bomba in mano. Essa può deflagrare e ferirti, ma ti dà anche un grande potere. Insomma  essere Poeti è un dono o una sofferenza?

Per Emily (ormai siamo amiche! )  è stato un riscatto da una condizione che non poteva accettare, ma soprattutto un dono “regale” che se dapprima la  emargina nella “differenza” le permetterà, un giorno, un eterno riconoscimento:

“Mi fu dato dagli dei/ quand’ero bambina…/ Lo tenni nella mano – / senza posarlo mai/ non osavo mangiare – o dormire – / per paura che sparisse.

“Ricchi” sentivo dire / correndo verso scuola / da labbra agli angoli di strade / e lottavo con il sorriso. /

Ricchi!  Ricca  – ero io – / ad assumere il nome dell’ oro  – / a possedere l’oro –in solidi lingotti / la differenza – mi rendeva audace. “

E alle 17,30 andrò in Biblioteca ad ascoltare la lettura dei Lirici Greci …ve ne parlerò.

E perchè non mandare oggi anche le nostre poesie, sperando che G., se ancora ci legge, non ci giudichi troppo severamente criticando i nostri accenni al “sole, dolcezza e tenerezza”.

Che cos’è Poesia?  E’ quella capacità di scivolare nel profondo ed illuminare con poche parole sentimenti intimi ed universali. Perchè non ricercare il Poeta che è in noi?

Oggi, primo giorno di Primavera, mentre la Natura si risveglia  proviamo a risvegliare anche i nostri cuori?

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ALL'ITALIA…cercasi commenti per il grande anniversario

pubblicato da: admin - 17 Marzo, 2011 @ 8:55 am

Sono contenta che Cristina tra il  suo ricco “guardaroba carnevalesco” abbia confezionato anche un costume-bandiera italiana perchè durante la serata delle Penelopi, dopo il cabaret,  mi sono affrettata ad indossarlo. Penelopi carnevale 2011 037

E’ stato emozionante perchè mentre scendevo le scale (come facciamo  ad ogni cambio di costume) tutte abbiamo intonato “Fratelli d’Italia”.L’abbiamo cantato con convinzione, trepidazione, passione, fino alla fine. Una Penelope storica, ultraottantenne, ha detto che tutti dovremmo cantarlo, diffondere questo amor patrio ormai scolorito e spesso svalorizzato. E aveva le lacrime agli occhi. “Anche noi in Trentino” ha aggiunto ” sentiamo questo grande anniversario”.

Quanti libri sarebbero da citare oggi, 17 marzo 2011, dopo 150 anni dell’Unità d’Italia. Aspetto da voi…

  Nel pomeriggio accetterò l’invito di Brunella Clementel e andrò a sentire:

 

“Lo storico Nicola Tranfaglia a Trento in occasione del 150° dell’Unità d’Italia 

“Di fronte  al difficile compleanno che l’Italia celebra ricordando l’insediamento del primo parlamento italiano il 17 marzo 1861 a Torino centocinquant’anni fa nella memoria dei trentini si staglia il ricordo di due eroi che hanno segnato la memoria storica di queste contrade. Pensiamo a Cesare Battisti, il giovane socialista che il 12 luglio 1916 venne impiccato al Castello del Buon Consiglio perché amava l’Italia e voleva che il Trentino ne facesse parte. E a Giuseppe Garibaldi che trovò nella penisola mille giovani disposti a rischiare la vita per liberare la Sicilia e l’Italia borbonica da quei re  Borbone che erano diventati ” la negazione di Dio”.

Con queste parole il professor Nicola Tranfaglia anticipa il suo arrivo a Trento, per incontrare la cittadinanza trentina alle

ore 15.00

di giovedì 17 marzo  

alla Sala Rosa del Palazzo della Regione

.

Ordinario di Storia Contemporanea della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, Editorialista de L’Espresso, Repubblica, Il Fatto Quotidiano, scrittore di numerosi saggi storici e storico- politici, Responsabile Dipartimento Cultura di Italia dei Valori, Nicola Tranfaglia è uno degli storici più accreditati del panorama accademico italiano. L’incontro di Trento sarà dedicato a due figure cardine,  che hanno costruito l’Unità d’Italia,  Cesare Battisti e  prima di lui Giuseppe Garibaldi, titolo dell’incontro, al quale parteciperanno anche il segretario regionale Salvatore Smeraglia e il consigliere regionale Bruno Firmani:

150

ANNI DELL’UNITA’ D’ITALIA

MEMORIA STORICA E ANOMALIA GEO-POLITICA

Le ragioni identitarie di una terra di mezzo e i protagonisti della

nascita di uno Stato da Giuseppe Garibaldi a Cesare Battisti

Che cosa accadde tra il 1860 e il 1900 in Trentino?

Quali furono le influenze, le ripercussioni nel nostro territorio di montagna delle guerre d’Indipendenza, combattute a due passi da noi e dove i nostri soldati combatterono dalla  parte degli austriaci?

Ed ancora,  come nacque in Cesare Battisti e negli altri irredentisti delle così dette “terre di mezzo”,  il sentimento di appartenenza che sfociò in azioni contro il Parlamento di Vienna e riempirono di motivazioni e contenuti un’azione di lotta  politica tanto strenua e determinata da mettere a repentaglio le proprie vite?

Di tutto questo si parlerà giovedì alla Sala Rosa, giovedì pomeriggio, un’occasione per stare insieme, rileggere la storia, senza infingimenti, lontano dalle lenti distorte di  ideologie preconcette e nazionalismi, ma per il puro piacere di contribuire alla crescita di una comunità libera, informata e consapevole. 
 
Brunella Clementel
brunella.clementel@gmail.com
http://lareteinrosa.wordpress.com ”

A me vengono in mente alcuni versi di Leopardi che mio marito recitava spesso

O patria mia, vedo le mura e gli archi 

 e le colonne e i simulacri e l’èrme 

 torri degli avi nostri

…ma la gloria non vedo…”

Io scriverò presto l’elenco per cui amo essere italiana, anche se in questi ultimi tempi neppure io ne  veda la gloria …

E voi?

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